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Al Sud i servizi di prevenzione e cura sono più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie più gravi. Aumentare la spesa sanitaria è la priorità nazionale. Andrebbe inoltre corretto il metodo di riparto regionale del Fondo Sanitario Nazionale per tenere conto dei maggiori bisogni di cura nei territori a più elevato disagio socio-economico. L’autonomia differenziata rischia di ampliare le disuguaglianze nelle condizioni di accesso al diritto alla salute. Queste le principali considerazioni emerse dal Report SVIMEZ “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, presentato oggi a Roma in collaborazione con Save the Children. Il Report, pubblicato nell’ultimo numero di Informazioni Svimez, curato da Luca Bianchi, Serenella Caravella e Carmelo Petraglia, offre una fotografia delle condizioni territoriali del SSN al quale si rivolgono i cittadini per le cure. Nel corso della presentazione è stato proiettato un video con le storie immaginarie di due donne, una calabrese e una emiliana, che affrontano la stessa patologia oncologica. Storie che riflettono la realtà dei divari Nord-Sud nella qualità dei Sistemi Sanitari Regionali (SSR) e della conseguente “scelta” di molti cittadini del Mezzogiorno di ricevere assistenza nelle strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per curare le patologie più gravi.

Contestualmente, Save the Children ha ribadito come i divari territoriali siano evidenti già a partire dalla nascita. Sebbene nel panorama mondiale il Servizio Sanitario nazionale si posizioni come una eccellenza per la cura dei bambini, sia dal punto di vista delle professionalità che della universalità di accesso alle cure, le disuguaglianze territoriali sono molto accentuate. Secondo gli ultimi dati ISTAT disponibili, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) era di 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9). Già prima della pandemia, il numero dei consultori familiari si era andato assottigliando, con la conseguente carenza di presidi territoriali di prossimità fondamentali per sostenere la salute e il benessere materno-infantile.

Dopo l’emergenza Covid-19 si arresta la crescita della spesa sanitaria e restano ampi i divari territoriali

I divari territoriali sono aumentati in un contesto di generalizzata debolezza del Sistema Sanitario che, nel confronto europeo, risulta sottodimensionato per stanziamenti di risorse pubbliche (in media 6,6% del PIL contro il 9,4% di Germania e l’8,9% di Francia), a fronte di un contributo privato comparativamente elevato (24% della spesa sanitaria complessiva, quasi il doppio di Francia e Germania). Dai dati regionalizzati di spesa sanitaria (di fonte Conti Pubblici territoriali) risultano livelli di spesa per abitante, corrente e per investimenti, mediamente più contenuti nelle regioni meridionali. A fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro). Per la parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro. Il monitoraggio LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che offre un quadro delle differenze nell’efficacia e qualità delle prestazioni fornite dai diversi SSR, fa emergere i deludenti risultati del Sud: 5 regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti.

1,6 milioni di famiglie italiane in povertà sanitaria, di cui 700 mila al Sud

In base alle recenti valutazioni del CREA (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), sono il 6,1% le famiglie italiane in povertà sanitaria, perché hanno riscontrato difficoltà o hanno rinunciato a sostenere spese sanitarie. Nel Mezzogiorno la quota la povertà sanitaria riguarda l’8% dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto al 4% del Nord-Est (5,9% al Nord-Ovest, 5% al Centro).

Speranza di vita minore al Sud di 1,5 anni: più alta anche la mortalità per tumore

Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori BES (Benessere Equo e Sostenibile) sulla salute, è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute. Gli indicatori relativi alla speranza di vita mostrano un differenziale territoriale marcato e crescente negli anni: nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del Centro e del Nord-Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est. Analoghi differenziali sfavorevoli al Sud si osservano per la mortalità evitabile causata da deficit nell’assistenza sanitaria e nell'offerta di servizi di prevenzione. Il tasso di mortalità per tumore è pari al 9,6 per 10 mila abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del Nord. È cresciuto il divario per le donne: 8,2 al Sud con meno del 7 al Nord; nel 2010 i due dati erano allineati.

