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Al Paladozza Matteo Salvini ha dato il via alla campagna di Lucia Borgonzoni. "L'obiettivo è restituire speranza, futuro e libertà d'impresa a tutti gli emiliano-romagnoli e tornare al governo a livello nazionale. Sono orgoglioso che la Lega sia protagonista di questa nuova speranza, per l'Emilia, la Romagna e l'Italia", ha esordito Salvini, auspicando "un cambiamento a livello locale, però anche un cambiamento a livello nazionale, perché questo è un governo fondato su tasse, sbarchi, manette e povertà". Un governo, ha aggiunto, "che fa scappare le imprese e nemico degli italiani e quindi l'obiettivo è restituire speranza, futuro e libertà".

Sfida di piazze per Bologna, nella sera del 14 novembre che apre ufficialmente la campagna elettorale della Lega per le regionali in Emilia Romagna, il 26 gennaio. Sfida di numeri, tra i sostenitori del Carroccio, arrivati già ore prima, davanti al palazzetto, che vide congressi del Partito Comunista e discorsi di Enrico Berlinguer; e a poche centinaia di metri, le diverse piazze, contrarie al leader della Lega.

Lo speaker della convention scalda la platea, evocando i nomi dei protagonisti della serata, la candidata alle regionali, Lucia Borgonzoni, ma dagli spalti i cori sono tutti per «Matteo, Matteo». L'attesa si trasforma in un concerto, con un’ola tra gli spalti, quando parte «Romagna mia». Matteo Salvini ha chiesto il tutto esaurito, per questa serata che apre la corsa alla «conquista dell'Emilia Romagna», come recitano i manifesti. E dare la spallata al Governo giallo-rosso.

Presenti i cinque governatori leghisti, compreso il Veneto Luca Zaia, che sta fronteggiando l’emergenza Venezia. Tra i presenti, anche un sacerdote, don Luca Pazzaglia, parroco di Frassinoro.

«L’obiettivo è restituire la speranza a tutti gli emiliano-romagnoli e tornare al Governo», annuncia il leader della Lega, che- in brevi dichiarazioni, prima dell'inizio della convention- si scaglia contro l'Esecutivo, «nemico degli italiani, che fa scappare le imprese».

La manifestazione inizia, con un poeta, un imprenditore e con l'esempio dei cinque Governatori della Lega. Con il loro modello e con un messaggio; «liberiamo l'Emilia Romagna e il Governo», urla Christian Solinas. «Avete nelle mani le sorti del Paese», rincara Fedriga. «Salvini ci ha dimostrato che nulla è impossibile», insiste Attilio Fontana. «Noi governatori siamo venuti per portare un modello, non per parlare male di qualcuno», aggiunge Luigi Zaia.


Antagonisti e centri sociali, in corteo, provano ad avvicinarsi all’area della convention leghista, chiusa molte ore prima al transito. Mostrano cartelli con rimandi al Russiagate, «contro il ritorno di ogni fascismo» e «a difesa dei diritti dei migranti», ripetono. «Siamo tutti antifascisti», scandiscono in coro i duemila, soprattutto giovani, mentre da piazza San Francesco attraverso via del Pratello provano ad avvicinarsi in via Riva Reno e al Palazzetto. Tra i cori, qualcuno invoca piazzale Loreto.

Le immagini dei centri sociali a Bologna, tra strade occupate, lancio di petardi e bottiglie di vetro e scontri con le forze dell'ordine, non sono affatto nuove. Scorrono sotto gli occhi come un triste déjà vu. Negli ultimi tempi, va detto, sembrava si fossero addirittura dati una calmata. Dopo la rottura con il Movimento 5 Stelle e il collasso del primo governo guidato da Giuseppe Conte, la rete antagonista ha mollato la presa contro il Carroccio. A inizio anno, quando al Viminale veniva messo in atto il pugno duro contro l'immigrazione clandestina e il business dell'accoglienza, gli attacchi dinamitardi alle sedi della Lega e le intimidazioni contro gli uomini di Salvini erano all'ordine del giorno.

Ora il clima è tornato a farsi teso come in quei giorni. A preoccupare la sinistra è, appunto, la possibilità che il centrodestra riesca a portarle via un'altra roccaforte rossa: dopo l'Umbria, ora tocca all'Emilia Romagna. I sondaggi parlano chiaro: le due coalizione possono giocarsela in un testa a testa che non ha precedenti storici. Fino a qualche anno fa, infatti, era anche solo immaginabile che un candidato del centrodestra potesse tener botta all'armata rossa. Ora gli equilibri si sono ribaltati. E, senza l'apporto dei Cinque Stelle, Stefano Bonaccini rischia adirittura di avere la peggio.

Pero non è una novità: il centrodestra è maggioranza nel Paese. Le elezioni Regionali, oltre alle Europee della scorsa primavera, raccontano che Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia mettono insieme il 50% - punto percentuale in più, punto percentuale in meno… – dell'elettorato italiano.

Ora, una rilevazione di Noto Sondaggi ed Emg Acqua e commissionata da Asmel – l'Associazione che rappresenta quasi tremila Comuni in tutt'Italia, in larga parte con meno di 60mila abitanti – racconta che, se i partiti attualmente al governo (Movimento 5 Stelle e Partito Democratico) raccolgono voti nei Comuni medio-grandi, il centrodestra fa il pieno di consensi in quelli più ridotti, sotto – appunto – i 60mila cittadini.

Da quando emerso nel sondaggio per Asmel, infatti, nelle realtà italiane con più di 60mila residenti, l’asse giallorosso mette insieme il 49,9 per cento dei consensi. Un 50% scarso che però crolla di oltre 8 punti, al 41,3 per cento, in quelli sotto questa soglia. Ed è proprio qui che il centrodestra si afferma con il 52,1 per cento delle intenzioni di voto, che scendono al 43,5 per cento nei Comuni più grandi.

Unici partiti con percentuali identiche nei Comuni piccoli e grandi sono il Pd con 18,7 e FdI con 6,6, mentre le differenze più evidenti sono quelle della Lega che perde 7 punti nel confronto tra Comuni piccoli (35,6) e grandi (28,6) e Italia viva, che al contrario raddoppia la percentuale nei grandi (9,0) a confronto con i piccoli (4,7).

