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La copertina del saggio

La storia della Chiesa italiana del Novecento, in tutta la sua notevole complessità, è ancora in gran parte da scrivere ma chiunque vi si accingerà seriamente - prima o poi - non potrà non fare i conti con la carismatica e parimenti discussa figura di don Lorenzo Milani (1923-1967), il prete fiorentino diventato celebre a Barbiana per il suo impegno apostolico e sociale, per più di un verso totalmente anticonformista rispetto ai canoni dominanti del tempo della pastorale ecclesiale, e infine passato alle cronache come maestro di ribellione (sull'onda dell'equivoco titolo di una sua opera pubblicata postuma, L'obbedienza non è più una virtù (1967)) e addirittura ispiratore e 'guida morale' della Contestazione esplosa con le rivolte di piazza e le occupazioni universitarie del 1968. A lui il giornalista Giuseppe Brienza ha dedicato un vivace e documentato ritratto, ora in uscita per le edizioni Cantagalli di Siena (cfr. G. BRIENZA, Don Milani e Papa Francesco. L'attrazione della testimonianza, Cantagalli, Siena 2014, Pp. 144, Euro 10,00), che tuttavia scalfisce parecchi luoghi comuni che ancora oggi si rinvengono (soprattutto sui mass-media, ma non solo) attorno alla figura di don Milani. Il saggio di Brienza, prefato dall'Arcivescovo di Trieste, monsignor Giampaolo Crepaldi, ri-contestualizzando debitamente l'operato del sacerdote fiorentino nella realtà sociale della Toscana degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso offre inoltre uno spunto di riflessione in più e assolutamente inedito: accosta, cioè, la predicazione e gli scritti milaniani a quelli di Papa Francesco (prima Arcivescovo a Buenos Aires), mostrandone – testi alla mano – una originale comunanza di motivi e contenuti. Annota infatti Crepaldi che entrambi hanno affrontato ripetutamente “i temi dell'evangelizzazione e del proselitismo, della burocratizzazione del prete e della pastorale, dell'urgenza della missione che però rimane spesso intrappolata in forme di neopaganesimo, del fecondo rapporto tra la pastorale e la scuola su cui tutti e due hanno ampiamente investito, del giudizio sulla politica e sul rapporto della religione cattolica con il potere, fino all'argomento della povertà e del rapporto dei sacerdoti e dei cristiani in genere con i beni materiali” (pag. 8) come si può constatare dai numerosi passaggi che l'Autore trae da Esperienze Pastorali (1958), l'opera in cui di fatto il sacerdote fiorentino condensò tutta la sua riflessione di taglio sociologico e che già quando uscì colpì per la profondità lo scrittore Ignazio Silone (1900-1978). Qui don Milani stende un'analisi severa, e alquanto impietosa, della religiosità cristiana come si presentava già allora nella pieve di San Donato di Calenzano (dove svolse il suo primo periodo di ministero sacerdotale dopo l'ordinazione) in cui – di fatto – un popolo cristiano non c'era più. Restava sì la partecipazione della comunità pressochè al gran completo nelle grandi feste ma il Vangelo non animava più da tempo né la mentalità né i comportamenti di coloro che pure continuavano a dirsi credenti: era insomma quella ormai da considerare una terra di missione. Per questo bisognava cambiare l'intera impostazione dell'atteggiamento complessivo della Chiesa rispetto alle necessità della società (da passivo a propositivo), compreso quello degli stessi sacerdoti che talora pur di guadagnare il consenso più ampio possibile della comunità in cui si trovaano evitavano ogni occasione di scontro o al massimo se la cavavano con qualche predica senza convinzione ma, replicava don Milani, “con le parole alla gente non gli si fa nulla. Sul piano divino ci vuole la Grazia e sul piano umano ci vuole l'esempio” (pag. 82), lo stesso di cui – ecco un esempio di comparazione significativo – ha parlato Papa Francesco ad Assisi nell'ottobre 2013 quando osservava che “la Chiesa cresce, ma non è per fare proselitismo: no, no! La Chiesa non cresce per proselitismo. La Chiesa cresce per attrazione, l'attrazione della testimonianza che ognuno di noi dà al Popolo di Dio” (pag. 16).

