Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Lunedì, 29 Aprile 2024

Convegno Nazionale per la…

Apr 23, 2024 Hits:312 Crotone

L'Associazione "Pass…

Apr 05, 2024 Hits:773 Crotone

Ritorna Calabria Movie Fi…

Apr 03, 2024 Hits:816 Crotone

La serie evento internazi…

Mar 27, 2024 Hits:959 Crotone

L'I.C. Papanice investe i…

Mar 01, 2024 Hits:1516 Crotone

Presentato il Premio Nazi…

Feb 21, 2024 Hits:1622 Crotone

Prosegue la formazione BL…

Feb 20, 2024 Hits:1439 Crotone

Si firmerà a Crotone il M…

Feb 14, 2024 Hits:1607 Crotone

Friedrich Reck

Settanta anni fa, il 16 febbraio 1945, nel campo nazista di Dachau, veniva ucciso con un colpo alla nuca Friedrich Reck. Era nato a Malleczewen, nella Prussia orientale nel 1884 da una aristocratica famiglia protestante. Si laureò in medicina, ma la sua grande passione era la scrittura alla quale si dedicò scrivendo, fra l’altro, anche molti libri per ragazzi.

Molto famoso in Italia per il volume Il re degli anabattisti (Res Gestae ed.), storia ambientata nel XVI secolo nella città di Munster dove si realizzerà un esperimento sociale nel quale Reck vede la prefigurazione del terrore giacobino e di quello bolscevico. Volume che, appena pubblicato nel 1937, fu subito proibito, forse vi si vedeva una descrizione della follia costruita da Adolf Hitler.

Reck era uno strenuo oppositore del regime nazionalsocialista e la sua villa vicino Monaco, dove si era trasferito nel 1933 quando si convertì al cattolicesimo, era diventata luogo di incontro di numerosi oppositori del regime fino al dicembre del 1944 quando, una soffiata, lo fece arrestare e condurre nel lager di Dachau.

Nel giardino della sua casa fu ritrovato, dopo la sua morte, nascosto in una scatola di latta, il suo diario che descrive in modo spietato gli eventi dal 1936 al 1944. È un’analisi anche ironica dove si mettono a nudo le debolezze e le molte complicità nella società tedesca, una critica ad un mondo colpevole di aver accettato e sostenuto l’ascesa del regime.

Le parole di Hannah Arendt descrivono molto bene lo spirito di questo grande aristocratico tedesco: «La coscienza in quanto tale era morta, in Germania, al punto che la gente non si ricordava più di averla. Ma ci furono anche individui che si opposero senza esitazione a Hitler e al suo regime. Di pochissimi conosciamo il nome, come lo scrittore Friedrich Reck e il filosofo Karl Jaspers».

L’editore Castelvecchi ripropone l’edizione di quel diario col titolo che voleva lo stesso autore, Diario di un disperato, nella stessa traduzione uscita da Rusconi nel 1970.

Ci risiamo con una vicenda che ormai si ripete annualmente: sì, perché se ogni 25 Dicembre arriva Natale, rispunta insieme e puntuale un “primo della classe” che vorrebbe cancellarlo. A dire il vero ci aveva pensato subito…Erode col metodo radicale della “strage degli Innocenti” e del tentato infanticidio del Bambino; ma molti, dopo di lui, ci riprovano con tanti modi come chi vorrebbe trasformarlo nella festa pagana “della luce” o “di fine anno” o impedendo, appunto, l’allestimento del presepio.

Rimango sbalordito e indignato nel constatare come minuscoli detentori nostrani di qualche ritaglio di potere “giudicano e mandano” blaterando di “multiculturalismo”, “uguaglianza tra religioni”, “libertà”, “democrazia” e via cantando con altre parole “talismano” inventate dal Mondo Moderno. Ma la loro è stoltezza. Infatti, se – come sembra – il “signor preside” ha proibito il presepio per non fare un “affronto” allo “zero-virgola” di alunni islamici presenti nella sua scuola, ha cannato in pieno per svariati motivi che nel presente “foglietto” tento di riassumere con i “4” miei amici e benevoli lettori:

1°) perché – a fronte di quello “zero-virgola” – la stragrande maggioranza del popolo italiano, compresa quella parte che non frequenta le chiese, ama e vuole, per secolare tradizione, il presepio o il Crocifisso o gli altri segni del sacro anche nei luoghi cosiddetti pubblici come le scuole; quei segni che fanno parte della nostra civiltà che, piaccia o no, è cristiana; da 2 mila anni.

