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In questi giorni dopo l'assassinio della povera Giulia Cecchettin abbiamo ascoltato e letto un profluvio di commenti, alcuni aberranti a cominciare dai sinistri che son partiti lancia in resta per combattere la “crociata” contro il patriarcato e i maschi sempre e comunque selvaggi. Ha cominciato la stessa sorella di Giulia, che invece di chiudersi nel dolore ha lanciato una specie di appello generico accusando tutti i maschi di patriarcato. Certamente le sue parole sono musica per le orecchie di una certa sinistra, che voleva sentire proprio questo. A proposito come mai non abbiamo sentito  una parola, una manifestazione contro quel cattivo “patriarcato” all'interno delle comunità islamiche che ha fatto fuori la povera Saman e tante altre donne? Un'altra dichiarazione è quella del Ministro Antonio Tajani, che ha purtroppo debordato (sempre se l'abbia pronunciata). Di fronte alla mattanza di donne, vittime della follia degli uomini. “Come uomo chiedo scusa a tutte le donne, a cominciare da mia moglie e da mia figlia per quello che fanno gli uomini”.

Ho letto diversi commenti, ne prendo qualcuno tra i più significativi. A cominciare da quello di don Antonello Lapicca è intervenuto su fb con una interessante nota cogliendo alla radice la vera questione: “L'odio per il patriarcato è l'odio mascherato verso Dio Padre. La follia di questa società che, eliminando Dio padre e con lui il padre, pretende di instaurare una fraternità di rivoluzionaria memoria, libera ed egalitaria. Ma senza Dio Padre gli uomini si trasformano in fratellastri di menzogna, senza identità, orfani condannati a mendicare vita gli uni dagli altri, senza mai saziare la fame inestinguibile d'amore”. Continua don Antonello: “È questa una generazione che sorge dalla più grave delle mancanze, figlia del taglio violento con il proprio Padre, fonte unica di vita e amore”.

Sullo stesso tema è intervenuto padre Francesco Solazzo, che fa un elogio dell'ambiente patriarcale, dove lui è cresciuto. Senza giri di parole scrive:“A questi criminali, manca proprio il patriarcato (quello vero e genuino, non la caricatura di cui si parla in questi giorni). Questi criminali sono stati educati dai media, dai giornali, dai film: è questa la realtà. Sono stati educati a pensare che ogni capriccio è diritto, che è bello essere guidati unicamente dal ventre e dai genitali. Un esempio celebre è quello di Alessandro Serenelli che uccise S. Maria Goretti: quando molti anni dopo l'evento funesto ebbe cambiato realmente vita e uscì dal carcere, fu egli stesso ad ammettere che furono i cattivi giornali e i cattivi libri ad averlo abbrutito fino al punto di arrivare ad accoltellare una bambina che non si piegava a ai suoi insani desideri.

Quindi, cari amici giornalisti, registi, attori e strimpellatori d'ogni genere, non colpevolizzate il patriarcato, perché i colpevoli siete voi. Io non sono Filippo Turetta, perché Filippo Turetta è opera vostra”.

Infine un altro intervento meritevole di attenzione è quello di Massimo Gandolfini, dottore  in neurochirurgia e presidente del Family Day, pubblicato dal quotidiano “La Verità” (L'uomo ha cancellato Dio dalla sua vita. Così qualsiasi dolore diventa violenza, 22.11.23) Certo di fronte a un fatto di morte così dolorosissimo, dovremmo fare silenzio e pregare. Ma non basta, segue la naturale ricerca del perché, per tentare di dare risposte a tanta disumanità. Tutti si interrogano e avanzano spiegazioni di ogni genere, ma spesso si ripete, “per l’ennesima volta, un copione che, purtroppo, abbiamo detto e ascoltato ad ogni tragico appuntamento”. Neanche Gandolfini ha la pretesa di esaurire il problema, è d'accordo sulle “pene più dure, di norme giuridiche di prevenzione più stringenti, di programmi di educazione scolastica e culturale incentrati sul tema della violenza di genere: tutto vero, tutto importante, tutto necessario”. Ma queste sono misure parziali, occorre fare uno sforzo di analisi della “condizione morale in cui tutti noi, oggi, viviamo”. Esiste una “cultura diffusa” che caratterizza questo nostro tempo il terreno fertile dove allignano e si sviluppano odio e violenza. Di genere e non di genere, perché la radice è unica. Una “cultura diffusa”, trasmessa dallo strapotere delle agenzie della comunicazione di massa, che sta condizionando e rimodellando la nostra “coscienza comune”, imponendo che ogni valore assoluto di riferimento debba essere riletto, manipolato, decostruito,[...]”. Pertanto, per Gandolfini, se questa è la situazione, di fondo, “appare molto parziale e semplicistico prendersela solo con le famiglie e con l’educazione scolastica, con il “patriarcato” e la cultura sessista: se pensiamo a Caivano può essere così, ma se pensiamo a Filippo Turetta, cresciuto in ambiente familiare ed educativo ottimi, i conti non tornano”.

