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Parte il consueto appuntamento annuale con il Salone dell'auto di Ginevra che quest'anno promette di essere ancora più frizzante del solito, con la cessione di Opel a Psa e la cooperazione tra il costruttore indiano Tata Motors e il gruppo Volkswagen che potrebbe essere annunciata proprio durante le giornate stampa del salone. E grandi novità ci sono al Palexpo, che apre i battenti alla stampa il 7 e 8 marzo e al pubblico dal 9 al 19 marzo, anche tra le novità di prodotto. In tutto sono previste 99 anteprime mondiali e 27 europee, con l'Italia in primo piano in entrambi i contesti.

Il debutto più atteso è quello della Ferrari 812 Superfast, la nuova berlinetta 12 cilindri che sarà "la Ferrari stradale piu' potente e prestazionale della storia". Sempre in tema di supercar, la Lamborghini Huracan Performante che ha battuto il record al Nurburgring, la Pagani Huayra Roadster e l'avveniristica Pininfarina Fittipaldi EF7. Mentre Italdesign mostrerà in anteprima la sua nuova one-off, che segna il debutto dell'azienda di Moncalieri nell' esclusivo settore delle vetture per collezionisti prodotte in serie ultra-limitata. A questo scopo è nato il marchio Italdesign Automobili Speciali che verrà presentato a Ginevra.

L'amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne, al Salone dell'Auto di Ginevra parlando con i Giornalisti ha detto che "la Panda andrà altrove, ma non ora, intorno al 2019-2020. Lo stabilimento di Pomigliano ha la capacità di fare altre auto".

''Pensiamo sia giunto il momento di comunicarci quale sarà la produzione per lo stabilimento di Pomigliano''. E' quanto afferma Crescenzo Auriemma, segretario regionale Uilm, commentando l'annuncio dell'Ad Sergio Marchionne, della volontà di Fca di spostare la produzione della Panda, modello realizzato a Pomigliano, altrove. ''Siamo disponibilissimi a produrre vetture più complicate - aggiunge Auriemma - ma crediamo sia giunto il momento che Fca ci dica, in questi mesi, quali, quante e in che tempi saranno portate nello stabilimento automobilistico campano''.

"Lascerò Fca alla fine del 2018" ha detto Sergio Marchionne rispondendo ai giornalisti durante la conferenza stampa di Ferrari. "Che giudizio do su di me? Lascio agli altri cuochi giudicare, posso dire che a casa mia non si muore di fame", ha scherzato Marchionne che prima aveva giudicato Tavares un ottimo cuoco

Poi sull'eventuale vendita di un brand del gruppo: "Non lo faremo. Quando me ne andrò farete quello che vorrete. Finché ci sono io no", ha spiegato Marchionne. 

"Se voglio prendere l'ultima parte degli incentivi devo rimanere, altrimenti non prendo nulla. Il termine finale è 2020-2021", ha sottolineato il presidente della Ferrari. 

"Non mi voglio addentrare in discussioni politiche su Trump, cerco di essere obiettivo è di valutare in quale modo portare avanti le attività di Fca negli Usa". Spiega Marchionne. "Riporteremo dal Messico alcune attività, questo lo otterrà, ma è una cosa che riguarda il mercato americano e l'occupazione americana", ha aggiunto. "Da Trump si può imparare qualcosa, magari con un tono diverso. Si può avere un rapporto più diretto con l'industria, più collaborazione".

L'amministratore delegato di Fca ha poi parlato dell'accordo sull'acquisto di Opel da parte di Psa per 1,3 miliardi di euro: "È un passo nella giusta direzione, capisco le ragioni che hanno portato a unire i due business. È un impegno a lungo termine per trovare benefici per entrambe. Un buon pacchetto, un buon accordo, anche se difficile da mettere insieme".

