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Giovedì, 01 Maggio 2025

La band


Una band che opera da quasi vent'anni. Conosciuta in tutto il mondo, a partire dagli U. S. A. . Ma italiana a tutti gli effetti. Come definire la musica dei Lacuna Coil? E' Alternative Rock, il vostro? Lo chiediamo al leader storico della formazione, Andrea Ferro.
E' rock, metal con venature melodiche. Ci hanno definito in tanti modi. In realtà  siamo abbastanza ampi come spettro.
Come nasce questo un certo gusto di darkness gotica a partire dal look...
Un po' dai temi. Dal filone da cui siamo nati, e' la cultura da cui proveniamo...
La solidità del rapporto artistico fra Andrea Ferro e Cristina Scabbia quanto ha inciso sul vostro successo?
E' stata determinante. Già all'inizio e' stato un elemento originale il suono unico,caratteristico delle due nostre voci e del sound prodotto. Poi nel successo in Europa ha inciso per riflesso il fatto di esserci piazzati già nel '97 in classifica negli Stati Uniti.
Il tourbus vi porta in Calabria e in Sicilia. Ma la vostra e' definibile una musica on the road?
Si, sicuramente. E' una nostra dimensione normale quella di spostarci. Ora per la prima volta ci troviamo a sud di Roma.
Lo sponsor Red Bull resta legato ai motori, vedi Formula 1, ma non disdegna la musica. E' una politica commerciale vincente?
Il marchio in Europa e' molto forte nel combinare, a livello promozionale,  sia sport che musica. Anche di diversi tipi. Dalle risposte che abbiamo direi proprio di si.
Il vostro video ufficiale ha raggiunto quasi 7 milioni di visualizzazioni. Che effetto fa?
Fa piacere, nel tempo. Ci da un senso di orgoglio. Ma dobbiamo sempre guardare avanti. Internet consuma tutto in fretta.
Ci sono vostre musiche su gettonati videogame. Come è nata la cosa?
Non è stata composta apposta. Ci è stato chiesto dopo dai produttori. Tutto funziona in base a specifici accordi.
Che consiglio dare ai giovani musicisti?
Fare esperienza ovunque. Il primo contratto noi lo abbiamo avuto con una label tedesca; viaggiare ti apre la mente. Specie nei paesi anglosassoni. Perché  il Music business e' nato li'. Ed è in America, in Inghilterra, ma anche in Europa che puoi trovare gli stimoli e le occasioni giuste.

La band al completo


Nella storia del jazz, e' un'opinione comprovabile da fatti, c' e' posto per la teoria dei corsi e ricorsi. Ciclicamente, infatti, avviene che alcuni dei capisaldi di tale musica, appunto, ritornino in quanto evocati, anche a distanza di mezzo secolo, da autori e interpreti che a loro si ispirano per un tributo, ne ripropongono brani, ne  riprendono le innovative tecniche esecutive, ne riproducono in qualche modo organici, moduli, essenza. E' il caso di John Coltrane a cui stavolta e' il pianista  Dado Moroni a rifarsi e intitolare l'album Five For John (Jando Music/ Via Veneto). Vi figurano in scaletta Naima, After The Rain, Mr. P. C., scritte dal grande sassofonista oltre a composizioni di Mc Coy Tyner, Gershwin, Bartz, Lacey.
A Max Ionata e' affidato il ruolo più delicato svolto, peraltro, in modo impeccabile da uno dei virtuosi di sax più coltraniani che esistano oggi in Europa e non solo. La sezione ritmica col talentuoso Marco Panascia al contrabbasso e Il batterista Alvin Queen, già pupillo di Elvin Jones (che fece parte del 4et di Coltrane) conferisce un assetto di solida graniticita' e nel contempo di variabilità e colore timbrico perfettamente in tema. In sintonia con Moroni, che si cimenta oltre che come pianista ideatore del progetto, anche da compositore, c'è il vibrafono di Joe Locke, dal tocco sapiente, a completare la formazione che incornicia un compact per John fresco e vitale, fuori da qualsiasi intento celebrativo, capace di passar oltre una lettura pedissequa: In absentia, la sua immagine viene messa a fuoco in una sorta di specchio percettivo, riflessa per linee stilisticamente significative.