Nel Mezzogiorno meno prevenzione oncologica

Secondo le valutazioni dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa due su tre lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli.  I dati relativi agli screening organizzati dai SSR confermano i profondi divari regionali nell’offerta di servizi che dovrebbero essere garantiti in maniera uniforme in quanto compresi tra i LEA. La quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati oscilla tra valori compresi tra il 63 e il 76% in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, P.A. di Trento, Umbria e Liguria e circa il 31% in Abruzzo e Molise. Le quote più basse si registrano in Campania (20,4%) e in Calabria, dove le donne che hanno effettuato screening promossi dal Servizio Sanitario sono appena l’11,8%, il dato più basso in Italia.

Mobilità sanitaria: è ‘fuga’ dal Sud, in particolare per le patologie più gravi. Il 22% dei malati oncologici del Sud si fa curare al Nord.

La “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi. Nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22% del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un SSR del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio inverso. È la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). Al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza.

Save the Children evidenzia numeri crescenti anche nelle migrazioni sanitarie pediatriche da Sud verso il Centro-Nord, segno di carenze o di sfiducia nel sistema sanitario delle regioni del Mezzogiorno: l’indice di fuga – ovvero il numero di pazienti pediatrici che vanno a farsi curare in una regione diversa da quella di residenza – nel 2020 si attesta  in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria. In particolare, un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) pediatrici.

L’autonomia differenziata in ambito sanitario aggrava le disuguaglianze interregionali

L’obiettivo dell’equità orizzontale della sanità è ulteriormente messo a rischio dal progetto di autonomia differenziata. Sulla base delle risultanze del Comitato per l’individuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, in particolare, tutte le Regioni a Statuto Ordinario potrebbero richiedere il trasferimento di funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali ulteriori rispetto ai LEA in un lungo elenco di ambiti: gestione e retribuzione del personale, regolamentazione dell’attività libero-professionale, accesso alle scuole di specializzazione, politiche tariffarie, valutazioni di equivalenza terapeutica dei farmaci, istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. La concessione di ulteriori forme di autonomia potrebbe determinare ulteriori capacità di spesa nelle Regioni ad autonomia rafforzata, finanziate dalle compartecipazioni legate al trasferimento di funzioni e, soprattutto, dall’eventuale extra-gettito derivante dalla maggiore crescita economica. Tutto ciò, in un contesto in cui i LEA non hanno copertura finanziaria integrale a livello nazionale e cinque delle otto Regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti, determinerebbe una ulteriore differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario. Con l’autonomia differenziata si rischierebbe dunque di aumentare la sperequazione finanziaria tra SSR e di ampliare le disuguaglianze interregionali nelle condizioni di accesso al diritto alla salute.

Per il direttore generale della Svimez Luca Bianchi, intervenuto nella tavola rotonda coordinata dal giornalista di Repubblica Antonio Fraschilla, “La necessità di incrementare le risorse complessivamente allocate alla sanità convive con la priorità di potenziare da subito le finalità di equità del SSN. I dati del report offrono la fotografia preoccupante di un divario di cura che si traduce in minori aspettative di vita e più alti tassi di mortalità per le patologie più gravi nelle regioni del Mezzogiorno. La scelta, spesso obbligata, di emigrare per curarsi oltre ai costi individuali finisce per amplificare i divari nella capacità di spesa dei diversi sistemi regionali. Rafforzare la dimensione universale del Sistema sanitario nazionale è la strada per rendere effettivo il diritto costituzionale alla salute. Una direzione opposta a quella che invece si propone con l’autonomia differenziata dalla quale deriverebbero ulteriori ampliamenti dei divari territoriali di salute e una conseguente crescita della mobilità di cura”.