"Mi aspetto che Volkswagen a un certo punto si presenti da noi per parlare". Lo ha detto l'ad di Fca, Sergio Marchionne, commentando al Salone dell'Auto di Ginevra gli effetti dell'acquisizione di Opel da parte di Psa

"Non chiudo mai nessuna porta, impossibile chiudere la porta con Gm perché non si è mai aperta. Ho bussato e non ho avuto risposta. Potrei bussare di nuovo o bussare ad altre porte. Se utile per il business lo farei". 

La mia idea sulla fusione con Gm rimane la stessa, anche se ora le sinergie sono un po' cambiate e quindi è meno desiderabile. Abbiamo perso il 20% delle sinergie che potevano esistere con la fusione. Comunque non cambia niente. Le preoccupazioni geopolitiche se sono reali per loro, lo sono anche per noi".

Ventiquattro primi cittadini, con fascia tricolore,hanno firmato questa mattina nella sala dei Galeoni di Palazzo Chigi, con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, le convenzioni per la realizzazione di progetti di riqualificazione delle periferie. Le città che hanno firmato oggi le convenzioni sono: le Città metropolitane di Bari, Firenze, Milano, Bologna e i Comuni capoluogo di provincia o di città metropolitana di Avellino, Lecce, Vicenza, Bergamo, Modena, Torino, Grosseto, Mantova, Brescia, Andria, Latina, Genova, Oristano, Napoli, Ascoli Piceno, Salerno, Messina, Prato, Roma.

Tra i progetti finanziati anche quello di abbattimento delle 'Vele' di Scampia, come spiega il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. A Napoli la convenzione sulle periferie firmata oggi porterà i fondi per finanziare "un progetto a cui teniamo tantissimo sulle vele di Scampia". Lo dice il sindaco di Napoli Luigi De Magistris all'uscita da Palazzo Chigi. "Ci sarà l'abbattimento delle vele, la prima all'inizio dell'estate di quest'anno", aggiunge il sindaco, spiegando che delle quattro vele ne resterà in piedi solo una che, riqualificata e trasformata, diverrà la sede della Città metropolitana di Napoli.

"Oggi si materializza un impegno da 500 milioni per i 24 progetti migliori classificati per le periferie. L'impegno riguarda in tutto 120 interventi, quindi altri 95 rispetto a quelli di oggi: le disponibilità economiche ci sono, il Cipe ha stanziato altri 800 milioni dei 1,6 miliardi che servono, gli altri 800 milioni fanno parte del fondo per le infrastrutture. E ai 2,1 miliardi saranno aggiunti fondi pubblici e privati per un totale di circa 3,9 miliardi. Uno stanziamento molto rilevante". Lo dice il premier Paolo Gentiloni. 

Intanto : vorrebbe che il suo governo fosse «rassicurante». E lui, Paolo Gentiloni, in tivvù con Pippo Baudo, fa di tutto, nel tono, nell'eloquio nelle cose che dice, per rassicurare sul fatto che l'esecutivo che dirige ha una prospettiva seria. I miracoli sono esclusi, «quelli li fanno i cittadini con i loro sacrifici», ma l'impegno nelle riforme il premier lo assicura. «Questo - dice - non è un governo provvisorio». E' in «doverosa continuità» con quello che presiedeva Renzi e intende arrivare «a fine legislatura». Chiede fiducia, promette riforme Gentiloni. «Abbiamo molte cose da completare ce delle cose nuove e importanti». Tra queste, sicuramente, un intervento sul lavoro. «Il nostro obiettivo nel Def - annuncia il premier - è quello di abbassare ulteriormente le tasse sul lavoro. Dobbiamo rendere gli investimenti più vantaggiosi».

Sul fine vita, osserva che «è in corso una discussione parlamentare doverosa». Sul nodo cruciale del Sud sembra assai appassionato. «Mi darebbero un premio Nobel, se avessi una ricetta semplice per far crescere il Mezzogiorno, che comunque ha forti potenzialità come «aveva capito alla grande Carlo Azeglio Ciampi». Il quale disse che la crescita italiana può migliorare solo se si alza la crescita al Sud.