In vista della decisiva tornata elettorale in Emilia Romagna – fissata a domenica 26 gennaio –, che vede il dem Stefano Bonaccini sfidare la leghista Lucia Borgonzoni, la coalizione di centrodestra sarebbe ora in vantaggio sul centrosinistra. Infatti, secondo quanto riferito da una fonte al Giornale.it, il sondaggio darebbe Lega, FI e FdI in vantaggio sulla sinistra di ben sei punti percentuali. Diversa invece la fotografia realizzata dall’istituto demoscopico Tecné, che continua a dare il candidato del Pd avanti all’esponente del Carroccio; il sondaggio, infatti, dà Bonaccini sopra di un solo punto: 46% contro il 45%. Insomma, un testa a testa.

Molto dipenderà dall’eventuale apporto della compagine pentastellata, che potrebbe dare al presidente uscente una spinta di 4/5 punti percentuali, così come dalle numerose liste Civiche presenti sul territorio emiliano e romagnolo. Per esempio, come il movimento Volt, che proprio in queste ultime ore ha reso noto il suo sostegno a Stefano Bonaccini: "È ufficiale: sosterremo la corsa alla presidenza dell’EmiliaRomagna di Bonaccini, iscrivendo la nostra lista nella coalizione di centrosinistra. Per sostenere i nostri valori e istanze abbiamo scelto di supportare chi ha fatto crescere l'Emilia Romagna".

Non sono mancate le polemiche: gli antagonisti sono andati all'attacco per cercare di zittire l'ex ministro dell'Interno, obbligando la polizia a ricorrere all'utilizzo degli idranti contro il lancio di bottiglie e fumogeni. Ma il dato più importante è che un luogo simbolo della sinistra sia diventato completamente verde, almeno per una serata: "Il PalaDozza è stato teatro ideale per una sinistra che era capace di mobilitare le masse. Salvini lo sa bene, la scelta fa parte della sua strategia di sfidarla nei luoghi simbolo, come ha fatto a Roma in Piazza San Giovanni". A sostenerlo è il politologo Gianfranco Pasquino, intervistato da Il Giorno.

Si tratta di una zona emblematicamente rossa non solo per la dedica a Giuseppe Dozza, sindaco comunista che fece costruire la struttura nel 1956: "Quella sinistra che aveva voglia di coinvolgere il pubblico trovò nel palazzo dello sport un contenitore ideale: è una struttura accogliente, si vede bene in ogni ordine di posto e si può essere vicinissimi all'oratore".

Secondo il Giornale Il professore emerito dell'Alma Mater ha raccontato di avere dei bei ricordi: "Partecipai al Convegno europeo contro la repressione del settembre 1977, poi ho sicuramente assistito a un comizio di Berlinguer". Ma il suo primo flashback è di tipo sportivo: "In piazza Azzarita vidi la finale di Coppa dei Campioni di basket, vinta dalla Simmenthal Milano contro lo Slavia Praga". Era da poco arrivato a Bologna per frequentare la Johns Hopkins: "Il cestista Bill Bradley, stella di quella squadra, è diventato poi un senatore democratico".

Il luogo è passato dal pugno studentesco e operaio ('68 e '77), dall'incoronamento di Berlinguer come segretario del Pci (1969), dall'avvio della campagna dell'Ulivo del '96 di Prodi al Vaffa-day del Movimento 5 Stelle (2007) per arrivare ora a Salvini, che - stando a quanto appreso da un sondaggio segreto in possesso de ilGiornale - avrebbe i numeri per prendersi l'Emilia-Romagna: "C'è il desiderio di riuscire a sconfiggere il Pci prima, poi i Ds, e adesso quel che ne rimane nel Pd, a casa loro. Il PalaDozza ha una sua importanza simbolica, ma è Bologna che storicamente è il centro della sinistra di governo. La sfida del 26 gennaio ha un rilievo nazionale, molto più di quella dell'Umbria".

Perciò è lecito domandarsi se Bologna sia ancora una città di sinistra: "Negli ultimi 20 anni è mancata una vera riflessione su cosa è stata la città e cosa doveva diventare. Bologna è cambiata molto, la tradizione del Pci non è stata rivisitata e la sinistra è frammentata, neppure così convinta delle sue magnifiche sorti e progressive". Pasquino infine ha concluso facendo notare: "Del resto, i capannelli di persone che discutono di politica, oggi li vede ancora in città? Io no. Vedo rassegnazione e una certa incapacità del Pd di mobilitare le energie".

Intanto ipasadaran della censura non si sono indignati per l'ennesimo episodio di odio dei centri sociali. Non li ha scalfiti l'assalto degli antagonisti che, ieri sera a Bologna, sono scesi in piazza per zittire Lucia Borgonzoni, la candidata unitaria del centrodestra alle elezioni del prossimo gennaio

Ora che l'Emilia Romagna rischia di essere effettivamente scippata alla sinistra dopo decenni di monocolore rosso tutto è permesso. Sia i big del Partito democratico, che temono irrimediabili ripercussioni sul governo giallorosso, sia i facinorosi che affollano le reti no gloabal della città temono seriamente che il vessillo della Lega possa sventolare sul palazzo della Regione. Per questo, da qui alla prossima tornata elettorale, dobbiamo aspettarci un nuovo tsunami d'odio contro Matteo Salvini & Co. Un'ondata di violenze (non solo verbali) che non turberanno i crociati della commissione contro l'odio.

Sintonia sui migranti, la Libia, la Nato. Addirittura un confronto sullo spinoso dossier Arcelor Mittal. E un messaggio chiaro per Burxelles: la nuova coalizione sostiene l'approccio «critico ma costruttivo» dell'Italia nei confronti dell'Europa. Il premier Giuseppe Conte accoglie la cancelliera tedesca Angela Merkel a Roma mostrando grande apertura, con la consapevolezza che dalle fila del governo non arriverà più il controcanto a fine bilaterale. Non nasconde le divergenze talvolta su alcuni dossier, ma ribadisce la comune volontà di lavorare insieme per affrontare le grandi sfide europee e combattere le «intolleranze» e le «forze disgregatrici» in seno all'Europa. E rivendica anche la sua autonomia di pensiero, a prescindere dalla coalizione che lo sostiene.  

Italia e Germania hanno un "impegno congiunto per affrontare le principali sfide che ci attendono, la migrazione, il rilancio della crescita, l'occupazione, lottare contro il cambiamento climatico, completare la governance dell'Ue, il negoziato sul bilancio, la Brexit e il tema dell'allargamento", ha detto il premier Giuseppe Conte in conferenza stampa con la cancelliera Angela Merkel.

