Pierluigi Balducci, L'equilibrista, Dodicilune
Il disco L'equilibrista lo ha dedicato a John Taylor, pianista inglese scomparso nel 2014. Il bassista Pierluigi Balducci ha inteso così ricordare il prestigioso componente del proprio quartetto coprotagonista nei cd Blue from Heaven ed Evansiana. E lo ha fatto nel modo più naturale che possa esistere per un musicista.
Il disco L'equilibrista (Dodicilune) contiene sette suoi brani con quella certa "vertigine" che il jazz è in grado di dare. Unitamente a Robert Bonisolo al sax, Fabrizio Savino alla chitarra elettrica e Dario Congedo alla batteria, Balducci par muoversi senza una rete protettiva che ne attenui il rischio, praticamente nullo, di eventuali cadute.
La cosa strana è che la sensazione di equilibrismo che si allunga per gradazioni su confini labili la si avverte sia nei brani forti (Blackarera) che in quelli medi (Fino a prova contraria) che nei moderati (L'equilibrista) in un approcciarsi "mosso" alla musica afroamericana. Visti in tale chiave i suoi pezzi tradiscono assenza di staticità in presenza di varietà (Kosmos and Caos è di spirito latin, Wormhole è una serra di sincopi fusion come Il vizioso - to Viz Maurogiovanni - Monet è un affresco melodico). Il valore dell'album, oltre che nella pienezza lirica del sax, nella pertinenza della chitarra, nella incedenza della sezione ritmica, sta in questo" funambolismo " tutto musicale. Ma l'equilibrista sa che la corda tesa è spessa come quelle del proprio basso e può percorrerla con la maestria tecnica che gli è congeniale.
Federico Bosio, Double Time, Dodicilune
Il consiglio è cominciare ...dall'inizio. Si, perchè l'album "Double Time" del chitarrista Federico Bosio, edito da Dodicilune, sin dalle prime note fa capire di che pasta (sonora) sia fatto. Roses Dance, il brano d'esordio, pare una rivisitazione aggiornata di certo groove world/jazz d'annata su un tema impreziosito dalle folate saxofoniche di Michael Rosen e ricoperto dalla fodera timbrica stesa dalle tastiere di Sebi Burgio. Lasciando scorrere oltre il compact si evidenzia un richiamo del leader a Ralph Towner in Tower Blues (in minore, certo). A seguire, In our mind, con Stefano Senni ancora al contrabbasso, ecco l'anticlimax, con il tempo reso perturbato, brumoso, irregolare dalle bacchette di Valerio Vantaggio.
Neuroni al massimo in Open String Peace con la seicorde impegnata in ricercate serie di accordi. Gentle Waltz registra il ritorno di Clara Simonoviez già apprezzata nell'incipit del cd; la vocalist parte all'unisono con la chitarra mentre Burgio si prende, da par suo, il proprio spazio per improvvisare col pianoforte sul ritmo di 3/4. E se Fast Foot fa trapelare un'anima pop-rock che il basso vigoroso di Pierpaolo Ranieri rinforza a iosa, il finale Last Blues è un congedo fasciato di suoni cyber su una cadenza di quelle destinate a restarti appiccicate addosso.
Andrea Goretti, A Light in the Darkness, Dodicilune
Tolta l'incellofanatura ed aperto il cd Dodicilune A Light in the Darkness del pianista Andrea Goretti balza agli occhi una poesia di Umberto Petrin, Question, stampata a fronte in modo da non poter sfuggire alla vista.
Sono versi intensi che fra l'altro raccontano di "un'estremità del buio" e di un suono "come voce di colei / che nel sogno pareva approssimarsi".
Parte da qui la proposta pianistica del musicista lombardo che, con la scelta di Petrin in vesti poetiche, pare voglia collocarsi in una precisa area stilistica che è quella ...infrastilistica.
E in effetti quando ci si imbatte in una musica che assume, del jazz, il metodo inclusivo e racchiudente e che, alla prova dei fatti, e degli atti musicali, si sviluppa su tracciati liberi da schemi dati, etichettature stereotipizzanti, una musica imbastita per veicolare pensieri e trasferire a chi ascolta emozioni, allora non la si può restringere entro una cornice angusta e tenerla chiusa dentro limiti che ne frenano la estemporaneità.
Goretti, per quanto giovane sia, appare già maturo nel farci da guida al proprio ricco percorso interiore e artistico, quello che conduce in fondo "alla luce nell'oscurità".
A quel punto diventa persino superfluo indagarne i numi ispiratori od il tasso di neoromanticismo o soffermarsi su analisi filologico-musicali.
Ciò che è da rimarcare è semmai che le linee da lui abilmente orchestrate sulla tastiera negli undici brani dell'album si muovono in modo susseguenziale, consequenziale, pluridirezionale attraversando i generi sulla spinta dell'ispirazione fino a che "dove c'era un vuoto ora vibra" .