“La condizione di povertà familiare incide fortemente sui percorsi di prevenzione e sull’accesso alle cure da parte dei bambini. È necessario un impegno delle istituzioni a tutti i livelli per assicurare una rete di servizi di prevenzione e cura per l’infanzia e l’adolescenza all’altezza delle necessità, con un investimento mirato nelle aree più deprivate. Occorre conoscere e superare i divari territoriali che oggi condizionano l’accesso ad un servizio sanitario che rischia di essere “nazionale” solo sulla carta. È un investimento da mettere al centro dell’agenda della politica”, ha dichiarato Raffaela Milano, responsabile dei Programmi Italia - Europa di Save the Children.

Per Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, “Il nostro SSN è ormai profondamente indebolito e segnato da inaccettabili diseguaglianze regionali. E con l’attuazione delle maggiori autonomie in sanità si legittimerà normativamente la “frattura strutturale” Nord-Sud: il meridione sarà sempre più dipendente dalla sanità del Nord, minando l’uguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto costituzionale alla tutela della salute. Uno scenario già evidente: su 14 Regioni adempienti ai Livelli Essenziali di Assistenza solo 3 sono del Sud (Abruzzo, Puglia e Basilicata) e tutte a fondo classifica mentre la fuga per curarsi verso il Nord vale € 4,25 miliardi”.

"I dati del report restituiscono l’immagine di un Paese diviso a metà nell’accesso alle cure sanitarie. Dal nostro osservatorio, ed è un ulteriore elemento di preoccupazione, emerge una frammentazione che si aggiunge alle disuguaglianze Sud-Nord poiché riguarda questioni diffuse come la desertificazione dei professionisti e dei servizi. Medici di medicina generale ed infermieri, ad esempio, sono carenti al Nord più che al Sud, ma mancano in generale nelle aree interne, come anche alcuni servizi caratterizzati da alta innovazione e specializzazione. In questo quadro la riforma della autonomia differenziata, sulla quale si continua a ragionare – e per giunta con scarsissimo coinvolgimento dei cittadini - senza la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni, dà come unica certezza quella di amplificare questa frammentazione e di consegnarci un Paese ulteriormente diviso nella garanzia del diritto alla salute", ha dichiarato Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva.

2 ragazze italiane e 1 bambino ucraino di 12 anni, fuggito dalla guerra, sono i primi pazienti pediatrici affetti da gravi patologie autoimmuni ad essere stati trattati con cellule CAR-T capaci di mandare in remissione la loro malattia. Si tratta di un’applicazione innovativa della terapia genica basata sulla manipolazione dei linfociti T del paziente, sperimentata per la prima volta in ambito pediatrico su questo tipo di patologie. I risultati del trattamento, eseguito presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, sono stati presentati recentemente a Padova, nell’ambito dei lavori del Centro Nazionale 3 per lo sviluppo della terapia genica previsto dal PNRR, e ancora a Rotterdam, in occasione dell’ultimo Congresso europeo di Reumatologia pediatrica. 
 
LE MALATTIE AUTOIMMUNI 
 
Le malattie autoimmuni sono patologie caratterizzate da un’aggressione del sistema immunitario, che invece di difendere l’organismo da agenti patogeni come batteri e virus, attacca e distrugge i tessuti sani propri di un individuo scambiandoli per estranei e pericolosi. Questo malfunzionamento può causare un processo infiammatorio e la formazione di anticorpi che attaccano erroneamente le cellule sane colpendo potenzialmente qualsiasi parte del corpo, inclusi organi vitali quali il rene e i polmoni, le articolazioni, la pelle, i vasi sanguigni e altri tessuti. I tre pazienti trattati con le cellule CAR T dagli specialisti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù erano affetti in particolare da forme molto gravi di lupus eritematoso sistemico, una malattia cronica che può attaccare reni, polmoni e sistema nervoso centrale, e dermatomiosite, una rara patologia infiammatoria autoimmune che colpisce la cute ed i muscoli scheletrici. 
 