E non è, come accennato, l'unico elemento di contiguità perchè Brienza mette in luce come – ugualmente a don Milani, ritratto al suo tempo alla stregua di un marxista, ancorchè chi lo abbia conosciuto davvero abbia maturato ben altre convinzioni, ad esempio il seguitissimo direttore di Radio Maria, padre Livio Fanzaga (cfr. pag. 124) – anche nel caso del Papa diversi gesti e prese di posizioni sono stati strumentalizzati da una propaganda di parte montata ad arte per farne una sorta di paladino della teologia della liberazione. In realtà, osserva l'Autore, tenendo presente il contesto di riferimento latino-americano di provenienza del Pontefice in questo caso bisognerebbe semmai parlare di una Teologia del popolo che poi “non é altro che l'espressione, nell'attuale società globalizzata, di quella 'Chiesa dei poveri' la cui dizione, in senso stretto, proviene dallo stesso Concilio Vaticano II. Va quindi chiaramente affermato che, la Teologia del popolo, differisce sostanzialmente dal liberazionismo post- o neo-marxista e dalle sue intrinseche criticità e deviazioni dottrinali, perché trova appunto le sue premesse nello stesso Magistero della Chiesa, a cominciare dall'insegnamento del Beato Giovanni XXIII” (pag. 95). E ancora la centralità dell'educazione come valore sociale e la passione per una scuola cristianamente ispirata (il motto della scuola popolare di don Milani, “I care”, tra l'altro, è stato ripreso come titolo per l'incontro tra Papa Francesco e il mondo della scuola nel maggio 2014 in San Pietro), la critica al primato effimero delle mode e al pensiero unico che tutto omologa e annulla le differenze, la particolare vicinanza ai bisogni e alle necessità degli ultimi sia dentro che fuori la comunità cristiana sono tutti temi che avvicinano in modo singolare, pur ad anni di distanza e senza essersi mai conosciuti, Milani e Bergoglio. In conclusione, poi, l'Autore ripercorre anche le vicissitudini dei controversi scritti del sacerdote fiorentino all'interno della Chiesa (per taluni troppo polemici e di rottura, per altri viceversa segno di uno genuino zelo missionario mutuato dal Vangelo sine glossa), soprattutto in relazione agli interventi de “La Civiltà Cattolica”, la più autorevole rivista dei Gesuiti, che prima sottopose Esperienze Pastorali a pesanti critiche (1958, lo stesso anno in cui il Sant'Uffizio ne ordinò il ritiro dal commercio giudicandone inopportuna la lettura) e poi lo riabiliterà (1970), senza dimenticare le analoghe, e pure altamente significative, prese di posizione de “L'Osservatore Romano” (cfr. pagg. 113-16), il quotidiano della Santa Sede, degli anni Settanta. Da ultimo, a testimonianza che come recita il vecchio adagio il tempo è sempre galantuomo l'anno scorso, dopo una lunga attesa coltivata da tanti tra i suoi numerosi estimatori e discepoli, è giunta infine la formale dichiarazione ufficiale di decadenza del decreto del Sant'Uffizio e anzi un elogio pubblico come mai si era avuto prima al sacerdote del fiorentino da parte proprio di Papa Francesco che nell'incontro del 10 maggio con il mondo della scuola così si è espresso: “Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine si ci specializza. Ma se uno ha imparato ad imparare - e questo è il segreto, imparare ad imparare! - , questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: Don Lorenzo Milani. E sapete cosa vi dico? Che gli insegnanti sono i primi che devono rimanere aperti alla realtà” (pag. 119). Un pronunciamento destinato obiettivamente a rimanere nella storia e che apre una nuova pagina imprevista in questa che resta una delle vicende più affascinanti e controverse nell'epoca recente della comunità cristiana nel nostro Paese.

Copertina_del_libro

Mattew J. Arlidge è un eccellente sceneggiatore e produttore inglese, che lavora nell’ambito televisivo da oltre quindici anni ed è specializzato in thriller di alta qualità.

Egli ha iniziato alla BBC ed ha trascorso sette anni alla “Ecosse Films”. Negli ultimi cinque anni ha prodotto serials di grande successo per network inglesi ed americane, fra i quali “Torn”, “The little house”, “Undeniable” e “Silent Witness”, trasmessi nei principali canali televisivi in tutto il Regno Unito, come negli Stati Uniti. Ma, nonostante la sua notorietà nell’ambito televisivo, Mattew J Arlidge dichiara apertamente di preferire scrivere libri, poiché solo in questo caso un autore è investito da una grande responsabilità, determinata dal suo rapporto diretto con la storia che vuole raccontare, non prevedendo la collaborazione o l’intervento di altre figure professionali, come accade nella realizzazione di un film.

Con “Questa volta tocca a te”, il suo romanzo d’esordio venduto in tutto il mondo e pubblicato in Italia da Corbaccio, egli si affaccia nel panorama della crime fiction su carta stampata, divenendo in tempi brevi un vero caso editoriale, ben accolto dal folto pubblico che ama suspense e psycho-thriller. Edito in Gran Bretagna con il titolo di “Eeny Meeny”, questo libro vede protagonista Helen Grace, l’ispettore di polizia che ritroviamo anche nella sua ultima fatica, “Nessuno escluso”, un romanzo presentato in Italia in questi giorni, anch’esso edito da Corbaccio, con all’attivo ben 280.000 copie vendute solo in Inghilterra ed in uscita in ventidue Paesi. Il titolo del thriller in lingua originale è una filastrocca per bambini “Pop goes the weasel”, ma poiché è impossibile una traduzione in italiano, è stato tradotto con un titolo che rappresenta in modo eloquente la sua trama, “Nessuno escluso”.

La storia è ambientata nei sobborghi degradati e tristi di Southampton, dove vivono gli emarginati sociali e nelle zone a luci rosse, dopo il tramonto, si incontrano quasi esclusivamente giovanissime prostitute. Una notte, tra i rifiuti di una casa disabitata, viene ritrovato il cadavere di un uomo, al quale è stato strappato il cuore, poi recapitato in un raccapricciante pacchetto alla moglie ed ai figli sconvolti.