Polemiche con l'Europa ? Zero. Gentiloni critica le rigidità a senso unico della Ue è «rigidissima sugli zero virgola dei bilanci e non su altre cose» ma sottolineato che l'Unione è da «tenersi ben stretta». E che ora «l'Europa deve aiutare la crescita e non deprimerla». Una mano, Bruxelles, però ce la può dare da subito, confida il capo del governo: sia «attraverso il fondo di emergenza, con una cifra attorno al miliardo» sia «consentendo di togliere dai conteggi deficit/pil le spese per il sisma». E comunque, evviva l'Europa: senza di essa, «diventeremmo tante piccole patrie in lotta tra di loro».

Nel suo primo atteso discorso al Congresso sullo stato dell'Unione il presidente Donald Trump è andato dritto al sodo: servono soldi. E ai parlamentari ha snocciolato le cifre, chiedendo di approvare un piano di investimenti in infrastrutture da 1.000 miliardi di dollari. "L'America ha speso circa 6.000 miliardi di dollari in Medio Oriente e tutto questo mentre le nostre infrastrutture si sbriciolavano. 

"Alzeremo i salari, aiuteremo i disoccupati, risparmieremo miliardi di dollari, oltre a rendere le nostre comunita' piu' sicure per tutti". Ha lanciato poi l'appello per una riforma delle tasse "epocale" che contempli "enormi tagli" per la classe media e le aziende, e per una nuova riforma sanitaria: "Dobbiamo salvare gli americani da questo disastro dell'Obama care che sta implodendo". Trump ha ribadito quindi la volonta' di incrementare cospicuamente le risorse per la difesa: "Per mantenere l'America sicura dobbiamo fornire agli uomini e alle donne del nostro esercito tutti i mezzi necessari per prevenire le guerre. E, se necessario, per combattere e vincere". "Un nuovo capitolo della grandezza dell'America sta iniziando", ha concluso il presidente americano. Promosso da gran parte degli osservatori alla sua prima vera prova davanti al Congresso.

Era apparso subito chiaro come i toni del presidente americano sarebbero stati meno animosi del solito. Anche se l'imminente inizio della costruzione del muro col Messico è stata ribadita con forza. Il suo disocorso è stato pero' forse il primo davvero rivolto alla nazione intera, e non solo ai suoi fedelissimi sostenitori. Persino l'ostile Washington Post parla di un intervento 'sorprendentemente presidenziale', dove è sparita quella visione cupa che ha caratterizzato la campagna elettorale del tycoon e il suo primo mese alla Casa Bianca.

Lo scenario dell' 'American carnage' evocato nel giorno dell'insediamento è stato sostituito da una visione piu' ottimistica del futuro. Visione in cui addirittura ha trovato spazio uno degli slogan iconici di Barack Obama: 'hope'. "Dobbiamo avere il coraggio di esprimere le nostre speranze. E sperare - ha affermato Trump - che queste speranze e i nostri sogni si trasformino in azioni". "Da ora in poi l'America sara' guidata dalle nostre aspirazioni, non oppressa dalle nostre paure", ha insistito il presidente americano, che ha strappato numerose standing ovation da parte repubblicana, cancellando la freddezza di deputati e senatori democratici che per la gran parte del discorso erano rimasti seduti mettondo in pratica una sorta di sciopero degli appausi.

"Stiamo prendendo misure forti per proteggere il nostro Paese dal terrorismo radicale islamico. Non e' compassione ma incoscienza permettere un ingresso incontrollato da luoghi dove non esistono controlli adeguati". Vedi quanto accduto e acced in Europa. Cosi' Donald Trump, nel suo primo intevento davanti al Congresso, aveva annunciato il nuovo bando. Tendendo pero' la mano al Congresso e lanciando un appello all'unita', anche per realizzare una riforma dell'immigrazione condivisa. 

