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ocesso sulla trattativa Stato-mafia il pentito Brusca: La sinistra sapeva delle stragi

La sinistra, a cominciare da Mancino, ma tutto il governo, in quel momento storico, sapeva quello che era avvenuto in Sicilia: gli attentati del '93, il contatto con Riina. Sapevano tutto". Lo ha detto il pentito Giovanni Brusca deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. "Che la sinistra sapeva lo dissi a Vittorio Mangano - ha aggiunto - quando lo incontrai". Gli dissi anche: "I Servizi segreti sanno tutto ma non c'entrano niente". "Mangano - ha continuato - comprese e con questo bagaglio di conoscenze andò da Dell'Utri".

Dopo l'ultimo allarme legato alle nuove minacce lanciate dal boss Totò Riina, il pm Nino Di Matteo ha deciso di non partecipare all'udienza sulla trattativa Stato-mafia.

Il nuovo allarme risale a venerdì scorso, quando la Dia, che sta ascoltando ore di conversazioni registrate di Riina, capta una frase molto allarmante che riguarda proprio Di Matteo. Le parole del boss fanno pensare che il progetto di attentato al magistrato sia giunto a una fase esecutiva. La notizia viene comunicata subito alle Procure di Palermo e Caltanissetta, che indaga sulle intimidazioni al pm. Sabato i vertici degli uffici giudiziari nisseni e palermitani si riuniscono e decidono di rivolgersi al ministro dell'Interno Angelino Alfano che li riceve domenica. Come prevede la legge in casi eccezionali, i magistrati consegnano al ministro le intercettazioni di Riina: il codice di procedura penale stabilisce infatti che l'autorità giudiziaria possa trasmettere copie di atti di procedimenti penali e informazioni al ministro dell'Interno ritenute indispensabili per la prevenzione di delitti per cui è obbligatorio l'arresto in flagranza. Nella frase sentita venerdì Riina, che in un'altra conversazione aveva anche detto al boss della Sacra Corona Unita riferendosi a Di Matteo "tanto deve venire al processo", non farebbe riferimenti specifici a Milano. Ma la trasferta nel capoluogo lombardo è stata organizzata ed è nota da settimane, quindi ci sarebbe stato tutto il tempo di mettere in piedi eventuali atti intimidatori. Inoltre le condizioni di sicurezza dell'aula bunker non sarebbero ritenute ottimali. Di Matteo è già sottoposto a protezioni di "livello 1 eccezionale": nell'ultimo Comitato Nazionale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica che si è svolto a Palermo alla presenza di Alfano, si è discusso anche di potenziare la vigilanza attraverso spostamenti in un Lince blindato e dotando la scorta del pm del bomb jammer, un dispositivo che neutralizza congegni usati per azionare esplosivi. Solo domattina sarà comunque possibile sapere se Di Matteo parteciperà all'udienza a cui saranno presenti sicuramente il procuratore Francesco Messineo, l'aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene

"Nel 1991, c'era interesse a contattare Dell'Utri e Berlusconi perché attraverso loro si doveva arrivare a Bettino Craxi, che ancora non era stato colpito da Mani Pulite, perché influisse sull'esito del maxiprocesso". Lo ha rivelato il pentito Giovanni Brusca deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. Brusca ha anche parlato dell'attentato a Berlusconi fatto dal boss Ignazio Pullarà che riscuoteva dall'imprenditore milanese 600 milioni l'anno di pizzo. "I soldi - ha spiegato - poi venivano spartiti".Dopo l'attentato,fatto senza l'autorizzazione di Cosa nostra, Pullarà viene sostituito alla guida del mandamento da Carlo Greco. Brusca ha indicato in Greco, vicinissimo al boss Bernardo Provenzano e nel capomafia Raffaele Ganci, gli uomini di Cosa nostra che potevano avere contatti con Dell'Utri.

"Nel '93, d'accordo con Leoluca Bagarella, incaricammo Vittorio Mangano di andare da Berlusconi e Dell'Utri per affrontare intanto il problema del carcere duro, che andava indebolito, e poi di avviare contatti per fare leggi nell'interesse di Cosa nostra, altrimenti avremmo proseguito con la linea stragista. Lui fu contento di andarci e ci disse che era un modo per riprendere i rapporti con loro, che erano rimasti buoni nonostante lui avesse dovuto lasciare la villa, e per curare gli interessi di Cosa nostra. Dopo 10 giorni mi disse che aveva incontrato Dell'Utri in un'agenzia di pulizie di una persona che lavorava per la Fininvest e che gli era stato detto 'vediamo cosa si può fare'". Lo ha detto il pentito Giovanni Brusca deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia in corso nell'aula bunker di Milano. Brusca manda a Dell'Utri anche un messaggio politico. "Dissi a Mangano - ha raccontato - di riferirgli che dei fatti del '93 la sinistra sapeva e che poteva usare questa cosa visto che ora incolpavano lui delle stragi".

"Il nostro messaggio era diretto a Berlusconi ma Mangano incontrò solo Dell'Utri", ha aggiunto Brusca che ha spiegato che, all'epoca, Cosa nostra cercava di agganciare un nuovo soggetto politico. "Dopo avere ripreso i rapporti con Dell'Utri - ha continuato - Mangano mi disse che avrebbe dovuto incontrare direttamente Berlusconi che doveva venire a Palermo per un comizio. Si sarebbero dovuti vedere nello scantinato di un ristorante sulla circonvallazione, ma non so se l'incontro ci fu"

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