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"Non voglio polemizzare con il Santo Padre...ma chissà se l'appello ad accogliere gli immigrati nelle parrocchie varrà anche per smuovere le coscienze dei benpensanti buonisti per le migliaia di italiani in difficoltà che dormono in auto. Che poi la Chiesa i soldi in gran parte li prende in Italia dall'8 per 1000...". Lo ha detto Matteo Salvini a Radio Padania

E'ormai collaudato da tempo il sistema dell'accoglienza dei migranti messo a punto dalla Diocesi di Reggio Calabria. Un modello pronto la cui utilità potrà rivelarsi fondamentale a seguito dell'appello di Papa Francesco per ospitare i migranti nelle parrocchie. "Siamo in campo da tempo - fanno sapere dalla curia diocesana della città calabrese dello Stretto - e il nostro intervento come assistenza e prima accoglienza è stato immediato già dai primi sbarchi che si sono verificati nel nostro porto, soprattutto per quanto concerne i minori non accompagnati. Oggi con migliaia e migliaia di arrivi la nostra opera, assieme a quella di tutti gli altri soggetti interessati, procede speditamente attraverso il Coordinamento per l'accoglienza che è attivo da mesi e la cui esperienza sarà importante per organizzare l'accoglienza così come indicato dal Santo Padre". Anche le altre diocesi calabresi, non solo nelle realtà più a contatto in questi ultimi anni con l'approdo di migliaia di migranti, si stanno muovendo per promuovere l'accoglienza. A Locri, in queste ore, sono in corso delle riunioni operative in Episcopato per stabilire il da farsi. Iniziative analoghe sono in programma e si terranno a breve nelle altre 11 diocesi della regione.
"Rispondiamo all'appello di Papa Francesco per l'accoglienza dei profughi e faccio un invito alla famiglia orionina a disporre un ambiente adatto per dare risposta all'invito del pontefice. La nostra Congregazione sta già facendo qualcosa in tale senso". E' quanto dichiara don Flavio Peloso, superiore generale dell'Opera don Orione, in una lettera inviata a tutti i confratelli di Europa, affinché si facciano promotori di accoglienza di emergenza ai profughi. La congregazione ha già accolto richiedenti asilo a Seregno-Milano (con 22 persone), Santa Maria la Longa-Udine (18 persone), Genova-Camaldoli (25 persone), Genova-Salita Angeli (20 persone). Gli Orionini si stanno muovendo anche per accoglienze brevi nel tempo e di poche persone, a Reggio Calabria, Genova-Castagna, al Mater Dei di Tortona (Alessandria), a Floridia (Siracusa). "Consapevole - aggiunge Don Peloso - che in alcune città italiane la Congregazione abbia già accolto alcuni richiedenti asilo, sono qui a dirvi che si può fare di più. E non solo in Italia, ma anche in Spagna, in Inghilterra, in Polonia e nei paesi dell'Est Europa. Mi trovo in Polonia, una nazione che, per ora, non accetta i profughi, ma il Provinciale mi ha parlato di iniziative concrete e possibili anche qui". "La chiarezza e l'insistenza con cui Papa Francesco - continua Peloso - invita all'accoglienza dei profughi non deve lasciare incertezze in noi Orionini. Il Papa vede nell'accoglienza dei profughi un segno della misericordia di Dio e del Vangelo".
