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Quando venticinque anni fa i trattati di Maastricht segnarono la nascita dell'Unione Europea e posero le basi per la moneta unica, il mondo correva ancora sull'onda lunga dell'ottimismo successivo alla caduta del muro di Berlino. Un anno prima il politologo statunitense Francis Fukuyama, in un celebre saggio, aveva parlato di Fine della storia: il modello del libero mercato e della società aperta avrebbe trionfato ovunque con Washington nel ruolo di supremo garante. 

 

Oggi la tempesta euro scettica si è abbattuta su tutti i sistemi politici d'Europa e in molti Paesi, tra i quali l'Italia, l'euro è diventato il simbolo del deterioramento economico di quella piccola e media borghesia che guarda con crescente rabbia a una classe dirigente accusata di aver tradito le promesse di quel 7 febbraio 1992 che sembrava dover aprire agli europei i cancelli di un futuro più stabile e prospero. 

 

Se il fuoco del nazionalismo è tornato a bruciare, ad alimentarlo è stato però anche l'atteggiamento di governi che in un'ottica nazionale hanno continuato a pensare, dimostrando spesso di essere i primi a non aver creduto nel sogno di un'Europa davvero unita

 

Le illusioni di Fukuyama Infatti si sono infrante l'11 settembre 2001 con l'attentato alle Torri Gemelle. Ma il vero colpo di grazia arrivò nel 2008 con il crollo di Lehman Brothers e l'esplosione della crisi dei mutui sub prime, da cui scaturì la crisi del debito che fece tremare le fondamenta dell'euro. 

 

Intanto oggi l Europa e diversa la Regina Elisabetta II ha apposto oggi la sua firma, il cosiddetto "Royal Assent", l'assenso reale, sotto la legge che dà il potere al governo britannico di avviare i negoziati formali con Bruxelles per l’uscita del Regno dall’Unione Europea.

La legge è stata approvata lunedì scorso dalla Camera dei Comuni che ha respinto gli emendamenti approvati dalla Camera dei Lord con cui si attribuivano alcuni diritti ai cittadini comunitari presenti in Gran Bretagna e si stabiliva che fosse necessario un voto del Parlamento sul futuro accordo per l'uscita di Londra dall'Unione.

E cosi i rimanenti Stati dopo il Brexit si riuniscono a Roma per festeggiare i 60 anni dei Trattati e recuperare le ragioni per cui si è deciso di creare l'Europa. Oggi c'è insufficienza di idee, di proposte: l'idea europea è appannata". L'Europa è in grado di affrontare queste sfide...dopo il "1989 e il crollo del Muro, l'idea occidentale di un'Europa aveva vinto, ma da questo successo non ha saputo tirarne fuori il valore della libertà come valore principale.

Vuole essere un momento di rilancio dell'Europa dei Parlamenti mentre quella dei Governi appare divisa e in affanno.

Rappresenta la prima conferenza dell'Europa dopo Brexit: gli inglesi, infatti, non saranno presenti.

Secondo il Primo Ministro Italiano : "Le celebrazioni del 25 marzo a Roma per i sessant'anni della firma dei trattati Ue saranno un'occasione molto importante per dare un segnale di rilancio. Non siamo ciechi e vediamo le difficoltà ma vediamo anche le potenzialità. La dichiarazione" di Roma indicherà "la prospettiva nei prossimi dieci anni: un'Europa più forte e coesa su sicurezza e difesa, più solidale e unita su temi migratori, e molto impegnata sul sociale, la crescita, gli investimenti, una cosa a cui noi italiani diamo un'importanza particolare".

L'Europa deve farcela. Sta vivendo un momento di difficoltà, ma proprio in questo si può trovare l'opportunità di rilanciare un progetto che ha comunque regalato settant'anni di pace a mezzo miliardo di persone". Lo ha detto il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ai microfoni di "Manuale d'Europa", settimanale di attualità europea di Rai Radio1.

"Cambiare l'Europa, certo, ma distruggerla sarebbe un errore gravissimo" ha proseguito Tajani, che ha aggiunto: "L'incontro di Roma in occasione dei 60 anni dei Trattati di Roma non deve essere un evento formale, ma un momento di confronto puntando sulla sostanza per cominciare a lavorare ad un'Europa che può essere anche a due velocità, se a due velocità vuol dire avere un'avanguardia che prepara il terreno, penso per esempio a una difesa comune. Se invece due velocità vuol dire escludere la maggioranza dei Paesi, questo sarebbe un errore. Nell'ambito del Trattato si possono fare alcune cose per permettere all'Europa di andare avanti".

"A 60 anni dalla firma dei trattati di Roma, il rischio di paralisi politica in Europa non è mai stato così elevato e richiede una risposta unitaria". Lo ha detto il governatore di Bankitalia Ignazio Visco alla conferenza Macei con i delegati e gli addetti finanziari.
"Non si può ignorare l'euroscetticismo crescente anche se non maggioritario" che crea un "clima di incertezza e pessimismo che può scoraggiare la spesa delle famiglie", ha aggiunto Visco.

Intanto domani mattina , 17 marzo,aprirano le celebrazioni del Parlamento italiano per il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma. Camera e Senato hanno promosso una Conferenza alla quale prenderanno parte i Presidenti dei Parlamenti nazionali degli Stati membri e del Parlamento europeo.

I lavori si articoleranno in due sessioni: al mattino a Montecitorio, al pomeriggio a Palazzo Madama. Si punterà a fare un bilancio dei risultati conseguiti nei primi 60 anni dell'Unione, ma anche a mettere in evidenza il ruolo che le assemblee elettive nazionali possono svolgere nel necessario processo di rilancio dell’Ue.

 

Alle 9,30, alla Camera, dopo il saluto della Presidente Boldrini parleranno Romano Prodi, già Presidente della Commissione europea, e Maria Romana De Gasperi, Presidente onoraria della Fondazione De Gasperi.

Svolgeranno poi interventi i rappresentanti dei Parlamenti degli altri Paesi fondatori che sottoscrissero insieme all'Italia i Trattati di Roma: Siegried Bracke, Presidente della Chambre des Représentants belga; Claude Bartolone, Presidente dell'Assemblée Nationale francese; Norbert Lammert, Presidente del Bundestag tedesco; Mars Di Bartolomeo, Presidente della Chambre des Députés lussemburghese; Khadija Arib, Presidente del Tweede Kamer olandese.

A seguire prenderanno la parola i Presidenti degli altri Parlamenti nazionali dei Paesi aderenti all'Unione europea.

 

Alle ore 16, nell'Aula di Palazzo Madama, dopo il saluto del Presidente del Senato, Pietro Grasso, prenderanno la parola Antonio Tajani, Presidente del Parlamento europeo; Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo; Frans Timmermans, Vice Presidente della Commissione europea; il senatore a vita e Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano; il senatore a vita, già Presidente del Consiglio e Commissario europeo, Mario Monti; l’ideatrice del Programma Erasmus Sofia Corradi. L'intervento conclusivo sarà tenuto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni.

 

Prima dell'inizio dei lavori, alle 15.30, saranno aperte in Senato due mostre. La prima è dedicata all'esposizione del tutto straordinaria, per un periodo limitato, dell'originale del "Torso del Belvedere", proveniente dalle collezioni di scultura classica dei Musei Vaticani, firmata dallo scultore ateniese Apollonios e risalente al I secolo a.C. La seconda mostra si intitola "Libri che hanno fatto l’Europa: Governo dell’Economia e Democrazia dal XV al XX secolo" e propone 140 prime e rare edizioni, dal 1468 al 1950, di opere fondamentali per la cultura europea e mondiale, alcune delle quali provenienti dalla Collezione Goldsmith della Senate House Library della University of London. Dal giorno successivo l'accesso per i cittadini sarà libero e gratuito, secondo il calendario già comunicato.

 

"Oggi si vota in Olanda e nessuno può offendere un Paese democratico che va alle elezioni, offendendo tutti i cittadini europei". Così il presidente del parlamento europeo Antonio Tajani in apertura di plenaria, in riferimento agli attacchi dei giorni scorsi arrivati dalla Turchia ed in vista del dibattito sul futuro dell'Ue che si tiene questa mattina a Strasburgo. A intervenire davanti all'Europarlamento riunito in seduta plenaria saranno, su invito di Tajani, il primo ministro italiano Paolo Gentiloni, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, il vice Primo Ministro maltese Louis Grech e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.

"L'Olanda è Europa, Europa è l'Olanda, posto di libertà e democrazia. Se qualcuno vede fascismo a Rotterdam è completamente distaccato dalla realtà", ha aggiunto il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk parlando a Strasburgo al Parlamento europeo.

Il dibattito è l'occasione per fare il punto sui risultati del Consiglio Europeo svoltosi a Bruxelles la scorsa settimana ed esporre davanti all'assemblea - unica istituzione Ue eletta direttamente dai cittadini - gli obiettivi del vertice sul futuro dell'Unione che si terrà il 25 marzo prossimo a Roma per celebrare i 60 anni dei Trattati di Roma.

"Se i Paesi in prima fila nella gestione dei flussi migratori vengono lasciati soli non ci sarà fiducia nel futuro dell'Ue". Così il premier Gentiloni in plenaria a Strasburgo. Quello della crisi migratoria è uno dei temi su cui l'Ue "ha difficoltà ad avere una risposta comune".

Passi in avanti enormi sotto il profilo istituzionale non se ne possono fare, ma l'Europa deve rimettersi in marcia, perché se si ferma è destinata a tornare indietro, spiega il premier Gentiloni all' Europarlamento e sollecita ad impedire il rischio di nuovi muri perché, sostiene, "non ci sarà mai un'Europa di serie A e di serie B". Quanto all'emergenza migranti, Gentiloni raccomanda di non lasciare soli i Paesi in prima fila nella gestione dei flussi, altrimenti "non ci sarà fiducia nel futuro dell'Ue".

Intanto nei giorni scorsi lo youtuber Luca Donadel ha realizzato un video sulla sua pagina facebook da due milioni di visualizzazioni e 62 mila condivisioni. Un successo. Utilizzando il sistema informatico "Marine Traffic", Donadel ha tracciato gli spostamenti delle circa 14 navi umanitarie che pattugliano il Mediterraneo, "dimostrando" che vanno a recuperare i migranti a poche miglia dalla costa libica e fanno la spola con la Sicilia. Lo stesso esprimento venne fatto alcuni mesi fa il think tank olandese "Gefira". Le immagini parlano chiaro: le operazioni di salvataggio avvengono sempre nello stesso punto. Poco lontano da Tripoli. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

Ora quelle perplessità sono sostenute dalle immagini . E dimostrano come i soccorritori vadano a recuperare i migranti a poche miglia dalla costa libica.

Il Giornale a fine febbraio ha rivelato i contatti tra scafisti e organizzazioni umanitarie. È stato proprio uno dei traficanti contattato al telefono a confermare che se vai in Italia dalla Libia "ti vengono a prendere quelli delle missioni". Non è un caso dunque se ben due procure, sia quella di Cagliari che quella di Palermo, stanno indagando sulle Ong. Non solo. Alcuni hanno più volte sollevato la questione del porto in cui vengono sbarcati i migranti una volta tratti in salvo. Lo scalo "più vicino" non è di certo la Sicilia, né Lampedusa, visto che prima ci sarebbero i pontili della Tunisia o di Malta. Si tratta però di una questione di lana caprina: la convenzione di Amburgo del 1979 obbliga le navi a lasciare i naufraghi in un "luogo sicuro", che non necessariamente è il porto "più vicino". E così alla fine i disperati finiscono tutti in Italia. Contenta - si fa per dire - di accoglierli.

A settembre secondo il quotidiano il Giornale l'agenzia Frontex dell'Unione Europea accusò le Organizzazioni Non Governative di essere "colluse" con gli scafisti. L'addebito suonava più o meno così: i trafficanti prima di mettere in mare le imbarcazioni forniscono ai migranti l'esatta posizione delle navi delle missioni (Aquarius, Golfo Azzurro e altre), così da assicurare un rapido ripescaggio. Ovviamente le Ong, a partire da Medici Senza Frontiere fino ad arrivare a Save the Children, risposero piccate affermando che si trattava di una "aggressione politica".

Come rivela il quotidiano il Giornale : In realtà il tempo ha portato a galla una verità meno rosea di quella delineata dai vertici delle Ong. A febbraio Frontex è tornata alla carica, scrivendo nel rapporto 2017 che di fatto le navi umanitarie "aiutano i criminali a raggiungere i loro obiettivi a costi minimi, rafforzando il loro modello di business". Le operazioni umanitarie di salvataggio sono schizzate nel corso degli anni: appena 1.450 persone salvate nel 2014 a fronte delle 46.796 anime recuperate nel 2016. I trafficanti insomma preferiscono le missioni alle navi militari. Perché? La mancanza di coordinamento con le autorità Ue e il vizio delle Ong di spingersi anche oltre i limiti delle acque territoriali, secondo l'Europa sono un invito ai trafficanti a mettere in mare sempre più barconi, sempre più carichi e con meno benzina. Tanto - è il ragionamento - poco dopo la partenza i migranti vengono presi in carico dai soccorritori che li portano in Italia. Con l'unico effetto di aumentare i morti in mare.

Come riferisce il quotidiano il Giornale secondo Frontex, le modalità di azione delle Ong e la fame di denaro dei trafficanti spinge a partire anche in condizioni di mare pericolose e con barche sempre più affollate (la media è salita da 90 a 160 passeggeri per gommone). E i morti in mare sono aumentati a 4.500 dai 3.175 del 2015. Al momento non ci sono prove di collusioni vere e proprie tra i trafficanti e le Ong, collusioni difficili da immaginare per le Ong più grandi. Ma, come aveva raccontato il Giornale già a giugno 2016, tra i vertici militari europei si fa largo il sospetto di una sorta di sabotaggio da parte di almeno alcune delle Ong contrarie al contenimento degli arrivi dalla Libia.

A livello europeo del resto, si è ormai deciso di adottare una linea più restrittiva per tentare di chiudere la rotta libica. Pesano anche i rischi per la sicurezza, visto che alcuni stranieri arrivati come profughi si sono resi responsabili di attentati terroristici in Europa. Ieri il Parlamento europeo ha varato nuove norme contro il terrorismo che prevedono di classificare come reati una serie di «atti preparatori» ad attentati, tra cui viaggi all'estero per aderire a un gruppo terroristico e/o ritorno nell'Ue, reclutamento, favoreggiamento o finanziamento di gruppi terroristici, complicità o tentativo di attacco, incitamento pubblico o inneggiare al terrorismo. Reati già previsti dalle norme italiane, ma non da quelle di altri Paesi europei.

 

 

 

 

 

Mentre prosegue il confronto acceso tra Olanda e Turchia, dopo un weekend ad altissima tensione, la comunità internazionale fa sentire la sua voce lanciando appelli alla calma. La Ue chiede ad Ankara di abbassare i toni, la Nato chiede ad entrambi gli alleati un "approccio misurato". Ma per tutta risposta dal la Turchia arriva una nuova minaccia, stavolta a tutta la Ue e su una delle questioni che la tocca più nel vivo: l'accordo sui migranti, che il ministro turco per l'Europa, Omer Celik, ha annunciato di voler rivedere.

Lo scrive l'Apa citando l'agenzia turca. Si tratta dell'accordo che dall'anno scorso prevede un forte contributo economico dell'Unione Europea alla Turchia per l'accoglienza in particolare dei milioni di profughi siriani in fuga dalla guerra in campi nei quali dovrebbero essere poi effettuate le operazioni di identificazione e di invio nei paesi europei dei richiedenti asilo. Un accordo in cui la Germania ha un ruolo di primo piano e che ha di fatto interrotto le tragedie nel mar Egeo ma che resta attuato solo in parte sia in Turcia sia in Grecia, stante l'esiguo numero di profughi effettivamente giunti in Europa. Non è la prima volta che la Turchia minaccia queste "revisioni": sul tavolo, oltre al futuro dei profughi che affrontano dure condizioni nei campi di accoglienza, c'è la questione dei visti per i cittadini turchi diretti nei paesi europei.

La tensione tra Turchia e Olanda resta alta dopo aver vissuto un'escalation nella giornata di ieri e epilogo nella notte, con un ministro del paese della mezzaluna scortato fuori dall'Olanda, a meno di 24 ore dall'ingresso vietato al ministro degli esteri turco. L'Olanda «pagherà il prezzo» per il comportamento «vergognoso» nei confronti dei ministri turchi, minaccia rinnovando le accuse il premier turco.

E il presidente Erdogan rilancia anche sui toni, accusando la Germania di sostenere il terrorismo, solo perché aveva espresso solidarietà all'Olanda. L'incidente diplomatico scoppiato sabato, dopo che il Governo dell'Aja ha respinto il volo del ministro degli esteri turco atteso a Rotterdam per un comizio, è tutt'altro che rientrato. La Turchia ha detto che si rivolgerà alla Corte dei diritti dell'uomo e ha convocato il più alto diplomatico olandese presente nel Paese per protestare contro il trattamento riservato al titolare degli esteri e alla sua collega della famiglia, Fatma Betl Sayan Kay, che pure aveva provato a raggiungere il consolato di Rotterdam sabato, per parlare in favore del referendum costituzionale del 16 aprile davanti a centinaia di manifestanti pro-Erdogan. L'Olanda ha invece chiesto che Ankara ritiri le accuse di "fascismo e nazismo" altrimenti "le relazioni" tra i due Paesi "resteranno difficili", ha detto il vicepremier Lodewijk Asscher.

Intanto Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non smorza i toni nella crisi diplomatica con L'Aja e accusa gli olandesi di avere un "carattere marcio". "Conosciamo l'Olanda e gli olandesi dal massacro di Srebrenica. Sappiamo che carattere marcio hanno dal loro massacro di 8000 bosniaci",  ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, in piena crisi diplomatica con L'Aja, ritenendo l'Olanda "responsabile della peggiore strage dalla Seconda guerra mondiale". Erdogan ha fatto riferimento al battaglione olandese di caschi blu dell'Onu che non impedì l'uccisione di 8000 musulmani da parte delle forze serbo-bosniache a Srebrenica nel 1995.

Il vicepremier turco Numan Kurtulmus ha annunciato in una conferenza stampa dopo la riunione settimanale di governo la sospensione delle relazioni ad alto livello tra la Turchia e l'Olanda. Si inaspriscono così le tensioni già alte fra la Turchia e l'Olanda dopo il trattamento riservato a due ministri di Ankara, a cui è stato impedito di svolgere comizi a Rotterdam.

La Turchia chiuderà il proprio spazio aereo ai diplomatici olandesi fino a quando l'Olanda non adempierà alle richieste di Ankara. Lo ha affermato il vicepremier turco, Numan Kurtulmus, aggiungendo che non sarà permesso all'ambasciatore olandese in Turchia - attualmente in vacanza fuori dal Paese - di rientrare ad Ankara. "In atto c'è una crisi molto profonda che noi non abbiano né iniziato né tantomeno portata a questo livello", ha aggiunto.

Intanto secondo Oxfam dopo sei anni di guerra, la situazione in Siria è sempre più tragica e per i civili non c'è più nessuna via di fuga. Lo denuncia l'organizzazione umanitaria in un documento che fornisce cifre drammatiche. «78.000 siriani bloccati al confine con la Giordania, centinaia di migliaia respinti alla frontiera con la Turchia, 640.000 in Siria sotto assedio militare», afferma Oxfam ribadendo la sua adesione «al progetto Corridoi Umanitari, che garantisce una via di approdo sicura a centinaia di rifugiati vulnerabili».

«Invece di porre fine alle incredibili violenze, si impedisce ai siriani di mettersi in salvo da quelle stesse violenze - ha detto Roberto Barbieri, ai Giornalisti e alle agenzie stampa direttore generale di Oxfam Italia - Il risultato è che centinaia di migliaia di persone vivono nelle aree di guerra mentre in tantissimi non hanno nessuna speranza di reinsediamento in altri paesi o di ritorno a casa».

Oxfam ricorda in particolare «i campi sovraffollati delle isole greche, i ritorni forzati in Turchia, la volontà dell'Europa a non prendersi carico delle richieste d'asilo di chi è in fuga dalla guerra, l'emendamento alla legge sull'immigrazione in Gran Bretagna che impedisce l'ingresso a minori migranti non accompagnati». «L'appello che rivolgiamo ai leader del mondo - è scritto ancora nel documento - è di smettere la politica dei muri e di rispettare gli impegni di reinsediamento assunti nei confronti di chi fugge dalla guerra».

«Milioni di persone - ricorda l'organizzazione - si ritrovano intrappolate, vittime di politiche restrittive che innalzano muri e di fatto impediscono una chance di futuro a chi ha dovuto lasciarsi tutto alle spalle. I quasi cinque milioni di siriani che sono riusciti a scappare dal paese oggi vivono sulla propria pelle le conseguenze delle decisioni dei paesi più ricchi del mondo che si traducono per moltissimi nell'impossibilità di trovare un luogo sicuro in cui vivere: da inizio anno Stati Uniti, Unione Europea e Gran Bretagna hanno variamente modificato, sospeso o cancellato tutte quelle politiche in grado di garantire accoglienza a decine di migliaia di rifugiati».

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