Immediatamente, ci si chiede come sia possibile che un uomo dall’aspetto ineccepibile, un padre di famiglia, possa essere finito in tarda notte in un posto così lontano dalla sua abitazione. Tutto fa pensare ad un omicidio ad opera di un serial killer e il ritrovamento, il giorno successivo, di un altro cadavere orribilmente mutilato, fornisce agli investigatori la conferma di ciò. La stampa si scatena senza porsi troppi scrupoli, parlando subito di uno Jack lo Squartatore al contrario: la sua nemesi attraverso lo spietato killer che da la caccia a uomini i quali, al di la delle apparenze, nascondono una doppia vita. L’assassina, una sorta di angelo nero giustiziere, ha come obiettivo i clienti del sesso a pagamento, ma agisce per se stessa , più che per proteggere le prostitute o vendicare quelle che vengono spesso barbaramente uccise.

Le indagini vengono subito affidate all’ispettore di polizia Helen Grace e per lei sarà l’inizio di un vero incubo. E’ una donna dal temperamento forte, forgiata da un dolore dilaniante che percorre il suo vissuto, e non si rende conto di cosa l’aspetti al termine di questa catena mortale. La sua anima è perseguitata dai fantasmi del passato, che rappresentano il suo peggior nemico. Un personaggio interessante, dalle mille sfaccettature, in un alternarsi di luci ed ombre che scatenano nel lettore forti emozioni, come tutti i protagonisti della storia, sapientemente descritti dall’autore.

L’identità dell’assassina si svelerà con un colpo di scena ricco di suspense. Una storia di violenza efferata, rappresentata in modo chiaro, originale ed assolutamente realistico.

Nell’ambito televisivo lei è sempre stato un autore, oppure negli anni ha ricoperto anche ruoli diversi?

Sono stato per quindici anni produttore di crime serials ma, negli ultimi anni, ho fatto solo l’autore.

Mr. Arlidge, lei è specializzato in serial di alto livello. Il filone che segue è sostanzialmente solo il thriller?

Mi sono occupato di tutti i generi; nei miei serial televisivi ho parlato molto di rapporti familiari, con particolare riferimento ai confronti intergenerazionali. Queste sono tematiche che si prestano molto per tale genere di programmi da trasmettere in tv, seguiti in larga parte da famiglie. Tuttavia, in assoluto, preferisco il mondo poliziesco, poiché mette in moto fortemente la mia fantasia.

Il genere dei crime-serials è molto seguito nei Paesi anglosassoni?

Si, in assoluto è il genere più seguito; fra i vari generi letterali, il giallo non è mai caduto in disgrazia e continua sempre ad appassionare lettori e telespettatori.

Questa è la sua seconda esperienza editoriale. Vorrebbe parlarmi del successo del suo primo libro “Questa volta tocca a te”, best seller in tutto il mondo?

“Questa volta tocca a te” è la storia di uno psicopatico serial killer, che rapisce coppie di persone, quindi due fidanzati, due amici, due fratelli etc. Le persone sequestrate vengono drogate con pesanti sedativi e per questa ragione cadono in un sonno profondo. Si risvegliano all’interno di un bunker insonorizzato, dal quale è assolutamente impossibile uscire, non hanno cibo, ne acqua; la sopravvivenza è impossibile. Le vittime si troveranno dinanzi ad un terribile ultimatum: uno dei due morirà; solo in questo modo l’altra potrà salvarsi. Una tortura psicologica, un perverso meccanismo che compiace il killer, eccitato spettatore. Ad un certo punto, uno dei due crollerà ed utilizzerà la pistola che ha accanto per uccidere l’altro. I personaggi si trovano a decidere sulla solita questione morale, che innesca la leva psicologica della scelta fra due possibili vittime, alle quali lasciare l’arduo compito di decidere.

Qual è il motivo per cui viene messa a loro disposizione una pistola?

Le ragioni non posso rivelarle, ma sono rilevabili all’interno della storia. Solo leggendo saranno chiare le motivazioni e gli intrecci psicologici.

Nel libro “Nessuno escluso” la vittima è un irreprensibile padre di famiglia. Con questo si vorrebbe dimostrare che dietro l’apparenza possono nascondersi scomode realtà?

Si, In parte è così; tuttavia il principale obiettivo del libro è quello di invertire la solita equazione, nella quale la prostituta in genere muore. Stavolta, al contrario, la prostituta vendica le altre, uccidendo. Inoltre, la poliziotta Helen Grace si confronta con una serie di persone che, per vincoli morali, non accettano la realtà. Nessuna donna è disposta ad ammettere che il marito si incontra clandestinamente con una prostituta e tutto questo non fa che complicare le indagini. E’ evidente che, per un discorso legato alla sfera emotiva e sentimentale, è difficile accettare che un uomo possa aver commesso atti così gravi.

La storia raccontata in questa sua ultima fatica è ricca di suspense, con un personaggio principale davvero sorprendente, l’ispettore di polizia Helen Grace. Il riemergere del suo vissuto e, quindi, dei fantasmi del passato ha un peso determinante nelle sue azioni?

Assolutamente si, questa è una donna il cui comportamento è controllato dalla sua traumatica storia familiare, che ha segnato la sua esistenza. Lei si sente colpevole verso la sorella, alla quale ha tolto la vita ed attraverso la sua attività in polizia pensa di riscattarsi delle colpe. Helen ritiene che il suo lavoro sia la sua unica salvezza ma io ho qualche dubbio che possa veramente essere così…

Il passato di Helen Grace influenza in qualche modo la sua attività di ispettore di polizia?