LA TERAPIA CON CELLULE CAR-T 
 
Nella recente letteratura scientifica sono descritti 5 casi di pazienti adulti con Lupus eritematoso trattati con successo grazie alla terapia con cellule CAR-T, più comunemente usata nell’ambito delle malattie neoplastiche, quali leucemie, linfomi e mielomi. Da questo precedente nasce l’idea dei ricercatori del Bambino Gesù di testare la stessa soluzione per la prima volta anche in ambito pediatrico, utilizzando il “costrutto” che aveva funzionato con gli adulti affetti da Lupus, ossia il prodotto di terapia genica messo a punto in questo caso dall’azienda biotecnologica Miltenyi. Di qui la richiesta ad AIFA di uso non ripetitivo (hospital exemption) del trattamento CAR-T per 3 pazienti con forme di malattia autoimmune particolarmente gravi e refrattarie ai trattamenti convenzionali. 
 
La terapia con CAR-T prevede la manipolazione in laboratorio dei linfociti T del paziente per renderli capaci di riconoscere, attraverso l’introduzione di una sequenza di DNA che codifica per una proteina chiamata recettore chimerico (CAR, Chimeric Antigen Receptor). Nelle leucemie linfoblastiche acute e nei linfomi non Hodgkin questa proteina riconosce un bersaglio rappresentato dall’antigene CD19, espresso dalle cellule tumorali, che vengono in questo modo riconosciute e attaccate. Lo stesso antigene CD19 è espresso anche dai linfociti B del sistema immunitario, che nel caso del lupus eritematoso e delle dermatomiositi giocano un ruolo cruciale nel determinare la malattia. «Usando lo stesso bersaglio – spiega Franco Locatelli, responsabile dell’area di Oncoematologia e Terapia Cellulare e Genica dell’Ospedale Pediatrico Bambino e professore Ordinario di Pediatria all’Università Cattolica del Sacro Cuore – trasliamo il medesimo approccio di terapia genica da un contesto di malattia neoplastica (leucemie e linfomi) a un contesto di patologia non neoplastica, ma dove gli elementi che producono il danno sono i B-linfociti che esprimono CD19». 
 
I RISULTATI DEL TRATTAMENTO 
 
Tutti e tre i pazienti trattati con terapia genica dall'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù hanno riscontrato benefici rilevanti e sostenuti nel tempo. A distanza di diversi mesi dal trattamento con cellule CAR-T, coerentemente con quanto riscontrato nei pazienti adulti descritti in letteratura, sono in remissione di malattia e non assumono più farmaci immunosoppressori. 
 
La prima paziente, una ragazza messinese di 17 anni affetta da lupus, è a quasi 9 mesi ormai dall'infusione di cellule CAR-T. Il secondo paziente, un bambino ucraino di 12 anni affetto da dermatomiosite, è a 7 mesi dal trattamento. Era seguito nella capitale ucraina prima della guerra, poi trasferito in Ungheria, infine in Italia, al Bambino Gesù di Roma, dove ha potuto beneficiare della terapia con CAR-T.  La terza paziente, una ragazza romana di 18 anni anche lei affetta da lupus (patologia molto più frequente nelle femmine rispetto ai maschi), è a circa 2 mesi dal trattamento. Era stata ospedalizzata per 6 mesi di seguito, dipendente da ossigeno, più volte assistita in rianimazione, con effetti collaterali importanti dovuti alle terapie cortisoniche. Oggi è a casa in buone condizioni generali di salute. 
 
«Sono dati assolutamente rilevanti» afferma Fabrizio De Benedetti, responsabile dell’area di ricerca di Immunologia, Reumatologia e Malattie infettive. «Tutti e 3 i pazienti avevano risposto in maniera insoddisfacente a terapie immunosoppressive aggressive, necessarie per la gravita della loro malattia, e allo stesso tempo avevano sviluppato importanti effetti collaterali I risultati ottenuti con le cellule CAR-T ci incoraggiano a proseguire nella direzione di un trial clinico che possa comprendere un numero più ampio di pazienti pediatrici affetti da varie malattie autoimmuni in cui un ruolo fondamentale nello sviluppo è giocato dai linfociti B».  
 