"Non permetteremo che gli Stati Uniti diventino un santuario per gli estremisti", ha ribadito Trump. Anche se la seconda versione del divieto sugli ingressi - secondo le indiscrezioni - sara' molto piu' limitata rispetto a quella bocciata dai giudici: non dovrebbe riguardare i visti esistenti, i residenti permanenti e le green card. E non dovrebbe piu' coinvolgere l'Iraq, riducendo a sei i Paesi a maggioranza musulmana interessati.

In quasi tutto il suo discorso Trump - come ha riconociuto lo stesso Washington Post, da sempre ostile nei suoi confronti - è stato decisamente presidenziale. Ha dimostrato di sentire la responsabilità dell'incarico che ricopre e ha invitato tutti a superare i rancori della campagna elettorale. Qualcuno si è chiesto: qual è il vero Trump? Questo che invita l'America a riconciliarsi e a marciare unita, verso obiettivi comuni, o quello che fino a ieri sembrava voler andare avanti come un carro armato, infischiandosene delle divisioni?

Un commentatore politico della Cnn, notoriamente anti-Trump, ha commentato in questo modo il discorso di Trump: "Ci sono molte persone che hanno ottimi motivi per avercela con lui e per temerlo. Ma questo è stato uno dei momenti più straordinari nella storia della politica americana, punto. E ha fatto qualcosa di straordinario. Chi spera che Trump diventi pian piano più presidenziale, unificante, dovrebbe essere felice. Chi spera che resti questa specie di macchietta, cosa che trova sempre il modo di fare, dovrebbe essere preoccupato: perché con questa cosa che gli avete visto fare, se trova un modo di farla ancora e ancora, lo vedremo in giro per otto anni. Ci sono molte cose nel suo discorso che sono state false o sbagliate, a cui mi oppongo e mi opporrò. Ma stasera ha fatto anche qualcosa che non può essergli tolto: è diventato il presidente degli Stati Uniti".

Lui sembra voler archiviare, almeno per un tratto, le polemiche, e schiacciando il pedale sul sentimento nazionale, strizza l'occhio a tutti gli americani: "Tutte le nazioni del mondo, amici o nemici, capiranno che l'America è forte, l'America è orgogliosa, l'America è libera". Ed ha inneggiato "all'inizio di un nuovo capitolo della grandezza americana", a "un nuovo orgoglio nazionale che sta conquistando il Paese" e a "un'ondata di ottimismo che sta mettendo alla nostra portata sogni impossibili". "D'ora in avanti - ha aggiunto - l'America sarà guidata dalle nostre aspirazioni, non oppressa dalle nostre paure. Dobbiamo avere il coraggio di esprimere le nostre speranze. E sperare che queste speranze e i nostri sogni si trasformino in azioni". Paradossalmente questo passaggio a molti ha ricordato Obama. Quello della speranza e del cambiamento. Trump ha capito che può essere utile fare leva sulle stesse corde.

Perché quello che ha parlato al Congresso, nel suo primo discorso sullo stato dell'Unione, è un presidente molto più pacato e moderato del solito, che rivolge appelli all’unità, a perseguire uno scopo comune, a "trasformare la speranza in azione", rinnovando lo spirito dell’America. Toni nuovi, dunque, tracciando un’agenda ambiziosa all’insegna dell’ottimismo.

"Il tempo delle battaglie futili è alle nostre spalle - osserva -. Il tempo del pensare in piccolo è finito. Da questo momento in poi l’America sarà spinta dalle nostre aspirazioni e non bloccata dalle nostre paure. Sono qui per un messaggio di forza e unità che arriva dal profondo del mio cuore", ha detto Trump, iniziando con il condannare le minacce e gli atti di vandalismo contro i centri ebraici. Ha dunque promesso una riforma fiscale "storica", chiedendo investimenti per 1.000 miliardi di dollari per le infrastrutture e garantendo la costruzione "di un grande grande muro" al confine con il Messico. Ha assicurato infine che "l’esercito avrà tutti i mezzi per prevenire nuove guerre" e che saranno costruite nuove alleanze internazionali, fermo restando il sostegno "forte" alla Nato.

