Volete ribellarvi al mondo del conformismo becero, del politicamente corretto, allora dovete dedicarvi allo studio. Lo scrive Paola Mastrocola, nel suo “La passione ribelle”, Editori Laterza (2017), un libro controcorrente e provocatoriamente scandaloso. Del resto la professoressa di Torino ci ha abituato a questo genere di scrittura.“Chi studia è sempre un ribelle”, è uno che sta dall'altra parte, rispetto al mondo che corre sempre e non si ferma mai.“Chi studia si ferma e sta: così si rende eversivo e contrario”. Lo studioso, forse è uno scontento di sé, ma anche del mondo. Ma chi studia non fugge dal mondo, “è solo una ribellione silenziosa e, oggi più che mai, invisibile”. “La Passione ribelle” è un libro dedicato “a tutti i ribelli invisibili”, che studiano libri. Pertanto è dedicato anche al sottoscritto che legge e che più o meno si sente ribelle contro questo “mondo” di oggi che non ci piace.
La tesi che percorre il libro è che lo studio è sparito dalle nostre vite. Nessuno studia più.“Lo studio sa di muffa, è passato, è vecchiume”, scrive la Mastrocola. Già la parola suscita, malessere, un'avversione. Appena sentiamo la parola “studio”, immaginiamo un anziano professore seduto a un tavolo di biblioteca, occhiali a metà naso, cordicella penzola. Oggi chi osa proporre di studiare per risolvere qualche problema che magari affligge la società di oggi, significa voler perdere in partenza, significa volersi male.
Per la Mastrocola, la parola “studio”, è sparita dai giornali, dalle tivù, dai governi, perfino dalle scuole.“Sentiamo mai l'ospite di un talk show pronunciare frasi del tipo: 'Aspetti mi lasci studiare bene l'argomento, poi le risponderò'? O lo speaker del telegiornale: 'Oggi il Ministro ha rifiutato le interviste perché doveva studiare'?
Addirittura anche a scuola non si parla di studio.“In trent'anni di pseudoriformismo scolastico, in cui più o meno ogni ministro che si è succeduto ci ha messo del suo per riformare una scuola che di fatto non è mai stata riformata, non ho mai sentito la parola 'studio'”. E' stata una parola tabù, per i vari saggi che presiedono le varie pseudo riforme.
Il testo di Mastrocola a tratti appare oltre che provocante anche per certi versi irriguardoso. Studiare significa incrinare oscurare la nostra gioia di vivere. “Lo studio ci sottrae a tutto quel che ci affascina. E' mettersi i tappi nelle orecchie davanti alle Sirene”. Lo studio, “è Leopardi che perde la giovinezza, si rovina la salute e rimane come un cane”. Del resto non abbiamo mai sentito qualcuno che, alla domanda: “Cosa ti piace fare nella vita?” risponda: “Studiare”?
Capita spesso sentire persone importanti, affermate, che hanno conquistato un posto di riguardo, proprio perchè hanno studiato tanto, intervistate amino parlare soltanto dei loro insuccessi. Raccontano che andavano malissimo a scuola, magari non aggiungono che hanno rifiutato la scuola perché li incasellava, in un'arida routine, ma non era lo studio che rifiutavano in quanto tale. Sembra che oggi a noi ci piace sentire che i grandi hanno odiato lo studio, questo ci conforta.
La Mastrocola emette a getto continuo frasi provocatorie:“Chi studia è uno sfigato”. Studiare può provocare malattie come la depressione e soprattutto la scoliosi.“Già, chi studia sta seduto, chino, contratto, rannicchiato, fermo”. E soprattutto, “è solo in una stanza”. La professoressa accenna alla figura del secchione, sempre odiato a scuola. Se poi prende nove, deve far finta che sia capitato per caso, che non l'ha preso perchè ha studiato. E' capitato. Esibire la cultura, mostrare quanto sai, non va mai bene. Non bisogna mai passare per studiosi.
Fino a pochi anni fa si ammiravano le persone i professori, gli studiosi. Esisteva la figura dello studioso che passava le giornate in biblioteca a leggere e a scrivere, pensare, consultare enciclopedie, riviste. Trovavi gente che aveva letto per intero opere letterarie. Oggi mostrare la cultura non va più, non si fa. Se a una cena tra amici, viene fuori“che stai leggendo il Filostrato di Boccaccio o le rime del Chiabrera, tutti penserebbero: 'Poveretto, che vita grigia!”.