La Toon Dist di Amsterdam offre in catalogo succose novità per gli appassionati di musica creativa e improvvisata, a marchio Evil Rabbit Records. Anzitutto il cd Give No Quarter con il sassofonista Ab Baars, il contrabbassista Meinrad Kneer e il batterista Bill Elgart (nella foto, ripreso durante un concerto Cjc in Calabria qualche anno fa). Si tratta di un prodotto di grande atmosfera, fatto di astrazioni e dissonanze, di sicura impressione verso quanti prediligono un genere che poggia molte radici nelle avanguardie jazzistiche degli anni '70. Altro album from the Netherlands ma di formazione italiana e' Bartleby The Scrivener, con Fiorenzo Bodrato al contrabbasso, Stefano Battaglia al pianoforte, Andrea Massaria alla chitarra e Massimiliano Furia alla batteria. Anche qui la cifra stilistica si caratterizza nell'esplorare un Inedito sonoro, stavolta ispirato a Melville, che attraverso i dialoghi istantanei fra gli strumenti determina climax intensi e suggestioni armonico-timbriche di estrema rarefazione. (www.toondist.nl).

cristicchi 5

 

Finalmente ho visto lo spettacolo, “Magazzino 18”, il musical di Simone Cristicchi, che mi ha tenuto davanti allo schermo del mio pc da mezzanotte fino a quasi le due del mattino. Ho poca voglia di polemizzare con la Rai per l’orario assurdo, ma anche questo è un segnale negativo nei confronti di una pagina di Storia che non si vuole accettare. Certo meglio di niente visto che lo spettacolo era stato in un primo momento censurato. Veneziani in un fondo su Il Giornale sostiene che alla fine questa “Giornata del ricordo” si sta diluendo, ha ragione,“è durata pochi anni l’attenzione, legata in prevalenza alla destra al governo, a volte alimentata dall’assurda pretesa di bilanciare l’enfasi via via crescente negli anni alla Shoah. Tuttavia per ogni ricordo delle foibe ce n’erano dieci e forse cento istituzionali e mediatici della Shoah”. Si pensi a quanti film sono stati prodotti per la shoah, mentre per le foibe o i gulag quasi nulla.

Pertanto secondo Veneziani, “il giorno del ricordo rischia di tornare nel buio, dopo la sua veloce parabola. È rimasto Simone Cristicchi, col suo spettacolo dedicato alle foibe, a mantenere acceso un filo di memoria. Le contestazioni che ha ricevuto non sono solo un atto incivile e intollerante di odio verso migliaia di vittime inermi e verso chi osa ricordarle, ma hanno anche un effetto di dissuasione e intimidazione che va denunciato: sono un avvertimento, una minaccia per chi voglia addentrarsi nel tema scabroso. Chi volete che si cimenti nel ricordo delle foibe se sa che poi deve sottoporsi a questi attacchi e affrontare queste censure nel silenzio pressoché generale? Meglio parlare d’altro”. (M. Veneziani, Le foibe? In Italia vince solo l’oblio, 10.2.14 Il Giornale)
Premesso che non sono un esperto di teatro, o di fiction, sono convinto che lo spettacolo dell’artista romano, è ben fatto, anzi forse, la rappresentazione teatrale ha reso più reale, rispetto a un film, la storia della tragedia delle foibe. L’artista, un vero professionista, durante la recitazione, appare totalmente coinvolto e per niente distaccato, soprattutto quello che dice è straordinariamente coinvolgente, in particolare per chi conosce la storia delle foibe e dell’esodo. E io la conosco da quando era adolescente, ricordo alla fine degli anni 70’, che in un testo pieno di elenchi di tanti nomi degli infoibati, ho trovato casualmente, quello del carabiniere Domenico Bruno, un carabiniere di Mandanici, località del messinese, il paese nativo di mia mamma. Prontamente con mio fratello abbiamo comunicato la notizia ai familiari che ancora non sapevano con certezza della fine del loro congiunto.