I risultati del trattamento con cellule CAR-T di questi primi pazienti sono stati presentati a Rotterdam, in occasione dell’ultimo congresso europeo di reumatologia pediatrica, e più recentemente a Padova, nell’ambito dei lavori del Centro Nazionale 3 per lo sviluppo della terapia genica previsto dal PNRR. «La terapia genica – sottolinea il presidente dell'Ospedale Bambino Gesù, Tiziano Onesti – rappresenta una sfida e un'opportunità unica per i sistemi sanitari globali. Ci consente di offrire risposte concrete a pazienti che fino a poco tempo fa erano senza speranza, affrontando malattie genetiche e condizioni cliniche gravi in modo personalizzato e mirato. Inoltre, la terapia genica promette di emancipare i pazienti da condizioni di cronicità, migliorando la loro qualità di vita e riducendo i costi a lungo termine associati alla gestione delle malattie croniche. Questa rivoluzione medica non solo offre speranza e guarigione, dunque, ma anche la possibilità di rafforzare la sostenibilità dei sistemi sanitari, liberando risorse per migliorare la salute generale e promuovere ulteriori scoperte mediche». 


AISLA, l'Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, presenta la nuova Commissione Medico Scientifica, che ha ufficialmente preso il via il 15 gennaio e sarà in carica per i prossimi tre anni. Composta da un gruppo selezionato di professionisti altamente qualificati nel campo medico-scientifico, questa commissione è stata formata con l'obiettivo di guidare e sostenere la missione di AISLA nel contrasto alla sclerosi laterale amiotrofica.

"E' con grande entusiasmo che presento la nuova Commissione Medico Scientifica di AISLA. Sono convinta che questo gruppo di professionisti altamente qualificati ci aiuterà ad affrontare con determinazione le sfide legate alla SLA. Il Piano Programmatico 2024-2027 di AISLA, che verrà sviluppato da questa commissione, rappresenterà una guida importante per le attività future dell'associazione. Sono sicura che insieme riusciremo a fare la differenza significativa nella vita delle persone con SLA e delle loro famiglie." – dichiara Fulvia Massimelli, Presidente Nazionale di AISLA.

A guidare la commissione è il professor Mario Sabatelli, direttore clinico dell'area adulti del Centro Clinico NeMO presso il Policlinico Gemelli di Roma. Il professor Sabatelli apporta la sua vasta competenza nella diagnosi, nello studio e nel trattamento della SLA, in particolare negli ambiti della caratterizzazione dei fenotipi clinici, dell’anatomia patologica, della genetica, dell’immunologia, nonché delle cure palliative e degli aspetti bioetici.

L’esperienza nel campo della bioetica è altresì rappresentata dalla professoressa Luisella Battaglia, uno dei membri di spicco della Commissione, fondatrice dell'Istituto Italiano di Bioetica e membro del Consiglio Nazionale di Bioetica. Mentre, il dottor Paolo Banfi, pneumologo presso la Fondazione don Gnocchi a Milano, è presente con la sua vasta esperienza e competenza nel trattamento della patologia dal punto di vista respiratorio. Un'altra figura di rilievo è il professor Giorgio Calabrese, già docente di Alimentazione e Nutrizione Umana presso l'Università del Piemonte Orientale ad Alessandria. Definito "manovale della scienza e ambasciatore della salute", il professor Calabrese è stato premiato tra le "100 Eccellenze italiane" per il suo contributo significativo nel suo campo di competenza.

Tre sono i nuovi ingressi con esperienza nell’approccio multidisciplinare alla patologia, dal punto di vista clinico e scientifico. La presa in carico della persona affetta da Sla e della sua famiglia, infatti, richiede la collaborazione di più professionisti con diverse specialità cliniche, per rispondere in modo integrato alla complessità dei bisogni funzionali e garantire la continuità di cura, dal reparto al proprio domicilio. La dott.ssa Daniela Cattaneo, anche specialista del Centro di Ascolto di AISLA, è esperta nella gestione avanzata dell’alta complessità al domicilio. A lei, si unisce l’esperienza clinica dei Centri Clinici NeMO con la dott.ssa Federica Cerri, neurologa e referente area Sla del Centro Clinico NeMO a Milano, e con la dott.ssa Michela Coccia, fisiatra e direttore clinico del Centro Clinico NeMO ad Ancona.