Oggi secondo Mastrocola, rende di più esibire l'ignoranza. E' un vantaggio sociale. Il non sapere e il non studiare ci dà un fascino aggiunto,“una certa patina di rozzezza che sa subito di istinti primordiale, naturalezza ferina, autenticità”.
Concludendo il I capitolo, Mastrocola sentenzia: “Studiare nel nostro immaginario, vuol dire non vivere”. Qualche anno fa lo scrittore veneto Ferdinando Camon scriveva che “chi non legge non vive”, anche lui tendenzialmente criticava chi aveva ormai accettato la tesi del non studio. Praticamente, Mastrocola continuando con frasi sarcastiche, scrive:“studia chi non ha una vita. Chi non sa vivere, chi vive in un mondo suo, astratto e lontano”. Addirittura: “C'è qualcosa di malato in chi studia”. Anzi se continui a studiare, rimani solo, nessuno ti cerca, nessuno ti ama. Infatti Leopardi non andava alle feste. La stessa Mastrocola si confessa che da quando frequentava le scuole Medie, si era messa in testa che sarebbe diventata come Leopardi, gobba.
I sacrifici per lo studio non ci piacciono, quelli per lo sport si. Infatti,“nello sport non solo tolleriamo, ma anche ammiriamo, la fatica, lo sforzo, l'impegno. Troviamo naturale e bellissimo che un atleta passi le sue giornate ad allenarsi e che i suoi allenamenti siano sfinenti al limite dell'umano”. Ci sono ragazzi che amano perdutamente i loro allenatori, i loro mister, che li fanno lavorare con una disciplina ferrea, con severità e inflessibilità. “Invece se un insegnante oggi è severo, intransigente e direttivo, se osa assegnare molti compiti magari difficili e dà voti troppo bassi, fa orrore, e viene osteggiato”.
Allora che cosa non va nello studio? “Chi studia - scrive Mastrocola - ci sembra uno che rinuncia a vivere, che si astiene. Qualcosa tra il monaco buddista, l'asceta che si ciba di radici in cima a un monte, il fachiro che si stende sul suo tappetino irto di chiodi puntuti, la suora di clausura che, prendendo i voti, chiude definitivamente con i piaceri goderecci della vita”. Chi pratica sport o fa musica ottengono risultati concreti, oggettivi, che si tradurranno in qualcosa di pubblico che lo gratificherà: salirà sul podio, sarà intervistato dai giornali, in tivù. Chi studia invece, cosa studia a fare? Dove vuole arrivare? Chi studia non ottiene visibilità, tranne alcune eccezioni.“Chi studia non appare da nessuna parte, non acquista notorietà, non fa audience”.
Poi,“l'insegnante severo invece è un nemico, è uno che non ci porta da nessuna parte[...]”.
La prof torinese dedica un capitolo del libro al suo percorso scolastico. Racconta come studiava e che cosa studiava. C'era la Gerusalemme liberata, la Divina Commedia, i poemi omerici, si leggeva opere antiche e “nessun insegnante aveva paura che non li capissimo”. E poi L'Iliade, che bisognava “tradurla” per capirla, riscriverla parola per parola. Noi oggi pensiamo che i ragazzi di tredici anni non ce la fanno a leggere i classici. Inoltre, da studentessa, riassumeva i libri, li leggeva e li sunteggiava per punti su fogli. Tutto annotato, circolettato, sottolineato, con freccette e diversi segnetti. Del resto è quello che faccio anch'io leggendo i libri. Addirittura a volte ha riscritto i libri;“noi riscrivevamo i libri”. Era il nostro metodo, allora non esisteva il concetto di “metodo di studio”: “ce lo siamo inventato noi adesso che nessuno studia più”. In pratica confessa la Mastrocola: “riscrivendo parti corpose di un libro, quel libro mi si sarebbe incollato alla mente”.
Paola Mastrocola è convinta di avere le prove della sparizione dello studio dalle nostre vite. Anche se non sembra, perchè pare che mai come oggi ci sia tanto interessamento perché cresca la percentuale dei diplomati e laureati, migliorare i risultati dei test internazionali. Ci occupiamo di scegliere la scuola migliore per i nostri figli, li supportiamo con lezioni private, andiamo a parlare con gli insegnanti, facciamo ricorsi infiniti al TAR e tanto altro. Tutto questo per la nostra professoressa è solo scena, a nessuno interessa veramente studiare.
A questo punto la prof torinese riporta sei prove a sostegno della sua tesi.
