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Oggi poliziotti, carabinieri, finanzieri, penitenziari e vigili del fuoco sono scesi in piazza tutti insieme per chiedere “più tutele” alla politica. E allo Stato. “Basta con la mattanza delle forze dell’ordine - si legge in un cartello - con il beneplacito di certi giudici e magistrati. La loro giustizia arriva all’obbligo di firma. Vergogna! Se fossero morti i loro figli, sarebbero così benevoli con gli assassini?”. Insieme alle divise, di fronte a Montecitorio, si sono visti esponenti di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Ma non voleva essere, e non è stata, una manifestazione politica né sindacale. “Siamo qui per essere propositivi - dice Cecchini ai giornalisti- siamo qui per urlare il nostro orgoglio di servire questo Stato e i suoi cittadini”.

Diversi italiani si sono schierati al fianco delle divise in questa giornata di protesta. “Sono qui in solidarietà con le forze dell’ordine - confessa una signora al  quotidiano il Giornale. - in nessun Paese del mondo vengono trattate come in Italia. I nostri ragazzi si battono a petto nudo e a mani legati, rischiano la vita ma vengono sbeffeggiati da una certa magistratura che rimette in libertà delinquenti, assassini, stupratori e pedofili. E gli agenti non hanno alcuna tutela”. Sono parole di “affetto” e “solidarietà”. Proprio come quelle della famiglia di Demenego. Perché “il sacrificio di Matteo non deve essere vano”. E lo Stato, urla la piazza, “non può girarci le spalle”.

Su quel cellulare c’è il messaggio della famiglia di Matteo Demenego, uno dei due agenti uccisi nella questura di Trieste. Sono le parole di vicinanza da parte di chi, anche nel pianto di una morte inspiegabile, riesce a trovare la forza di recapitare la propria vicinanza a quel corpo che il loro figlio aveva sposato.

"Non conoscevamo la signora e non vogliamo strumentalizzare la vicenda. Ma ci teniamo a far leggere il messaggio dei genitori e del fratello di Matteo", dice Andrea Cecchini, segretario di Italia Celere e promotore della manifestazione di piazza delle forze dell’ordine. Sono poche parole, certo. Ma arrivano dritte al punto. Alla polizia serve sostegno, mezzi, tutele. A metterle nero su bianco è Gianluca, il fratello dell’agente che pochi giorni dopo l’omicidio ha avuto un duro scontro con Chef Rubio. "Ciao Sabrina - si legge nel messaggio - fate bene a scendere in piazza. Se riusciamo vi raggiungiamo anche io e mio padre, proprio perché la morte di mio fratello e del suo collega non siano vane. Grazie polizia per quello che fate e grazie per come ci credete" ..

Senza bandiere di sindacato, ma solo col Tricolore, gli agenti si sono ritrovati in piazza Montecitorio. Centinaia di persone per urlare che le divise sono disposte ad essere “servitori” dello Stato, ma non “servi”. Differenza sostanziale. “Siamo servitori del nostro popolo cui dobbiamo garantire sicurezza”, dice al Giornale.it Andrea Cecchini, celerino, segretario di Italia Celere e promotore della manifestazione di piazza. Le parole d’ordine sono “dignità”, “tutele sanitarie e legali”, “regole di ingaggio chiare”. Ma soprattutto la “fine di un clima di demonizzazione nei confronti degli uomini in divisa”.

Il sit-in di fronte alla Camera si basa su due eventi scatenanti. Il primo, l’omicidio in questura di Trieste di Pier Luigi Rotta e Matteo Demenego. Alla classica goccia che ha fatto traboccare il vaso ha poi fatto da contraltare l’ennesima legge di bilancio in cui entra di tutto, dalle sugar tax alle pene per gli evasori, ma non trovano spazio risorse sufficienti per le forze dell’ordine. “I finanziamenti per la sicurezza sono sempre più emergenziali - sottolinea Cecchini - rendendo i nostri equipaggiamenti obsoleti, inidonei o comunque precari”. Domani a Palazzo Chigi, “Giuseppi” Conte incontrerà i delegati della polizia, dopo "l'oltraggio" di non averli convocati (come previsto dalla legge) prima di approvare il Def.