Lei è semplicemente spinta a mettercela tutta, proprio per il suo desiderio di riscattarsi del pesante passato, ponendosi l’obiettivo finale di salvare le persone più vulnerabili, più deboli.

Helen Grace ha una famiglia?

No è una persona che vive quasi isolata, poiché non è in grado di mostrare se stessa agli altri. Porta addosso in modo evidente i segni della sua flagellazione e se dovesse iniziare un rapporto più intimo, confidenziale con una persona, si troverebbe dinanzi a domande alle quali non vuole rispondere.

Perché ha ucciso sua sorella?

Posso solo affermare che questa rappresenta l’unica conclusione logica del gioco che ha imbastito la sorella uccisa. Tutto è cominciato con una scelta che Helen dovette fare rispetto a sua sorella tanti anni prima e poi una serie di situazioni che la conducono all’omicidio.

Qual è il messaggio sociale contenuto all’interno della storia descritta nel suo libro?

Fondamentalmente Il messaggio sociale è di condanna verso un mondo che continua ingiustamente a trattar male, ad usare violenza e giudicare le donne, che magari non hanno nessuna colpa.

Nella nostra società esistono ancora preconcetti verso l’universo femminile?

Sicuramente si! Certamente questo fenomeno è più forte in medio Oriente, dove le donne sono più controllate dagli uomini e quotidianamente vedono violati i suoi diritti umani. Tuttavia, anche negli Stati Uniti e nel Regno Unito la violenza verso le donne è quotidianamente presente, anche se tende a manifestarsi in un modo diverso. In questi Paesi, vengono pubblicate riviste dove le donne, a volte personaggi noti, vengono rappresentate in modo volgare, volendo offendere la loro dignità. Si tratta di una violenza meno fisica ma di gran peso psicologico, che lascia comunque profonde cicatrici. Nel Regno Unito e in America si registrano anche molti casi di violenza domestica ed esistono ancora molti pregiudizi da sdoganare. Comunque, un segno positivo finalmente è arrivato: nel Regno Unito le ragazze guadagnano più degli uomini, per la prima volta, dopo duemila anni. Questo è un segno inequivocabile che il mondo sta iniziando a cambiare…

 

 

 

 

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L’avvocato Maria Aiello, originaria di Crotone ma milanese d’adozione, è una studiosa di storia dello sport e di diritto e management sportivo e recentemente ha pubblicato il suo nuovo libro “Il tempo dello sport”.

In questa sua opera effettua un viaggio antropologico a spasso nel tempo, fra le diverse discipline umanistico-scientifiche, che caratterizzano il percorso evolutivo dell’uomo ed hanno sempre un comune denominatore: lo sport.

Maria Aiello sofferma lo sguardo sulla giusta contestualizzazione, anche sotto un profilo socio-politico, dell’ antichissimo quanto efficace mezzo di comunicazione, costituito dal fenomeno sport nelle sue tappe evolutive.

La scrittrice ha già precedentemente pubblicato un altro libro, dal titolo “Viaggio nello sport attraverso i secoli”, nel quale ha trattato questa complessa materia, sulla base di una visione sostanzialmente eurocentrica dello sport.

In questo suo secondo libro viene ripreso un lavoro capillare di intensa ricerca, con l’intento di fornire al lettore una visione ancor più ampia ed attenta del tema sport , ponendo l’accento su remoti contesti storici, partendo dal mondo dell’agonismo classico dell’Antica Grecia, per poi passare alle culture e alle tradizioni popolari, a dimostrazione di quanto, da sempre, il momento della competizione fisica rappresenti un immenso patrimonio comune.

Lo sport, nel tempo, ha conosciuto momenti di luci ed ombre. Soprattutto in questi ultimi anni assistiamo ad un lento degrado, determinato da una gestione poco lungimirante dello sport e dal disinteresse da parte degli amministratori e delle istituzioni in genere, nei confronti di discipline legate all’attività fisica, quindi basilari per il benessere di ogni persona.

Piace sottolineare che in Italia, da sempre, i rapporti fra scuola e sport non sono idilliaci, al contrario di altri Paesi, come gli Stati Uniti, dove l’attività fisica, a livello non necessariamente agonistico, è incoraggiata e promossa all’interno delle scuole e si pone sullo stesso piano di altre materie didattiche.

In questi giorni ho avuto occasione di intervistare l’autrice Maria Aiello, partendo dalla sua frase inserita nel libro come dedica:

"Dedico questa mia opera soprattutto ai giovani, smarriti di fronte all’incertezza sul futuro, con la convinzione che la conoscenza e la pratica dello sport aiutino a scoprirne i veri valori , come impulso a giocare la partita dell’avvenire”. In questa sua frase la vera essenza dell’utilità, anche sociologica, dello sport. Quanto e fino a che punto lo sport può aiutare i giovani nell’acquisire consapevolezza del proprio “essere” nella società?