2°) perché è pia illusione, mista a molta ignoranza, credere che vocaboli propri della cultura occidentale – quali, ad esempio, “democrazia”, “libertà” – abbiano uguali peso e valore presso tutti gli islamici e gli orientali in genere; ne consegue che, se il “nostro”, in sua scienza, ha cogitato con la sparata contro il presepio di favorire il “dialogo” (altra parola magica dell’Occidente infrollito!) ignora che il vero musulmano – giustamente secondo me – si rifiuta di “dialogare” con lo stolto che, spogliandosi nudo, volontario, della sua tradizione, s’è, così, ridotto a “niente”. Ciò avviene pel motivo lapalissiano che con/sul “niente” non può esservi parola né dialogo di sorta; anzi il credente in Maometto, erede consapevole di una grande religione come l’Islam, non potrà che disprezzare lo stolto che s’è spogliato della sua! Se poi è un islamico “fanatico” o “fondamentalista”, come se ne scorgono ormai molti all’orizzonte – intendo quelli di “Allah akbar!” col coltello pronto – allora è meglio che gli occidentali ancora cristiani o già neopagani, ritornino a segnarsi la Croce alla fronte e prepararsi al peggio.

3°) perché è altra illusione che gli islamici, a contatto con gli occidentali, possano “convertirsi”. Mi domando: convertirsi a chi e a cosa se gli europei – specie gli ex protestanti riformati delle nazioni del Nord – stanno apostatando dalla loro religione per un paganesimo vissuto? Convertirsi al… “nulla”? Via, siamo seri! Alcuni, poi, che non credono alla “conversione”, essendo questa una parola di sapore eminentemente “religioso/spirituale”, sperano almeno in una più facile “corruzione” di quelli che, stabilitisi in Europa, facciano proprio il neopaganesimo di questa propagandato e diffuso ormai da tutti i mezzi di comunicazione: indifferentismo religioso, libertà sessuale, edonismo, aborto, disordine familiare, omosessualismo, ideologia del gender… Attenzione! Intanto la “conversione/corruzione” dei musulmani è ancora tutta di là da venire e da dimostrare e, qualora lo fosse in futuro per un numero di essi, l’intellettuale liquido e nichilista non tiene conto di “minoranze” islamiche, quelle “fondamentaliste”, che difficilmente si lasceranno rammollire; l’occidentale del “cupio dissolvi” (voglia di autodistruzione) forse non immagina – povero lui! – il “disturbo” che una tal “minoranza” jihadista e fanatica potrà procurare a lui per primo, al suo relativismo, alla sua quiete, alla sua libertà assoluta, al suo pacifismo, ai suoi soldi, al suo individualismo postmoderno…

4°) perché le famiglie islamiche – forse anche quelle degli alunni della scuola del “nostro” – hanno, come molti di noi, “popolo”, ben altri problemi fra le mani che andarsi ad impicciare di “cultura” o di “multicultura” o chiedere la rimozione del Crocifisso dalle pareti e del presepio; forse parecchie di esse per sopravvivere, bussano alle porte delle Caritas e delle nostre chiese che – come sempre – distribuiscono senza guardare il colore della pelle, la lingua, i costumi e la religione di chi domanda: la “multicultura”, la Chiesa – nonostante peccati ed egoismi di suoi uomini – l’ha applicata nei secoli in concreto e senza fare rumore, chiamandola “carità cristiana” esplicitata nelle “Opere di misericordia” fra le quali “dar da mangiare agli affamati”, “vestire gli ignudi”, etc. etc…”. Sono convinto che, al di fuori di tali “misericordie”, vi siano solo le ideologie di lorsignori.