"Italia e Germania devono lavorare insieme per affrontare la comune responsabilità europea nel dare risposte adeguate ai cittadini - ha detto ancora Conte -. Con la Germania ci troviamo a condividere spesso obiettivi e modalità per raggiungerli, qualche volta non siamo convinti delle medesime soluzioni, ma dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione, non dobbiamo aumentare l'intolleranza e le forze disgregatrici nell'Ue".  

Merkel - il cui paese è il primo partner commerciale dell’Italia al mondo con quasi 130 miliardi di euro registrati nel 2018 - ha aperto alla necessità di realizzare l’Unione bancaria europea.

E rispondendo a una domanda, la cancelliera ha confermato che il suo governo sostiene la proposta avanzata nei giorni scorsi dal ministro delle finanze Olaf Scholz. Ovvero, la creazione di un sistema comune di assicurazione dei depositi a livello europeo.

Il capo del governo tedesco ha poi riconosciuto che il sistema bancario italiano ha compiuto molti passi in avanti in merito alla riduzione dei rischi. Si tratta di un notevole cambio di passo da parte di Berlino rispetto alla posizione assunta fino a poche settimane fa: un secco no al completamento dell’Unione bancaria proprio a causa degli elevati rischi finanziari insiti nelle economie dell’Europa del sud.

Durante la conferenza stampa, Merkel ha contraddetto Emmanuel Macron (senza mai citarlo) sostenendo l’importanza della Nato. Nei giorni scorsi il leader francese aveva detto che “la Nato è in stato di morte cerebrale”.

Sul tavolo, oltre a quello dei migranti e della crisi libica il 19 novembre prossimo Conte volerà a Berlino per il summit ‘Compact with Africa’ che avrà proprio la Libia come tema chiave, anche la crescita. Su quest’ultimo punto, l’economia italiana rallenta e quella tedesca rischia la recessione tecnica tre trimestri consecutivi di contrazione.Infine, sullo sfondo c'è la trattativa su Alitalia che coinvolge anche la tedesca Lufthansa.

"Ci siamo ripromessi una cooperazione per cercare di confrontarci sulle soluzioni più avanzate dal punto di vista tecnologico e condividere le conoscenze" nel settore dell'acciaio, ha spiegato il premier dopo aver parlato con la cancelliera tedesca Angela Merkel della questione ArcelorMittal e ex Ilva.

"Grazie all'Italia per il suo impegno in Libia", ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel al premier Giuseppe Conte ringraziando anche per la "vostra partecipazione" alla conferenza di Berlino sul Paese nordafricano e sottolineando che adesso "abbiamo bisogno di un cessate il fuoco".

"Noi vogliamo combattere le cause dei movimenti migratori. E' importante aprire delle prospettive ai giovani africani", ha spiegato la cancelliera Merkel. "Mi fa piacere che sarai a Berlino alla conferenza sull'Africa", ha aggiunto."L'unione bancaria deve essere portata avanti, per garantire la stabilità dell'euro", ha aggiunto Angela Merkel.

"La cooperazione con la guardia costiera libica è di grande importanza", ma dobbiamo coinvolgere - ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel - "anche l'Unhcr e le ong e garantire degli standard ragionevoli" sui diritti umani "che non esistono in tutta la Libia".

La visita della cancelliera tedesca a Roma, secondo il Giornale culminata poi con la cena a Villa Doria Pamphili, si è sviluppata lungo questo filone: una Germania che ha promesso aiuto e sostegno all’Italia sull’immigrazione, che ha elogiato il nuovo governo per progressi nel settore bancario, dall’altro lato un Giuseppe Conte che si è mostrato continuamente soddisfatto e contento, esibendo come un trionfo l’amicizia con il capo del governo tedesco.

Non a caso i quotidiani tedeschi hanno parlato complessivamente, come sottolineato anche da Libero, di “luna di miele” tra Roma e Berlino. L’esecutivo giallorosso oramai è ben caratterizzato da un rapporto con la Germania sugellato da continui idilli.

Anche il ministro degli esteri e capo politico del M5S Luigi Di Maio, nel giorno delle celebrazioni del trentesimo anniversario del crollo del muro di Berlino, ha elogiato la Germania. Proprio lui, che sia all’opposizione che durante la prima esperienza di governo all’interno dell’esecutivo gialloverde, non ha mai espresso profonda stima verso la Merkel, ha invece sostenuto di prendere la Germania come esempio per la redistribuzione.

Questo giusto per certificare e mettere il sigillo alla ritrovata luna di miele con Berlino. Ed a proposito di migranti e redistribuzione, l’argomento è stato affrontato dalla cancelliera nel corso della conferenza stampa congiunta a Palazzo Chigi.

Così come già evidenziato nell’articolo di Clarissa Gigante, Angela Merkel ha dato il suo appoggio all’Italia sull’immigrazione ma sottolineando l’importanza “di parlare con l'Unhcr e con i responsabili delle Ong per garantire degli standard ragionevoli e il rispetto dei diritti umani”.

Poi, il capo dell’esecutivo tedesco sottolinea il Giornale ha affermato come nella nuova commissione europea, che per la verità sta stentando e non poco a nascere, ci sarà spazio per la tematica sull’immigrazione e dunque per un sostegno all’Italia anche sulla redistribuzione. E qui la Merkel ha tirato fuori il vertice di Malta: “Una divisione equa dei compiti richiede ancora un po' di tempo – ha argomentato la cancelliera – Quindi trovo giusto che a Malta ci sia stato un primo passo. È stato lanciato un messaggio positivo, ma molto resta da fare. I paesi rivieraschi che difendono i confini esterni dell'Ue non possono essere abbandonati”.

Un discorso che è apparso musica per le orecchie di un Giuseppe Conte che, durante le sue prime giornate da guida del suo secondo governo, ha puntato molto sul sostegno tedesco all’immigrazione. Ma le parole di Angela Merkel, belle in politichese, sono apparse ben lontane dalla realtà: in primo luogo perché è risaputo che il vertice di Malta è stato un bluff, in secondo luogo perché è stato lo stesso governo tedesco, per bocca del ministro dell’interno Seehofer, a parlare di indietreggiamento dalle già flebili intese di Malta in caso di aumento degli sbarchi.