Cristicchi nonostante sia un uomo di sinistra, è rimasto fedele ai fatti, anche perché si è avvalso delle ricche testimonianze degli esuli che hanno subito l’orrore di quella tragedia. Forse ha forzato un po’ nel mettere sullo stesso livello, la pulizia etnica dei “fascisti” e quella dei “comunisti”; non credo che le due ideologie in quanto a crimini, a discriminazioni o a riduzioni della libertà, possano essere messe sullo stesso piano. Infatti per Arrigo Petacco, storico serio, le esecuzioni di massa operate dai comunisti titini, “non potevano essere interpretate (come qualcuno, anche in Italia, si sforzerà di fare negli anni successivi) come una risposta, o una vendetta, del gruppo etnico slavo ai soprusi o alle vessazioni subite. La sproporzione era evidente a tutti. Doveva trattarsi di qualcosa di più: di un progetto preciso di ‘pulizia etnica’ per estirpare gli italiani dall’Istria uccidendoli o costringendoli a fuggire”.

Tuttavia Cristicchi, non è stato tenero con nessuno, ora capisco perché il “braccio armato” di certa sinistra, gli eredi del Pci, non gliela perdonano. Hanno fatto lo stesso con Giampaolo Pansa, che è stato costretto a non presentare più in pubblico le sue opere visto che ogni volta i ragazzotti intervenivano per ricordargli che la resistenza partigiana non si tocca.

Come si fa a morire di malinconia per una terra che non è più mia? Che male fa, aver lasciato il mio cuore dall'altra parte del mare". E’ il ritornello di "Magazzino 18", canzone composta lo scorso anno dal cantautore romano Simone Cristicchi, e che è ora tema portante dello spettacolo teatrale omonimo scritto e interpretato dallo stesso artista.

Il Magazzino numero18 si trova nel porto di Trieste ed è un enorme deposito (duemila metri quadri) dove sono contenuti gli effetti personali che gli esuli Giuliano-Dalmati non sono riusciti a portare con sè durante la loro fuga dalle milizie titine.

La vicenda parte proprio da qui, dal dott. Persichetti, un archivista romano chiamato dal ministero degli Interni per fare un inventario completo delle masserizie presenti. Il simpatico personaggio, interpretato dallo stesso Cristicchi, ignora completamente le vicende storiche a cui quegli oggetti sono legati. Cristicchi in pratica, fatta eccezione per un gruppo di bambini che lo sostengono in alcune canzoni, è sempre da solo sul palco. Persichetti, si imbatte per la prima volta nella parola "Esodo" ("Conosco solo

quello della Bibbia", dice in una delle battute iniziali) e da qui prende via via confidenza con le vicende tragiche di quelle terre dove, dietro i nomi cambiati,"anche le pietre parlano italiano". In questo suo cammino è aiutato dallo "spirito delle masserizie", l'altro personaggio dello spettacolo, a cui Cristicchi affida il lato più drammatico e toccante ed emozionante della sua recitazione. “Si tratta di una sorta di figura metaforica che incarna tutto quanto è stato vissuto e patito da quelle popolazioni dal 1945 fino al 1954, anno in cui è stato ratificato definitivamente il trattato che assegnava l'Istria e la Dalmazia alla Jugoslavia”. (L. Franceschini, “Magazzino 18: quei morti nelle foibe che si vogliono cancellare, 11.2.14 Il Sussidiario.net)

Lo spirito rievoca così alcune delle storie più drammatiche di quegli anni, consumate (triste paradosso) in luoghi meravigliosi, a pochi passi dalle nostre coste, dove una vacanza di una settimana costa meno di 400 euro, come fa notare Persichetti a un certo punto, leggendo un deplian. A questo proposito, l’anno scorso uno degli esuli che ha preso la parola alla manifestazione della Giornata del Ricordo, organizzata dalla Provincia a Milano, disse: “oggi i croati ci invitano a passare le vacanze nei loro Paesi (i nostri) è come se i ladri che vi hanno scassinato le vostre case poi senza ritegno sfacciatamente cercano di vendervi quello che era vostro”. Il cantautore romano individua alcuni personaggi che hanno subito l’orrore di quegli anni, mette simbolicamente sul palco le loro sedie, e li chiama per nome. Tra questi, non poteva non ricordare, forse il simbolo delle foibe, il martirio della giovane Norma Cossetto di 23 anni trucidata dai partigiani comunisti slavi e poi buttata nella foiba.

O ancora della strage di Vergarolla, nei pressi di Pola, quando, il 18 agosto del 1946, furono innescate nove tonnellate di esplosivo che uccisero più di ottanta persone. Spicca, in questo frangente, la figura enorme di Geppino Micheletti, medico nel vicino ospedale, che pur avendo appresso della morte dei suoi due figli di sei e nove anni, anch'essi presenti sulla spiaggia, non si mosse dal suo posto per prestare soccorso ai feriti. Al termine dell'emergenza se ne andò, con la motivazione che "non voglio trovarmi a curare un giorno gli assassini dei miei figli".

Sono tutti morti di cui bisogna avere ancora paura, dice lo spettro, perché continuano a morire ancora oggi in un'altra guerra, quella dei numeri. Cristicchi evidenzia bene che tuttora non si conosce l'esatto ammontare delle vittime dell'esodo e le cifre vengono spesso sgonfiate in maniera strumentale da chi cerca di negare o sminuire i fatti.

Magazzino 18 di Cristicchi si occupa anche del “controesodo dei Monfalconesi “, circa 2.000 operai dei cantieri navali, piccolo ma significativo, al limite dell'assurdo. Tornati in Jugoslavia sull'onda di una entusiastica adesione alla costruzione del comunismo, furono deportati in massa dopo che, in seguito alla rottura di Tito con Stalin, nel 1948, vennero accusati, in quanto italiani, di essere strumenti del potere sovietico.

E poi parla del vergognoso gesto dei ferrovieri comunisti alla stazione di Bologna che accolsero violentemente gli esuli, una delle peggiori pagine del comunismo italiano. A questo proposito è raccapricciante leggere l’articolo dell’Unità del 30 novembre 1946, lo riprendo dal libro di Raul Pupo, “Il lungo esodo”: “Non riusciremo mai a considerare aventi diritto ad asilo coloro che si sono riversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spinta del nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, profittatori che hanno trovato rifugio nelle città e vi sperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclute alla delinquenza comune, non meritano davvero la nostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane e spazio che già sono scarsi(…)”Pertanto il giornale dei comunisti italiani continua: “Nel novero di questi indesiderabili debbono essere collocati coloro che sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava e che si presentano qui da noi, in veste di vittime, essi che furono carnefici(…) Aiutare e proteggere costoro non significa essere solidali, bensì complici”.

A distanza di quasi settant’anni ha un senso ricordare questi fatti? A che cosa potrà servire? A non ripeterle? A fare un po’ di giustizia? Saranno anche riflessioni retoriche per qualcuno, ma se l'Italia un giorno potrà ricominciare da capo, sarà proprio quando riuscirà ad abbandonare la dimensione parziale e ideologica della propria memoria storica. Per ora, grazie a Simone Cristicchi per il tentativo che ha voluto fare.

 

Il Centro Jazz Calabria ripresenta in confezione rinnovata un disco del 1993 con le più belle musiche di Harry Warren, grande songwriter statunitense di lontane origini calabresi, musiche che che possono essere sfruttate positivamente dall'improvvisatore di jazz nonche' dallo spiccato senso melodico latino in alcuni casi come la mitica That's Amore.
Si tratta della ristampa di  Warreniana, dedicato ad Harry Warren. Live At Accademia del Jazz.
Vi partecipano 23 jazzisti (Di Leone, Fioravanti, Condorelli, Karl Potter etc.) su ben 6 gruppi (i quartetti di Sabatini e dei "Sonora", i trii di Fioravanti, Puglielli, dei fratelli Amato, il sestetto di Guido Di Leone) fra i migliori della scena musicale italiana. Fra le perle da registrare una fra le migliori interpretazioni di Stefano Di Battista in September In The Rain.
E' possibile leggere in open source l'intero libretto illustrativo, prefato da Francesco Stezzi e con un contributo di Stefano Zenni, sul sito di Amedeo Furfaro, autore delle liner notes (www.amedeofurfaro.it).

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