I promotori hanno invitato la politica a scendere al fianco della polizia. L’invito è stato recapitato a tutti i gruppi parlamentari “affinché i loro rappresentanti vengano ad ascoltare le nostre proposte”. A rispondere Lega, Fratelli d'Italia e Forza Italia. In piazza passerà anche Giorgia Meloni. L'onorevole Silvestroni (Fdi), in conferenza stampa, ha chiesto che lo "Stato sia più vicino" alla polizia, ricordando come "al governo c’è la Boldrini, Renzi e quel Pd che hanno inserito e voluto il reato di tortura che penalizza l’attività delle forze dell’ordine". Per Gasparri (Fi), invece, in Italia ci si indigna a sproposito per le bende sul viso del giovane americano coinvolto nell'omicidio del brigadiere Cerciello e poi ci si straccia le vesti per i due poliziotti uccisi a Trieste. Un cortocircuito che porta alla "delegittimazione" delle divise, secondo Davide Galantino (FdI), che nasce per colpa di quei "politici che si schierano con i criminali".

A intervenire anche Valter Mazzetti, segretario generale del Fsp, per chiedere che le manette "possano essere utilizzate a prescindere". Una modalità operativa che, se applicata, forse avrebbe salvato la vita a Demenego e Rotta. "In piazza - attacca Giovanni d'Alessandri, segretario nazionale MP - c'è il sentimento delle forze di polizia e della parte sana dei cittadini". Un sentimento di scoramento, ma senza gettare la spugna. "Oggi viviamo in una sensazione di abbandono intollerabile - conclude Vincenzo Chianese, segretario generale Equilibrio Sicurezza -. Siamo stanchi. Dovete sostenerci da vivi non da morti".

Intanto piomba il terrore in Norveglia. Un uomo, a quanto si apprende armato, ha rubato un'ambulanza a Oslo travolgendo diversi pedoni prima di essere bloccato e fermato dalla polizia dopo uno scontro a fuoco.

"Abbiamo il controllo dell'ambulanza che è stata rubata da un uomo armato", ha scritto la polizia su Twitter. Che poi ha aggiunto: "Sono stati esplosi colpi per fermare il sospettato, che non è gravemente ferito". Al momento non ci sono ipotesi sulla motivazione del gesto.

L'emittente pubblica Nrk ha riferito che varie persone sono state travolte dal mezzo, tra cui due gemellini di sette mesi che si trovavano in passeggino e una coppia di anziani. I bimbi sarebbero stati ricoverati insieme alla madre. Citando testimoni, l'emittente ha affermato che la polizia ha sparato contro gli pneumatici dell'ambulanza e l'uomo alla guida ha risposto al fuoco. Un massiccio dispiegamento di polizia è stato inviato sul posto.

Secondo le ultime indiscrezioni, la polizia norvegese starebbe cercando un secondo sospetto, una donna. La polizia descrive la ricercata come una donna con pelle chiara, alta più o meno un metro e 65, capelli castani leggermente ricci. Indossa una giacca nera e potrebbe essere ubriaca.

Le ultime vicende politiche che stanno scandendo l’agenda di Bruxelles sembrerebbero dimostrare un’altra storia: ovvero che Angela Merkel non è che un semplice rappresentante delle istanze del suo Paese che spesso collidono con gli interessi di altri. In poche parole, una sovranista pura. Niente di strano o scandaloso. Sono rimasti infatti ormai in pochi gli ingenui che pensano ad un’Unione europea composta da Stati che cooperano pacificamente per un fine comune.

Prendiamo per esempio il dibattito attualmente in corso circa l’ampiamento del bilancio europeo una volta che il processo di Brexit sarà completato. Secondo il quotidiano Italiano il Giornale in un recente discorso pronunciato al Bundestag, preparatorio per il vertice europeo, la Cancelliera tedesca ha espresso in maniera chiara un concetto: il contributo della Germania per il nuovo bilancio europeo non aumenterà di un centesimo. La Germania, secondo la Merkel, ha già dato sufficienti risorse a Bruxelles e in quanto contributore netto non ha intenzione di adeguarsi a nuove regole.