Oggi in verità, specie in alcuni contesti, assistiamo a una svalutazione o addirittura a dure critiche rispetto allo sport: se ne parla come di un’esperienza negativa per la persona, fatta di competizione sfrenata, di esercizio fisico esasperato, finalizzato talvolta solo alla costruzione di un corpo muscoloso da esibire. Per non parlare poi del fenomeno della frode, che propone anche il ricorso a sostanze nocive e perciò vietate. Ora, ad un’immagine così negativa dello sport, il mio libro risponde proponendo, con riguardo all’esperienza dell’uomo nella storia attraverso lo sport, l’idea che quest’ultima sia un’occasione di crescita armonica del corpo e dello spirito, al punto da far coincidere bellezza fisica e virtù, (il ricordo va a Diagora di Rodi, modello di bellezza fisica e di qualità spirituali). Questa esperienza può contribuire a dare ai giovani una sempre maggiore sicurezza nel rapporto con se stessi e con gli altri. In questa prospettiva, lo sport appare fondamentale per la loro formazione: esso riesce a conquistare i giovani per la componente fisica e per lo spirito di competizione, nonché per la sua valenza socializzatrice. In effetti, questo libro contiene non solo la dedica ai giovani, ma è soprattutto pensato per un “pubblico giovane” e per coloro che sono chiamati a compiti educativi.

In che modo nel Medioevo vennero disciplinate le attività sportive attraverso l’applicazione di norme contenute nell’antico Diritto Privato Romano?

Vorrei anzitutto premettere che questo libro mira a superare un certo modo di concepire il Medioevo nel suo rapporto con lo sport. E’ diffusa anche in letteratura l’opinione che il Medioevo rappresenti, anche dal punto di vista dello sport, una cesura fra antico e moderno, in altri termini un periodo oscuro, una fase senza sport.

Il libro si contrappone, invece, a questa interpretazione mostrando che la pratica sportiva, sia pure in forme diverse, continuò e s’impose per tutto il Medioevo europeo, (dai tornei ai giochi popolari).

Ciò è testimoniato dal riferimento dei giuristi dell’epoca a quelli che chiamavano con vocabolo latino “certamina sacra” garantendo ad essi un’apposita tutela giuridica sulla base del giustinianeo “Corpus Iuris Civilis”, con conseguente esenzione da responsabilità, in caso di lesioni eventualmente riportate durante lo svolgimento della gara.

Talvolta, si incorre in fraintendimenti nell’uso delle fonti del Diritto Romano; ma il punto chiave è che, a determinate condizioni (quello che i giuristi definivano “certamen licitum”), lo sport merita di essere incoraggiato e perciò tutelato.

Ricordando sempre i tempi antichi, i Giochi Olimpici, un importante appuntamento nell’antica Grecia, vennero aboliti nel 393 d.C. per volere dell’Imperatore Teodosio. Sicuramente va a Pierre de Coubertin il merito di aver fatto rinascere le Olimpiadi, conferendo ad esse l’importanza, anche a carattere internazionale ed il loro alto profilo morale. Vorrebbe parlare brevemente di questo controverso personaggio?

Questa domanda pare postulare un “vuoto” per quel che riguarda la pratica dello sport dalla fine del mondo antico fino alla riscoperta di Olympia nell’Ottocento.

In realtà, come ho accennato nella domanda precedente, lo sport nell’antichità continuò per tutto il Medioevo, modulandosi secondo la cultura del tempo, per poi svilupparsi ulteriormente durante il Rinascimento, nel quadro di una rivalutazione generale dell’uomo e quindi anche del corpo, nonché nei secoli successivi senza soluzione di continuità; quindi, l’idea di una rinascita dello sport nell’Ottocento col formarsi del Movimento Olimpico, è a mio giudizio una forzatura ideologica o se si vuole, un travisamento. Certo, va sottolineato che si sviluppa un’ importante regolamentazione ed organizzazione dello sport su scala globale, in altri termini lo sport si “istituzionalizza”.

Sicuramente a de Coubertin va il merito di aver contribuito a ripristinare le odierne Olimpiadi, ma non possiamo passare sotto silenzio alcuni equivoci: in particolare nel libro si evidenzia la scelta del barone di rifarsi al modello dell’Antica Grecia, con un voluto fraintendimento di immaginare atleti sempre rigorosamente dilettanti, quando invece nell’Antica Grecia il professionismo era praticato e diffuso: Olympia aveva i suoi sponsor.

Questo fraintendimento sfociò nel rigoroso vincolo del dilettantismo usato da de Coubertin come fattore di esclusione dei ceti umili dall’agonismo, dando in tal modo luogo ad uno sport elitario a misura di gentleman.

Quando inizia a svilupparsi il complesso rapporto fra moda e sport?

Questo rapporto inizia a emergere alla fine dell’Ottocento, epoca in cui l’abbigliamento usuale era poco adatto all’attività sportiva e iniziano ad essere proposte linee più adeguate e insieme attente al gusto del momento.

Si comincia con la ricerca di abiti idonei per le cavallerizze e per le donne che si cimentano nell’automobilismo, per poi proseguire con le prime tute per lo sci e dai primi del Novecento gli stilisti iniziano a guardare anche al tennis, con l’obiettivo di conciliare estetica e funzionalità.

Visto l’accrescersi del fenomeno sportivo e il continuo progresso scientifico e tecnologico, qual è oggi il ruolo della medicina nell’ambito sportivo?