Quello della Merkel, e questo Conte lo sa benissimo, è soltanto fumo gettato negli occhi di un’Italia che però in questa fase sente quasi come il bisogno di sentir pronunciare promesse su aiuti, redistribuzione e collaborazione sull’immigrazione.

Nessuna parola è stata invece spesa sul presunto accordo, rivelato da Die Welt, circa i voli che l’Italia potrebbe autorizzare per portare qui i migranti espulsi dalla Germania, i cosiddetti “dublinanti”. Nessuna conferma, ma anche nessuna smentita in merito.

La sensazione dunque, è che i tentativi di Conte e del suo governo di bloccare ogni contrasto con la Germania, presentando sul piatto della scena internazionale la ritrovata amicizia con Berlino, non stia producendo alcun effetto. Sull’immigrazione la Merkel non affianca alle belle parole anche i fatti concreti, su bilanci e manovre non sembra esserci spazio per la tanto auspicata maggiore flessibilità, sugli altri dossier, a partire da quello libico, l’agenda è dettata in modo perentorio da Berlino.

La visita della Merkel a Roma dunque, più che una luna di miele sembra aver certificato un rapporto dove a mancare è soprattutto la reciprocità: c’è una parte che applaude e sorride, ossia l’Italia, mentre dal canto suo la Germania pensa a mantener politicamente buono l’amico italiano ritrovato.

Come sottolinea il quotidiano il giornale la corte di giustizia dell’Unione Europea al contempo, ha stabilito dunque come anche in caso di comportamento violento nessuno può essere espulso da un centro d’accoglienza. Chi si rende protagonista in futuro di simili episodi, può essere raggiunto al massimo da sanzioni ma non può essere mandato via.

“Gli Stati membri – si legge nella sentenza – hanno l’obbligo di assicurare in modo permanente e senza interruzioni un tenore di vita dignitoso e le autorità incaricate dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale devono assicurare, in modo regolato e sotto la propria responsabilità, un accesso alle condizioni di accoglienza idoneo a garantire tale tenore di vita”.  

secondo i giudici, in particolare, gli Stati comunitari sono tenuti ad impegnarsi affinché ad ogni richiedente asilo non venga mai negato l’accesso ai propri mezzi di sostentamento, quali in primis il vitto, l’alloggio od il vestiario.

Nelle scorse ore, è arrivata la pronuncia della corte di giustizia dell’Unione Europea che ha di fatto condannato la punizione inflitta al cittadino afghano.  

L’espulsione, seppur temporanea, del cittadino afghano avrebbe comportato a quest’ultimo un grave danno in quanto secondo i giudici il richiedente asilo in questione è stato privato dei basilari mezzi materiali di sostentamento.

In poche parole, anche se un richiedente asilo dovesse rendersi protagonista di un comportamento ritenuto violento o non in linea con le tenute di condotta all’interno di una struttura che lo ospita, nessuno può revocargli l’assistenza.

Il caso è nato in Belgio, lì dove a causa di una lite un cittadino di origine afghana è stato espulso per 15 giorni da un centro d’accoglienza. Il richiedente asilo in questione si è reso in quell’occasione protagonista di comportamenti violenti. Ma non solo: secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il giovane afghano avrebbe partecipato alla lite per contrasti con richiedenti asilo di altre etnie, segno di una difficile convivenza tra alcuni ospiti.  

Se questo non dovesse accadere, pur in presenza di comportamenti violenti da parte di un migrante, si rischierebbe l’accusa di privare un individuo dei propri basilari diritti.

La sentenza, come detto, è destinata a far discutere. Anche in Belgio c’è chi già in queste ore sta sollevando non poche obiezioni. Il timore, specie da parte dei gestori dei centri, è che senza l’espulsione anche in presenza di fatti gravi e violenti potrebbe mancare ogni deterrenza, con la conseguenza che taluni soggetti avrebbero via libera a compiere altri atti del genere.

 

 

 

 

Da un anno è stato aperto un fascicolo in Procura sotto il coordinamento del pool antiterrorismo del magistrato Alberto Nobili. Sopravvissuta all'Olocausto dopo la deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz, la Segre ha ammesso che attraverso i social network riceve circa 200 messaggi al giorno che incitano all'odio razziale: "Sono persone per cui avere pena e vanno curate". Durante un incontro all’università Iulm ha detto che spera sempre in un loro recupero dl punto di vista etico e morale: "La speranza in una nonna c’è sempre, ma la realtà qualche volta si abbatte sopra la speranza con una bastonata tremenda. Io di bastonate ne ho prese tante e sono ancora qui". La senatrice a vita si è rivolta più volte agli haters: "Ogni minuto della nostra vita va goduto e sofferto. Bisogna studiare, vedere le cose belle che abbiamo intorno, combattere quelle brutte e non perdere tempo a scrivere a una 90enne per augurarle la morte. Tanto c’è già la natura che ci pensa".

Matteo Salvini commenta l'assegnazione della scorta alla senatrice a vita Liliana Segre, dopo l'ammissione di ricevere oltre 200 messaggi di odio al giorno sui social network: "Anche io ricevo minacce, ogni giorno. Le minacce contro la Segre, contro Salvini, contro chiunque, sono gravissime".  

La misura di protezione - che già da tempo era sotto esame - è stata disposta nel pomeriggio di ieri, nel corso del Comitato per la sicurezza e l'ordine pubblico presieduto dal prefetto Renato Saccone e al cui tavolo erano presenti anche i vertici cittadini delle forze dell'ordine. Il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese ha inserito il provvedimento di tutela nelle priorità. Ora dunque, come riporta il Corriere della Sera, in ogni spostamento e uscita pubblica sarà protetta. Va sottolineato che si tratta di un livello più blando di scorta, con un'auto e due uomini delle forze dell'ordine. La decisione è stata presa in seguito sia all'escalation di commenti offensivi e insulti apparsi recentemente sui social nei suoi confronti sia all'intensificazione degli impegni pubblici che la vedono protagonista.

Intanto ieri fuori dal Municipio 6, a Milano, è apparso uno striscione con la firma di Forza Nuova: "Sala ordina: l'antifà agisce. Il popolo subisce". La vicenda è stata denunciata da Santo Minniti, il presidente Pd del Municipio che governa il territorio tra Barona, Giambellino e Lorenteggio. La Segre aveva in programma una conferenza insieme a don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria, davanti a centinaia di studenti.