Dopo la Brexit infatti, il contributo del Regno Unito verrà eliminato dal bilancio comune e tale quota dovrà essere rimpiazzata aumentando quelle già esistenti. Sottolinea il quotidiano per la Germania però non ci sono margini di negoziazione. “A causa di questo aumento e dell'imminente uscita della Gran Bretagna dall’Ue, la Germania sarà eccessivamente gravata”, afferma la Merkel, svelando così un sovranismo ben più estremo e cinico di quelli cui eravamo abituati finora.

Alla prova dei fatti secondo il giornale questa struttura si è infatti quasi sempre dimostrata per quello che in realtà è: un semplice trattato che rappresenta in maniera plastica gli attuali rapporti di forza presenti nel continente europeo. Una realtà sostanzialmente accettabile, non fosse che i reiterati comportamenti ultra sovranisti di chi come Angela Merkel si descrive invece come europeista, stiano portando l’Unione europea verso la sua distruzione.

Cosi il futuro dell’Unione europea è sempre più a rischio e a contribuire al clima di instabilità sono paradossalmente gli esponenti politici considerati più europeisti, come Angela Merkel.

La cancelliera tedesca è infatti considerata nella vulgata mainstream come baluardo europeo contro le derive sovraniste interne e contro pericolosi autoritarismi d’oltre confine, vedasi la Russia di Vladimir Putin e gli Stati Uniti di Donald Trump. Una vulgata che è stata spesso rivendicata dalla stessa diretta interessata.

Se infatti sottolinea il giornale la Germania non è disposta ad aumentare la sua quota, chi dovrebbe farlo per lei? Un tale atteggiamento di chiusura risulta ancor più incomprensibile alla luce degli innumerevoli vantaggi che la costruzione economica europea ha dato negli ultimi vent’anni alla Germania. Eppure, nonostante Berlino abbia ricevuto una buona dose di solidarietà economica negli anni della riunificazione, nonostante tutti gli Stati europei abbiano sempre chiuso un occhio sui debiti mai pagati dalla Germania per i danni causati dall’occupazione nazista e nonostante Berlino continui a godere di una moneta svalutata, Angela Merkel chiude la porta ai suoi principali alleati.

Quest’atteggiamento non copre solo la materia economica, ma anche quella geopolitica. “Deploro apertamente il non essere riusciti a raggiungere l’unanimità sull’inclusione di Albania e Macedonia del Nord nell’Unione. Abbiamo perso una grande opportunità d’apertura ad aree strategiche in Europa”, ha detto nuovamente Angela Merkel, questa volta in sede europea, in riferimento all’interruzione dei negoziati per l’ingresso di Albania e Macedonia del Nord nell’Ue.

Anche questa vicenda dimostra come la Germania anteponga i propri interessi geostrategici (in questo caso commerciali e migratori) rispetto alla volontà maggioritaria dell’Unione europea.

Bruxelles non può però sopravvivere ancora a lungo se il comportamento del suo azionista di maggioranza prosegue in questa direzione. La prossima sfida si aprirà infatti a breve nella sede della Banca centrale europea, dove la Germania vuole ancora una volta dire la sua. Il programma di acquisto dei titoli di Stato dei paesi membri (Quantitative easing), che finora sembra essere l’unico strumento in grado di far sopravvivere la struttura, non piace a Berlino che ne vuole l’immediata chiusura.

D’altra parte Christine Lagarde scrive il quotidiano Italiano sembra essere invece più vicina alla linea morbida francese, che era anche quella di Mario Draghi, più disposta quindi a tenere vivo il Qe. Il destino dell’Unione europea è quindi più che mai nelle mani della Germania, che dovrà decidere se fare finalmente quel passo indietro nel nome della tanto sbandierata solidarietà europea, oppure continuare ad essere quello che è sempre stato: un Paese estremamente sovranista con derive egemoniche.