Se poi il “nostro” preside, come sembra legittimo pensare, con la trovata della “multicultura” ha voluto sparare un calcio alla Religione cattolica, bene avrebbe fatto a dirlo chiaro confessando magari – che so – il suo “sessantottismo” senile e in ritardo, quell’odio che il vecchio Marx formulava nella frase famigerata “la religione è l’oppio dei popoli”; cosa che – guarda caso – ancora qualche anno fa mi è toccato di leggere quasi coi medesimi vocaboli, su “l’Unità”, organo storico del Partito Comunista Italiano e poi del Partito Democratico: “la religione come plagio di massa per il controllo sociale” (4-XI-2008); o, più di recente, ciò che lo stesso quotidiano – prima che chiudesse i battenti per mancanza di lettori! – scriveva a proposito di noi cattolici che saremmo in “beota soggezione alla metafisica della superstizione” (l’Unità” 21-II-2014). Sembra che per certa Sinistra il tempo si sia fermato! E dire che c’è stato Togliatti col celebrato discorso di Bergamo (1963) detto della “mano tesa” ai cattolici, la lettera “benevola” di Berlinguer al vescovo di Ivrea, mons. Bettazzi (1977) che, dopo tre decenni, fa ancora oggi intenerire di nostalgia alcuni ingenui frequentatori di sagrestie; i tanti “cattolici” che hanno preferito diluirsi nel Partito Democratico dei post-comunisti! Prendiamone atto: per alcuni la Religione cattolica è rimasta “superstizione” e “plagio di massa”.

Quindi il “signor preside” può stare tranquillo perché è in buona compagnia; fra gli intellettuali supponenti sono “legione”, come i demoni di Gerasa del Vangelo, quelli che la pensano come lui. A me non serve sfogliare gli appunti dei miei vecchi quaderni o i copiosi ritagli di giornali conservati da anni per scegliere “fior da fiore” e proporre esempi sull’argomento che stiamo trattando; mi basta e avanza quello, fresco di stampa, che segue: “Appello per un muro laico all’Università [di Firenze] per la rimozione dei simboli religiosi presenti in Ateneo” lanciato da “Il Manifesto, quotidiano comunista” il 11-XII-2014.

Due povere riflessioni finali: a) per certuni – quanto a religione – pare non sia cambiato nulla; b) per favore, qualcuno soffi alle orecchie di questi “signori” che sarà molto difficile scancellare le vestigia religiose dai muri delle antiche università visto che molte di queste, in tutta Europa, sono state fondate e costruite da Papi e Ordini Religiosi.