In seguito alle minacce via web e allo striscione di Forza nuova esposto nel corso di un appuntamento pubblico a cui partecipava a Milano, il prefetto Renato Saccone ha deciso di assegnare la tutela alla senatrice a vita Liliana Segre, ex deportata ad Auschwitz, che, da oggi, avrà due carabinieri che la accompagneranno in ogni suo spostamento. La notizia è pubblicata su alcuni quotidiani milanesi

La decisione, spiegano i quotidiani, è stata presa durante il Comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza che si è tenuto ieri. Sugli insulti e minacce ricevuti dalla senatrice via web la Procura di Milano ha aperto un'inchiesta allo stato contro ignoti. A occuparsene è il Dipartimento antiterrorismo.

"Le minacce contro Segre, contro Salvini, contro chiunque sono gravissime". Lo ha detto il leader della Lega Matteo Salvini lasciando una manifestazione di Coldiretti in corso in piazza Montecitorio, riferendosi all'assegnazione della scorta alla senatrice a vita. "Anche io ne ricevo quotidianamente", ha

Testimone della Shoah, sopravvissuta all'orrore di Auschwitz, ebrea italiana colpita dalle Leggi razziste volute da Benito Mussolini duce del Fascismo e firmate da re Vittorio Emanuele III: Liliana Segre, 89 anni, e' nata a Milano il 10 settembre del 1930 in una famiglia ebraica laica, figlia di Alberto e Lucia Foligno, che muore quando lei ha meno di un anno.

Una ragazza italiana come tante su cui nel 1938 si abbatte la violenza vergognosa della discriminazione razziale. Da allora nulla sara' come prima per tanti ebrei italiani come Liliana, che a 8 anni viene espulsa dalla scuola.

Alla discriminazione segue la persecuzione. Nei primi giorni del dicembre del 1943, Segre con il padre e due cugini prova a scappare in Svizzera. "Fu la prima volta che sentii questa parola: 'scappare'. Scappare - ha raccontato nel 'Libro della Shoah italiana' di Marcello Pezzetti (Einaudi) - e' cosi' terribilmente negativo come termine... e' un ladro che scappa, e' qualcuno inseguito che scappa. Beh, noi non eravamo ladri, ma certamente eravamo inseguiti". Catturata dai gendarmi svizzeri, viene rispedita in Italia: arrestata, e' richiusa prima nel carcere di Varese, poi in quello di Como e infine a Milano, a San Vittore, dove rimane per 40 giorni. Nel gennaio successivo viene consegnata alle SS e deportata con il padre in Germania: internata nel campo di sterminio di Birkenau-Auschwitz, e' rinchiusa nella sezione femminile insieme ad altre 700 ragazze e 60.000 donne di tutte le nazionalita'. Le viene imposto un numero di matricola tatuato sul braccio (n.75190): non ha ancora 14 anni.

Il padre viene ucciso il 27 aprile del 1944. Nel 1945 i nazisti, in fuga dall'avanzata dell'Armata Rossa, sgombrano il campo trasferendo verso la Germania Liliana e altri 56.000 prigionieri nella terribile 'Marcia della Morte'. Internata prima nel campo femminile di Ravensbruck e poi in quello di Malchow, nel nord della Germania, la ragazza italiana viene liberata dai sovietici il 30 aprile del 1945. Dei 776 bambini italiani di eta' inferiore ai 14 anni deportati ad Auschwitz, la Segre e' tra i soli 25 sopravvissuti.

Rientra a Milano nell'agosto del 1945. Ci sono voluti 45 anni a Liliana per "rompere il silenzio" sulla Shoah, come e' accaduto a molti sopravvissuti: solo nel 1990 comincia a raccontare incontrando studenti e professori. Da allora non si e' piu' fermata. "Spero che almeno uno di quelli che hanno ascoltato oggi questi ricordi di vita vissuta - ha detto in sua testimonianza - li imprima nella sua memoria e li trasmetta agli altri, perche' quando nessuna delle nostre voci si alzera' a dire 'io mi ricordo' ci sia qualcuno che abbia raccolto questo messaggio di vita e faccia si' che 6 milioni di persone non siano morte invano per la sola colpa di essere nate. Altrimenti tutto questo potra' avvenire nuovamente, in altre forme, con altri nomi, in altri luoghi, per altri motivi. Ma se ogni tanto qualcuno sara' candela accesa e viva della memoria, la speranza del bene e della pace sara' piu' forte del fanatismo e dell'odio".

Intanto l'ex ministro dell'Interno è intervenuto anche sul caso ex Ilva, attaccando duramente e senza mezzi termini l'esecutivo giallorosso: "Abbiamo al governo dei pericolosi incapaci. Non ho più parole per un governo di pericolosi incompetenti. Abbiamo il dovere di mandarli a casa. Prima vanno a casa meglio è". Nel suo mirino è finito soprattutto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: "Ho smesso da tempo di credergli...". Ha poi tuonato nuovamente contro M5S e Pd: "O tornano indietro e chiedono scusa o sarà per l'Italia un danno irreparabile. Se Ilva dovesse morire se lo portano sulla coscienza. Poi andassero a Taranto. La prossima non vorrei che fosse Alitalia". E li ha definiti dei "matti" poiché "un governo normale" si sarebbe dovuto porre il problema già in precedenza: "Chi ci mette i soldi? Con quale commissario? Quale piano industriale?".  

A margine della manifestazione di Coldiretti a Montecitorio dopo l'allarme scattato in Lombardia per l'invasione dei cinghiali e degli altri animali selvatici che rischiano di distruggere i raccolti agricoli, il leader della Lega ha lanciato l'idea di un piano per l'abbattimento: "Tra un pò i cinghiali ci entrano in camera da letto. Bisogna abbattere quello che la natura vuole che torni dai propri spazi. La campagne e le città vanno gestite e non da qualche ambientalista da salotto". C'è da considerare appunto l'esigenza di un ripristino dell'equilibrio della natura: "Nessuno di noi ma è cattivo, ma mi sembra un diritto difendere le proprie bestie e i propri raccolti". Dunque c'è la necessità di un "piano di ridimensionamento e abbattimento di quella che è ormai diventata una calamità naturale".