Intanto nel fronte Turco scrivono le agenzie che "Come parte dell'accordo per sospendere le operazioni militari con la Turchia con la mediazione americana, oggi abbiamo evacuato dalla città di Ras al Ayn tutti i combattenti delle Forze democratiche siriane (Sdf). Non abbiamo più combattenti in città". Lo ha riferito il comandante curdo Kino Gabriel, secondo quanto riferito dal portavoce delle Sdf, Mustafa Bali.

Se non si completerà entro domani sera il ritiro delle milizie curde dalla zona di sicurezza turca nel nord-est della Siria, non ci sarà alcuna estensione della tregua, avevano detto fonti della Difesa di Ankara.

Intanto, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, tornando a denunciare l'isolamento di Ankara, ha detto che "i Paesi occidentali si sono schierati dalla parte dei terroristi" contro la Turchia criticando l'operazione militare contro le milizie curde nel nord-est della Siria. "Riuscite a crederci? Tutto l'Occidente si è schierato con i terroristi e ci ha attaccato", ha detto Erdogan, accusando esplicitamente "i Paesi della Nato e i Paesi dell'Unione europea".

 

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha accettato la proposta degli Stati Uniti di fermare temporaneamente le operazioni militari nel nordest della Siria, per dare il tempo ai combattenti curdi di lasciare le aree di confine con la Turchia. L’annuncio è stato fatto dopo ore di colloqui tra rappresentanti turchi e due importanti funzionari dell’amministrazione statunitense di Donald Trump, ha scritto il New York Times, lo stesso giorno in cui Erdoğan aveva incontrato il vicepresidente americano Mike Pence ad Ankara. La tregua, ha detto Pence, durerà cinque giorni. In cambio gli Stati Uniti non imporranno nuove sanzioni alla Turchia, come avevano minacciato di fare nei giorni scorsi, e rimuoveranno le sanzioni economiche che erano già state approvate la scorsa settimana.

Secondo i piani turchi, i combattenti curdi, membri delle YPG (Unità di protezione popolare), dovrebbero lasciare nel giro di 120 ore la cosiddetta “safe zone”, la “zona di sicurezza”, che secondo il governo turco percorre tutto il confine tra Turchia e Siria a est del fiume Eufrate e si estende per circa 30 chilometri a sud della frontiera. La fine della tregua accettata dalla Turchia coincide con l’incontro tra Erdoğan e il presidente russo Vladimir Putin a Sochi, in Russia, fissato proprio per discutere della situazione in Siria.

"Non fare il duro" o "non fare lo scemo", "lavoriamo a un buon accordo. Tu non vuoi essere responsabile del massacro di migliaia di persone, e io non voglio essere il responsabile della distruzione dell'economia turca", ha scritto Donald Trump al presidente Recep Tayyip Erdogan in una lettera datata 9 ottobre. La lettera è stata "gettata nella spazzatura" dal presidente turco.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha avuto un colloquio telefonico con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Nel corso della conversazione durata oltre un'ora, a quanto sia apprende da fonti di palazzo Chigi, Conte ha ribadito che l'Italia ritiene inaccettabile l'azione militare avviata in Siria. Durante il colloquio "non sono mancati momenti di forte tensione a fronte del fermo e reiterato invito del presidente Conte ad interrompere questa iniziativa militare, che ha effetti negativi sulla popolazione civile". Conte ha chiesto a Erdogan di ritirare le truppe.

Intanto, crescono di intensità la accuse dei curdi alla Turchia di usare le armi chimiche: secondo le autorità curdo-siriane le forze turche avrebbero usato "fosforo bianco e napalm" dopo aver riscontrato un'inaspettata resistenza curda, in particolare nella città di Ras al Ayn. In un ospedale sarebbero ricoverati alcuni bambini con gravi ferite da ustioni. Non è possibile verificare in modo indipendente l'autenticità delle immagini. Ankara respinge le accuse dei curdi siriani: "Tutti sanno che l'esercito turco non ha armi chimiche. Alcune informazioni ci indicano che" le milizie curde dello "Ypg usano armi chimiche per poi accusare la Turchia", ha detto il ministro della Difesa.