Copertina_Evangelii Gaudium_Cantagalli

L’atto più importante del Magistero sociale di Papa Francesco finora è senz’altro quello rappresentato dall’esortazione apostolica post-sinodale Evangelii gaudium che raccoglie e sintetizza i lavori della XIII Assemblea generale ordinaria dei Vescovi, svoltasi in Vaticano nell’ottobre 2012 sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”. Pubblicato all’indomani della conclusione dell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, il corposo documento – uno dei più lunghi della storia nel Magistero scritto – mettendo sistematicamente a tema l’annuncio del Vangelo nel mondo attuale rivela anche il manifesto programmatico del pontificato, come qualcuno ha scritto, dell’ex arcivescovo di Buenos Aires. Pur non essendo, stricto sensu, un documento di dottrina sociale, il suo ancoraggio alla dimensione sociale dell’evangelizzazione è perlomeno evidente in più passaggi e diventa addirittura centrale nel IV capitolo, intitolato “La dimensione sociale dell’evangelizzazione”,e contenente svariati approfondimenti su temi classici del dibattito pre-politico e socio-economico in genere come il dialogo sociale, la pace e il bene comune. Per accompagnarne la letturae la riflessione – visto che il documento è diretto anche ai cristiani laici – suggeriamo l’edizione ragionata delle edizioni Cantagalli di Siena (Pagine 250, Euro 17,00), con un’introduzione di Ettore Malnati, vicario episcopale per il laicato e la cultura della diocesi di Trieste, e la postfazione firmata dal Presidente dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa,monsignor Giampaolo Crepaldi. Nell’Introduzione all’opera (pp. 7-48), dopo aver spiegato la struttura del testo pontificio composto di un cappello preliminare e cinque capitoli, Malnati si sofferma in particolare sugli spunti offerti dalla chiamata alla missione che caratterizza un po’ tutto il dettato spirituale dell’opera dall’inizio alla fine (ricordando che “ogni battezzato è missionario evangelizzatore in quanto, avendo ricevuto lo Spirito del Padre e del Figlio, è stato anche costituito parte integrante di quel Popolo di Dio che è la Chiesa, che per sua natura è missionaria”, pag. 23) e quindi sulla crisi diffusa dell’impegno comunitario (a cui il Papa dedica il secondo capitolo) che è indubbiamente uno dei tratti distintivi della nostra epoca liquida, sempre più priva di legami e di reti familiari e interpersonali. Tutto questo senza però dimenticare che – come ricordava già Paolo VI nell’esortazione Evangelii nuntiandi del 1975 – come cristiani e in quanto annunciatori e testimoni in pubblico del Vangelo “non siamo ‘né padroni né arbitri ma i depositari, gli araldi, i servitori’ della Parola di Dio” (pag. 27).Monsignor Crepaldi, invece nella sua Postfazione al testo (pp. 247-250),si sofferma sull’impostazione radicalmente cristocentrica del documento pontificio“perché dalla luce di Gesù Cristo prendono luce il creato, la Chiesa, l’umanità, la storia. Questa impostazione cristocentrica è molto importanteanche per la Dottrina sociale della Chiesa che, come in molte occasioni aveva insegnato Giovanni Paolo II, è ‘annuncio di Cristo nelle realtà temporali’ e solo in questa luce si occupa del resto” (pag. 247). In secondo luogo, per Crepaldi va ribaditoche “un aspetto non solo formale della Evangelii gaudium è che il Papa usa frequentemente il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, lo raccomanda esplicitamente e lo cita spesso. Il Compendio è molto adoperato in America Latina, forse più che in Europa, e fa piacere che ora il Papa latinoamericano lo riproponga a tutta la Chiesa. Del resto, l’impianto del Compendio risponde proprio alle esigenze che Papa Francesco esprime in questa Esortazione apostolica: in principio c’è il progetto di amore di Dio sull’uomo, che riempie l’uomo di gioia e che lo spinge ad uscire verso gli altri per partecipare questa gioia a tutti. Non che questo comporti un rifiuto o una sottovalutazione del livello etico dei problemi sociali.Anzi, il livello etico viene sollevato più in alto e protetto dalle sue sempre possibili degenerazioni moralistiche. La legge nuova dell’amore non toglie la legge della Tavola, ma la eleva e la purifica” (pag. 248). Infine l’Arcivescovo di Trieste richiama l’aspetto “fortemente missionario, conseguente all’impostazione cristocentrica di cui si parlava all’inizio. Tutta la Chiesa è invitata da Papa Francesco ad avere il coraggio della missione, superando inerzie ed eccessivi scrupoli che paralizzano. Questo è vero anche per la Dottrina sociale della Chiesa. Giovanni Paolo II aveva scritto nella Centesimus annus che essa ha un aspetto ‘concreto’ e ‘sperimentale’ e invitava tutti i credenti a mettersi in gioco con coraggio, inserendosi nel grande fiume di quanti da sempre nella Chiesa hanno dato il loro impegno per il bene comune dei fratelli. Che la Chiesa esca da se stessa per la missione non vuol dire né che bisogna uscire ‘dalle chiese’ né che si debba abbandonare la dottrina e lavita sacramentale.Vuol dire, secondo Papa Francesco, farsi guidare sempre dall’essenziale, e l’essenziale, nella vita del cristiano va donato a tutti” (pag. 250). Un documento insomma non solo da leggere questa volta ma poi da mettere in pratica anche operativamente ciascuno nella rispettiva sfera di competenza perché se è certo che dall’alto devono venire le indicazioni programmatiche per orientare le priorità della missione resta pure altrettanto vero che senza un impegno costante di tutti i laici cristiani nel mondo la Nuova Evangelizzazione – che sta soffrendoanche, come accennato, almeno in Europa Occidentale, la crisi diffusa dell’impegno a livello comunitario e l’indebolimento progressivo dei legami collettivi – non avrà alla fine molto successo.

Continuo e completo lo studio sul grande storico delle civiltà Christopher Dawson, avvalendomi del suo magistrale “La crisi dell’istruzione occidentale”, un testo scritto nel lontano 1961, ma che resta sempre attuale, ecco perché gli amici di Alleanza Cattolica, hanno proposto la pubblicazione alla combattiva casa editrice di Crotone, “D’Ettoris Editori”.