La Lega si è detta pronta a discutere per tentare di trovare una soluzione: "Se ci saranno proposte utili per salvare posti di lavoro la Lega ci sarà". Ma Salvini ha ribadito come a oggi "non abbiamo ancora capito nulla". Dal suo canto "bisognerebbe tornare indietro, allo scudo proposto, promesso e votato". Intanto l'Italia sta dando "un'immagine pessima al mondo: così gli imprenditori penseranno che l'Italia sia un Paese di truffatori, con i governi che firmano gli accordi e poi li disdicono".

"Abbiamo seguito con grande preoccupazione l'attacco ai militari italiani in Iraq e seguiamo da vicino gli sviluppi". Così l'Alto rappresentante dell'Ue Federica Mogherini esprimendo vicinanza alle autorità italiane, al suo arrivo alla riunione dei ministri degli Esteri dell'Ue.

L'attentato, riferisce lo Stato maggiore della Difesa, è avvenuto in mattina quando un Ied, un ordigno esplosivo rudimentale, è detonato al passaggio di un team misto di Forze speciali italiane in Iraq.

Il team stava svolgendo attività di addestramento ("mentoring and training") in favore delle forze di sicurezza irachene impegnate nella lotta all'Isis.  L'attentato è avvenuto intorno alle 11 locali, nella zona di Suleymania, nel Kurdistan iracheno. Ad essere coinvolti sono stati i commandos della task force presente in quell'area, che stava svolgendo un'attività di supporto ad una unità di forze speciali dei Peshmerga. I cinque feriti, sempre secondo quanto è stato possibile apprendere, sono tre incursori della Marina (appartenenti al Goi, il Gruppo operativo incursori) e due dell'Esercito (9/o Col Moschin).

I cinque militari coinvolti dall'esplosione sono stati subito soccorsi, evacuati con elicotteri USA facenti parte della coalizione e trasportati in un ospedale "Role 3" dove stanno ricevendo le cure del caso.

Tre dei cinque militari sono in condizioni gravi, ma non sarebbero in pericolo di vita. I tre militari sono tutti in prognosi riservata ed attualmente ricoverati in un ospedale militare a Baghdad. Dei tre il più grave ha riportato un'emorragia interna; un altro ha perso alcune dita di un piede e il terzo ha gravissime lesioni a entrambe le gambe, che sono state parzialmente amputate. Gli altri due militari coinvolti nell'esplosione, invece, hanno riportato solo micro fratture e lesioni minori.

Attentato con finalità di terrorismo e lesioni gravissime, reati per i quali procede la Procura di Roma che ha aperto un fascicolo di indagine in relazione al ferimento di 5 soldati italiani avvenuto oggi in Iraq. Le indagini sono state affidate dal pm Sergio Colaiocco ai carabinieri del Ros.

L'attentato in Iraq ai militari italiani è "il rischio" che corre chi "opera sul campo": perché l'addestramento "non si fa in una caserma ma sul terreno". Lo dice il generale Marco Bartolini, ex comandante della Folgore e del contingente italiano in Afghanistan ma soprattutto ex capo delle forze speciali italiane. "I militari che operano sul campo sono persone preparate, che sanno quello che fanno e lo fanno con passione - dice il generale - Ma in quelle situazioni, e soprattutto contro gli Ied, non esiste una contromisura che garantisca la sicurezza assoluta".

Cosa facevano le forze speciali italiane si domanda il quotidiano il Giornale, quando ieri mattina sono state colpite non lontano da Kirkuk? Secondo le notizie diffuse ieri dallo Stato maggiore della Difesa, “il team stava svolgendo attività di mentoring and training a beneficio delle Forze di sicurezza irachene impegnate nella lotta al Daesh (Isis, Ndr)”. Eppure, questa versione non convince. 

È possibile che gli uomini del Comsubin e del Nono reggimento d’assalto Col Moschin siano stati impiegati “solamente” come addestratori dell’esercito iracheno? Fonti militari contattate da InsideOver affermano che “se le forze speciali escono dalla base è per fare qualche operazione. Altrimenti rimangono dentro”. Cadrebbe quindi l’ipotesi dello Stato maggiore della Difesa, che parla di “attività di mentoring and training”. Le stesse fonti militari fanno sapere a InsideOver che è probabile che lo Stato maggiore della Difesa abbia deciso di mantenere un profilo basso per salvaguardare l’operazione di ieri.  

Come scrive Fausto Biloslavo su il Giornale di oggi, però, sono tante le cose che non tornano: “La zona dell’attacco è molto delicata e infestata dai resti dell’Isis. Difficile che i corpi speciali fossero impegnati solo in addestramento in una missione iniziata in piena notte, ben prima dell’alba, e siano incappati per caso su una trappola esplosiva. L’area non lontana da Kirkuk, oltre il fiume Tigri, è quella montagnosa di Ghara, non lontana da Palkana, dove si sono insediati diversi combattenti dell’Isis sopravvissuti alla disfatta di Mosul e all’eliminazione della sacca di Hawija”. Giampaolo Cadalanu, su Repubblica, prova a ricostruire ciò che potrebbe esser successo ieri: “L’assistenza durante le operazioni contro le cellule nascoste, o contro nuclei jihadisti, sembra più plausibile”.  

La missione condotta dai soldati italiani non avrebbe quindi nulla a che fare con Prima Parthica, iniziata il 14 ottobre del 2014 con il compito di aiutare e addestrare le forze curde e irachene nella lotta contro l’Isis. Un’ulteriore traccia del fatto che la caccia alle bandiere nere in Iraq prosegue nel silenzio generale è fornita da Agenzia Nova, che parla di un’operazione lanciata a sud di Kirkuk, “nella zona del lago Hamrin, nella provincia nord-orientale di Diyala”. Non lontano da dove sono stati colpiti ieri i militari italiani. 

Sarebbe stata dunque la presenza dei veterani delle bandiere nere ad aver fatto scattare l’operazione congiunta tra curdi e italiani. Gli incursori del Nono reggimento Col Moschin e del Comsubin fanno infatti parte della Task Force 44 che, come spiega un’inchiesta del Fatto Quotidiano, è attivamente impiegata nella lotta contro lo Stato islamico in quella che è stata battezzata “operazione Centuria”. Accanto alla Tf44 sarebbero attivi elementi del “17° Stormo dell’Aeronautica e i Gis dei Carabinieri, solitamente supportati dai ricognitori del 185° Folgore e dai Ranger del 4° Alpini”.  