E' indispensabile una riflessione più profonda: “chi e che cosa ha così tragicamente manipolato le coscienze, le menti, i pensieri, i sentimenti di quelle povere “brave persone”? Tentare una risposta è doveroso, anche se scomodo, difficile, anche doloroso e, soprattutto, non politicamente corretto: perché si tratta di avere il coraggio di dire che l’aver cancellato Dio dalla storia dell’uomo, l’aver costruito e deificato un “superuomo” cittadino di un nuovo umanesimo che può fare a meno di Dio, ponendolo al centro dell’universo, “etsi Deus non daretur”, sta provocando la perdita della dimensione umana, di creatura, che riconosce valori e norme iscritte nella legge naturale, che l’uomo stesso non si è dato, ma che deve imparare a conoscere e servire”.

Pertanto in una società così delineata, tutto è possibile, fruibile, addirittura lecito, al fine di ottenere felicità, soddisfazione, appagamento o, almeno, lenimento del dolore. La cultura della felicità ad ogni costo, la cui cifra fondamentale è la negazione di ogni senso e significato del dolore e della sofferenza, fisica e spirituale – coniugata con la visione di un uomo infinitamente potente, dotato di libertà assoluta e pieno possessore dei suoi diritti – sta producendo la società dell’ “homo homini lupus”(Plauto), l’unica soluzione diventa la cancellazione del dolore, con la droga, il suicidio, l’eutanasia fino all’omicidio”.

Continua Gandolfini, pertanto,“Amore e odio, nel cuore dell’uomo, sono sentimenti fortissimi perché strutturanti la vita stessa, e la linea di separazione fra i due è terribilmente fragile, al punto che assai spesso il primo si trasforma nel secondo. Così l’amore – parola vergognosamente manipolata tanto da diventare possesso per la soddisfazione personale, basta guardare fiction, telenovelas, pubblicità, slogan mediatici, con corpi trattati come pupazzi per il godimento – scompare nel suo significato originale di donazione per la felicità dell’amato, e diventa solo capriccio e piacere, potendosi trasformare in ’odio violento quando l’altro non corrisponde, rifiuta e si allontana”.

L'unica via d'uscita per il professore  “è quella di ritornare a Colui che duemila anni fa ci aveva indicato il fondamento della vita comune “Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato”. Occorre tornare a Gesù Cristo.

All'inizio del mio intervento avevo fatto riferimento all’assenza del padre nel compito educativo in famiglia. Il tema viene affrontato in un interessante volumetto di qualche anno fa del professore Claudio Risé, “Il mestiere di Padre”, edito da San Paolo. Un testo che potrebbe aiutarci a comprendere certi disagi della nostra gioventù. Scrive Risè: “Ad insegnare all’uomo- maschio a diventare tale è sempre stato il padre e una serie di figure che lo affiancavano: dal maestro d’arti e mestieri, all’insegnante, all’istruttore militare, a quello ginnico (sopravvissuto, ma non basta). Senza questa iniziazione – scrive Risé – l’uomo non si sente tale a livello profondo”.

Interessante il racconto estratto da un testo di uno studioso americano, dove un giovane uomo cresciuto con la madre lesbica, circondata da un gruppo di donne intraprendenti, l’uomo alla fine si ritrova senza una sua identità istintuale, sessuale, nessun padre gliel’aveva trasmessa. Infatti, “il giovane senza padre, che non viene ‘iniziato’ al maschile, non ha volto: è portatore di un’identità debole, e ha paura”.

Così secondo Risé, “Il padre assente, insomma, già figlio matrizzato a sua volta, tende a diventare un eterno adolescente, in perenne ricerca di rassicurazioni narcisistiche alla sua esistenza”. Tuttavia, secondo lo psicanalista, tutte queste patologie scompaiono, quando il padre accetta di fare il mestiere di iniziatore dei figli.