L’accademico inglese ci aiuta a capire come uscire da una parte dall’agnosticismo e l’indifferentismo passivi e dall’altra dalmaterialismo attivo da cui sono contagiate le nostre società. Peraltro per Dawson, si tratta della stessa malattia spirituale, che ha afflitto per anni gli Stati totalitari del Novecento, infatti, scrive a questo proposito lo storico britannico, “(…)siamo stati costretti a formulare la domanda su come i beneducati e benintenzionati tedeschi e russi comuni accettarono l’esistenza dei campi di concentramento e delle purghe di massa che hanno così scosso i nostri istinti umanitari. La risposta è che l’istinto del conformismo sociale è più forte dell’istinto umanitario. Quando lo Stato decide che sono richieste misure inumane per il bene del partito, l’individuo accetta la sua decisione senza critica, e, di fatto, senza riconoscere ciò che lo Stato sta facendo”.

Fortunatamente nelle nostre società, quei pessimi risultati sono impossibili che accadano. Sia lo Stato che la società, così come gli individui, “accettano ancora i principi umanitari come questione di fede”. Anche se Dawson registra un certo vuoto spirituale che “produce una società che è spiritualmente neutrale e passiva, e di conseguenza offre una facile preda per ogni potere rivoluzionario forte e aggressivo come il comunismo”. Pertanto per uscire da questa malattia spirituale del nostro mondo occidentale, “è essenziale recuperare i fondamenti morali e spirituali da cui dipendono le vite sia dell’individuo che della cultura: far comprendere all’uomo medio che la religione non è una pia finzione che non ha nulla a che fare con le vicende della vita, ma che riguarda le cose reali, che è di fatto il sentiero verso la realtà e la legge della vita”. Per il nostro scrittore, “questo non è un compito facile”, visto che la nostra società considera più reali i personaggi del cinema, dei fumetti che del Vangelo.

Tuttavia la Chiesa cattolica secondo Dawson ancora svolge un ruolo determinante, bisogna evitare però che il divario con la cultura secolare diventi sempre più ampio, per incomprensione o repulsione. Pertanto per Dawson non è sufficiente che i cattolici conservino “un alto livello di pratica religiosa all’interno della comunità cattolica: è necessario anche costruire un ponte di comprensione all’esterno, nella cultura secolare, e agire come interpreti della fede cristiana verso il mondo esterno alla Chiesa”. E un compito che devono fare i laici cattolici, non tanto il clero o gli ordini religiosi. Ogni cattolico convinto della verità della propria religione deve farsi carico di interpretare e di comunicare questa fede, ma anche smascherare le false accuse che il mondo moderno solleva nei confronti della Chiesa.

E’ un lavoro difficile, perché la moderna cultura secolarizzata è divenuta un mondo chiuso; oggi,scrive Dawson, tutte le strade sono chiuse per ignoranza, pregiudizio o trascuratezza. Nel passato, invece, c’era la cultura cristiana che faceva da medium nella società. Ora queste strade devono essere riaperte “mediante l’azione spirituale e intellettuale di cattolici che lavorino ognuno nel proprio campo verso il fine comune: proprio qui è di tanta importanza l’opera del cattolico colto”. Dawson individuaun apostolato dello studio proprio come un apostolato dell’azione e della preghiera.

A questo punto lo scrittore inglese afferma una verità fondamentale, soprattutto per il nostro tempo: la cultura cristiana non è la stessa cosa della fede cristiana, ma è solo attraverso il medium della cultura che la fede può penetrare la civiltà e trasformare il pensiero e l’ideologia della società moderna.

La cultura cristiana fa bene all’individuo ma anche alla società. Pertanto, “il contributo del cristianesimo alla cultura non è dunque puramente l’aggiunta di un nuovo elemento religioso: è il processo di ricreazione che trasforma l’intero carattere dell’organismo sociale. Esso – scrive Dawson – infrange il mondo chiuso ed egocentrico della cultura secolarista e conferisce alla società umana un nuovo scopo spirituale che trascende gli interessi in conflitto dell’individuo, della classe e della razza”.

Chiaramente la soluzione cristiana “appare a prima vista imperfetta, se paragonata alle ideologie e alle utopie secolari che offrono agli uomini tutto e subito a condizione che si sottomettano totalmente al loro controllo. In realtà, però, queste ideologie aumentano unicamente le divisioni sociali e i conflitti del mondo moderno e, invece di creare un’utopia, affondano solo sempre più l’umanità nella schiavitù e nella guerra”. Al contrario, il cristianesimo, non offre alcuna panacea immediata per la complessa malattia del mondo moderno. Ha l’eternità davanti a sé e può permettersi di prendere tempo”.