"La Chiesa fiorentina è da tempo impegnata nell'accoglienza di profughi e rifugiati e già ne ospita alcune centinaia in strutture messe a disposizione da parrocchie ed enti diocesani. In questa accoglienza diverse parrocchie dell'arcidiocesi sono già impegnate, soprattutto attraverso i propri volontari". Lo scrive in una nota l'arcivescovo di Firenze cardinale Giuseppe Betori che, dopo l'appello di ieri di Papa Francesco, chiede a tutte le parrocchie "un ancor maggiore coinvolgimento". In primo luogo, spiega l'arcivescovo dando indicazioni su come fare, "le parrocchie, che con disponibilità e generosità intendono seguire la strada indicata dal Papa, si mettano in contatto con la Caritas diocesana, che sola può garantire il coordinamento necessario a un'ordinata attuazione di questa complessa operazione e soprattutto i rapporti con le autorità dello Stato e quelli con le amministrazioni locali, perché tutto avvenga nel rispetto delle leggi e delle normative". All'interno di tale coordinamento diocesano, assicurato dalla Caritas di Firenze, "ogni parrocchia è invitata a farsi formalmente e concretamente carico dell'accoglienza di una famiglia o di un piccolo gruppo di profughi, secondo l'invito del Papa", continua Betori. Una cosa che può essere fatta dalle parrocchie, anche collegandosi tra loro, individuando "spazi per offrire ospitalità alla famiglia o gruppo di profughi di cui ci si fa carico fornendo abitazione, cibo, vestiario e ogni cura necessaria", costituendo, dove non ci fosse, una Caritas della parrocchia. Gli spazi possono essere nel territorio parrocchiale "o in luoghi di cui può usufruire (penso alle ex-canoniche che alcune parrocchie cittadine gestiscono nei piccoli paesi della periferia della diocesi) o che possono essere messi a disposizione dalla stessa parrocchia, da istituti religiosi, da enti diocesani o anche da privati cittadini". "Sono certo - conclude Betori - che la risposta delle nostre parrocchie all'appello del Papa sarà generosa secondo le nostre tradizioni fiorentine".
Dopo l'appello lanciato da Papa Francesco per l'accoglienza dei migranti nelle parrocchie, la Diocesi di Cagliari si organizza per gestire l'emergenza dovuta agli oltre duemila profughi che sono stati fatti sbarcare in Sardegna nelle ultime settimane, in seguito ai diversi salvataggi in mare. Questo pomeriggio il direttore della Caritas diocesana, monsignor Marco Lai, incontrerà l'arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio per approntare la macchina dell'accoglienza della Chiesa cagliaritana. In maniera informale mons. Lai ha già raccolto alcune disponibilità che sono giunte da diverse parrocchie del territorio. In particolare, secondo quanto appreso, ci sarebbe un passo avanti a Quartu Sant'Elena (Cagliari), ma sia la strategia complessiva che l'organizzazione verranno definite nel confronto di questo pomeriggio
"Le parole pronunciate ieri all'Angelus da Papa Francesco sono risuonate fortemente qui al santuario di Pompei" dove "l'accoglienza è uno stile di vita quotidiano". Lo ha detto l'Arcivescovo di Pompei, mons. Tommaso Caputo, in un'intervista al Tg 2000, il telegiornale di Tv 2000, rispondendo all'appello all'accoglienza dei migranti lanciato ieri dal Papa. "Da oltre 130 anni - ha spiegato mons. Caputo - bambini, poveri, orfani, figli di carcerati, anziani, ex tossicodipendenti, diversamente abili, donne adolescenti in difficoltà hanno trovato e trovano casa, istruzione, futuro ma soprattutto amore concreto e diffusivo". "Le nostre opere sociali e caritative - ha aggiunto mons. Caputo - ospitano centinaia di ultimi ed emarginati. Tra due settimane sarà inaugurata una nuova casa famiglia che sarà dedicata ai bambini e ai bambini diversamente abili. Negli ultimi mesi abbiamo accolto 30 donne migranti con i loro bambini che provengono da Eritrea, Nigeria, Guinea. Attualmente sono ospitate presso la nostra casa 12 donne con 2 bambini".
"L'invito del Papa per ospitare una famiglia di rifugiati in ogni parrocchia? Una buona idea, umile, realistica e molto confortante": lo dice in un tweet, il cardinale di Lione Philippe Barbarin. Poi aggiunge che spesso si pensa che "non possiamo fare nulla" o "non si sa cosa fare...Una famiglia in ogni parrocchia, si può!".