Certamente è “un lavoro complesso, abbastanza impopolare, difficile da mettere a fuoco, anche perché richiede di andar contro pregiudizi, luoghi comuni, e superficialità di ogni genere”.Un altro aspetto che il libro di Risè prende in considerazione è quello della scuola. Anche qui si nota una mancanza di docenti uomini. La femminilizzazione del corpo insegnante nella scuola italiana, ma anche in tutto l’Occidente, è un dato di fatto documentato. E l’assenza nella scuola della figura maschile può portare a un disturbo che può influire nella psiche degli allievi, che non vedono una figura simile a quella paterna.

Risè, è fortemente critico della nostra “società dove le attività educative, di addestramento e formazione dei giovani, a tutti i livelli (tra cui la scuola e la famiglia), non sono più svolte da figure maschili, legate all’immagine archetipica del padre e alla sua particolare energia. Bensì da figure femminili, che rimandano al mondo della madre, con la sua diversa energia e cultura [...]”.

Non capita spesso essere citati su una rivista, in un libro, certamente fa piacere, anche se la rivista o il contesto non ti è favorevole. Casualmente mi accorgo della citazione navigando sulla rete. Ecco uno dei tanti aspetti positivi di internet. Ma prima di passare alla citazione vera e propria vorrei presentare la rivista e soprattutto il tema che affronta in questo numero.

Si tratta di “Genesis”, rivista della Società Italiana delle Storiche, (XVIII/1, 2019), pubblicata dalla Casa editrice Viella di Roma. Effettivamente dando uno sguardo sia alla Redazione, che al Direttivo i nomi sono tutte donne, così come il Comitato Scientifico, naturalmente anche chi dirige la rivista. E già questo aspetto incuriosisce. In questo numero (ben 206 pagine) si affronta il tema: “Patrie, popoli, corpi”, che è anche il titolo del saggio introduttivo di Stefania Bernini, col sottotitolo: “genere e famiglia nell'era dei nuovi nazionalismi”. La rivista fa riferimento al Congresso mondiale delle famiglie a Verona del 29-31 marzo 2019, che allora ha suscitato molte critiche e discussioni dei movimenti LGBTQ. Un congresso che aveva lo scopo di “celebrare e difendere la famiglia naturale come sola unità stabile e fondamentale della società”. E' stato un vero e proprio evento, tuttavia secondo la Bernini, il convegno ha messo in luce la centralità della famiglia, del corpo (soprattutto delle donne) e del genere, un aspetto che occupa l'interesse dei movimenti populisti e nazionalisti europei e americani. Inoltre l'autrice fa riferimento anche ad un Seminario romano dell'anno precedente organizzato dalla stessa rivista Genesis, proprio sui temi affrontati peraltro in questo numero.

Bernini chiarisce qual è il tema della discussione, è quello sovranista e l'affermazione di un'idea rigidamente familista, chiarendo che “la retorica sovranista rimpiange e riafferma il primato della famiglia 'naturale' fondata sull'unione tra un uomo e una donna e caratterizzata in primo luogo dalla presenza di una 'mamma' e di un 'papà', descritte come figure dai ruoli chiaramente distinti, complementari e insostituibili”. In ultima analisi il sovranismo ha nostalgia di una famiglia “tradizionale”, saldamente patriarcale e immutabile, legata a una nazione, a una società con una unicità etnica e culturale, escludendo il diverso, sia esso immigrato o appartenente a una minoranza sessuale. Inoltre, la rivista è convinta che il sovranismo intende controllare i corpi e la sessualità, soprattutto delle donne. Un irrigidimento tipico della Chiesa cattolica, che è rimasta a questa concezione almeno fino al pontificato di Karol Wojtyla, che vedeva nella famiglia e nella sacralità della vita, una funzione storica e fondamentale per le nazioni. A conclusione del saggio la Bernini è convinta che sia il populismo che il sovranismo hanno “nostalgia dell'inesistente”, cioè una “nostalgia di tornare a un passato mai esistito”. Si tratta di “un immaginario famigliare per dare forma a un disegno politico, utile ad ancorare un progetto di trasformazione socio-politica a un sentimento di nostalgico conservatorismo”. Pertanto, il tentativo degli “autoproclamati avvocati” del valori famigliari, è inutile secondo la Bernini perchè ogni famiglia è costruzione, immaginazione, mito. Qualsiasi famiglia è sottoposta a un costante processo di revisione, critica, riaffermazione.