Si tratta di un rapporto assai antico.

Con il progresso scientifico e la diffusione del fenomeno sportivo, negli ultimi decenni i rapporti sono divenuti sempre più stretti, fino all’idea che possa essere la medicina a “costruire” il campione. In questo intimo legame riscontriamo indubbie potenzialità e al tempo stesso alcuni pericoli: da un lato la medicina dello sport offre oggi numerosi rimedi per migliorare la salute e il benessere della persona, quindi dell’atleta; dall’altro, emergono talune pratiche che possono rivelarsi addirittura dannose alla salute.

Ed anche le prospettive che oggi si aprono, attraverso le biotecnologie, appaiono insieme affascinanti e inquietanti, poiché finiscono per rendere artificiale la prestazione e lo stesso atleta, mortificando l’originario e naturale spirito competitivo.

Dalle attente riflessioni storiche contenute nel suo libro, emerge quanto il fenomeno sportivo segua da sempre una linea di continuità. Cosa vorrebbe aggiungere, a conclusione di questa intervista?

Nella sua storia, lo sport ha assunto caratteristiche in parte diverse, in relazione alla cultura dell’epoca. In alcuni contesti, si è dato rilievo all’aspetto educativo dei giovani e in altri , invece, si è posto maggiormente

l’accento,ad esempio, su logiche commerciali e spettacolari.

Oggi, comunque, ritengo che vi siano le condizioni per rivalutare alcuni valori tradizionali, ponendo un freno agli eccessi e promuovendo un’idea di sport attenta al corpo e complessivamente a tutta la persona, sin dalla prima età.

Mi consenta una domanda profetica: il 25 marzo 2065 di quale argomento sportivo si occuperanno i mezzi d’informazione?

Eccessiva mercantilizzazione dello sport:

La sana passione sportiva è un ricordo del tutto travolto dalla violenza e dalla sopraffazione.

De profundis per il classico spirito sportivo e nostalgia del “fair play”.

Aperti i lavori della Conferenza Mondiale “I giovani e il loro sforzo per ridisegnare i veri valori sportivi”.

Finale della Coppa del Mondo di sci: clamorosa vittoria della valanga saudita: Mohammad Aslud supera l’austriaco Klutz Ascherbach.

Da ultimo, due motivi per acquistare il suo libro da parte di un giovane, di un insegnante, di un nonno.

Giovane:

Libro pensato per loro. Stile fluido, semplice. L’indice analitico e dei nomi permette ai giovani di acquisire informazioni in modo agevole ma, allo stesso tempo, molto più affidabile di quanto permetta una ricerca su Internet. Stimola la curiosità attraverso la trattazione di argomenti a volte del tutto sconosciuti e sorprendenti.

Insegnante:

Libro molto eclettico e sempre attento al contesto culturale dell’ambito storico e geografico trattato. Il mio intento è quello di armonizzare la brevità dei paragrafi con la densità degli argomenti, per mantenere viva l’attenzione degli allievi. Propone dei modelli formativi lungo l’arco dei secoli, attraverso lo sport.

Nonno:

Il nonno, in virtù della sua autorevolezza, stimola l’attenzione e la curiosità del nipote, attraverso il racconto degli episodi, come se fossero storie fantastiche. Spesso le indicazioni e gli insegnamenti del nonno risultano più cogenti nei confronti del nipote rispetto a quanto lo siano quelli dei genitori.

L’introduzione è del dott. Gianmarco Gotta, legato all’autrice da un rapporto professionale fondato sulla reciproca stima e l’affetto. Egli afferma che il volume affronta in maniera approfondita ogni aspetto dell’universo sportivo, offrendo molteplici spunti sul suo rapporto con la filosofia, la medicina, l’arte, la letteratura, la tecnologia, la biotecnologia, la moda e le tradizioni religiose. In tal modo il lettore può cogliere appieno la funzione formativa dello sport parallelamente al contesto socio-culturale in cui è inserito, evitando di ridurlo a semplice attività motoria e di impoverirne così il significato.

La postfazione è a cura del dott. Bruno Pizzul, che definisce l’autrice Maria Aiello una straordinaria navigatrice, fra la moltitudine di discipline afferenti all’uomo. Il libro “Il tempo dello sport” non è altro che la conferma di questa sua grande capacità di evocare particolari suggestioni attraverso racconti ricchi di approfondimenti, inerenti al mondo dell’agonismo classico, nelle sue policrome espressioni, che accompagnano il lettore nel cammino lungo i secoli, fino ai giorni nostri.

Nel ringraziare Maria Aiello per l’interessante intervista rilasciata a Il Corriere del Sud, colgo l’occasione per esprimerle i miei complimenti per lo stile sobrio, raffinato ed esaustivo adottato nel trattare ogni argomento affrontato nel suo libro “Il tempo dello sport” (Edizioni Gruppo Abele), che è disponibile in tutte le librerie.

 

 

 

 

 

 

 

Copertina

Nel mutare delle stagioni non si capisce perché diversi critici letterari si ostinino ancora a credere che la poesia sia morta o in agonia. Tale pensiero aveva forse una validità all’epoca della seconda guerra mondiale e dei lager, quando cioè le nazioni si erano imbestialite e avevano perduto lo slancio d’amore fraterno e i valori di umanità e civiltà. In quel frangente, le cetre erano appese ai rami dei salici per le tragiche esperienze di lotte, torture, angosce e solitudine, che avevano raggelato le parole sulle labbra del poeta.