Mentre leggevo il libro di Giampaolo Pansa, “Poco o niente”. Eravamo poveri. Torneremo poveri”, Rizzoli (2011), mi chiedevo che utilità possa avere un testo dove si racconta per filo e per segno, la povertà più nera dei nostri nonni. Giampaolo Pansa è uno scrittore che ha pubblicato numerosi saggi e romanzi di grande successo, soprattutto quelli autorevoli dove si racconta la guerra civile dalla parte dei vinti. Pansa è uno scrittore che scrive in maniera straordinaria che non ti fa stancare mai di leggerlo. In questo saggio racconta la povertà dei nostri genitori e dei nostri nonni. E visto che anche noi siamo immersi in una grande crisi economica e finanziaria, che non sappiamo quando finisce e soprattutto quale futuro prospetta per i nostri figli, Pansa si chiede se per caso “Torneremo poveri come erano i nostri genitori e i nonni”.

Lo scrittore casalese racconta la storia della propria famiglia a cominciare da quella di sua nonna Caterina Zaffiro, povera contadina, sposata con un altro contadino povero, rimasta vedova a 33 anni con sei bambini da sfamare. “E’ la sua vita tribolata - scrive Pansa - a farmi da guida nel racconto dell’Italia fra l’Ottocento e il Novecento”.

Che cosa racconta in 343 pagine il noto giornalista di Libero?“Un mondo feroce, dove pochi ricchi comandavano, decidevano tutto e si godevano le figlie dei miserabili. I poveri erano tantissimi, venivano messi al lavoro da piccoli, poi l’ignoranza li spingeva a comportarsi da violenti”. Peraltro questi poveri secondo Pansa si comportavano in maniera rozza anche con le loro stesse donne, facendole partorire in continuazione e magari talvolta costringendole a prostituirsi. Sembrano delle esagerazioni ma non è così. Pansa nel racconto fa riferimento alle campagne del Monferrato, in Piemonte, in particolare alla sua città natale, Casale Monferrato, chiamata “La città infernale”, una descrizione impietosa dei quartieri e degli abitanti. “Una città di borghesi arroganti e superbi(…)non si accorgevano della presenza dei poveri, si mostravano freddi come il ghiaccio, attenti soltanto ai loro interessi”.Forse l’unica nota positiva per Casale è la grande squadra di calcio, i nerostellati del grande Umberto Caligaris, che riuscirono a vincere il campionato 1913-14 nella finalissima contro la Lazio.

Nelle campagne in prevalenza lavoravano soltanto braccianti, spesso avventizi, a volte erano quasi schiavi della terra e soprattutto dei padroni. Nella società agricola di allora, “erano gli ultimi degli ultimi, con la fame in corpo e con pochissimi soldi in tasca”. Dovevano provvedere a tutto, ogni mattina si presentavano sulla piazza del paese nella speranza di essere chiamati dal conduttore di un fondo o di un mediatore. Per Pansa possedevano una sola certezza, quella di non aver futuro. “Sia pure in modo confuso, i braccianti sapevano di essere condannati a una vita senza speranza, inchiodati alla miseria e all’ignoranza. Insieme alla moglie e ai figli che mettevano al mondo”.

Per la verità in questo libro di Giampaolo Pansa, si intravede la sua formazione classista e di sinistra.Infatti, esagera a far prevalere una certa lettura storica della lotta di classe tra ricchi e poveri. In queste pagine descrive quasi sempre, una ineluttabile condizione della società contadina, che difficilmente riesce ad affrancarsi dalla morsa dei ricchi padroni.

Comunque sia la Storia viene vista sempre dalla parte dei poveri. In quell’epoca gli italiani da poco unitidai Savoia, peraltro percepito da pochi, erano assediati da un’infinità di nemici, oltre la povertà, la fame, c’erano le malattie, le epidemie come il colera, e la malaria che falcidiavano migliaia di esseri umani, in particolare i più miseri. “Il tutto sullo sfondo di troppe guerre, concluse dal massacro del primo conflitto mondiale”.

Non intendo presentare tutto il testo di Pansa ma voglio sottolineare alcuni aspetti come quello legato al mestiere più antico: la diffusa prostituzione di quegli anni. A questo proposito, rammento che anche Vittorio Messori ne parla nel suo saggio, “L’Italiano serio”, quandoracconta la vita nella Torino liberale del beato Fa’ di Bruno, ma anche lo stesso don Bosco e tutti gli altri santi sociali della Torino dell’Ottocento. Furono questi uomini di Dio che si piegarono sulle sofferenze degli ultimi e quindi delle povere ragazze di strada, per farli ritornare a una vita normale.

Infine vale la pena leggere attentamente i capitoli dove il giornalista descrive la grande mattanza della Grande Guerra, secondo lo storico Arrigo Serpieri, sono oltre 700 mila i morti, in stragrande maggioranza contadini, sia del Nord che del Sud.