Con 6.000 miliardi di dollari avremmo potuto ricostruire il Paese". Il presidente ha chiesto sia ai repubblicani che ai democratici di sostenere la sua proposta. Una mossa, questa, che dimostra come Trump abbia capito che per incidere profondamente è necessario il più ampio consenso possibile da parte del Congresso. E per farlo si rivolge quindi a entrambi gli schieramenti.

"Credo che una riforma dell'immigrazione vera e positiva sia possibile se ci concentriamo sui seguenti obiettivi: aumentare i posti di lavoro e i salari degli americani, rafforzare la nostra sicurezza nazionale e ripristinare il rispetto delle nostre leggi". Trump ha proposto una riforma basata sul merito, puntando quindi sulle qualifiche professionali degli immigrati: "Se adottiamo un sistema basato sul merito - ha insistito - ne trarremo molto beneficio, saremo in grado di risparmiare tantissimi soldi, di aumentare le retribuzioni e di aiutare le famiglie in difficoltà, comprese quelle degli immigrati". Ttrump ha poi ribadito che sarà presto costruito "un grande grande muro" al confine con il Messico, che contribuirà a fermare il traffico di "droga e il crimine".

Il presidente ha negato di essere un protezionista : "Sono un forte sostenitore del libero scambio", ma l'accordo commerciale Nafta con Messico e Canada ci ha fatto perdere "il 25% dell'occupazione nell'industria". Trump ha così ribadito la necessità di rivedere gli accordi commerciali per non danneggiare ulteriormente le aziende americane.

C'era molta attesa su quanto avrebbe detto sulla riforma sanitaria. Trump ha spedito la palla ai parlamentari, indicando la strada: "Chiedo al Congresso di cancellare e rimpiazzare l'Obama care con riforme che incrementino le scelte, abbassino i costi e al contempo forniscano una migliore sanità migliore". E ancora una volta ha invitato "repubblicani e democratici a lavorare insieme per salvare gli americani dalla disastrosa Obama care che sta implodendo".

In un passaggio del proprio intervento Trump ha assicurato il massimo sforzo per risolvere una volta per tutte il problema Isis: "Come promesso ho chiesto al dipartimento della Difesa di definire un piano che distrugga l'Isis, una rete di selvaggi senza legge che ha assassinato musulmani e cristiani, uomini, donne e bambini di ogni fede e credo". Il presidente ha assicurato che gli Usa lavoreranno con i propri alleati, "compresi gli amici e gli alleati del mondo musulmano, per eliminare questo vile nemico dal nostro pianeta".

Trump ribadisce la volontà di aumentare in modo cospicuo le risorse per la Difesa: "Per mantenere l’America sicura dobbiamo fornire agli uomini e alle donne del nostro esercito tutti i mezzi necessari per prevenire le guerre. E, se necessario, per combattere e vincere". Poi un passaggio sulla Nato. "La sosteniamo con forza", ma "i nostri partner devono rispettare i loro obblighi finanziari". Con una punta d'orgoglio Trump sottolinea come "dopo una discussione franca molti alleati abbiano cominciato a pagare: "I soldi stanno cominciando ad arrivare", ha detto riferendosi all'impegno pari al 2% del Pil richiesto dagli Usa.

E' la ministra dell'Istruzione Valeria Fedeli la più 'ricca' del governo Gentiloni. Fedeli, secondo quanto risulta dalla dichiarazione dei redditi 2016, registra un reddito imponibile pari a 180.921 euro. In secondo posizione il titolare della Cultura Dario Franceschini, con 148.692 euro. In coda, invece, il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina, con un reddito imponibile 2016 pari a 46.750 euro. Il premier Paolo Gentiloni, nel 2016, registra invece un reddito imponibile pari a 109.607 euro.

