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L'Europa sarà ancora a maggioranza cristiana o diventerà "Eurabia"

 
L'Italia nel 2050? Sarà ancora un Paese a maggioranza cristiana o l'Europa diventerà “Eurabia”, come l'ha chiamata in passato Oriana Fallaci

The Future of World Religions”, il centro studi indipendente americano aveva analizzato pochi anni fa, gli trend demografici e migratori e ha immaginato come saranno le nostre società nel lontano 2050.

Ebbene, sì, la religione musulmana è quella che cresce più velocemente di tutte, ma quella cristiana rimarrà comunque la più diffusa globalmente (31,4 per cento contro il 29,7 di quella musulmana, bisognerà forse aspettare il 2100 per il sorpasso), e non ci sarà nessuna invasione islamica, nessuna mutazione genetica della civiltà occidentale.
 
L'Europa è piena di immigrati clandestini. Nel 2017, l'ultimo anno a cui sono riconducibili i dati più precisi, si contavano tra i 3,9 e i 4,8 milioni di individui senza documenti e liberi di girovagare per il Vecchio Continente. Eppure nonostante la ‘libertà di movimento circa il 70 per cento dei clandestini vive stanziato in quattro paesi e la metà è oggi in Germania e Regno Unito.

Nel corso degli ultimi quindici anni, l'Europa ha acquistato – o meglio recuperato – una posizione centrale nella geografia migratoria globale. Per motivi di collocazione geografica e di struttura socio-demografica, il continente è, nel contempo, esposto a migrazioni spontanee e «indesiderate», e bisognoso di flussi selettivamente programmati. La difficoltà di far corrispondere la realtà migratoria con le aspirazioni e i bisogni strutturali rappresenta una delle sfide centrali per il futuro delle società e delle istituzioni europee.

Nonostante alcuni miglioramenti recenti nel livello di informazione statistica comparativa offerta sul sito dell’Unione europea, manca tuttora un quadro ufficiale, comprensivo e aggiornato, della situazione migratoria dello spazio comunitario. Le stime più autorevoli concordano comunque nel segnalare una forte crescita del ruolo di attrazione che l'Europa, nel suo complesso, esercita nel sistema migratorio globale. Per quanto riguarda in maniera specifica l’ue, pur nella difficoltà di azzardare cifre precise, esistono buone ragioni per ritenere che essa abbia superato gli Stati Uniti come bacino di immigrazione.

Il fenomeno migratorio diventa strutturale nella seconda metà degli anni ’90, per tre concause. La caduta dei regimi comunisti nei paesi vicini dell'Europa centro-orientale aggiunge un ulteriore flusso di risorse umane alla manodopera offerta da decenni dalla fascia meridionale del Mediterraneo. Accordi intergovernativi rendono sempre più facili i passaggi alle frontiere, all'interno del crescere dei fenomeni di globalizzazione dell'economia, e del turismo internazionale. La crisi demografica e l'invecchiamento della popolazione europea rendono irrinunciabile l’acquisizione di lavoro esterno, per il mantenimento dell’espansione economica nel vecchio continente. Alla metà degli anni 2000, la presenza di lavoratori stranieri nei paesi membri si attesta tra il 4 e il 5% della popolazione totale, e contribuisce per ¼ alla crescita occupazionale annua.

Di sicuro il tema della demografia sarà centrale nei prossimi decenni e sembra essersene accorta, con colpevole ritardo e con soluzioni tutte da chiarire e approfondire, anche l’Unione europea.  

In Germania, un quarto di tutti i residenti ha quello che chiamano ormai comunemente “background migratorio”, che significa avere almeno un genitore nato all'estero. Una cifra che è destinata ad aumentare con i decessi legati alla vecchissima popolazione europea, sostituita da una generazione più giovane, il cui 42% è fatto di bambini che hanno meno di sei anni e non hanno entrambi i genitori tedeschi.

In Svezia, a inizio 2019 gli stranieri costituivano il 19% della popolazione, quasi un quinto di quanti vivono nel Paese sono nati all’estero. Cifre record non solo per il cuore della Scandinavia, ma per tutta l'Europa: il numero di residenti e cittadini stranieri è raddoppiato solo in questo secolo. Il 31 agosto c'erano in Svezia 190.209 nati in Siria, 145.602 nati in Iraq e 145.487 nati in Finlandia.

“Fate cinque figli, il futuro dell’Europa è vostro” disse il presidente turco Erdogan nel 2017 ai musulmani residenti in Europa, una dichiarazione che seguiva quella dell’algerino Boumedienne nel 1974 all’Onu: “Il ventre delle nostre donne ci darà la vittoria”.

E l'imam Qaradawi, guru della Fratellanza islamica, ha parlato della natalità islamica come il mezzo per la “conquista non violenta dell’Europa”. Escatologia islamica, ma con notevoli fondamenta. Specie perché questi leader musulmani la coltivano nel seno di una Europa che ha smesso di fare figli. Italia, Grecia, Spagna, Germania, Portogallo e tutto l'est Europeo versano in condizioni demografiche disastrose, con appena un figlio a coppia, con l'equilibrio fra morti e nascite già compromesso da tempo e prospettive di declino demografico nei prossimi venti-trent'anni che farebbero impensierire anche l'ultimo degli edonisti.

“La religione vince sempre alla fine – non foss'altro che per motivi semplicemente e brutalmente demografici”, ha detto lo scrittore francese Michel Houellebecq. Oggi, milioni di musulmani vivono all'interno dell'Unione europea e il loro numero, stando alle ricerche più serie, arriverà presto a costituire almeno il 15 per cento della popolazione totale secondo Timothy M. Savage dell'Ufficio di analisi europea del Dipartimento di Stato americano ha stimato che l'Europa sarà al 20 per cento musulmana entro il 2050.

La lotta tra ceceni e magrebini per esempio in Francia : e una guerra civile nel cuore del Paese, I fatti di Digione lasciano emergere una serie di aspetti tra l'altro già noti al contesto francese, come l'assenza delle istituzioni in certi quartieri considerati ormai delle vere e proprie zone franche dove islamisti, spacciatori e delinquenti fanno il bello e il cattivo tempo, ma anche un'integrazione inesistente che mette chiaramente in evidenza come i modelli multiculturali francesi, britannici e scandinavi siano un totale fallimento.

I magrebini lo hanno detto chiaramente che volevano “proteggere il proprio territorio” dai ceceni; questo è un problema serio perché mette in evidenza come non soltanto vi siano comunità parallele che considerano la propria zona una specie di area extraterritoriale dove valgono regole alternative a quelle dello Stato centrale, ma anche come vi siano altri gruppi etnici in grado di attaccare queste zone a colpi di armi semiautomatiche e facendo materializzare scene da guerra civile nel cuore dell'Europa. Del resto anche la tardiva risposta della polizia, preoccupata di ingaggiare uno scontro con le bande, fornisce un ulteriore elemento di una quasi totale assenza dello Stato.

Secondo Von Der Leyen, "c'è bisogno di parlare di razzismo e c’è bisogno di agire". "Cambiare direzione è sempre possibile, se c'è la volontà", assicura. L'esempio di "un piccolo passo nella direzione giusta" è il cambio di rotta avvenuto negli ultimi anni nel sistema di reclutamento dell'esercito tedesco. In passato, ha ricordato la commissaria, che in Germania è stata anche ministro della Difesa, "avevamo eccellenti candidati, che sarebbero stati risorse preziose per le forze armate, a volte risorse rare, come persone che parlano l'arabo o il farsi, ma queste risorse non erano valutate, per niente".

"Eppure – ha aggiunto - in una missione all'estero, competenze simili possono salvare la vita dei compagni". Per questo, ha annunciato, la prossima settimana si aprirà un "dibattito strutturato sul razzismo presso il collegio della Commissione europea". L’obiettivo è imporre lo stesso cambiamento, superando "i pregiudizi inconsci" e dando forma concreta al motto "uniti nella diversità". "Non possiamo fermarci a condannare il razzismo ma dobbiamo essere vigili e consapevoli – ha chiarito - se lo incontriamo, dobbiamo parlare e agire immediatamente".

Non tutti, però, sono d'accordo con lei. Protesta su Facebook l’eurodeputato della Lega, Vincenzo Sofo: "La Von Der Leyen utilizza un’inesistente emergenza razzismo per aprire alla possibilità di introdurre delle vere e proprie 'quote nere' per gli immigrati all’interno delle istituzioni politiche, delle forze armate, della pubblica amministrazione, del mondo accademico e privato". "

Assicurare agli stranieri "quote di rappresentanza" in settori strategici, come ad esempio quello militare, secondo il parlamentare, non è esente da rischi. "Basta guardare quello che è successo negli ultimi anni in Francia, con gli immigrati di seconda o terza generazione appartenenti alle forze dell’ordine e aderenti all’ideologia islamista, o nella stessa Germania, dove la maggioranza della popolazione tedesca di origine turca ha dichiarato in un sondaggio che prenderebbe le parti di Ankara nel caso di un conflitto con Berlino".

Insomma, attacca l'eurodeputato del partito di Matteo Salvini, non si può "promuovere l'immigrazione selvaggia stipando nelle periferie, senza curarsi del fatto che aggiungere poveri ai poveri crea una competizione feroce tra le fasce deboli che fanno saltare in aria l'equilibrio sociale". "Basta guardare – continua Sofo – a quello che sta accadendo in questi giorni a Digione, dove bande di immigrati hanno preso in ostaggio una città intera a colpi di kalashnikov, e in tutte quelle periferie in cui le forze dell'ordine non possono più neppure entrare".
 
 
 
 
 
 
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