“Fu allora che si consumò il massacro dei poveri in divisa, - scrive Pansa - vissuto anche da mio padre Ernesto, arruolato a 18 anni. Un macello destinato a concludersi con una contesa rabbiosa tra rossi e neri, chiusa con l’avvento del Fascismo”.

Tutta gente che certamente non aveva voglia di combattere. “Tutti ritenevano di essere le vittime di una società ingiusta. Che dopo averli sfruttati nel lavoro sui campi, adesso li mandava a farsi uccidere in una guerra che non li riguardava. Capace soltanto di rendere più pesante la loro sfortuna. E quella delle loro famiglie. Avevano il terrore di rimanere feriti e invalidi. Oppure di morire, lasciando una vedova destinata a precipitare dalla povertà alla miseria”. La paura più grande era di restare mutilati e non soltanto nelle braccia e nelle gambe, ma anche nella mente. Gli arruolati volontari furono appena 8 mila e venivano guardati come marziani. Gli interventisti, una minoranza, appartenevano alla borghesia contro la quale le plebi rurali nutrivano sentimenti di odio, di diffidenza e di freddezza.

Il libro descrive accuratamente il massacro dei contadini, una vera strage dei poveri. I fanti, quasi tutti contadini, si sentivano condannati a morte. “Del resto erano soltanto loro a dover vivere, tutti i giorni, nell’inferno della trincea”. In pratica secondo Pansa era “la classe più contraria alla guerra e offriva alla patria il più alto contributo di sangue”. Poi finita la guerra, ritornati da reduci in patria, si ritrovarono più poveri di prima e per giunta scaricati da tutti.

Nel maggio scorso hanno festeggiato i 100 anni dallo scoppio, un anniversario da dimenticare altro che festeggiare. Più ragionevolmente, è stata una guerra spaventosa e nefasta, senza alcuna giustificazione, inutile e dannosa anche per i motivi che ispirarono tutti i contendenti, la prima vera e propria guerra rivoluzionaria della storia, mondiale e totale.

Il governo italiano e i poteri forti decidono di entrare in guerra, quando già peraltro conoscevano gli effetti disastrosi del conflitto: in soli dieci mesi, infatti, la guerra si era trasformata in “una guerra di trincea, che sacrificava milioni di giovani in una guerra che non assomigliava in nulla alle precedenti, che sarebbe durata a lungo e avrebbe coinvolto non soltanto i soldati ma tutta la popolazione”.Pertanto non era soltanto l’inutile strage, come la definì mirabilmente e per sempre papaBenedetto XV il primo agosto 1917,“ma fu una strage che ebbe conseguenze devastanti anche per chi sopravvisse, contribuendo a cambiare il mondo in senso rivoluzionario, favorendo l’introduzione delle ideologie di massa, l’odio nella competizione politica, lo sradicamento dai principi che avevano tenuto insieme i Paesi europei per secoli. La stessa conquista della Russia da parte del partito bolscevico fu una diretta conseguenza della guerra, che così diede inizio alla lunga guerra civile europea fra due totalitarismi contrapposti, quello nazionalista e quello comunista”.(Marco Invernizzi, “Grande guerra?”, 24.5.15, comunitambrosiana.org)

Pansa, lo scrive nel prologo, ha inteso scrivere un libro che non revocasse soltanto eventi tragici e disgrazie, ma di descrivere la realtà dell’Italia di allora. “C’è anche l’amore, spesso violento persino tra le mura domestiche. L’incontro fra i signori ricchi e le ragazze povere, con le passioni e gli intrighi che ne derivano(…)Il trionfo del sesso, non esibito come oggi e tuttavia sempre presente, anche nei racconti a mezza bocca di Caterina”.

A parte i capitoli dove vengono descritti le “conquiste” sessuali del tempo, non credo di esagerare, ma il libro potrebbe essere letto nelle scuole italiane ai nostri studenti. Proprio perché la speranza di Pansa “è che la storia di Caterina e di suo figlio Ernesto rammenti ai giovani di oggi che il benessere non è una conquista definitiva. E può essere perduto. Le vicende narrate in ‘Poco o niente’ non sono per nulla relegate in un tempo lontano. Ci riguardano da vicino, stanno ancora dentro le nostre esistenze e un giorno potrebbero bussare alla porta di ciascuno”.