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro, si legge nella documentazione, ha dichiarato un reddito imponibile di 144.853 euro, 'piazzandosi' al terzo posto. Seguono quindi Enrico Costa, ministro per gli Affari regionali, con 112.034 euro, il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, con 104.473 euro, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, con 104.432 euro, il ministro degli Esteri, Angelino Alfano, con 102.300 euro, il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, con 102.058 euro, la ministra della P.a., Marianna Madia, con 98.816 euro. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e il ministro dello Sport, Luca Lotti, 'vantano' invece l'identico reddito imponibile: 98.471 euro. Nella 'classica' figurano poi Il ministro della Coesione territoriale, Claudio De Vincenti (97.728 euro), il titolare dell'Ambiente Gian Luca Galletti (97.631 euro), la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin (97.576 euro), la ministra della Difesa, Roberta Pinotti (96.663 euro), la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi (96.571 euro), il ministro dell'Interno, Marco Minniti (92.237). Penultimo, prima di Martina, il titolare dell'Economia Pier Carlo Padoan, con 49.958 euro dichiarati nel 2016.

Precipitano i redditi di Beppe Grillo, Secondo i dati diffusi dalle Camere, il leader dei cinque stelle ha dichiarato nel 2016 un imponibile di 71.957 euro. L'anno precedente il suo modello unico era cinque volte più ricco: Grillo aveva infatti dichiarato 355.247 euro. 

Sfiorano i centomila euro i redditi dei grillini che siedono in Parlamento. Quanto meno dei 'big', ovvero dei volti più noti del Movimento. Consultando le dichiarazioni dei redditi dei parlamentari traspaiono redditi «fotocopia» per il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, a 98.471,04 euro, per Alessandro Di Battista (98.471 al netto dei 4 centesimi dichiarati da Di Maio), e il presidente della Vigilanza Rai Roberto Fico: anche lui, esattamente come Di Maio, ha dichiarato 98.471,04 centesimi nel 2015.

Beppe Grillo risulta più povero dei suoi parlamentari. Il suo reddito si attesta a 71.957 euro, con un vero e proprio crollo rispetto all'anno precedente quando dichiarava 355.247 euro, dunque ben 283.290 euro in meno. Eppure il leader del M5S, nella dichiarazione dei redditi 2016 disponibile sul sito Parlamento.it, non dichiara variazioni avvenute rispetto all'anno precedente, come vendite o acquisti di immobili. Circa 30mila euro di redditi inferiori, per Grillo, rispetto a Di Maio, Di Battista e gli altri, che, per il 2015, hanno dichiarato redditi che sfiorano i 100mila euro.

Matteo Renzi dichiara nel 2016 un reddito imponibile di 103,283 euro. Un dato in leggero calo, 5000 euro in meno, per l'ex Presidente del Consiglio, rispetto alla dichiarazione dell'anno scorso, quando ha dichiarato 107.960. Tra i leader politici Angelino Alfano di Ncd ha dichiarato 102.300 euro. La presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, ha dichiarato 97.946 euro, mentre Pier Luigi Bersani, tra i leader di Democratici e progressisti, ha un imponibile di 150.211 euro.

 

Il presidente del Senato, Pietro Grasso, nel 2016 dichiara oltre il doppio del reddito della Presidente della Camera, Laura Boldrini. La seconda carica dello Stato ha dichiarato un imponibile di 340.563 euro mentre quello della Boldrini è pari a 144.883 euro.

Dopo un lungo periodo di silenzio, dentro e fuori gli schieramenti, impegnati in una guerra di proposte per fronteggiare l'indigenza e creare una rete di sostegno per coloro che sono stati esclusi dal mondo del lavoro. Un tema che si fa ancora più caldo nella settimana che vedrà approdare in Aula a palazzo Madama la legge delega sul contrasto alla povertà.