La commissione comprende anche esperti nel campo della psicologia, come la dottoressa Maria Lavezzi, dirigente psicologo presso la Rete di Cure Palliative del Distretto Valli Taro e Ceno dell'Azienda Unità Sanitaria Locale di Parma. La dottoressa Lavezzi guida il Gruppo Italiano Psicologi SLA (GIP-SLA) e offre un supporto psicologico di alto livello alle famiglie colpite dalla malattia. La ricerca scientifica è rappresentata dal professor Vincenzo Silani, già professore ordinario di neurologia all'Università degli Studi di Milano e direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’IRCCS Auxologico di Milano, guida il gruppo di esperti ERN EURO-NMD sulle malattie dei motoneuroni, un progetto dell'Unione Europea per le reti di riferimento europee (ERN), che mirano a fornire cure altamente specializzate e conoscenze specifiche per condizioni complesse e rare. Inoltre, professor Mario Melazzini, presidente della Fondazione AriSLA a Milano, che contribuirà con la sua esperienza nella gestione dei finanziamenti e nella promozione della ricerca sulla SLA.

Dalle regioni del Sud Italia, la dott.ssa Antonella Toriello, neurologa Sla presso l'Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona a Salerno, è pioniera del "percorso di accoglienza in Day Hospital” dedicato alle persone con SLA. Infine, il dottor Paolo Volanti, Primario e Direttore Scientifico dei Presidi FSM di Mistretta a Messina, è un punto di riferimento nella gestione clinica della SLA in tutta la Sicilia.

"La creazione di questa Commissione Medico Scientifica rappresenta un passo fondamentale nella lotta contro la sclerosi laterale amiotrofica. Sono onorato di guidare un gruppo di professionisti altamente qualificati e appassionati che condivideranno la loro conoscenza e competenza per promuovere la ricerca, migliorare le cure e sostenere le persone con Sla. Insieme, lavoreremo per trovare soluzioni innovative e per garantire una presa in carico completa e multidisciplinare per le persone con SLA e le loro famiglie." – afferma il Prof. Mario Sabatelli, direttore dell'area adulti del Centro Clinico NeMO presso il Policlinico Gemelli di Roma.

Nella seduta di insediamento, la Commissione Medico Scientifica di AISLA ha condiviso il Piano Programmatico 2024-2027. Tra i temi affrontati, prioritari saranno la divulgazione con le rubriche scientifiche, la Biobanca Nazionale Sla, il telemonitoraggio, il test genetico, l'Ambulatorio virtuale per le valutazioni neurocognitive e lo screening del Piano Condiviso di Cure, il progetto Disfagia, la revisione del documento sulla Legge 219/2017 e la stesura di linee guida specifiche sulla SLA per le emergenze/urgenze in dipartimento di emergenza.

 

Fonte Uf. St. AISLA. Elisa Longo 
 

 

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel mondo il 3% di bambini e ragazzi sotto i 18 anni ha bisogno di riabilitazione, perché disabile. In Italia, su circa 9.000.000 di soggetti di età compresa tra 0 e 18 anni, secondo le proiezioni OMS, sono oltre 270.000 quelli affetti da disabilità che necessitano di riabilitazione.

Secondo quanto indicato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità (Convention on the Rights of Persons with Disabilities, CRPD) i bambini con disabilità “comprendono coloro che presentano menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che, in interazione con varie barriere, possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza”.

 In occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità la SINPIA, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, intende ribadire l’importanza di un modello di cura “Family Centered”, sempre più diffuso in tutto il mondo, che sottolinea la centralità della famiglia nella vita del bambino e dell’adolescente con problemi di disabilità, e soprattutto della necessità del suo coinvolgimento attivo e partecipativo lungo tutto il percorso di cura.