Il saggio a cui presto maggiore attenzione è quello di Massimo Prearo, “Family Day, movimenti mobilitazioni anti-gender: un progetto politico neocattolico”, a pagina 21 della rivista. L'argomento viene introdotto, iniziando dal 2010, con riferimento alla politica europea e internazionale, mettendo insieme i vari esponenti illiberali e ultraconservatori come Orban, Bolsonaro e Trump. Mentre per il caso italiano il riferimento è alla forza del leghismo di Salvini e compagni, un neopopulsmo nazionalista di forte impronta cattolica. E qui vengono evocati le solite tesi leghiste, che conosciamo bene, con l'obiettivo di dare forma e contenuti a una presenza cattolica nello spazio pubblico italiano, per condurre a un vero cattolicesimo militante, quello caratteristico della mobilitazione anti-gender. Naturalmente il servizio fa riferimento ai mesi in cui la Lega governava in alleanza con i  5Stelle. Figurarsi cosa avrebbe scritto oggi Prearo che esiste un vero e proprio governo di Centro-destra guidato dalla Meloni.

Continuando a descrivere il saggio di Prearo al 2° paragrafo tenta di “comprendere la dimensione cattolica dal fenomeno anti-gender”.  Individuando i concetti e le categorie del fenomeno. Non è facile, perché il fenomeno è complesso. Tuttavia Prearo si riferisce alla campagna anti-gender dei gruppi e asociazioni che fanno riferimento all'attivismo Pro-life, a cominciare dai due Family Day. Dopo aver nominato la francese La ManifPour Tous (LMPT). Il saggio si pone alcune domande: Come caratterizzare questo nuovo corso del cattolicesimo politico? Questo progetto politico del cattolicesimo militante? Naturalmente Prearo è convinto che ci sono diverse forme, occorre entrare nell'ingarbugliato ginepraio dell'integralismo, tradizionalismo, neoconservatorismo, dei cattolici identitari, dei reazionari, dei contro-rivoluzionari. Inoltre si fanno i nomi delle forze politiche che fanno riferimento a Forza Nuova o Casa Pound. Ma anche al Partito del Popolo della Famiglia, ai Movimenti per la Vita, a Citzen go, al Family Day-Difendiamo i nostri figli. Infine al Cammino neocatecumenale di cui fanno parte diversi leader della causa anti-gender come Massimo Gandolfini, Jacopo Coghe, Maria Rachele Ruiu, Filippo Savarese. Tuttavia Prearo avverte che non tutto il mondo cattolico aderisce alle posizioni radicali della lotta contro “la teoria del gender”.

Dopo questo mosaico di riferimenti, l'autore si chiede: si può parlare di nuova destra cattolica? Nuovi democristiani? Nuovi cattolici conservatori, o semplicemente neoconservatori? Comunque sia Prearo, lo scrive chiaramente il suo intento è quello di tentare “di mettere in evidenza in questo studio è dunque la cornice insieme politica e religiosa che forma tale progetto”. Un tentativo di dare un nome a questo progetto ideologico.

Dalla piazza al Parlamento: la traiettoria politica del movimento anti-gender”.

In questo paragrafo a partire dal 2013 si fa la storia in quattro sequenze, del movimento nato intorno alle due grande manifestazioni del Family Day. Si sottolinea che questo popolo orfano di una rappresentanza politica che poteva essere quella democristiana, riesce a lanciare lo slogan: “Renziciricorderemo”. Gandolfini alla fine potrà sostenere che “la nostra azione pre-politica e culturale ha indiscutibilmente aumentato il tasso valoriale del centro-destra. Tutti i leader dello schieramento, con toni e intensità diverse, durante la campagna elettorale hanno riportato al centro del dibattito la lotta al gender, il contrasto all'inverno demografico, la difesa della vita [...]”. Sostanzialmente sono stati premiati la Lega e Fratelli d'Italia che hanno sposato l'agenda anti-gender. Tutto questo è stato chiamato strategia della “contaminazione”.