Il contributo italiano alla missione, iniziata il 14 ottobre 2014, scrive l'agenzia ansa prevede un impiego massimo di 1.100 militari, 305 mezzi terresti e 12 mezzi aerei. La missione prevede in particolare l'addestramento delle forze di sicurezza curde ed irachene - con il personale italiano dislocato tra Erbil, nel Kurdistan iracheno, e Baghdad - la ricognizione aerea con i droni e attività di rifornimento carburante in volo per i velivoli della coalizione. Ad Erbil opera il personale dell'Esercito nell'ambito del 'Kurdistan Training Coordination Center' il cui comando è attribuito alternativamente per un semestre all'Italia e alla Germania.

A Baghdad e a Kirkuk - dove oggi c'è stato l'attentato - sono invece impegnati gli uomini delle forze speciali, appartenenti a tutte le forze armate italiane, che hanno il compito specifico di addestrate i militari iracheni del 'Counter Terrorism Service (Cts) e le forze speciali e di sicurezza curde. Nella capitale irachena sono poi dislocati altri 90 militari nell'ambito della 'Police task force Iraq', che ha il compito di addestrare i poliziotti iracheni che devono operare nelle zone liberate dall'Isis.

Per quanto riguarda infine l'impegno dei mezzi aerei, 4 elicotteri da trasporto Nh90 sono schierati ad Erbil mentre in Kuwait sono schierati i Boeing Kc 767 A, gli Eurofighters e i Predator. A questi velivoli è affidato il compito di rifornimento in volo e sorveglianza del territorio.

Le forze dei vari Paesi che aderiscono alla coalizione operano in base a due risoluzioni dell'Onu: la numero 2170 del 15 agosto 2014 e la numero 2178 del 27 settembre 2014, sulla base della richiesta di soccorso presentata il 20 settembre 2014 dal rappresentante permanente dell'Iraq presso l'Onu al Presidente del Consiglio di Sicurezza.

I caduti italiani in missione all'estero dal secondo dopoguerra in poi sono moltissimi. Il primo fu, nel 1949, il finanziere Antonio Di Stasi, ucciso in Eritrea da banditi che lo trafissero con colpi di scimitarra.

Secodo Il Giornale.it fu solo la partenza di una lunga scia di sangue che nei decenni ha visto morire, in missione di pace in nome della Patria, centinaia di soldati. Per citarli tutti, assieme alle loro storie, occorrerebbe un'enciclopedia. E moltissimi sono anche i feriti. I fatti che si ricordano di più sono quelli di Kindu, dove nell'eccidio persero la vita 13 aviatori della 46esima Brigata aerea dell'Aeronautica militare, trucidati in Congo. Mogadiscio, 2 luglio 1993, Checkpoint Pasta: nello scontro a fuoco morirono 3 militari e altri 22 rimasero feriti, tra questi l'allora sottotenente Gianfranco Paglia, medaglia d'oro al valore militare. Nassiriya, 12 novembre 2003. In uno dei primi attentati nella città irachena morirono 28 persone, tra cui 19 italiani. Nel corso dell'operazione Antica Babilonia molti furono i caduti italiani a causa di attentati terroristici o incidenti sul campo. Afghanistan, missione Isaf: sono 54 i morti in missione. Le famiglie ancora oggi chiedono di ricordarli, ma lo Stato sembra averli dimenticati.

«Caduti e feriti - racconta l'ex comandante del Coi (comando operativo di vertice interforze), generale Marco Bertolini al quotidiano il Giornale - ci sono perché ci troviamo in zone sostanzialmente se non in guerra comunque interessate da situazioni conflittuali molto difficili dove sono le armi a essere utilizzate per affrontare i problemi. Spesso dimentichiamo: è come se facessimo finta di non saperlo, ma abbiamo militari che operano in zone dove c'è un'opposizione armata al governo che i nostri cercano di supportare». E prosegue: «In Iraq siamo per dare una mano al governo iracheno che ancora fronteggia lo Stato islamico e i nostri addestrano i militari locali. Ne vale la pena? Il nostro non è un piccolo Paese, ma è immerso in una fetta di mondo molto turbolenta e non possiamo far finta di essere in mezzo all'Atlantico o sulla luna. I fatti nostri, purtroppo - conclude - sono anche questo, perché quello che accade laggiù può avere ripercussioni anche da noi».

Oltre ai caduti nelle varie missioni di pace abbiamo anche numerosi feriti, molti dei quali oggi fanno parte del gruppo sportivo paralimpico Difesa, che ha ottenuto numerose medaglie in varie discipline. I militari italiani che operano all'estero sono 6.290 stabili e un migliaio in flessibilità (ovvero che operano per un tempo limitato). Il 46 per cento del totale è impiegato in Asia, il 34 in Europa e il 20 per cento in Africa. Le missioni attive allo stato attuale sono in Iraq, Afghanistan, Libano, Kosovo, Somalia, ma abbiamo militari anche in Palestina, Libia, Tunisia, Egitto, Gibuti, Mali, Niger, Somalia, Repubblica Centrafricana, W.Sahara, Albania e sulle navi per l'operazione Mare Sicuro.

 

 

 

I giovani del Sud continuano a fuggire. Crollano gli investimenti pubblici. Male l’agricoltura, bene il terziario. L’industria stenta. Scarsi i servizi ai cittadini, a partire dalla sanità e dalla scuola. Sul piano occupazionale, il reddito di cittadinanza ha avuto un impatto nullo. Non solo: «invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro».

«Dall’inizio del nuovo secolo hanno lasciato il Mezzogiorno 2 milioni e 15 mila residenti, la metà giovani con una età fino a 34 anni, quasi un quinto laureati». Così il Rapporto Svimez, che lancia l’allarme sulla «trappola demografica». In Italia nel 2018 si è raggiunto «un nuovo minimo storico delle nascite», si ricorda, sottolineando che al Sud sono nati circa 157 mila bambini, 6 mila in meno del 2017. La novità, spiega, è «che il contributo garantito dalle donne straniere non è più sufficiente a compensare la bassa propensione delle italiane a fare figli».