 “I bambini con disabilità - sottolinea la Prof.ssa Elisa Fazzi, Presidente SINPIA, Direttore della U.O. Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ASST Spedali Civili e Università di Brescia – possono essere affetti da disturbi estremamente diversificati: forme genetiche e neurologiche, disturbi precoci del neurosviluppo, forme susseguenti a eventi lesivi gravi, specie se coinvolgono il sistema nervoso centrale come un evento traumatico, tumori o suoi esiti o un'infezione, che comportano conseguenze funzionali a lungo termine o per l’intero life-span”.

Secondo il modello bio-psico-sociale, tra i bambini con disabilità sono compresi anche tutti coloro che hanno subito danni a causa di gravissimi eventi traumatici e stressanti: migrazioni, guerre o deprivazioni ambientali.

“I bisogni dei bambini e degli adolescenti con disabilità – aggiunge la Dott.ssa Antonella Costantino, Past President SINPIA e Direttore UONPIA Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano - sono molteplici ed evolvono e si trasformano con la crescita e lo sviluppo. Richiedono approcci mirati, età specifici, e da traslare in tutti gli ambienti e in tutte le attività proprie dell'infanzia, in particolare nei contesti educativi”.

Il miglioramento della qualità della vita dei bambini e ragazzi con disabilità è l’outcome atteso, cui devono concorrere tutti i processi abilitativi, educativi e psico-sociali: “Aiutare a sviluppare una vita possibile, felice, e pienamente inclusiva - interviene il Dott. Massimo Molteni, Direttore Sanitario Centrale e Responsabile Area Psicopatologia dello Sviluppo età-specifici, Associazione La Nostra Famiglia, Irccs Eugenio Medea, Bosisio Parini (Lecco) e membro SINPIA - deve essere un obiettivo disegnato su misura per ogni bambino e ragazzo e perseguito nel tempo. Questa specificità richiede una complessa integrazione tra conoscenze neuro-scientifiche in tumultuosa continua crescita, attenta considerazione degli aspetti psicosociali e dei valori di riferimento dei caregiver e dei ragazzi stessi. Solo così sarà possibile sviluppare percorsi terapeutico-assistenziali adeguati che supportino i processi necessari ad accompagnare lo sviluppo possibile, utilizzando correttamente anche le nuove opportunità offerte dalle tecnologie della comunicazione (ICT) e dalla robotica”.

Eppure, per quanto la scienza possa progredire in termini di conoscenze, prevenzione e terapie, difficilmente potremo pensare, in un prossimo futuro, di eliminare completamente le condizioni che possono determinare disabilità. “Spesso - sottolinea il Prof. Renato Borgatti, Direttore della Struttura Complessa Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza della Fondazione Mondino IRCCS e membro SINPIA - si rischia di trascurare la rilevanza delle limitazioni nella partecipazione che dalla disabilità possono derivare, e tutti gli aspetti di svantaggio educativo, sociale, relazionale. Per questo è auspicabile che una società civile e sensibile, attenta ai diritti delle popolazioni più vulnerabili, riesca a sviluppare modelli di inclusione sempre più efficienti in modo che nessun bambino e nessuna famiglia, indipendentemente dalla condizione di salute di cui è portatore, si senta escluso o emarginato”.

La SINPIA e tutti coloro che hanno a cuore lo sviluppo dei bambini, si battono per far crescere un modello di cura “Family Centered Care”, pienamente integrato, che coinvolga tutti i servizi, pubblici e privati, in una logica collaborativa, superando la frammentazione di vecchi modelli organizzativi e di intervento costruiti su logiche e regole amministrative rigide e adultomorfe.

"Da questa due giorni di lavoro ci aspettiamo una riflessione sull'attività della medicina generale, in particolare di quella inquadrata nel territorio in maniera più complessiva e, quindi, nei rapporti con gli altri professionisti del territorio. Nel corso del convegno analizzeremo poi la sfida del Dm 77 e gli interventi che vengono fatti sulle strutture grazie ai fondi del Pnrr". Lo spiega il presidente della Società nazionale medica interdisciplinare di cure primarie, Alfredo Cuffari. Le parole del numero uno della Snamid arrivano a poche ore dall'apertura del 33esimo Congresso, in programma a Roma il 17 e 18 novembre presso l'Auditorium Aurelia, in via Aurelia 796.