Gli adulti sono i primi a non studiare più. E parte dalla critica letteraria che non c'è più. Altra prova sono gli insegnanti che non studiano, ed è un vero paradosso. Proprio loro che dovrebbero nutrirsi dello studio. Anche se lo volessero non possono farlo, invece di rintanarsi a studiare in biblioteca devono fare riunioni e commissioni e occuparsi di offerte formative. Devono preparare griglie di valutazione, test, giudizi, verbali e poi l'Invalsi e tante altre centomila faccende. Si smette di lavorare per riunirsi. Gli insegnanti oggi hanno a che fare moltissimo con macchine fotocopiatrici, lavagne interattive e burocrazia, pochissimo con i libri. “Infatti non è raro trovare, tra di noi, gente che non legge neanche un libro. E un insegnante che non legge libri mi sembra, come posso dire?, un pesce a cui non piace nuotare. Che tristezza”.
Sostanzialmente agli insegnanti non viene chiesto di leggere e studiare.“Non viene in mente proprio a nessuno di chieder loro una cosa simile, per il semplice fatto che a nessuno importa che un insegnante studi o non studi, legga o non legga, scriva o non scriva”. Ai preside interessa solo che la macchina organizzativa (non certo quella culturale!) funzioni. Ma non importa neanche alle famiglie; a loro interessa che i loro figli siano promossi e non vengano disturbati con compiti eccessivi, con brutti voti e rimproveri. Infine non importa agli allievi, che hanno ben altro per la testa.
Piuttosto,“agli insegnanti si chiede solo di esserci, il maggior numero di ore possibili; di non creare problemi all'utenza e quindi alla direzione”.
La terza prova riguarda i politici, definiti spettacolanti e qui si sfonda una porta aperta. I politici non studiano. Si fa fatica trovarne qualcuno che studi. Le varie riforme della scuola ne sono un esempio.“Il tutto affidato perlopiù ai burocrati dei ministeri, che traducono i voleri dei politici in proposte o norme di legge incomprensibili e indecifrabili”. Certamente“lo studio non abita nei Palazzi del Potere”. Il loro preziosissimo tempo lo passano andando in tivù. Per sciorinare le loro formule rituali a vuoto. Nel mondo politico, tutti sottostanno ad una legge universale: “se non ti esibisci non esisti”. Qui, “tutto è essenzialmente spettacolo”, difficilmente c'è posto per gli studiosi. I giornalisti sui giornali, fanno il riassunto, si pubblica soltanto uno stralcio, quello che c'è scritto nel retro-copertina, non fanno come le mie presentazioni, dove si vede che ho letto il libro.
Poi ci sono i ricercatori universitari, che dovrebbero essere quelli che di mestiere ricercano, cioè studiano. Non è più così, perché adesso sono impiegati a insegnare, a tenere sempre più corsi, diventa una specie di assistente. Oggi devono cercare di pubblicare il maggior numero di articoli sulle riviste, per fare carriera. Servono punteggi, firme, articoli sulle riviste giuste, essere citati più volte possibile. Quindi più amici hai nel mondo accademico meglio è. Così per il critico letterario inglese, Terry Eagleton, siamo alla fine dell'università, alla sua lenta morte.
La quinta prova. La biblioteca. Non è più quella di una volta. In mancanza di aule-studio, centinaia di studenti affollano i tavoli delle biblioteche. E' un bell'impatto visivo, verrebbe da pensare che non si è mai studiato così tanto. Invece gli studenti non fanno altro che andare in giro, a chiacchierare, a bere il caffè, sono studenti itineranti. Per la verità l'ho notato anch'io in quegli anni quando lavoravo nella biblioteca di architettura al Politecnico di Milano.
In pratica la Mastrocola ormai vede stravolto anche il ruolo della biblioteca. Non si ha più voglia di andare a recuperare il sapere affondato nei libri, e così diventano relitti inabissati per sempre. Forse un domani andremo nelle biblioteche come si va tra i ruderi romani e greci.
Infine ci sono gli studenti e qui è chiarissimo che lo studio è sparito. E' facile sostenerlo. Peraltro Mastrocola, ha già scritto un libro (“Togliamo il disturbo”, edizioni Guanda) per raccontare il non studio degli studenti. Manca il desiderio di studio, di sforzo, di impegno. Come sta capitando per il matrimonio, i giovani non hanno più questo desiderio di sposarsi.