La popolazione meridionale è cresciuta di soli 81mila abitanti a fronte di circa 3.300.000 al Centro-Nord. Nello stesso periodo la popolazione autoctona del Sud è diminuita di 642.000 unità mentre al Nord è cresciuta di 85.000. Nel corso dei prossimi cinquant'anni si stima che il Sud perderà 50 milioni di residenti. Nel 2018, inoltre, sono nati solo 157 mila bambini, 6 mila in meno rispetto al 2017. 

Accanto alla crisi demografica, si sta verificando un vero e proprio esodo di giovani meridionali che emigrano al Nord o all'estero in cerca di lavoro. Negli ultimi decenni più di due mila residenti hanno lasciato il Mezzogiorno, si tratta soprattutto di giovani laureati. Un'alternativa all'emigrazione è il pendolarismo di lungo periodo, che nel 2018 ha interessato circa 236mila persone nelle regioni meridionali. 

Nel 2018 il Pil al Sud è cresciuto dello 0,6% rispetto all'1% del 2017. Ristagnano soprattutto i consumi (+0,2%) mentre al Centro-Nord sono cresciuti dello 0,7%, recuperando e superando i livelli pre-crisi. Secondo le stime della Svimez il Pil al Sud nel 2019 calerà dello 0,2% mentre al Centro-Nord aumenterebbe dello 0,9%. I consumi alimentari sono scesi dello 0,5% in seguito alla caduta dei redditi e dell'occupazione

Si registra un crollo degli investimenti pubblici: nel 2018, secondo i calcoli della Svimez, la spesa in conto capitale è scesa al Sud da 10,4 a 10,3 miliardi. Nello stesso periodo al Centro-Nord è passata da 22,2 a 24,3 miliardi. Crescono, invece, gli investimenti privati nelle costruzioni che segnano un +5,3% mentre si sono fermati quelli in macchinari e attrezzature. 

I consumi alimentari sono calati del 5%. Si stima che nel corso dei prossimi cinquant'anni il Sud perderà 5 milioni di residenti. Le regioni meridionali sono ultime in Europa per il tasso di occupazione femminile. Questi sono solo alcuni dei dati principali emersi dal rapporto Svimez 2019 sull'economia e la società del Mezzogiorno, presentato a Montecitorio. 

Secondo lo studio della Svimez nell'ultimo ventennio la politica economica nazionale ha disinvestito dal Mezzogiorno e ha aumentato in questo modo il divario tra Nord e Sud. L'indagine ha analizzato, inoltre, l'impatto del reddito di cittadinanza ed è arrivata alla conclusione che «la povertà non si combatte solo con un contributo monetario e che identificare la misura come una politica per il Mezzogiorno è scorretto, perché si basa sulla dannosa semplificazione che vorrebbe dividere il Paese nei due blocchi contrapposti e indipendeti di un un Nord-produttivo e un Sud-assistito». 

Nel corso della presentazione è intervenuto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ha sottolineato l'importanza centrale e strategica delle regioni meridionali. «Se riparte il Sud, riparte l’Italia: questo non è uno slogan ma un dato di realtà. Nell’ultimo ventennio, la politica economica nazionale ha disinvestito dal Mezzogiorno, ha svilito - anziché valorizzato - le sue interdipendenze con il Centro-Nord. Questo progressivo disimpegno della leva nazionale delle politiche di riequilibrio territoriale ha prodotto conseguenze negative per l’intero Paese». 

Ha assicurato che «La determinazione del governo nell’invertire questo indirizzo è massima, tanto che il piano per il Sud partirà entro fine anno». 

«Nonostante gli sforzi compiuti per arrestare la progressiva contrazione della domanda di lavoro, molto ancora resta da fare per assicurare adeguate prospettive occupazional. Il Sud sta soffrendo e il senso di declino, avvertito soprattutto dai giovani come inesorabile, ha un fondamento purtroppo. 

Questi sentimenti di sfiducia e di rassegnazione, come dimostra il rapporto Svimez, hanno un fondamento razionale: i dati macroeconomici e le analisi sul tessuto sociale e produttivo del Sud non sono incoraggianti. Il Sud non può più attendere, la sfida è davanti a noi», ha aggiunto Conte, il primo Presidente del Consiglio che ha partecipato all'evento annuale della Svimez. Ha evidenziato, inoltre, quanto sia importante il lavoro: «Non è solo fonte di reddito, ma è fonte di dignità».                                      

Durante l'evento il direttore della Svimez Luca Bianchi presentando il rapporto «Il Mezzogiorno nella nuova geografia europea delle disuguaglianze» ha toccato i punti cruciali dell'attuale situazione che il Sud si sta trovando a vivere. 

Le regioni meridionali per la percentuale di donne che lavorano sono il fanalino di coda di tutta l'Europa. Il tasso di occupazione femminile è fermo al 20%. L'emergenza riguarda soprattutto le giovani donne tra i 15 e i 34 anni di età, che si sono ridotte di oltre 769mila unità. È aumentato, inoltre, il part-time involontario: nell'ultimo decennio è stata stimata una crescita del 97,2%. 

Il tasso di abbandono scolastico al Sud dopo aver conseguito la licenza della terza media è del 18,8% contro l'11,7% del Centro-Nord. La media europea è del 10,6%. Si è interrotto in questo modo il processo di convergenza delle regioni meridionali verso gli standard europei. Le infrastrutture scolastiche del Sud, inoltre, presentano dei servizi inferiori a quelli nazionali. La maggior parte delle classi per esempio non ha il tempo pieno. Più in generale si registra un ampio divario nei servizi dovuto soprattutto a una minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali in termini di sicurezza, di idoneità dei servizi sanitari e di cura. 

Nonostante questa carrellata di dati negativi, è necessario evidenziare anche l'eccellenze del Sud-Italia: come l'Università Federico II di Napoli  che ha sviluppato vari progetti come la riqualificazione del quartiere San Giovanni o la Apple Developer Academy. Da segnalare anche il programma di U-Link Accademy in Basilicata. 

Da non dimenticare infine l'importanza della bioeconomia meridionale, che si può valutare tra i 50 e i 60 miliardi di euro, equivalenti a un peso tra il 15 e il 18% di quello nazionale. Le imprese del bio-tech, inoltre, sono cresciute molto nelle aree meridionali e hanno segnato un +61,6% contro un +34,5 su scala nazionale. 

Il rapporto della Svimez, infine, ha indicato le linee guida per far crescere il Mezzogiorno: investire più risorse pubbliche, rafforzare le politiche di coesione e puntare sul Green New Deal. 
 

 

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