L'esercito turco e le milizie siriane sue alleate hanno compiuto "crimini di guerra" durante l'operazione militare contro i curdi nel nord-est della Siria, su cui ieri sera è stato raggiunto l'accordo con gli Usa per una tregua. Lo denuncia Amnesty International.

Amnesty accusa Ankara di "serie violazioni e crimini di guerra, omicidi sommari e attacchi illegali" e denuncia un "vergognoso disprezzo per la vita dei civili" nel corso dell'offensiva lanciata il 9 ottobre scorso. Tra i casi segnalati che anche la brutale esecuzione sommaria dell'attivista curda Hevrin Khalaf e della sua guardia del corpo da parte di milizie siriane addestrate e armate dalla Turchia.

La denuncia è stata elaborata sulla base dei racconti di 17 testimoni diretti, tra cui personale medico, giornalisti e sfollati, e di registrazioni video. "Le informazioni raccolte forniscono prove schiaccianti di attacchi indiscriminati in aree residenziali, compresi attacchi a una casa, un panificio e una scuola, condotti dalla Turchia e dai gruppi armati siriani suoi alleati", sostiene l'ong.

Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, le vittime civili sul fronte curdo sono state almeno 72.

Scontri sporadici e bombardamenti di artiglieria sono in corso lungo il confine nel nordest della Siria nell'area di Ras al-Ain, nonostante l'accordo sul cessate il fuoco annunciato ieri.

Turchia e Stati Uniti hanno infatti raggiunto un accordo per un cessate il fuoco in Siria di 120 ore in cui gli Usa favoriranno l'evacuazione dei combattenti curdi dalla zona di sicurezza concordata con Ankara. Lo ha detto il vicepresidente americano Mike Pence dopo l'incontro con Erdogan.

Sul tavolo c'è di più: l'inviato del presidente Trump annuncia che le sanzioni imposte dagli Usa alla Turchia per l'offensiva in Siria saranno tolte appena il cessate il fuoco diventerà permanente. E nell'attesa non ne verranno imposte delle altre.

Inoltre la Turchia otterrà una zona di sicurezza concordata con gli Usa di circa 32 km (20 miglia) oltre il suo confine con la Siria. La Turchia terminerà "totalmente" la sua offensiva militare in Siria solo dopo il ritiro dei combattenti curdi dalla zona di sicurezza di circa 30 km concordata con la Turchia. Ankara definisce l'accordo con gli Usa costituisce una "pausa" delle operazioni militari della Turchia in Siria, che si trasformerà in una fine definitiva dell'offensiva solo se i curdi si ritireranno interamente, come concordato. Secondo l'intesa,i combattenti curdi dell'Ypg dovranno lasciare la 'safe zone' della Turchia, essere disarmati e le loro strutture militari distrutte. Dopo l'annuncio dell'accordo la visita del presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 13 novembre alla Casa Bianca su invito del presidente americano Donald Trump è confermata.

La tregua negoziata da Stati Uniti e Russia è stata vista da molti analisti come l’imposizione di una resa ai curdi: in altre parole, il governo di Donald Trump avrebbe negoziato un accordo che di fatto permetterebbe alla Turchia di raggiungere l’obiettivo della sua operazione militare – cacciare i curdi dalla “safe zone” – senza sparare altri colpi. Inoltre non è chiaro a nome di chi abbiano negoziato gli Stati Uniti, visto che la loro alleanza con i curdi siriani è terminata la scorsa settimana dopo l’annuncio del ritiro dei soldati americani dal nordest della Siria. Quella decisione di Trump era stata definita un “tradimento” verso i curdi, perché aveva dato il “via libera” alla Turchia per l’operazione militare contro di loro, che per anni avevano combattuto insieme agli americani contro l’ISIS.

Matt Bradley, giornalista di NBC News esperto di Medio Oriente, ha scritto: «Questa non sembra per niente una tregua. Sembra che gli Stati Uniti stiano imponendo una resa ai curdi e stiano dando a Erdoğan e alla Turchia esattamente quello che volevano quando hanno invaso la Siria». In un tweet successivo, Bradley ha aggiunto che la tregua negoziata dagli Stati Uniti «è il secondo grande tradimento verso i curdi in Siria».

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