Dal “piano Marshall per le famiglie” al “lavoro di cittadinanza” ecco le proposte in campo e i costi per la loro realizzazione.

Il principio di fondo è che “Nessuno deve rimanere indietro”. Il che per i grillini si traduce nell’introduzione del reddito di cittadinanza per tutti quelli che vivono al di sotto della soglia di rischio povertà. La proposta presentata nel 2013, prevede aiuti “per un valore pari ai 6/10 del reddito medio equivalente familiare (15mila euro nel 2013), quantificato per la persona singola nell'anno 2014 in euro 9.360 annui e euro 780 mensili”, sostiene il Movimento 5 Stelle.

Il beneficio medio “è pari a 12.175 euro l'anno per le famiglie molto povere con meno del 20 per cento della linea di povertà e decresce all'aumentare del reddito fino a circa 2.500 euro per le famiglie con redditi compresi fra il 60 e l'80 per cento della linea di povertà”

Il ‘nuovo welfare' di Forza Italia punta alle fasce più deboli, ma Silvio Berlusconi parla di un aiuto ai nuclei familiari anziché alle singole persone. Da qui la definizione “Piano Marshall per le famiglie”. Attraverso lo strumento dell'Isee, ovvero l'indicatore della situazione economica, si punta - spiegano fonti parlamentari di FI - a individuare una soglia di povertà sotto la quale non è possibile andare e ad integrare il reddito di chi lavora all'interno del nucleo familiare con un assegno di 'sopravvivenza'. Per quelle famiglie che non hanno alcuna fonte di reddito è previsto un assegno e un intervento con un percorso guidato per arrivare a una occupazione. Le risorse arrivano da:

  • una riduzione delle tasse
  • una crescita dei consumi e del lavoro

·         Allo studio anche "la Negative Income Tax - o imposta negativa sul reddito - ideata dall'economista liberista Milton Friedman, che consiste in un sistema progressivo di tassazione nel quale ha redditi sotto una ceta soglia riceve una somma supplementare dallo Stato invece di pagare", si legge su il Giornale. 

Il piano, che sarà messo a punto nelle prossime settimane, costerebbe circa 10 miliardi. 

Negli ultimi mesi il capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta ha illustrato una proposta di legge che garantisca lavoro per tre mesi a tutti coloro che lo richiedano. E un’indennità di disoccupazione per altri tre mesi.

Il costo preventivato si aggirera sui 10 miliardi di euro annui.

Cosi dal cilindro della sua campagna elettorale l ex Premier Renzi permanente ha tirato fuori tre proposte il cui costo complessivo potrebbe aggirarsi tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Si tratta del «lavoro di cittadinanza», della «protezione sociale» e del vecchio piano di taglio dell'Irpef.

Uno stipendio fisso senza un lavoro? Una negazione del primo articolo della Costituzione e un attacco alla dignità. Ne è convinto l’ex premier Matteo Renzi secondo cui “garantire uno stipendio a tutti non risponde all'articolo 1 della nostra Costituzione che parla di lavoro non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità. Il reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione”, ha dichiarato al Messaggero al ritorno dal suo viaggio in California. La controproposta di Renzi - che sembra ricalcare quella di Brunetta - è il “lavoro di cittadinanza” per governare l’innovazione:  “fermare la tecnologia è assurdo, ma è tempo di affrontare i costi della perdita di impiego. Dobbiamo rivoluzionare il nostro welfare e la risposta non è una rendita universale ma il lavoro di cittadinanza”. L’ex premier dovrebbe svelare i dettagli del suo piano all'incontro sul programma dem previsto per il 10 marzo a Torino. 