Continuando l'analisi di Prearo, al par. 4, tenta di descrivere la “genealogia prepolitica (e cattolica) del movimentismo anti-gender”. Il tipo umano che esce da questo movimento. Chi sono? Come possono essere descritti? Si tratta di “neoconservatori cattolici o di “tradizionalisti cattolici?”. Di “cattolici identitari” o di “neofondamentalisti cattolici?”, o addirittura,“Cattofascisti?”. Sempre riferendosi a Gandolfini, per Prearo il suo nucleo progettuale movimentista mira a ricostruire la “casa politica dei cattolici”, a partire dalla difesa e promozione dei principi non negoziabili, un progetto vero e proprio neocattolico. In questo contesto Gandolfini fa un riferimento alla storia del movimento cattolico in Italia, al peso che potrebbe avere un eventuale “voto cattolico”, come lo ebbe nel 1948, con Luigi Gedda, che attuò la politica dei principi con i cosiddetti Comitati Civici, che poi hanno dato la vittoria il 18 aprile del '48 a De Gasperi. “Noi è questo che vogliamo fare”, ha detto Gandolfini.

“Il richiamo alla figura poco conosciuta di Luigi Gedda è altamente significativo e rimanda ad un'altra componente del Family Day da cui deriva senza dubbio questa riflessione di strategia politica: il reggente nazionale di Alleanza Cattolica, Marco Invernizzi”. E Prearo individua in Invernizzi, l'artefice dell'ipotesi politica e la strategia cattolica movimentista identitaria del gruppo “difendiamo i nostri figli”. Per meglio comprendere la genealogia che possa permettere di definire il progetto del Family Day, secondo Prearo, è necessario riferirsi  allo stesso Invernizzi, che peraltro colloca la figura di Gedda nel contesto storico richiamato da Gandolfini. Infatti Gedda va collocato nell'azione pre-politica, con l'obiettivo di assemblare una base elettorale di cattolici anti-comunisti e anti-fascisti, che si riconoscono nei valori cattolici, fedeli alla Chiesa cattolica romana e al pontefice. A questo proposito in un articolo Invernizzi, ricorda la definizione che diede Paolo VI, in un discorso ai Comitati Civici il 30 gennaio 1965. Un vero programma di azione formativa e informativa.

Pertanto Prearo individua tre aspetti nei “neocattolici del terzo millennio”: il posizionamento intra-cattolico; la strategia d'azione e la cornice politica. Il saggio chiarisce che il progetto del Family Day non si riconosce nel cattolicesimo conservatore liberale, per intenderci alla Berlusconi, ma neanche a quello dei cosiddetti tradizionalisti della Fraternità sacerdotale S. Pio X, che non riconosce il Vaticano II. Inoltre evidenzia pure che “l'intransigenza “etica” del popolo del Family Day è in totale contraddizione con il cattolicesimo 'progressista' di sinistra o di centro-sinistra che propone una profonda trasformazione della Chiesa cattolica [...]”. I Cattolici progressisti che si sono opposti alla “crociata” anti-gender.

Dopo aver sottolineato le tesi classiche (anti-femminismo, anti-omossessualità, antiabortista etc) dell'attivismo del popolo del Family Day, Prearo insiste nel definire il progetto come neocattolico, rinnovandone i contenuti dell'anti-comunismo e dell'anti-gender. E' un progetto movimentista nato maggiormente all'interno del gruppo neocatecumenale, che fa a meno del coinvolgimento diretto della CEI. Giustamente Prearo evidenzia che il movimentismo neocattolico guidato sostanzialmente da Gandolfini, si presenta come un attore autonomo, ma che guida tutte quelle realtà politico-religiose di tanti gruppi militanti che animano questo popolo nato nei due megaraduni di Roma.

Infine nel saggio si dà conto della cornice politica a tutto questo che abbiamo descritto e qui finalmente arriviamo alla mia citazione.