Oggi si riprende a cantare, a squarciagola, allargando la dimensione biografica ai motivi sociali, nell’incontro con il dolore e la tristezza di tutti gli uomini; sicché la poesia non è morta e il poeta non ha smesso di vegliare sui libri («Chi legge cerca sempre qualcosa») e di esprimere in versi sentimenti profondi e vivi; anzi egli non ha cessato di essere continuamente immerso nell’esperienza del sentimento e nello stato d’animo «in cui la ragione lascia spazio alla passione».

Un esempio su tutti: il bel libro Poesie di un’estate (Manni, 2015) di Silvana Palazzo riconquista spazi di liricità con temi, motivi, ragioni, ironia, intenzioni, che parlano d’incanto e di moti dell’anima. È un modo particolare di fare poesia e vedere la vita senza illusione, anzi con evidenza e grazia verissima.

I suoi versi si presentano come «lampi della mente» e come vivo bisogno di tranquillità: «Tutto è nero d’intorno/ ma so che presto/ una luce alla vita mi aprirà».

Nell’esistenza umana, che ha alti e bassi, momenti lieti e tristi, fatterelli e figure, una domanda è ineludibile: «Cosa vuoi dalla vita: «un porto sicuro/ o una ricerca infinita?».

Silvana Palazzo si muove con più coerenza e speranza tra l’interno familiare e il taglio poetico dell’intellettuale che tende a non darsi pace e a superare la paura della morte: «Non c’è lavoro più stancante/ del vivere».

Per lei l’estate ha l’aspetto di un personaggio, che libera l’animo dalle note di malinconia e coniuga il lirismo sintetico con la limpida espressione e discorsività»: «L’estate è poesia./ Libera come/ la nudità/ libera come/ la facoltà di/ navigare/ tra gocce del mare./ L’estate è poesia/ e la poesia è l’estate/ senza nubi nel cielo/ arroccate».

Il salto qualitativo, dolce e rasserenante è dato dalla nascita di Silvia, dal nome leopardiano, simbolo dell’innocenza perduta «ed in lei ritrovata»; e dalla fusione di postulati analitici ed esistenziali saturi di una sensualità sana e di verità e storie d’oggi.

La poesia è, in fondo, per Silvana Palazzo, autoanalisi e preghiera.

La raccolta si pone nella storia della personalità di Palazzo, che porta alla luce, con stile scarno e serrato, zone inconsce della sua mente ed evoca sensazioni ed esperienze emozionali dilatate, per mezzo della poesia, a condizione del mondo.

La scrittura lirica si colora e riaccende quando s’incontra con il sentimento ed evidenzia il motivo metafisico: «Qualcuno ha detto/ che non crede/ in Dio ma/ nell’essere umano/ annullando/ ogni senso ch’è in noi/ del divino».

Silvana Palazzo è in vena di confessione e alla ricerca di una salvezza. È a questo desiderio, a quest’anelito, che la sua figura di poetessa si consegna e attinge forza creativa:

L’estate finisce con il ritorno dal mare, con le piogge settembrine e la città che si rianima.

Non ha tuttavia termine la stagione della poesia, che arriva «nell’abisso del cuore» e scopre la condizione umana in una continua avventura e ricerca della felicità, che, purtroppo, «la si riconosce/ sempre il giorno dopo».

Una raccolta attualissima e avvincente nel contenuto, che attraverso le intricate vie della vita segnala la bellezza dell’incontro con la natura e la mescolanza di realtà quotidiana e di gioco rappresentativo, in versi e pagine di meditata e appassionante poesia.

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Non capita spesso leggere un libro che ti aiuta ad essere felice e contento. Del resto quello della felicità e della pace è uno stato d’animo che interessa tutti. Questo libro che può sembrare pretenzioso è stato scritto da Roberto Marchesini, psicologo e psicoterapeuta, “E vissero felici e contenti”, pubblicato da Sugarcoedizionidi Milano.Il testo è completato da un saggio di suor Roberta Vinerba.

Al dottor Marchesini che è impegnato giornalmente anche con coppie in crisi, sono in molti a chiederglisupporto e consiglio per il loro rapporto nelle fasi più delicate del loro matrimonio. Così gli è venuta l’idea di raccogliere in un libro, tutti i suggerimenti che di solito propone ai suoi clienti. In questo modo Marchesini evita di ripetere sempre le stesse cose ai suoi pazientie poi è utile per tutte quelle altre coppie che non può incontrare personalmente. Non solo ma secondo Marchesini il libro potrebbe essere utile anche per i fidanzati, lo conferma nella prefazione, don Andrea Brugnoli che scrive: “lo regalerei innanzitutto ai fidanzati dei numerosi corsi prematrimoniali che organizzo, perché scoprano l’impegno delle parole del patto che stanno per compiere”. Peccato che non avevo questo ”manualetto”, quando tanti anni fa, padre Adelino Affannato, parroco di Letojanni, mi ha incaricatodi tenere due relazioni nei corsi di preparazione al matrimonio che aveva organizzato per la sua parrocchia.