Ormai la scuola non è più il luogo dove si va per studiare. Si va per altro. Piuttosto si va a scuola per stare insieme, fare amicizia, ormai per certi versi “è l'unico posto dove andare”. Gli studenti quando ritornano a casa non studiano, piuttosto sono perennemente connessi, hanno altro da fare.
Tuttavia un mondo dove non si studia più è peggiore di un mondo dove si studia. Chi sostiene queste tesi è un pessimista un nostalgico. E' uno che pensa che il mondo è in declino. Oggi ci sono tre parole aborrite: nostalgia, pessimismo, declino. La Mastrocola non ha paura di passare per nostalgica o per pessimista. Oggi tutti dobbiamo dire che le cose vanno bene. C'è una guerra contro il pessimismo. In verità i pessimisti guardano in faccia la realtà, sono realisti. Ma oggi non piace guardare in faccia la realtà. “Dobbiamo tutti dire che andiamo benissimo e viviamo in un mondo meraviglioso, perennemente in progresso, e avviato verso un futuro vincente”. Praticamente “c'è una massa di imbonitori di piazza, di fronte allo sfascio, inneggia a una speranza senza limiti, a una fiducia ad oltranza nelle nostre capacità di risorgere”. Intanto ci nutriamo di autolodi, autostimoli, autoiniezioni continue, di pozioni magiche rigeneranti ed energizzanti”, basta leggere i giornali o aprire la tivù.
La Mastrocola è fortemente critica nei confronti di quelli che dicono “si è vero stiamo perdendo qualcosa” con i nuovi mezzi tecnologici, con la rete, con internet, ma chissà quanto e cosa guadagneremo nel futuro.
Ci ripetono come un mantra,“questa rivoluzione antropologica non ci deve far paura, non è stato così con la scrittura e la stampa?”Pertanto se ,“Perdiamo A ma guadagniamo B. E se non avessimo perso A non avremmo guadagnato B. Quindi siamo comunque a cavallo. E' come dire: abbiamo perso le gambe, ma impareremo a camminare sulle braccia”. La Mastrocola rifiuta questi parallelismi, non possiamo ragionare come la mamma, che cerca sempre di giustificare i propri figli. Una società, un Paese non può sempre autoconsolare. Stiamo perdendo qualcosa di grande, non tutto nella vita ci viene sostituito, riparato.
Attenzione non denigriamo i pessimisti. Nessuno è più idealista speranzoso di loro, nessuno ama il mondo come loro. Lo amano talmente che ogni tanto si permettono di dire che lo vedono bruttino e che lo vorrebbero migliorare.
Invece mi guarderei bene dagli ottimisti a senso unico, questi possono farci del male. Quelli che dicono“basta tirarci su le maniche, dare un colpo di reni, fare uno scatto, credere in noi stessi, pensare positivo..e giù a valanga con questa tiritera di formule-pomate autolenitive”. Ci siamo stancati di tirarci su le maniche. Sono messaggi pericolosi.
Per quanto riguarda il declino, anche questo è evidente. Le civiltà nascono, si consolidano e poi muoiono. Anche se il mondo forse decade da quando è nato. Viviamo un periodo di decadenza, siamo in crisi, ma siamo stati sempre in crisi, basta leggere qualche poeta o pensatore di quarant'anni fa.
Ritornando allo studio, sono in troppi a pensare che si può fare a meno di studiare: ormai c'è internet.“Le informazioni e le conoscenze che ci occorrono stanno ormai fuori di noi (è l'esternalizzazione) e sono continuamente facilmente disponibili a tutti. Basta fare un clic”. Certo è molto comodo internet, è un progresso, soprattutto per chi ha studiato,“cioè per chi, come quelli della mia generazione, ha accumulato un discreto patrimonio personale di conoscenze su cui sempre fare affidamento e può tranquillamente abbandonarsi alle dolci navigazioni destrutturate internettiane”. Mentre per i nativi digitali, non conoscendo altro, pensano che può bastare la rete.
Nonostante la crisi è indubbio che viviamo un certo benessere edonistico.“Viviamo costantemente intrattenuti, interrelati e connessi. Comodi e beati”. Praticamente passiamo la gran parte del nostro tempo libero a intrattenerci, con i nostri gadget tecnologici, che adoriamo. E la crisi che stiamo vivendo, per certi versi favorisce questa società dell'intrattenimento.