 

margine dell' Eastern Economic Forum a Vladivostok, Putin ha detto ai giornalisti di aver avviato discussioni su tale coalizione anche con i leader di Turchia, Arabia Saudita, Giordania e altri paesi. "Vogliamo davvero creare una sorta di coalizione internazionale per la lotta a terrorismo ed estremismo. A tal fine, abbiamo consultazioni con i nostri partner americani: ho personalmente parlato del tema con il presidente Obama", ha spiegato Putin.

Putin ha spiegato che "la Russia ha spesso messo in guardia contro i principali problemi che l'Europa si sarebbe trovata ad affrontare in conseguenza delle politiche occidentali in Medio Oriente e Nord Africa e del terrorismo jihadista, così che la crisi dei migranti in Ue non è una sorpresa".

E' prematuro discutere un "diretto" coinvolgimento della Russia in azioni militari contro l'Isis, tanto meno l'adesione alla coalizione guidata dagli Stati Uniti: Mosca sta attualmente considerando "altre opzioni". Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin, citato dall'emittente Russia Today. secondo alcuni media britannici, immagini diffuse dalla tv di Stato siriana confermerebbero che truppe russe starebbero combattendo in Siria per il regime di Bashar al Assad. Media israeliani parlano dell'imminente apertura nei pressi di Damasco di una base russa per contrastare l'avanzata dell'Isis, sempre più vicino al cuore del potere siriano. Il Cremlino ha confermato ieri l'assistenza militare fornita dalla Russia alla Siria, senza però dal precisarne l'obiettivo.

Il presidente russo propone di formare una coalizione internazionale contro il terrorismo, spiegando di aver parlato dell'iniziativa con il presidente americano Barack Obama riporta l'agenzia Reuters.

Intanto :  L'esodo di migranti e rifugiati dalla Siria e dal Nordafrica verso l'Europa e' "una emergenza enorme, una crisi reale", afferma uno dei massimi vertici del Pentagono, il generale Martin Dempesey, capo di stato maggiore delle forze armate Usa.

In una intervista esclusiva alla Abc, Dempesey si e' quindi detto "preoccupato" e ha sottolineato la necessita' per tutti di agire "sia unilateralmente che con gli alleati", considerando cio' che sta avvenendo "come un problema generazionale" e mettendo sul piatto adeguate risorse che permettano di affrontare la crisi per almeno 20 anni. A proposito della drammatica fotografia del bimbo siriano di tre anni morto su una spiaggia della Turchia, Dempesey ha auspicato che quella immagine "abbia un simile effetto a quella del 1995 del mortale attacco con i mortai alla piazza del mercato di Sarajevo, che spinse verso l'intervento della Nato in Bosnia", cioe' spinse la comunita' internazionale ad agire con maggiore efficacia per trovare una soluzione ad una drammatica emergenza.

Circa 200 rifugiati, fra cui donne e bambini, sono partiti a piedi dalla stazione di Budapest con lo scopo di raggiungere Vienna (a 240 chilometri di distanza). Il gruppo ha attraversato il Danubio e si dirige verso l'autostrada Budapest-Vienna. La polizia accompagna il gruppo fermando il traffico al suo passaggio.

Spray urticanti contro donne e bambini alla frontiera tra Ungheria e Serbia. E' la denuncia del New York Times, che documenta tutto attraverso un video. L'episodio è accaduto nella notte del 30 agosto quando un gruppo di profughi siriani è stato respinto dagli agenti di Budapest mentre supplicava l'ingresso in Ungheria. Una donna racconta: "Un agente mi ha fatto segno di venire avanti e poi ha spruzzato lo spray contro di me e il mio bambino". Le immagini mostrano i bimbi che piangono con gli occhi e il volto rossi

Secondo il Guardian, a breve annuncerà che la Gran Bretagna accoglierà migliaia di rifugiati siriani in più, direttamente dai campi profughi dell'Onu. Dall'Ungheria invece, dove oggi i migranti hanno preso d'assalto i treni alla stazione di Budapest per spostarsi verso ovest, continuano le accuse dirette alla Germania. Secondo il premier Viktor Orban, "i leader europei hanno dimostrato chiaramente di non avere la capacità di gestire la situazione". La crisi dei profughi, ha affermato, non è "un problema europeo ma tedesco", perché "è lì che tutti i migranti vogliono andare". Ed ha indicato la difesa delle frontiere come "una questione morale".