Un aspetto caratterizzante di questo progetto neocattolico, che lo distingue da altri, è quello della sua strategia che rimpiazza il discorso politico e confessionale con un discorso “antropologico”. Un discorso che deve avere una logica teorica-politica laica, aconfessionale e apolitica. Sostanzialmente l'autore del saggio fa presente che questo nuovo progetto si discosta da quelli precedenti, tipo quello tradizionalista che si rifà ad una cristianità storica, praticamente il progetto neocattolico, “si iscrive politicamente in un centro-destra modernista [...]Dismette l'ostentazione dei simboli e delle immagini religiose [...]”.Ponendosi, “in un dialogo aperto nei confronti di tutte le forze politiche in un'ottica di negazione aperta e dunque di scambio elettorale su proposte concrete”. E' questa la strategia che ha portato a stabilire progressivamente un accordo  elettorale con la Lega di Matteo Salvini e Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni. Interessante in riguardo a quest'ultima, una sua dichiarazione, che mi sembra profetica: “Ringrazio, tra le tante realtà impegnate, anche il Comitato Difendiamo i Nostri Figli di Massimo Gandolfini e la Onlus Pro-Vita. Una volta al Governo Fratelli d'Italia sarà garante delle istanze promosse negli ultimi due Family Day, che costituiscono un punto centrale del nostro programma”.

Ritornando a Gandolfini, il saggio fa presente che il leader cattolico bresciano ora scrive per il quotidiano filoleghista diretto da Maurizio Belpietro, “La Verità”. Inoltre Gandolfini il 22 settembre 2018, partecipa a Milano ad un convegno organizzato dal Forum delle associazioni familiari dal titoloInverno demografico. L'allarme per una nazione a rischio di estinzione”. (qui alla nota 44 è citato il mio articolo sull'evento con riferimento alla pubblicazione del Corriere del Sud, del 29 settembre 2018. Scrive Prearo nella nota: “E' interessante notare che Domenico Bonvegna è anche autore di una recensione del libro di Marco Invernizzi su Luigi Gedda dal titolo 'Luigi Gedda, un leader cattolico per il nostro tempo', che termina su questa sorta di apologia dell'approccio 'prepolitico' ribadito più volte da Gandolfini: “Inoltre mi pare interessante sottolineare in questi tempi di sfascio della politica italiana, un aspetto importante che aveva colto il professore Gedda, la necessità di un'azione pre-politica, che non escluda quella politica, ma costituisce la premessa del suo rinnovamento e della sua qualità”. Cfr.”IMG Press”, 19 ottobre 2012.

Infine, Prearo fa presente che al Convegno di Milano era presente l'allora ministro Lorenzo Fontana, che ha poi partecipato anche a quello di Verona.

Una nuova avventura per Mana Chuma Teatro. Martedì 14 novembre alle 13:00, i poeti Massimo Barilla ed Elizabeth Grech saranno a Tunisi, ospiti della scrittrice, giornalista e produttrice di programmi culturali Emna Louzir, in diretta su Autour de Midi, programma quotidiano dell’emittente RTCI Radio, in cui ogni martedì vengono intervistati uomini e donne di cultura per saperne di più sulla loro carriera e sul loro lavoro.

Caporedattore di diverse riviste, conduttrice e produttrice per la televisione nazionale tunisina, Emna Louzir ha pubblicato diverse raccolte di poesie e ha vinto il premio nazionale di poesia Zoubeida Bchir.

 Mercoledì 15 novembre alle 19:00, ospiti del centro di documentazione sul patrimonio tunisino Beit el Bennani, Massimo Barilla ed Elizabeth Grech saranno impegnati in un nuovo progetto: Parole come onde / Les mots comme des vagues / Words Like Waves, un evento multilingue – in calabrese, italiano, francese, inglese, maltese e arabo – in collaborazione con Sabrine Ghannoudi, attrice di cinema e teatro, poetessa, fondatrice di “Notre Dame des Mots”, un appuntamento tra scrittrici che si tiene una volta al mese in luoghi culturali diversi.

 Parole come onde è un viaggio attraverso le lingue del Mediterraneo. Le parole infatti vanno e vengono, si trasformano, si innestano, s’intrecciano, s’integrano e raccontano un patrimonio comune che solo la poesia può valorizzare fino in fondo. Questo progetto vuole avviare un percorso letterario creando uno spazio per la contaminazione poetica in nuovi territori, ospitando ad ogni scalo poeti di lingue diverse.

 Beit el Bennani, che ospita questa prima tappa, è un centro di documentazione sul patrimonio tunisino fondato e diretto da Mohamed Bennani. Si tratta di un luogo magico, vicino alla Medina di Tunisi, che ospita e organizza diversi eventi culturali. Ogni settimana, intellettuali tunisini e stranieri si incontrano in questo luogo per un momento conviviale a base di couscous e per scambiare idee, opinioni, punti di vista, progetti.

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