Chiudendo il suo lavoro, Dawson è consapevole che occorre riformare il sistema d’istruzione superiore, che non ignori la componente spirituale nella cultura e nella psiche umane, anche se è un cammino lungo. Sapendo che il vuoto spirituale della moderna cultura occidentale sta mettendo in pericolo la sua stessa esistenza, pertanto per Dawson, “è dovere del pedagogista farlo rilevare e mostrare come questo vuoto è stato riempito in altri tempi e in altre culture. Il pedagogista cristiano può però fare molto di più di questo, poiché è pienamente consapevole della realtà dell’ordine spirituale ed è un testimone vivente dei valori spirituali su cui fu fondata la nostra civiltà”.

In conclusione si può scrivere che la posizione dell’insegnante cristianoresta difficile, non tanto quando opera nel piccolo mondo separato del college confessionale, ma soprattutto è più difficile se opera nell’istruzione pubblica, “costretto dalle condizioni del suo lavoro a trattare le questioni spirituali vitali come se fossero al di fuori della sua sfera di competenza”. Eppure per Dawson, “è il solo uomo in condizione di colmare l’abisso fra il mondo privato della fede religiosa e dei valori spirituali e il mondo pubblico della tecnologia, del positivismo scientifico e del conformismo

image

In questi giorni abbiamo avuto il piacere di incontrare il Prof. Avv. Cesare San Mauro, il quale ci ha concesso un’intervista per il Corriere del Sud. Egli ricopre il ruolo di Segretario Generale della “Fondazione Roma Europea”, nata nel 2001 proprio grazie alla sua ferrea volontà e al suo costante impegno nell’espletare attività afferenti al ruolo di Roma, inserito in un’ottica europea.

Le composite attività svolte nel corso degli anni da “Fondazione Roma Europea” sono sempre legate a tematiche riguardanti la complessa realtà di una metropoli come la Capitale

Prof. San Mauro, lei nel 1981 era già un giovane laureato in Giurisprudenza con il massimo dei voti ed ha una trentennale esperienza di docente universitario in materie giuridiche, con particolare riferimento al Diritto dell’economia. Com’è iniziato il suo percorso professionale?

E’ stato, in realtà, il logico sviluppo del mio percorso di studi. Figlio tanto dell’impegno accademico, prima da studente e poi da giovane ricercatore, quanto della passione per il Diritto, coltivata sin dalla scelta del percorso universitario. Una passione sviluppata ulteriormente durante il periodo della pratica legale, fino a diventare una professione. Avvocatura da un lato ed insegnamento dall’altro sono, in effetti, due facce della stessa medaglia, che convivono indissolubilmente nel mio profilo curricolare, al punto che per me oggi sarebbe impossibile scegliere l’una, rinunciando all’altro.

Fra i numerosi incarichi di altissimo profilo, dal 2001 ricopre anche quello di Segretario Generale della “Fondazione Roma Europea”, il cui Presidente è Giuseppe De Rita. Quest’Associazione è sorta essenzialmente da una sua idea. Vorrebbe spiegarci come è maturato in lei questo progetto?

La “Fondazione Roma Europea” è nata nel dicembre 2001, con l’obiettivo di valorizzare, promuovere ed implementare il ruolo di Roma sulla scena europea, valutandone i suoi pregi e i suoi difetti. La Fondazione coinvolge alcune fra le più importanti realtà imprenditoriali romane e nazionali: aziende operanti in diversi settori, private, municipalizzate e public companies, che hanno scommesso sul progetto dei fondatori. Le attività svolte nel corso degli ultimi anni sono state numerose ed eterogenee: organizzazione di convegni, dibattiti, tavole rotonde ed incontri su questioni complesse ed attuali, come lo stato delle reti e delle infrastrutture romane, il disagevole quadro dei trasporti pubblici e privati della “città eterna”, i luoghi della ricerca scientifica e tecnologica di Roma,il dialogo tra le religioni, Internet e Roma virtuale o, ancora, il delicato tema del ciclo dei rifiuti. Senza tralasciare la promozione culturale, dell’economia, dell’attualità e della politica. Il “leit motiv” è, come nella musica, ascoltare…per poi elaborare e crescere.