 

Il primo progetto è stato definito una «rivoluzione del welfare». In pratica, è una controproposta al reddito di cittadinanza dei grillini con una differenza. L'obiettivo M5S è erogare una sorta di indennità di sussistenza di 780 euro mensili a coloro che sono sotto la soglia di povertà e viene revocato dopo il rifiuto di tre proposte di lavoro. Il costo stimato è di 15 miliardi. Il «lavoro di cittadinanza», invece, non si sa ancora cosa sia ma l'ha sperimentato Nichi Vendola nella sua ultima fase di governo della Puglia: cercare di ricollocare all'interno delle pubbliche amministrazioni o del terzo settore che svolge servizi per conto della pa coloro che percepiscono sussidi di disoccupazione così da garantire un reddito minimo di 500 euro mensili a coloro che svolgono queste mansioni. In Italia a fine dicembre i disoccupati, secondo l'Istat, erano 3,1 milioni. Garantire loro almeno 6mila euro l'anno tramite un'occupazione pubblica o parapubblica costerebbe come minimo 18,6 miliardi.

 

Il secondo punto è la «protezione sociale», un omologo della protezione civile che dovrebbe occuparsi dell'assistenza degli esclusi dal mondo del lavoro. Un decreto attuativo del ddl povertà (varato sotto il governo Renzi e concluso da Gentiloni) prevedrà la distribuzione di una card da 400 euro mensili a 1,7 milioni di famiglie a basso reddito di giovani con figli minori e di ultra 55ennni che hanno erso il lavoro. Costo stimato circa 2 miliardi da recuperare tramite la webtax sul fatturato dei colossi digitali. Quando la propose Enrico Letta, Renzi la bocciò. Oggi torna utile. Il catalogo si arricchisce, poi, con una vecchia promessa ribadita ieri sera a Che tempo che fa. «Stiamo lavorando al piano del taglio dell'Irpef per i prossimi cinque anni», ha dichiarato. Tanto per ricordare: una lieve smussatura dell'imposta vale già 3,5 miliardi.

Di tutte queste ipotesi, per ora campate per aria, il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, non ha tempo per occuparsi. La sua insofferenza, denunciata dal quotidiano il Giornale, qualche giorno fa comincia a ingigantirsi visto che le proposte di manovra correttiva fondate su incremento delle accise tabacchi e/o benzina sono state fermate dallo stesso Renzi. Mentre lo split payment, cioè l'inversione dei versamenti Iva, sebbene efficace potrebbe non avere l'ok dell'Europa che non si accontenterebbe nemmeno di una generica lotta all'evasione. Certo, il titolare del dicastero di Via XX Settembre smentisce seccamente l'intenzione di gettare la spugna, ma l'irritazione è molto forte. «In tre anni mai avute procedure di infrazione europea. Sono convinto che non ci sarà una infrazione, è giusto che Padoan abbia tutte le rassicurazioni ma l'Europa dovrebbe avere un'anima», ha detto ieri sera Renzi per svelenire il clima dando la colpa, ancora una volta, all'Europa.

E secondo quanto emerge dalla ricerca condotta in collaborazione con Swg rileva, il 77% degli italiani il 64% degli europei ritiene che l'appartenenza all'Ue non abbia portato alcun vantaggio particolare. Una bocciatura su tutta la linea. Certo, nel rapporto si legge anche che per il 57% degli italiani e per il 53% degli europei fuori dall'Ue si starebbe peggio, ma non sono certo percentuali di cui andare fieri. Il 57% è la maggioranza, certo. Ma non è sinonimo di amore tra cittadini e istituzioni Ue.

I cittadini europei, e in particolare gli italiani, sono infatti largamente insoddisfatti dell'Unione europea e chiedono che Bruxelles cambi passo su temi chiave come la gestione dell'immigrazione, lo sviluppo dell'occupazione e la lotta al terrorismo. Lo rileva l'indagine demoscopica illustrata alla Camera in occasione del quarto "Strategy council Deloitte", dedicato al tema "Unione europea oggi: ancora un'opportunità?"

 

 

 

 

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