Stiamo vivendo il tempo della finzione, per la Mastrocola. Si affermano solennemente certe cose, ma poi si trasgrediscono facilmente. C'è un rilassamento collettivo, è più evidente a scuola. A scuola, invece di fare scuola, abbiamo fatto altro. Niente ortografia, grammatica, tabelline, poesie a memoria, fiumi, capitali, niente nozionismo. Abbiamo ridotto i programmi e il numero delle pagine da leggere. All'università,“abbiamo deciso che per un esame non si debba portare più di un certo numero (molto basso!) di pagine da studiare”.
Nel periodo universitario non si dovrebbe leggere il più possibile? “E' una nefasta decisione al ribasso”. I nostri studenti non leggeranno i classici, non verranno mai a contatto con la bellezza dello stile dei grandi come Platone, Aristotele, Goethe, Galileo. Addirittura all'università con la moltiplicazione degli appelli, si sono introdotti gli “esoneri”, significa che un libro di 400 pagine, si può dividere in quattro parti. La generazione dei nostri padri portavano tutte le materie all'esame di maturità, e per ogni materia il programma di tutti gli anni di liceo. “La gioventù di allora possedeva forse menti più evolute?”.
Perché oggi non è più così? Perché siamo noi a non crederci più.
“E' bizzarro che proprio a scuola non si chieda mai veramente, cioè sul serio, di studiare. Non abbiamo strumenti per chiederlo, né sanzioni: un ragazzo può impunemente venire a scuola e non studiare[...]”.
Nonostante tutta la tecnologia possibile, c'è sempre un momento in cui bisogna mettersi seduti, chiusi in una stanza e aprire “un benedettissimo libro e starci sopra parecchio”. La Mastrocola riesce a fornirci con esattezza e chiarezza che cosa significa studiare e soprattutto come bisogna farlo. Sono concetti ovvi, ma che nell'era di internet serve riproporre pazientemente. E si trattiene spiegando ogni passaggio: Stare, seduti, per ore, in un luogo appartato, indugiando. Naturalmente la solitudine è un ingrediente fondamentale, per lo studio. Altro dato fondamentale è che bisogna essere scollegati. Infine ultimo passaggio occorre memorizzare. E non è facile perchè studiare significa che“quel che si legge resta”. Viene trasferito da un luogo (il libro) a un altro luogo ( la nostra testa), ove permane”. E qui la parola “trasferimento” è basilare. La pagina del libro diventa una sorta di secondo testo nella nostra mente, che, naturalmente non è del tutto uguale all'originale.
“Quel che noi studiamo va a finire in una sorta di magazzino, cui attingere ogni volta che vogliamo”, qualcosa di simile amo raccomandarlo ai miei ragazzini a scuola. Un'altra frase ricorrente nel libro e che “si studia per essere e non per diventare”.
Tuttavia la Mastrocola è quasi costretta a sostenere che è meglio andare via da questa scuola che non attrae e che non ti abitua a studiare.
Negli ultimi capitoli del libro, la professoressa riesce a proporre delle sublimi riflessioni che non si discostano molto da certe raccomandazioni che si possono ascoltare in certi ambienti religiosi o leggere in testi di alta spiritualità, dove prima di agire si raccomanda la necessaria contemplazione. Emerge qualcosa che mi ricorda gli esercizi spirituali ignaziani.“E' sparita l'interiorità. - scrive la Mastrocola - Il piacere di stare con se stessi, di intrattenere rapporti con la parte interna, più spirituale, di noi. Non abbiamo nessuna voglia di ripiegarci, guardarci dentro e riflettere, ricordare, almanaccare su concetti, astrazioni, sentimenti”.
L'uomo moderno di oggi ha paura di rimanere solo. Ha sempre bisogno di relazionarsi con altri, fisicamente o virtualmente. Invece per Mastrocola abbiamo bisogno di solitudine per leggere per stare con i libri, le parole, i pensieri, i ricordi. “E' la solitudine che ha reso possibili le grandi opere dell'ingegno umano, in ogni campo”. Abbiamo bisogno di alimentare la nostra interiorità, la nostra casa, che potrebbe essere la nostra anima.
Gli ultimi capitoli del libro, sono tutti da rileggere e farli propri, per le profonde e significative riflessioni. La Mastrocola ci indica i grandi pensatori antichi come Socrate, Platone, Aristotele, sant'Agostino, Cicerone, Seneca, che non hanno fatto altro che mostrarci la via della felicità attraverso lo studio. E' vero lo studio può trasformare il mondo e Paola Mastrocola ci crede.