Quest’anno, come giornalisti del Corriere del Sud, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare a diversi Convegni da lei organizzati, ai quali intervengono personalità del mondo imprenditoriale, politico, diplomatico ed istituzionale. In genere, le tematiche affrontate sono legate a Roma, in quanto centro delle Istituzioni e Capitale d’Italia. Tuttavia, molto spesso si toccano temi inerenti il panorama europeo. Qual è la sua opinione circa le dichiarazioni dagli Ambasciatori intervenuti finora ai suoi Convegni?

Innanzitutto va detto che, a monte di questi appuntamenti, esiste un’iniziativa della quale la Fondazione si è fatta promotrice: uno studio realizzato con il Censis, attraverso un questionario sottoposto a tutti gli Ambasciatori in Italia dei Paesi dell’Unione Europea sulla rispettiva percezione di Roma, in base ad alcuni parametri di riferimento. Ne è emersa una Roma in chiaroscuro, con qualche luce e parecchie ombre. Emblematica, al riguardo, la bocciatura da parte degli Ambasciatori del sistema dei rapporti pubblici nella Capitale, promossa invece sul piano dei beni storici e culturali. Un’iniziativa che ha fatto da apripista al ciclo di appuntamenti con gli Ambasciatori europei in Italia. Il fulcro, anche in questo caso, resta Roma ma con importanti digressioni sul panorama dei diversi Stati dell’Unione europea ed importanti momenti d’incontro e confronto al servizio di chiunque,( imprenditori innanzitutto), abbia interessi aziendali e commerciali, ma non solo, nelle varie realtà del continente.

Ora una domanda di Economia e Finanza, che le rivolgiamo in quanto esperto in materia. Qual’ è il suo parere sull’attività svolta a livello internazionale dalle Agenzie di rating?

Una premessa: mettiamo da parte per un momento il soggetto, ossia le Agenzie di rating e concentriamoci per adesso solo sulla sua funzione, che risolve innanzitutto nell’emissione di “outlook” periodici sullo stato di salute delle economie dei diversi Paesi che si affacciano su un unico, grande mercato globale. Si tratta di una funzione essenziale in merito alla tutela dei risparmiatori e degli operatori finanziari, che investono su quello stesso mercato. Una funzione che permette di avere a disposizione un’analisi e, quindi, un giudizio sul grado di solvibilità di un determinato Paese e la relativa capacità di pagare il debito contratto con gli investitori. Informazioni preziose, in altre parole, per la conoscenza del grado di rischio che si assume, scommettendo sul debito pubblico di una determinata Nazione. Tuttavia si tratta, al tempo stesso, anche di una funzione di grande responsabilità: da ogni singolo “outlook” delle Agenzie di rating possono scaturire veri e propri scossoni, con effetti sui conti pubblici dei singoli Stati.

Dietro queste Agenzie, che sono tutte Società private, ci sono azionisti che a loro volta hanno alle loro spalle importanti Fondi d’Investimento. Appare quindi lapalissiano un certo conflitto d’interessi. Cosa ne pensa?

Chiarita la funzione, torniamo ad occuparci del soggetto preposto ad assolverla. E’ pacifico che la composizione azionaria delle Agenzie di rating, che comprendono in alcuni casi, come giustamente rilevato dalla domanda, anche i grandi Fondi d’Investimento, ne metta in luce il principale limite. In altre parole, il fatto che spesso siano partecipate da altri soggetti, a loro volta investitori e cioè portatori di un interesse, la tutela del proprio investimento comporta, necessariamente, una riflessione sull’effettiva posizione di terzietà di queste Agenzie, nell’espletamento delle loro attività. Il punto è: la possibile alternativa? L’unico soggetto davvero terzo potrebbe ipotizzarsi come emanazione diretta delle Nazioni Unite. Una grande Agenzia di rating internazionale, come dire, sotto egida Onu.

Nel suo tempo libero ci risulta che lei sia un tifoso della Roma che, guarda caso, è anche la nostra squadra del cuore. Come lo vede questo campionato sotto la guida del Direttore tecnico Garcia?

A parte l’esclusione dalla Champions League e la ferita ancora aperta della sconfitta immeritata subita dalla capolista Juventus, direi molto bene. D’altra parte, senza quella sconfitta contro i campioni d’Italia, decisa da errori arbitrali ormai universalmente riconosciuti, oggi saremmo primi in classifica. Ma il campionato è ancora lungo e i giochi ancora aperti.

 

 

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI