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In questi giorni nel dibattito elettorale è entrato il tema del “fascismo e dell'antifascismo”. A sinistra il fascismo viene visto come un pericolo imminente, mentre per la destra, al massimo può essere affrontato come un tema storico. Nessuno però si sogna di discutere, di “comunismo e anticomunismo”, in particolare, del costo umano del comunismo e sul fatto che ancora oggi l'ideologia comunista, non ha fatto i conti con la storia. Tra le tante rivoluzioni comuniste quella che ancora non è stata scritta compiutamente è la rivoluzione maoista in Cina.

Non sono tanti gli studi sull'argomento. Uno studio serio l'ho recensito l'anno scorso, dello storico giornalista inglese, J. Becker, La Rivoluzione della fame. Cina 1958-1962: la carestia segreta”, Il Saggiatore (1998). In questi giorni ho letto un libro-diario sulle sistematiche violenze subite dai cristiani in Cina ad opera del comunismo maoista. Si tratta di “In catene per Cristo. Diari di martiri nella Cina di Mao”, a cura di Gerolamo Fazzini, Emi (2015).“Quanti libri,- scrive Fazzini nell'introduzione -  testimonianze, film sono usciti, nell'arco di mezzo secolo, sulla Shoah, la tragedia-simbolo del Novecento? Difficile, se non impossibile, stabilirlo”. E non mi sembra che il tema patisca indifferenza come si è sostenuto a Milano nella recente Giornata della Memoria.

Piuttosto l'indifferenza la riscontriamo sui tanti, troppi stermini ad opera dei movimenti, dei regimi comunisti, e in particolare per quelli del comunismo cinese. Il libro “In catene per Cristo”, ha il merito di raccontare le decine di milioni di morti; i migliaia di prigionieri incarcerati con accuse false e processi-farsa; centinaia di campi di concentramento, detti laogai, versione cinese dei lager nazisti e dei gulag sovietici. Il testo raccoglie per la prima volta quattro testimonianze autobiografiche, presentandole al grande pubblico. Testimonianze dirette delle persecuzioni degli anni Cinquanta e Sessanta. Con il racconto di messe e comunioni celebrate e vissute anche in proibitive condizioni di prigionia. I quattro testimoni, cioè "martiri" nell'originale significato greco della parola, sono nell'ordine:
- Gaetano Pollio, missionario italiano del Pontificio Istituto Missioni Estere, poi arcivescovo di Kaifeng, arrestato e costretto ai lavori forzati per sei mesi nel 1951 e infine espulso;
- Domenico Tang, gesuita, arcivescovo di Canton, incarcerato senza processo per ventidue anni senza che nessuno sapesse più nulla di lui, al punto da essere creduto morto;
- Giovanni Liao, catechista, imprigionato in un "laogai" per ventidue anni per la sola colpa di essere e restare fedele cattolico;
- Leone Chan, quattro anni e mezzo di carcere, uno dei primi preti cinesi fuggiti all'estero a riferire la verità sulla Cina, proprio in quegli anni Sessanta in cui il "Libretto rosso" di Mao era di gran moda in Occidente come manife
sto di libertà ed emancipazione.  

Sandro Magister presentando il libro nel maggio del 2015, scriveva: “La Chiesa cattolica cinese è, nel mondo, una di quelle che da più tempo è sottoposta a ininterrotto martirio. Eppure di questo martirio troppo poco si sa. Sia nelle modalità relativamente più blande degli anni recenti. Sia nei suoi picchi di crudeltà estrema, negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso.
La Cina non ha avuto un suo Aleksandr Solgenitsin, né un racconto dell'inferno dei "laogai", i suoi campi di lavoro forzato e di sterminio, di grandiosità paragonabile ad 'Arcipelago Gulag'”
. (S. Magister, Diari di martiri nella Cina di Mao, 23.5.15, in www.Chiesa.espressonline.it)

E' opportuno sottolineare l'opera meritoria del Pime, (Pontificio Istituto Missioni Esteri) che attraverso articoli con la rivista Asianews e con diversi libri ha riscritto la storia della Rivoluzione cinese di Mao Zedong.

Che senso ha raccontare le persecuzioni dei cattolici ai tempi di Mao Zedong? Che senso ha oggi, a oltre mezzo secolo di distanza, rileggere le pagine del diario di monsignor Pollio. Risponde padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews:“Anzitutto per mostrare che le cose che si narrano in questo libro non sono fatti di un lontano passato, ma continuano ancora nel presente, talvolta con meno crudeltà, ma sempre con un controllo totalitario sulla vita dei cristiani”. Ma c'è anche un altro motivo: “è che questo libro vince il silenzio sulla persecuzione nel periodo maoista, trattato da troppo pochi specialisti e storici. Parlare di tali drammatici eventi, penso aiuterà a non tacere anche sulle persecuzioni attuali. Vale sempre l'adagio che chi non ricorda la storia, è condannato a ripeterla; chi nasconde le persecuzioni del passato, imbavaglia anche il presente”.

Nell'introduzione il curatore Gerolamo Fazzini racconta dei casi paradossali; è capitato che si tenevano nei cassetti questi dettagliati resoconti della brutale persecuzione maoista, perché si era convinti che “i tempi nuovi” in Cina erano promettenti per la Chiesa cattolica. Quindi era inutile raccontare il periodo buio del maoismo. Anche don Piero Gheddo racconta il disinteresse delle case editrici per questi diari.

La Cina, il mondo ha bisogno di fare i conti con la storia e questo libro, può dare una mano alla verità e alla Cina. Anche perchè come scrive il sociologo delle religioni americano, Rodney Stark, la Cina è l'unico paese al mondo dove il cristianesimo cresce vertiginosamente. Il numero di questi testimoni ridotti “in catene per Cristo”, ha prodotto questo “miracolo” della crescita dei nuovi cristiani in Cina.

Abbiamo il dovere di fare memoria dei tanti testimoni, della fede in Cina, ce lo ricordava il cardinale Joseph Zen Zekiun presentando il “Libro rosso dei martiri cinesi”, pubblicato nel 2007 dalla San Paolo. Certo i quattro testimoni che il libro presenta, forse non sono martiri, perchè sono sopravvissute alle pur lunghe e incredibile sevizie di cui sono state fatte oggetto, di sicuro però possiamo chiamarli, “confessori della fede”.

Perché è stato pubblicato questo libro? La risposta viene data dal curatore:“siamo di fronte a pagine di altissimo valore, che vanno fatte conoscere perché siano meditate e pregate, frutto – come sono – di vite vissute con radicalità estrema sulle orme del Vangelo. Sono pagine che, nella loro semplicità e talora in uno stile molto asciutto, trasudano fede [...]Una fede che, temprata dalle avversità più terribili, sopravvive e risplende ancora oggi […] Far memoria dei martiri, della loro perseveranza e del loro coraggio, è quindi un modo – attualissimo e prezioso – per rafforzare la nostra fede”.

La grande testimonianza dei quattro protagonisti del libro è corrisponde alle esortazioni di Papa Francesco che più volte ha richiamato la Chiesa a lottare contro la tentazione della mediocrità, di una fede “negoziata”.“Siamo coraggiosi come Pietro o un po' tiepidi?”, ha osservato il Papa, [Pietro]“non ha taciuto la fede, non è sceso a compromessi, perché la fede non si negozia”. Il Papa inoltre ha ribadito:“Per trovare i martiri non è necessario andare alle catacombe o al Colosseo: i martiri sono vivi adesso, in tanti Paesi. Oggi, nel secolo XXI, la nostra Chiesa è una Chiesa dei martiri”. Pertanto anche oggi in Cina continuano ad esserci preti e vescovi in detenzione.“Per loro è essenziale sapere che non sono soli, che c'è gente che prega per loro, conosce le loro sofferenze e si unisce al Signore in preghiera con loro”. Infatti nel suo diario monsignor Domenico Tang dice chiaramente che è stato proprio questo senso di comunione a sorreggerlo nei lunghi anni di forzata solitudine: “Benché fossi staccato dal mondo esterno, sapevo che i cattolici di tutta la Chiesa, insieme ai gesuiti, mi sostenevano: i miei preti e i miei fedeli pregavano per me, e non ero stato rifiutato dalla gente. Per cui mi sorreggeva una grande forza spirituale”.

Fazzini critica la palese indifferenza delle comunità cristiane occidentali, dell'Italia, rinchiuse in se stesse, non prendono sul serio la testimonianza di questi “confessori e martiri della Chiesa di Cina”, che “appartengono all'intera cristianità ed è nostro dovere, oltre che diritto, presentare le loro testimonianze perché alimentino la fede dei cristiani di tutto il mondo”.

L'accanimento dei comunisti cinesi nei confronti della gerarchia cattolica e dei fedeli fu la conseguenza del rifiuto dei vescovi della cosiddetta “riforma”, che il governo voleva imporre alla Chiesa. Si voleva a tutti i costi spezzare il legame fra la Chiesa cinese e il Vaticano, il Papa. Monsignor Pollio lo chiarisce bene nel suo diario. “Senza il Papa, non c'è la Chiesa cattolica”, ribadiva monsignor Tang di fronte ai giudici comunisti.

Dagli autori protagonisti di questi diari emerge una “straordinaria capacità di perdonare i propri carnefici, che costituisce il 'marchio di fabbrica' del martirio autenticamente cristiano”. Le loro storie hanno una rilevanza storica, in particolare quella di padre Chan, che è stato il primo a testimoniare all'estero le atrocità della rivoluzione maoista. Padre Gheddo ha potuto seguire personalmente i racconti di questi testimoni, presenti nel libro. E' stato grazie a questi testimoni autorevoli, se abbiamo conosciuto la situazione reale della Chiesa in Cina subito dopo la presa del potere di Mao Zedong.

I testi proposti offrono un contributo prezioso a chi voglia conoscere che cosa sia stata, nei fatti, la vicenda cinese tra gli anni Quaranta e gli anni Settanta del secolo scorso: gli anni del mito di Mao.

Ancora una volta il libro cita il cardinale Zen: “Per molti anni il maoismo è stato esaltato, oltre il limite della ragionevolezza. Anche coloro che non erano d'accordo non hanno avuto il coraggio, o la libertà interiore, di parlare fuori dal coro ideologico, forse per non essere annoverati fra i reazionari”.

Quei pochi storici come Stefano Cammelli, che si sono occupati dei massacri di milioni di cinesi ad opera del comunismo maoista, hanno potuto sostenere dopo anni di seri studi che “la storia della rivoluzione cinese, avventura ideologica e mitica, alla quale buona parte della sinistra europea si è rifatta con ammirazione, va sostanzialmente riscritta. Il j'accuse di Cammelli suona inequivocabile: gli storici occidentali hanno ignorato le fonti missionarie, privandosi così di una componente preziosa, anzi irrinunciabile”.

Cammelli accusa “la comunità degli esperti” di aver alzato “un muro di così alte dimensioni che ancora oggi pesa in molti ambienti universitari”, sopratutto nei riguardi di chi coraggiosamente denunciava la vera realtà della politica maoista. “Nessuno più lavorava. Giovani e vecchi, senza distinzione, passavano tutto il tempo fra 'riunioni di massa' e 'sessioni di lotta'[...] Non si è lontani dal vero quando si afferma che, in quegli anni, il Paese era diventato un gigantesco manicomio”. Sono queste, delle “parole che pesano come macigni. Abissalmente lontane dall'entusiastica descrizione che, come detto, della situazione cinese hanno offerto, per anni, maitres a' penser di casa nostra, affascinati e infatuati del grande Timoniere e dell'immane e azzardato esperimento sociale da questi condotto per decenni”.

Giovanni Liao Shouji, in “La mia vita nei laogai”, descrive la riduzione di emozioni e sentimenti che la prolungata vita nel carcere procurava ai detenuti: “siamo davanti all'annientamento scientifico, perversamente perseguito, dell'umano. Altro che la 'liberazione' dipinta dalla propaganda maoista!”. Ormai è storia come negli anni sessanta, numerosi intellettuali occidentali renderanno la figura di Mao popolare fino a sfiorare l'idolatria.

Dopo le recenti acquisizioni storiografiche che permettono di giudicare oggettivamente la rivoluzione di Mao Zedong, si può affermare che il “Sole rosso” sia responsabile – direttamente o meno – di crimini pari o addirittura superiori, per crudeltà, intensità e durata, a quelli di Stalin e dello stesso Hitler. “Un ex gerarca maoista riparato all'estero, Chen Yizi, afferma di aver visto un documento interno del partito comunista che quantificava in ottanta milioni il numero dei morti 'per cause non naturali' nel periodo del 'Grande balzo in avanti' “.

Certo ancora molto lavoro si deve fare per far conoscere le atrocità del comunismo maoista, molto aveva fatto Harry Wu, recentemente scomparso in circostanze misteriose, uno dei più famosi dissidenti cinesi, che ha documentato numero, caratteristiche, funzionamento dei campi di lavoro cinesi, anche se siamo ancora lontani dal conoscere nel dettaglio la vita di questi campi, come è avvenuto per i gulag sovietici, grazie a Solzenicyn.

Leggendo In catene per Cristo troveremo diversi fatti che dimostrano la vera natura  intrinsecamente violenta del maoismo. I diari dei nostri protagonisti elencano diversi episodi, diversi crimini commessi dai carcerieri come quando ti processavano pubblicamente e dovevi chinare il capo, se non lo facevi, ti mettevano una grossa pietra al collo per obbligarti ad abbassare la testa. E' capitato diverse volte. Nelle carceri regnava la delazione, non ci si poteva fidare di nessuno, si veniva incoraggiati a fare la spia. In questi campi di lavoro a mani nude, regnava la fame nera, oltre che al freddo polare.

Alla fine dell'introduzione Fazzini ci tiene a precisare che questi testi devono essere letti non soltanto come documenti storici, ma soprattutto dev'essere una lettura di tipo spirituale.“Gli stessi protagonisti di queste vicende, pur prendendo le distanze dal comunismo, mai si avventurano nella contro-propaganda, nell'ostilità o nella vendetta. Né lo faremo noi. Preferiamo assumere lo stile, autenticamente evangelico, di questi martiri che sempre sono stati convinti di una cosa: ossia che la loro sofferenza, vissuta e accettata in nome della fede, parlasse ossia più delle parole, arrivando persino a far breccia nel cuore dei persecutori”. Certo l'atteggiamento dei martiri, protagonisti del libro, è giusto, loro hanno subito ogni indicibile persecuzione e riescono anche a perdonare. Diverso dev'essere l'atteggiamento dello storico o del politico, loro devono cercare sempre di far conoscere la verità e soprattutto evitare di non cadere in quegli atteggiamenti ideologici che hanno portato alle aberrazioni dei vari comunismi, quindi se occorre devono diffondere un sano anticomunismo.

Nel testo si possono leggere le descrizioni dell'efferatezza dei processi, le atrocità delle torture, i ferri, le catene ai polsi e alle caviglie sanguinanti, la diabolica crudeltà della “rieducazione”.

Il racconto di come la liturgia eucaristica è stata celebrata e vissuta anche in proibitive condizioni di prigionia, in questo caso da parte di un vescovo e di umili fedeli, tutte giovani donne più una bambina di soli 4 anni, dalla fede così forte nel sacramento culmine e fonte della vita della Chiesa, da "spostare le montagne" e rendere reale l'inimmaginabile.
Una lezione che è oggi di straordinaria attualità, - scrive Magister - in tempi nei quali la comunione eucaristica decade spesso a banale metafora di solidarietà e condivisione tutte terrene”.

Il testo soprattutto di monsignor Pollio ha un valore documentale, racconta in presa diretta le terribili sevizie cui erano sottoposti i detenuti:“il tonfo dei torturati, che venivano sollevati alla trave del carcere legati per i pollici e poi lasciati cadere, era ogni volta una ferita al mio animo[...]”. L'arresto, le calunnie subite, di essere un “imperialista”, le intere giornate di snervanti interrogatori.“I processi, sotto il regime comunista, sono terribilmente snervanti. In essi la giustizia è un assurdo: vengono inventate accuse inverosimili e inconsistenti, lette le più ripugnanti deposizione; si presentano numerosi falsi testimoni [...]”. La vita in carcere, in mezzo ai delinquenti,“in cella costretti a stare seduti a terra tutto il giorno dalle 5 del mattino alle 10 di sera, senza poterci alzare e muovere; la terra umida, per cui in poco tempo, il mio corpo si coprì di piaghe”. E poi le catene, il peggiore supplizio. Quelli che portavano le catene ai piedi e i ferri alle mani legate dietro la schiena, mangiavano come i cani. Dovevano spingere quel tozzo di pane contro il muro, per avere un appoggio e addentarlo.

La Via Crucis che doveva subire quando lo portavano al tribunale. Dovevi fare tre chilometri con le catene alle caviglie – raccconta monsignor Pollio - e spesso passavi in mezzo a delle folle obbligate a gridare col pugno chiuso e inveire contro i detenuti imperialisti.

Il vescovo nel raccontare la sua prigionia, ci dà anche istruzioni sulle aberrazioni dell'ideologia comunista dove le generazioni vengono educate alla scuola dell'odio, a questa scuola deve formarsi il bolscevico del domani.“Dopo diciannove secoli, da Mosca è partito un altro comando, in antitesi con quello di Gesù: 'Abbasso l'amore del prossimo. Abbiamo bisogno di odio. L'odio è santo. “I comunisti hanno scelto l'odio - ribadisce monsignor Pollio - perché il comunismo non è civiltà ma barbarie, la più grande barbarie della storia”. Per fare questo bisognava indottrinare i giovani con tutti mezzi. Fino a raggiungere quel terribile risultato come di quel figlio di un pastore protestante, il giovane Luo Chen Han che imbevuto dell'indottrinamento ricevuto a scuola, fece arrestare il padre e chiese al governo di metterlo a morte, assistendo poi alla barbara esecuzione di colui che gli aveva dato la vita.

 

Il mese scorso ho avuto il piacere di incontrare il poeta, scrittore ed operatore culturale Gianni Ianuale, con il quale mi sono soffermata su alcune riflessioni riguardanti la sua ultima fatica editoriale “Lampi degli dèi” (Brignoli Edizioni), un interessante libro di pensieri, massime, aforismi e citazioni che rimandano a pensieri filosofici spesso afferenti la sfera spirituale.

Nato a Castello di Cisterna (Napoli), orfano di padre in tenera età, egli si avvicina molto presto alla poesia con autentica passione.

Ha frequentato corsi, anche a livello accademico, delle più svariate discipline, spaziando fra Sociologia, Filosofia, Logica, Psichiatria, Astrologia ed ha all’attivo decine di pubblicazioni di libri. Per quanto attiene agli studi sulla ricerca del linguaggio, Ianuale è stato allievo del gesuita Angelo Arpa; fa parte di diverse prestigiose Accademie e frequenta da sempre centri di ricerca ed associazioni culturali. Inoltre, partecipa a commissioni e giurie di importanti premi nazionali ed internazionali e porta avanti un laboratorio poetico in qualità di esperto della creatività.

Ha fondato l’Accademia Internazionale Vesuviana, della quale e presidente, negli anni ha recensito considerevoli numeri di libri e cura la formazione culturale dei poeti attraverso laboratori strutturati sull’etica e stili personalizzati. Iscritto alla SIAE, è autore di testi per gruppi e cantanti di musica leggera.

In quarta di copertina dell’opera “Lampi degli dèi” lo scrittore e critico letterario, artistico e musicale Aldo G. Jatosti  ha scritto: L’opera di Gianni Ianuale “Lampi degli dèi”offre una panoramica di pensieri ed espressioni che fanno meditare, inquadra tasselli sociali come frutto monolitico e opinioni personali. L’autore sprigiona un potenziale esercizio visivo tra simboli, sostanza e scenari quotidiani, poiché l’uomo è tempo nel tempo.

Ho letto il suo ultimo libro dal titolo “Lampi degli dèi” (2017, Brignoli Edizioni) e ne sono rimasta particolarmente affascinata. Mi ha colpito la componente spirituale che emerge chiaramente  dalla sua espressione letteraria. Vorrebbe parlare ai nostri lettori del suo rapporto con la Fede?

Bisogna capire che Dio  si rivela in energia, quindi Dio è energia dell’uomo e, viceversa l’uomo è energia di Dio a tutti i livelli.

I suoi aforismi racchiudono concetti filosofici di rara intensità. Quando ha iniziato ad esprimersi attraverso massime, che nella loro brevità, abbracciano in modo significativo saggezza e grandi verità?

La ricerca del bel verso, come nel caso degli aforismi, è fonte essenziale per l’autentico poeta, poiché l’autenticità non sta solo nelle parole, ma soprattutto nei comportamenti. Vi sono uomini che di domenica in chiesa sono in prima fila, nella convinzione che la chiesa possa trovare la sua massima espressione solo entro quelle mura, mentre io sostengo che essa si incontra soprattutto nelle strade e nelle case, quindi, anche al di fuori del luogo sacro. Ricordo un pensiero apprezzato dai prelati: “L’uomo è un luogo, una chiesa mobile, abita quelle virtù che lo rendono tale”.

A proposito dei suoi aforismi, scrive - Le vibrazioni rafforzano il tessuto teologico dell’individuo - un pensiero sul quale mi sono soffermata. Mi chiedo: il tessuto teologico appartiene al Dna di un individuo, oppure va conquistato giorno per giorno?

Il tessuto teologico è insito nell’individuo, ma vi è chi lo scopre e chi lo ignora. La meraviglia è che Dio offre e dona tutto all’uomo, ma questi, talvolta, desidera sopravvivere in punto di morte. Le vibrazioni fermentano nel sangue, ragion per cui il sangue alimenta anche il cervello: una centrale elettrica con i poli positivi e negativi, sta a noi tramutarle in azioni positive per raggiungere qualsiasi scopo.

Lei è nato in Campania, una Terra affascinante, ricca di storia e con una felice posizione geografica, che ha contribuito a renderla famosa nel mondo. Nell’antichità i Greci  vi fondarono importanti colonie, come Ercolano e Pompei; più tardi arrivarono i Romani e in quel periodo storico la sua Regione conobbe un certo benessere. Il passaggio di tante civiltà ha lasciato ai posteri una notevole eredità culturale.  Cosa è rimasto oggi di tali valori?

Certamente tutte le civiltà hanno lasciato in eredità veramente tanto; ciò si evince consultando dispense e libri di autori di questa regione che hanno scritto veramente tanto. Anzi, devo dire che proprio il mio cognome “Ianuale”, è di origine greca (G. B. Crollalanza, pag. 464), basta consultare l’araldica nella biblioteca dello Stato, oppure Guelfi, colui che ha scritto su tutti i cognomi. Oggi la nostra società sta vivendo una crisi dei modelli valoriali di riferimento, ma dobbiamo essere fiduciosi.

Fra le tante foto pubblicate nel suo libro, ho visto quella con il cantautore Roberto Murolo. Quale ricordo conserva di questo grande artista, altamente rappresentativo della canzone napoletana a livello internazionale?

A dir la verità, nei miei percorsi culturali ho sempre incontrato e presentato tanti artisti di fama, sin da bambino quando sono rimasto orfano di papà Ferdinando, che da adulto, momento in cui, fra l’altro, ho scritto la prima poesia dal titolo “Solitudine”. Nel contempo, ho avuto anche alcuni gruppi vocali-strumentali, quali Te Yanua Song, Il Banco Popolare, Majakopa Group, La strana idea ed altri. Quindi, tra cultura e musica mi sono trovato a presentare tanti artisti, come appunto Roberto Murolo, Franco IV e Franco I, Edoardo Vianello, Renato Carosone, Franco Ricci, Aurelio Fierro, il coreografo Angelo Luppino di Zurigo, lo scrittore spagnolo Javier De La Rosa, alcuni parlamentari del passato, ma sono tanti i personaggi della cultura, dello spettacolo e del giornalismo. Infine, desidero ricordare che sono stato allievo del Gesuita Angelo Arpa, Guida spirituale di Federico Fellini. Del bravissimo cantautore Roberto Murolo ricordo la saggezza, la modestia ed un’innata creatività, che lo ha reso grande nel mondo.

Nei suoi pensieri l’elemento simbolico emerge fortemente e si coniuga con fotogrammi di vita, che offrono al lettore la possibilità di entrare nella sua sfera intima ed emozionale. Le immagini fissano un ricordo, un momento importante della vita. Quali sono i motivi che l’hanno spinta a condividere il suo album privato?

Quando si scrive un libro, specialmente di tante e tante pagine, a mio avviso diventa un mattone, che giunto a trenta e quaranta pagine, lo si abbandona; invece, se tra una tantum di pagine vi è un’immagine, una fotografia, un pensiero, in questo caso ogni frammento fa riflettere, quindi, il libro diventa più scorrevole e interessante. Non bastano solo parole e parole, come tantissimi libri attuali, ma soprattutto immagini e immagini e una grafica coerente.

 Una domanda molto personale, che spero mi consentirà:  cosa ha significato per lei aver perso il papà a soli sette anni?

Quando si perde un padre all’età di sette anni con tre fratelli, due sorelle di cui la più grande di 13 anni, si ha il vuoto dentro, quindi, se non si mettono in moto stille di fantasia o lumi di creatività, la vita diventa un abbandono a se stessi. Pertanto, nel mio caso la grande volontà, che caratterizza i nati sotto il segno dell’ariete, ed io lo sono, ha preso piede su tutti i fronti e, a dir la verità, ha generato presupposti che mi hanno consentito di superare tutti i limiti. Poi, ricordiamoci sempre che dobbiamo imparare tanto fino alla morte.

La cultura è da sempre al centro dei suoi interessi. Da anni svolge con sentimento un’intensa attività di volontariato, finalizzata alla promozione letteraria. In una fase storica carica di incertezze, come quella attuale, ritiene che l’impegno sociale rivesta oggigiorno un ruolo ancor più significativo?

Certamente si; siamo nati per contribuire alla crescita del mondo, come supporter del nostri fratelli, quindi, in qualità di uomo sensibile e poeta, il mio tempo libero l’ho sempre trovato, dedicandomi al prossimo in piena trasparenza. Basti pensare che fin dall’età di trent’anni mi sono adoperato a gestire nuclei famigliari problematici, a fare sostegno sociale, a recuperare tossicodipendente, a fare laboratori di tutti i tipi, compreso quello via telefono e per incontri programmati, tutto in cambio di nulla, perché sono convito a qualsiasi livello che se non si fa gavetta, i problemi altri non si capiranno mai. Non bastano parole, promesse, dialoghi convincenti, discorsi perditempo e altro, ci vuole una ferrea volontà, poiché chi ti sta davanti capisce se sei un cialtrone, oppure un uomo da stimare.  Ho conosciuto migliaia di persone nella mia vita in tutti i paesi del mondo, ancora oggi mi scrivono e mi vogliono bene, quindi da questo punto di vista l’educazione e il rispetto di ogni opinione, è il vero biglietto da visita delle persone.

Mi ha raccontato di aver visitato tante parti del mondo. Secondo lei, qual è la città più interessante?

Fra le grandi città e metropoli che ho visitato, quali Amburgo, New York, Monaco di Baviera, Vienna, Palermo, Zurigo, Basilea, Ginevra, Leningrado, Odessa, Washington, Venezia, Mosca, Liegi, Amsterdam, Parigi, Canterbury, Eindowen, Budapest, Roma, Colonia, Strasburgo, Milano, la più interessante dai miei punti di vista è Vienna, dove tra l’altro ho scritto una delle mie trentasei opere: “Nella magia di Schönbrunn”, proprio su quella collinetta di fronte alla reggia.

Jazz Appreciation è termine caro ad Amedeo Furfaro, studioso "ad ampio spettro" nel senso che concepisce la musica afroamericana in un quadro di riferimento estetico molto ampio che interconnette dinamiche artistiche, sociali e culturali nonchè vari addentellati  extrajazzistici.

La definizione la si può rintracciare all'interno di un suo recente volume, dal titolo

Agenda Jazz. Appunti di Jazz Appreciation, una raccolta di idee e scatti, profili di generi musicali e musicisti oltre a resoconti su grafica, animazione, dischi, lirica, futurismo, poesia improvvisata, filatelia, psicanalisi ... 

Valutare, "apprezzare" il jazz significa infatti guardarlo non solo in termini di personaggi e generi, analisi di forme strumenti e pratiche musicali, ma anche come fenomeno storico, oggetto di rappresentazione, grumo concettuale, interstilistico, interculturale. Persino con risvolti scientifici tant'è che "Musica News", la rivista bimestrale diretta dall'Autore, ospita su ogni numero una pagina dedicata a argomenti come l'amusia di Pat Martino, la propriocezione in Glenn Gould, il comportamento del cervello di fronte alla musica jazz, i suoni del mare, frequenze acustiche ed evoluzione dell'orecchio etc. 

E comunque, quantomeno per assonanza lessicale, Jazz Appreciation è una sorta di  eco di quella che gli americani chiamano Music Appreciation. Con tutta una serie di particolaritá che indirizzano verso una più profonda comprensione del valore stilistico e del significato di questo tipo di musica come ad esempio colori, tratti e segni, rumori delle immagini, memorie e tradizioni, identitá e background, meditazioni ed immediatezze nell'improvvisazione. 

Il tutto raccontato come esperienza personale dettata da conoscenze e occasioni maturate nel tempo. Ne vien fuori una definizione fluida dell'arte jazzistica vista appunto nella sua portata di faccia inscindibile del Poliedro Novecento.

Per la cronaca Furfaro, giornalista/critico musicale e musicista, ha al proprio attivo numerosi volumi sul jazz fra cui i recenti "Jazz Notes", "Il giro del jazz in 80 dischi" (www.amedeofurfaro.it) e Brutium Graffiti. Jazz a Cosenza nel 900 (sempre editi dal Centro Jazz Calabria). Quest'ultimo volume è stato segnalato dal critico Guido Michelone, su "Jazz Convention", come proposta fra i trenta volumi sul jazz da acquistare col bonus di 500 euro. Se ci fosse posto per un trentunesimo, forse anche Agenda Jazz meriterebbe una "nomination" in quanto saggio che racconta ai giovani, in modo scorrevolmente irrituale, cosa si possa intendere per Jazz. E, per questa godibilitá, potrebbe meglio avvicinarli alla relativa lettura, oltre che all'ascolto, ed alla relativa "appreciation".

A rischio di passare per populista, presento, dopo aver letto, l'ultimo libro inchiesta di Mario Giordano,Vampiri. Nuova inchiesta sulle pensioni d'oro”, edizioni Mondadori (2017). Leggere i libri di Mario Giordano fa male, ci viene il mal di fegato, lo dice lui stesso, però bisogna leggerli, hanno il pregio di avere una sintesi ben documentata delle spese folli e dagli sprechi di questo “Stato canaglia”, onnivoro, ben descritto dall'economista Piero Ostellino in un suo fortunato pamplhet di qualche anno fa.

Giordano dedica il libro ad una certa Aurora B., parrucchiera di Pisa, che dovrà lavorare fino al 2064.“Se ho scritto questo libro, è colpa tua”, esordisce il giornalista. O meglio colpa della busta arancione che Aurora ha ricevuto dall'Imps, che gli ha fatto la sua “storia previdenziale”, un'operazione di trasparenza, un'esigenza di chiarezza, anche se può sembrare invece “un'offesa a mezzo posta”. Vediamo cosa ha scritto l'Imps: “Cara Aurora siamo lieti di farle sapere che dovrà lavorare ancora per 48 anni”. C'era scritto proprio così.“Chissà come sarà il 2064, se avremo trovato una soluzione per il traffico in tangenziale, chissà se Bruno Vespa condurrà ancora 'Porta a Porta', se finalmente sarà finita davvero la Salerno-Reggio Calabria[...]”. O magari nel 2064 arriveranno gli alieni. Aurora ha 27 anni e fa la parrucchiera in Toscana ormai da 10 anni. Giordano, ricorda, che ci sono parlamentari che già a 10 anni di “lavoro” (si fa per dire), ma che dico a 5 anni, perfino con 1 anno, percepiscono il vitalizio (pensione). Anzi, precisa Giordano,“ci sono parlamentari che non hanno 'lavorato' (lavorato: si fa per dire) neppure un'ora, eppure i loro parenti continuano a incassare, ogni mese, un bell'assegno”. Ad Aurora, hanno chiesto di stare 58 anni a massacrarsi, fra“le metto i bigodini” o “facciamo le meche”.

Dopo qualche mese che è arrivata la lettera ad Aurora, in un'altra casa è arrivata un'altra lettera, dal sapore diverso. Questa volta in Puglia, ad un consigliere regionale che ha avuto il via libera dall'Imps per andare in pensione a 55 anni con un assegno di 5020 euro lordi al mese in virtù dei suoi 8 anni di lavoro (lavoro: si fa per dire), “Ora mi chiedo: come può lo stesso Stato, a distanza di poco tempo, mandare due lettere così? Come può concedere a un consigliere regionale la pensione a 55 anni, mentre pretende che una parrucchiera lavori fin oltre i 75?”. A lui bastano 8 anni per maturare una pensione, mentre da Aurora ne pretende 58? Non solo, il consigliere per 8 anni di lavoro(?) matura una pensione lorda di 5020 euro, Aurora che lavora 58 anni  matura una pensione di 1288 euro lordi, meno di mille euro netti.

Giordano ha volutamente iniziare il libro con la lettera arancione di Aurora, perché è “la certificazione di un'ingiustizia oltre che un bollo di schiavitù, la promessa di eterna infelicità, l'annuncio di un futuro che per te e per la tua generazione assumerà le sembianze di un inferno previdenziale. Siete dei condannati dell'Imps”.

Quella di Aurora, è una lettera che Mario Giordano ha sempre presente in questo viaggio tra Baby Vampiri con vitalizio d'oro, cumulatori seriali di assegni e Paperoni assortiti. Ce l'ha sempre davanti agli occhi mentre mette in fila uno dietro l'altro i privilegi di politici, giornalisti, sindacalisti, banchieri, grandi commis di Stato, tutti quelli che in questi ultimi vent'anni hanno guidato il Paese allo sfascio.

Qui Giordano evoca una vera e propria discriminazione previdenziale nei confronti dei comuni mortali lavoratori che non possono beneficiare di tanti e costosi privilegi. Non si comprende come uno Stato possa relegare in un ghetto senza speranza gente come Aurora, mentre “continua a pagare all'eletto Mauro Sentinelli un assegno da 90.000 euro lordi al mese”.

Giordano nel 2011 aveva scritto “Sanguisughe”, per la prima volta aveva posto con forza il problema delle pensioni d'oro, qualcosa è stato fatto, ma ancora è troppo poco. Siamo soffocati ancora dei cosiddettidiritti acquisiti, la formula magica con cui si pretende di cristallizzare l'ingiustizia perché 'così dice la legge'.

Tuttavia Vampiri, è un libro scritto anche per tutti i pensionati che non arrivano a fine mese, per tutti quelli che sono costretti a lavorare per oltre 40 anni, mentre esiste in Sicilia una signora“che da quarant'anni, ogni mese, incassa un assegno senza bisogno di lavorare solo perché il papà (monarchico) era stato qualche decina di mesi in Parlamento fra il 1947 e il 1951...”. Dovete saperlo: alla gentile signora abbiamo regalato, in questi quarant'anni, oltre 2 milioni di euro. Ma vi pare possibile?C'è il nome nel libro, per carità di patria io non lo scrivo, è della provincia di Messina.

Qualcuno a rinfacciato a Giordano che il vitalizio non è un pensione. Ma sono stati a trattarlo come pensione, proprio loro, i politici, a cominciare dalla reversibilità estesa in ogni dove e in ogni come.

Giordano tira fuori una dopo l'altra, storie davvero bizzarre come il dipendente comunale al comune di Perugia che prende una pensione di 49.000 euro lorde al mese. 1.633 euro al giorno e pensa che sia un diritto acquisito. Attenzione si tratta di 637.000 euro all'anno.

Poi c'è un ex consigliere della Valle d'Aosta che prende 1 milione e 636.000 euro lordi, un vitalizio incassato tutto in una volta, si perché si può anche così. In Valle d'Aosta, le pensioni hanno un'alta gradazione, Giordano fa alcuni nomi eccellenti.

Poi ci sono i nomi dei “custodi del rigore”, i politici dell'Europa,“gli inflessibili censori di Bruxelles, quelli che ci hanno ordinato lacrime e sangue, quelli che ci hanno imposto l'austerity, la legge Fornero e l'innalzamento dell'età pensionabile, quelli per cui ogni spesa è di troppo [...]”. A noi rispondono non si può, mentre loro “se ne stanno lì nella bambagia, immersi nei loro lussi, nei palazzi degli sprechi, nelle spese allegre e nel superfluo che si concedono mentre tagliano il necessario altrui”.

Il 1° capitolo del libro, Giordano lo dedica ai “Giovani Vampiri”, quelli che dopo aver fatto pochi anni di lavoro (si fa per dire) in Regione o in Parlamento, prendono un ricco vitalizio ad un'età così giovane, senza bisogno di Ape, la nuova diavoleria del governo sinistrorso, senza indebitarsi con le banche, senza accendere mutui. E qui Giordano fa alcuni nomi, di questi signori, gente che passa da un partito all'altro e che magari si permette di criticare e di fare la morale contro gli sprechi e intanto intascano 5000 euro di vitalizio. Questo capita nella regione Puglia, in Calabria, in Sicilia, ma anche nelle regioni del Nord, consiglieri regionali che finiscono perfino in carcere e prendono il vitalizio di 3000 euro al mese per aver fatto 3 anni e mezzo di “lavoro”, conclusosi con l'arresto.“Allora  - scrive Giordano - a chi lavora (davvero) da 40 anni, magari alla catena di montaggio, senza poter andare in pensione e senza mai essere indagato che cosa è concesso? L'uso del lanciafiamme? La protesta al napalm? La rivolta imbottita di tritolo?”. Gente che magari per riscattare un certo periodo mancante alla maturazione del vitalizio, versa una certa somma, come quel tizio calabrese, e poi in meno di un anno, recupera la somma versata. C'è anche un consigliere regionale, in Calabria, invalido che prende il vitalizio, e guarda caso viene beccato in un video, che gioca a basket, in compagnia di un fido amico. Miracolo di San Gennaro in trasferta calabrese. Non solo poi il baby pensionato è arrestato con pesanti accuse sulle sue spalle e continua a prendere il vitalizio. Giordano, descrive, il plastico paradosso assurdo: “da una parte lo Stato lo accusa di aver lavorato per la 'ndrangheta, dall'altra lo paga perchè inabile al lavoro. E mica lo paga poco: 7490 euro al mese, a 50 anni. Se gli altri invalidi, quelli da 200 euro al mese, vogliono provare a raggiungerlo, si organizzino: giochino a basket, si candidino alle elezioni. O, in alternativa, si facciano almeno sospettare di collusione con qualche cosca”.

E poi la Sicilia, il vero e proprio Eldorado dei baby pensionati d'oro. Anche qui si fanno i nomi eccellenti. Naturalmente si va a indagare all'Assemblea Regionale, che manda in pensione contemporaneamente due segretari generali, uno di 61 anni e uno di 57 anni, entrambi con vitalizi da nababbi, e poi c'è anche un terzo segretario generale dell'Ars che dimettendosi, porta a casa la bellezza di 11.000euro netti all'età di 53 anni.

Nel maggio 2016 il Fondo pensioni della Sicilia rivela che, fra gli ex dipendenti regionali, “ci sono ben 2000 cinquantenni. Fra questi 800 hanno meno di 54 anni, 50 hanno meno di 44 anni, 6 sono i trentenni, 8 i ventenni e addirittura 12 hanno appena 19 anni”. Soltanto mostruoso. Assegni mensili calcolati con il vecchio metodo, quindi sono in media pari al 105-115 per cento dell'ultimo stipendio. Un lusso. Anche qui Giordano fa alcuni nomi di dirigenti privilegiati. Tra l'altro Giordano riferisce come in Sicilia è stata interpretata la legge 104, grazie alla reinterpretazione di questa legge che si poteva andare in pensione a qualsiasi età, per esempio, se tuo padre aveva avuto un infarto etc. Il più famoso dei pensionati della legge 104 alla siciliana è Pier Carmelo Russo, alla bella età di 47 anni, con un assegno mensile di 10.980 euro lordi, per assistere papà. Ma poi la storia non è finita, ritorna nella giunta regionale, per un incarico.

Poi c'è il più famoso baby papà Nichi Vendola, l'ex governatore della Puglia, storico leader della sinistra alternativa (a che cosa) fondatore di Sel, è andato in pensione alla tenera età di 57 anni. Del resto, “lui l'ha sempre detto che non bisogna chiedere troppi sacrifici ai lavoratori. E così per dare l'esempio, di sacrifici ne fa assai pochi”. Sono bastati 10 anni di contributi per aver diritto in eterno alla bella somma di 5.618 euro lordi al mese. I commenti li lascio a voi.

Attenzione ci tiene a precisare Giordano che è tutto legale. “L'intera truffa dei vitalizi è legale in Italia per il semplice fatto che le leggi le fanno coloro che dei vitalizi godono. E che sono bravissimi a rendere legali le peggiori nefandezze, purchè siano convenienti per loro”.

La lista dei baby pensionati è davvero lunga. Giordano racconta la storia dell'enfant prodige Giuseppe Gambale e poi tanti altri nomi, che un tempo erano conosciuti, ora si godono l'assegno mensile, da troppi anni. Tra questi c'è il Walter Veltroni, che ha percepito l'assegno per la prima volta nel 2004, all'età di 49 anni. Poi c'è “la reginetta di tutti baby pensionati, la star assoluta del vitalizio in fasce”, la mitica Claudia Lombardo, aveva 41 anni, quando ha percepito la prima pensione.

Giorni fa qualche tg nazionale rilevava che esiste in Italia, un certo numero di italiani che percepiscono la pensione da 30 o 35 anni, quindi li considerava dei privilegiati. Allora che dire di questi italiani super privilegiati, anche perchè prendono degli assegni super. Giordano fa l'esempio di un ex presidente della regione Puglia che da 37 anni, gli abbiamo versato, 3 milioni e 600.000 euro per 10 anni di lavoro (?). Ma ce ne sono tanti altri.

Al 2° capitolo, “i Vampiri al potere”, ci sono i grossi papaveri, i manager, tra i più pagati d'Italia, gente che somma più di un vitalizio, più una serie di incarichi, con nuovi stipendi e nuove prebende. Anzi è gente che va a caccia di incarichi ministeriali e magari diventino simbolo di rinnovamento. Già sento le rimostranze dei Vampiri, scrive Giordano: “Abbiamo seguito le regole, non abbiamo violato nessuna legge”. Soltanto che queste regole e leggi, appaiono insopportabili e insostenibili.

A proposito di questi personaggi super vampiri, Giordano si domanda: “E' possibile che in Italia ci sia una persona che prenda 43.000 euro di pensione al mese per aver passato carte in Senato. E' possibile che tutto ciò avvenga mentre si ripete che non ci sono soldi per aumentare le minime? O per permettere chi ha lavorato 41 anni di godersi il meritato riposo?”.

Tra questi personaggi troviamo il pensionato Di Pietro, Ciro Pomicino, De Mita, Enzo Bianco, Mastella, ex di tutto, insomma, pensionati d'oro che occupano poltrone delle società pubbliche. Ad un certo punto viene il dubbio, se per caso il vitalizio, diventa un requisito fondamentale per accedere al poltronificio pubblico.

Secondo Giordano, i cosiddetti poteri forti, sono tutti pensionati d'oro. In pratica, ci sono imprenditori miliardari che incassano il vitalizio parlamentare.

Al 3° capitolo c'è posto per i “troppo Vampiri”, quelli che esagerano nei privilegi, che incassano troppo, anche tre vitalizi in una sola volta. Praticamente questa gente vive a carico nostro, perché ci sono delle leggi, votate a suo tempo, da loro stessi, certamente non sono piovute dal cielo. Ci sono assegni che vengono pagati per 62 anni, come quello dell'ex presidente della regione siciliana Alessi, passato poi ai figli. Anzi ce né sono anche della durata di 66 anni, dei tre moschettieri duracell, vitalizio lunga-durata. E poi c'è il deputato fantasma, che non ha mai messo piede all'assemblea regionale siciliana, ma la moglie, ora dopo la sua morte, prende l'assegno di reversibilità.

Poi ci sono quelli che hanno incassato di più in una sola volta, l'anti-italiana con 946.000 di vitalizio dall'Italia, Eva Klotz di Bolzano. Altri come il faraone del Sud Tirolo, il ras di Bolzano, con 1 milione di euro, c'è la tabella a pagina 83 e poi c'è anche la tabella, di “quelli che hanno guadagnato di più”. Cioè hanno versato un certo numero di contributi, ma hanno guadagnato il quintuplo. Poi ci sono quelli famosi, li troviamo nella tabella a pagina 90. Qualcuno è stato soltanto ventiquattrore in parlamento  e per questo servigio reso alla Repubblica, lo abbiamo ricompensato con 3.108 euro lordi. E poi c'è la storia del professore Toni Negri,  del sindacalista professore Sergio D'Antoni anche queste molto bizzarre.

Al capitolo 4°, ci sono i “Vampiri senza vergogna”, che ci stanno succhiando il sangue e lo fanno con arroganza, alterigia e con sfacciataggine. Qualcuno di questi, nonostante ha incassato 1 milione e 317.000 e 805 di euro a 54 anni per 17 anni di lavoro(?), ha presentato regolare domanda all'Imps per avere il sussidio di disoccupazione. E l'ha ottenuto.

Naturalmente nel libro di Giordano ci sono altre storie, meritevoli di essere citate, c'è il 5° capitolo dedicato alle caste dei vampiri, tutto da leggere. E poi le truffe delle pensioni false. Vi lascio alla lettura del libro.

 

“GENERAZIONE H”, questo il titolo dell’ultima fatica letteraria di Maria Rita Parsi, docente, psicoterapeuta, psicopedagogista e scrittrice che, da più du quarant’anni, si occupa attivamente della tutela giuridica e sociale dei bambini e degli adolescenti, contro abusi e maltrattamenti  e che a Gineva dal 2012 al 2016 è stata unico membro italiano nel  Comitato ONU  per i Diritti dei Bambini e delle Bambine. 
Nel libro, edito da Piemme, la Parsi indaga
un allarmante fenomeno sociale di questi ultimi anni: la dipendenza da internet dei preadolescenti e degli adolescenti. Le cause sono da ricercarsi nell’approccio troppo disinvolto che essi hanno sin dalla più tenera età con il mondo virtuale, nel quale l’assoluta mancanza di limiti può facilmente degenerare.
Si tratta, dunque, dei “millennials”, la generazione di “nativi digitali”, che navigano in Internet certamente  meglio dei loro genitori. Una generazione a forte rischio che andrebbe seguita, anche controllando la loro attività sul web, in modo  attento anzitutto nell’ambito familiare, al fine di educarli ad un utilizzo non sconsiderato della Rete. Il problema è che troppo spesso sono proprio i  genitori e gli adulti in genere a fare un uso improprio del virtuale, determinando l’effetto di una eccessiva pervasività delle alte tecnologie nella vita quotidiana.
Maria Rita Parsi, che ha scritto  questa interessante opera con Mario Campanella, ha utilizzato nel titolo la lettera “H”, che sta per “Hikikomori”, un termine giapponese che letteralmente significa “stare in disparte, isolarsi” e viene coniato per riferirsi a coloro i quali scelgono di ritirarsi dalla vita sociale, a causa di fattori di diversa natura.
Tale fenomeno, presente nella società giapponese già dalla seconda metà degli anni ’80, ha iniziato a diffondersi anche in America e in Europa agli inizi del Terzo Millennio.
Nello specifico, in questo testo viene trattata la pericolosa dipendenza da internet che, se giunge agli estremi, determina un isolamento dal mondo reale degli adolescenti della “Generazione H”. Ragazzi che, in genere, durante il giorno dormono, scollegandosi completamente dal mondo reale, per entrare in quello virtuale e trascorrere la notte a chattare, chiusi in una stanza. Ne consegue l’interruzione della normale vita di relazioni e di ogni attività sociale, come frequentare la scuola, il lavoro, gli amici, lo sport. 
I racconti, in prima persona, di questi ragazzi e ragazze  mettono in guardia proprio relativamente ai pericoli legati ad un impiego incontrollato del web ma dimostrano, pure,  che è possibile affrontare la rete con la corretta maturità, in modo consapevole, qualora i giovanissimi siano educati e guidati in questo percorso da adulti competenti.
A chiusura del libro “GENERAZIONE H” è presente un decisivo  Decalogo rivolto a genitori e ad insegnanti, nel fondamentale ruolo di educatori. In altre parole, si tratta di  una guida  in senso tecnologico all’universo virtuale che  può aiutare a preservare i ragazzi dalla cosiddetta “solitudine tecnologica”, frutto di una società i cui mutamenti strutturali e culturali stanno generando gravi conseguenze.
Per evitare questa annunciata catastrofe, e grazie a questo libro, siamo perciò chiamati ad  intervenire,  rispettando il principio di  “coscienza sociale” che, assai spesso, invece, stenta ad imporsi. 

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