In una lettera alle autorità europee diffusa oggi da Le Monde, di Francoise Hollande e Angela Merkel chiedono la creazione immediata di "hot spot"- centri per migranti e richiedenti asilo - che dovranno essere "pienamente operativi al massimo entro la fine dell'anno".

La creazione dei centri di accoglienza per migranti, richiesti con urgenza dal presidente francese e dalla cancelliera tedesca dovrà essere "accelerata in Italia e in Grecia", scrivono nella lettera i due leader. Hollande e Merkel si dicono "determinati a difendere Schengen", il trattato che "garantisce la libera circolazione" in seno all'Ue e "permette agli stati membri di meglio far fronte alle sfide che si trovano davanti".

L'Alto commissario Onu per i rifugiati Antonio Guterres ha esortato l'U.E a mettere in atto un "programma di ricollocazione di massa" con la partecipazione obbligatoria di tutti gli Stati membri per un numero stimato di circa 200mila rifugiati.

"L'Europa sta affrontando il più grande afflusso di rifugiati degli ultimi decenni" e servono "misure urgenti e coraggiose", ha detto. "Chi risulta avere una richiesta di protezione valida deve beneficiare di un programma di ricollocazione di massa"

Il vicepremier magiaro Janos Lazar ha rincarato la dose: "La responsabilità dei tumulti alla stazione di Budapest è tutta di Berlino". Questa volta la cancelliera non ha fatto mancare la sua risposta: "Facciamo ciò che è moralmente e giuridicamente dovuto. Né di più, né di meno". Domani Orban si incontrerà con gli altri leader del gruppo Visegrad - i premier ceco Bohuslav Sobotka, polacco Ewa Kopacz e slovacco Robert Fico - a Praga, che costituiscono il nocciolo duro del fronte contrario al meccanismo di ridistribuzione per quote. La riunione avverrà mentre al Consiglio Esteri informale Ue a Lussemburgo si discuterà del documento dei ministri italiano Paolo Gentiloni, francese Laurent Fabius, e tedesco Frank Walter Steinmeier con cui si chiede di "rivedere il sistema d'asilo" a causa dei "difetti" del sistema di Dublino, e del probabile passaggio alla "fase 2" della missione navale europea antiscafisti. Intanto Bruxelles ha preso contatti con le autorità di Praga chiedendo chiarimenti per le immagini di quei numeri tracciati dalla polizia, col pennarello, come marchi, sulle braccia dei migranti. Un altro pugno nello stomaco per il Vecchio Continente.

L'immagine di Aylan, il bimbo siriano di tre anni trovato morto sulla spiaggia di Bodrum, spinge l'Europa ad accelerare le risposte sul dramma dell'immigrazione. Per l'accoglienza dei profughi "l'Unione deve agire in modo decisivo e conforme ai suoi valori", hanno affermato Francois Hollande e Angela Merkel, che oggi hanno inviato "proposte comuni" all'Ue chiedendo un "meccanismo permanente e obbligatorio" di quote. A Bruxelles Jean Claude Juncker è al lavoro per innalzare la proposta dei ricollocamenti intra-Ue da 40 a 160mila - è possibile che il quoziente dell'Italia salga da 24mila a 50mila - includendo tra i beneficiari, assieme a Italia e Grecia, anche l'Ungheria. Si studia la proposta di un sistema stabile, per quote, dal quale i Paesi più refrattari potranno astenersi, ma con tutta probabilità dietro il pagamento di sanzioni.

Di fatto un superamento del regolamento di Dublino. Le nuove iniziative della Commissione Ue saranno vagliate dal collegio dei commissari di martedì e il presidente dell'esecutivo le presenterà ufficialmente al Parlamento europeo il giorno successivo nel suo discorso sullo Stato dell'Unione

Oltre a Germania e Francia, Juncker ha dalla sua parte ovviamente anche l'Italia. Al termine del suo incontro col premier maltese Joseph Muscat a Firenze, proprio riferendosi alla foto di Aylan, Matteo Renzi ha incalzato: "L'Europa non può perdere la faccia". "E' dovere dell'Unione dare una risposta unitaria, che parta dal diritto d'asilo europeo".

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