Molte coppie purtroppo si sposano senza conoscere il vero e profondo significato del matrimonio. “Molte coppie si sposano senza sapere, o con una consapevolezza limitata di quello che stanno facendo, minando seriamente le basi della loro futura vita coniugale”.“E vissero felici e contenti” è un libro che non puoi perderti scrive la giornalista Costanza Miriano, autrice di due pamphlet molto discussi, soprattutto,“Sposati e sii sottomessa”. Il libro ha avuto diversi effetti nella giornalista, intanto è stato scritto bene, poche cose semplice e soprattutto da memorizzare, un piatto pronto alla perfezione, da utilizzare e “regalare alle persone a cui non riesco a dire quello che vorrei”. Il libro non è la solita noiosa ode alla famiglia, perché sostiene che il motivo per cui vale la pena sposarsi è l’amore, finalmente qualcuno lo dice, scrive la Miriano nell’invito alla lettura. Ma soprattutto il libro di Marchesini è lo “smascheramento dei meccanismi culturali che hanno portato la famiglia alla crisi attuale. Una lettura della storia e del pensiero comune davvero ricchissima di elementi, una miniera di frecce da tenere pronte da scoccare col nostro arco quando ci si trova a confrontarsi con chi la pensa diversamente (pressoché tutti)sul tema della famiglia”. Certamente la Miriano si riferisce ai capitoli 1 e 2: “Perché ci si lascia”, e “Perché ci si sposa”. Ma la parte del libro, la più indispensabile secondo la Miriano, è quella in cui si analizzano, in modo divertente e lieve, i più frequenti errori, i meccanismi sbagliati in cui incorrono le coppie…”. E’ un libro che la giornalista regalerà a mezzo mondo, facciamolo anche noi, contribuirà a migliorarlo.

Ma prima di parlare del matrimonio occorre capire perché i giovani hanno perso il desiderio di sposarsi e forse questo testo può aiutare qualche giovane a far ritornare il desiderio.

Intanto il libro di Marchesini si domanda: “perché molti matrimoni vanno in malora”. Lo psicologo parte da lontano, quando negli anni cinquanta del secolo scorso in Italia, per mezzo di una vasta letteratura che va dai fotoromanzi, ai rotocalchi, dalla radio, alla televisione e passando per il cinema, si giunge ad una nuova concezione dell’amore, del sesso e soprattutto del matrimonio. In questi anni si è cercato di abbandonare quel modello matrimoniale borghese stipulato per ragioni di interessi e utilitaristici per passare a quello fondato sull’amore, dove l’attrazione fisica, e il piacere erano al centro del matrimonio. Per la verità, la Chiesa cattolica da secoli predicava il matrimonio fondato sull’amore umano e sull’amore divino. Già Leone XIII (1810-1903) nella prima enciclica interamente dedicata la matrimonio, criticava la visione borghese e marxista del matrimonio come mero patto civile, riaffermando la natura spirituale del matrimonio.

Tuttavia gli anni cinquanta e sessanta, caratterizzati dal “boom economico”, le parole “dovere”, “dignità” e “sacrificio”, vennero lentamente sostituite con “piacere” e “divertimento”. Cambiamenti descritti dai grandi registi come Dino Risi e Federico Fellini, in “poveri ma belli” e “I vitelloni”.

Roberto Marchesini individua ben sei fattori che hanno contribuito a questo lento mutamento della concezione del sesso e del matrimonio. Il 1° è proprio la pubblicazione di due rapporti del biologo Alfred Charles Kinsey, dal titolo, “Il comportamento sessuale dell’uomo” e poi più tardi, Il comportamento sessuale della donna”. In questa ricerca Kinsey arriva a risultati dove si legittima qualsiasi comportamento sessuale come “naturale”, peraltro Kinsey allo scopo di fornire basi scientifiche per la sua nuova moralità sessuale, secondo marchesini ha manipolato i dati raccolti. Il 2° fattore è il femminismo radicale. In pratica le femministe, facendo propria la dialettica marxista sfruttatori/sfruttati, al presunto sfruttamento maschile le femministe radicali opposero le più totali autonomia e indipendenza della donna, anche dal punto divista sessuale; da qui la valorizzazione della masturbazione e dell’orgasmo clitorideo in contrapposizione al rapporto sessuale e all’orgasmo vaginale”. Così la sessualità diventa funzionale al piacere della donna, escludendo l’uomo e i figli. Naturalmente una battaglia fondamentale delle femministe radicali è quella della liberalizzazione dell’aborto.

Il 3° fattore che Marchesini individua nel libro è quello del sesso ludico/ricreativo. E qui il riferimento va allo psicologo e sessuologo americano John Money che nel 1975 pubblicò un articolo sul prestigioso quotidiano “New York Times”, intitolato “Recreational and procreational sex”. Money sosteneva che la sessualità umana non ha una funzione solo procreativa, ma anche “ricreativa”, questa tesi è stata accolta anche in un certo mondo cattolico, soprattutto tra quelli che contestavano l’enciclica “Humanae vitae” del beato papa Paolo VI nel 1968.

Mi fermo al prossimo appuntamento per individuare gli altri elementi che portarono alla rivoluzione sessuale e quindi allo spopolamento del nostro mondo occidentale.

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