 "Vogliamo lavorare insieme, condividere spazi ed esperienze- prosegue- e, dunque, erogare un'assistenza più precisa e più puntuale sul territorio, lasciando a ciascuno competenze specifiche. E integrare le competenze vuol dire utilizzare l'assistenza. In un quadro di lavoro complessivo e coordinato penso al lavoro che può svolgere l'infermiere a domicilio o presso gli studi della medicina generale o presso gli ambulatori o le Case di comunità".

 Secondo Cuffari "il lavoro integrato si può fare con gli specialisti ambulatoriali, si può fare con gli ospedali nel momento in cui vi sono zone grigie di travaso da territorio verso ospedale per pazienti che si stabilizzano o da ospedale verso territorio di soggetti che non richiedono più cure di alta intensità ma che possono aspettare una stabilizzazione sul territorio in strutture dedicate al rientro a domicilio".

 "Questa è una sfida importante- evidenzia il presidente della Società nazionale medica interdisciplinare di cure primarie e presidente del congresso capitolino- dove vi sono conoscenze e competenze della medicina generale che, però, devono sempre avanzare, svilupparsi e progredire, utilizzando tutti i nuovi strumenti che abbiamo a disposizione".

 "Parliamo tanto e dovunque di telemedicina- precisa- che, lo ricordo, è uno strumento, non è un obiettivo. La telemedicina non è il fine della nostra professione ma è uno strumento di estremo aiuto per il nostro lavoro sul territorio".

 "Il Congresso- rende noto Alfredo Cuffari- è rivolto soprattutto ai medici di medicina generale e alla medicina territoriale, perché volge lo sguardo ai colleghi della scuola di formazione in medicina generale, agli infermieri, ai medici di continuità assistenziale, agli specialisti ambulatoriali, a tutti quelli che, sul campo, si confrontano, collaborano e, a volte, si scontrano sulle problematiche dei pazienti".

 All'evento si prevede un'ampia partecipazione: il corso è infatti accreditato ai fini Ecm per 150 persone provenienti da tutta Italia. Numerosi gli argomenti su cui si confronteranno i partecipanti. "Ci sarà una Tavola rotonda- informa Cuffari- a cui prenderanno parte tutti gli stakeholder, durante la quale si discuterà degli aspetti applicativi del Pnrr. Sono inoltre previsti tre focus che accenderanno i riflettori sulle esperienze fatte dai colleghi in diverse realtà regionali italiane. Analizzeremo poi alcune cronicità che sono ormai quasi storiche, ovvero le patologie cardiache, lo scompenso cardiaco e le applicazioni tecnologiche in cardiologia, il diabete, i nuovi farmaci, i percorsi integrati, i Pdta e tutto ciò che rappresenta la nuova sfida organizzativa clinica e terapeutica del diabete".

 Ampio spazio sarà riservato al dolore, alla terapia del dolore cronico. "Nonostante l'Italia possa contare su una legge avanzatissima, la legge 38- dichiara il presidente Snamid- dopo oltre 12 anni di approvazione si stenta ancora a far partire la rete, a farla funzionare e a far collaborare le diverse realtà su questi argomenti. In base ad alcune indagini fatte qualche anno fa, un ipotetico 12% della popolazione soffre, a vario titolo, di dolore cronico non oncologico. Si capisce bene che questo impatto è enorme e non può essere scaricato tutto sui centri di terapia del dolore, che dovrebbero essere invece riservati a situazioni più avanzate".

 "Lo schema è previsto ma mancano i filtri. Bisogna quindi ricordare l'esistenza di questa strutture- conclude Cuffari- rinnovare la collaborazione e gli scambi a medicina del territorio, strutture intermedie e hub. Questo è un discorso che nel Lazio abbiamo fatto per un lungo periodo fino alla comparsa della pandemia da Covid-19 che ha bloccato tante cose, tra cui una serie di iniziative di promozione culturale".

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