Il Comitato internazionale della Croce rossa ha deciso di denunciare la direzione intrapresa dal conflitto tra Armenia e Azerbaigian, non lo ha fatto sicuramente a cuor leggero. Nella guerra intrapresa dall'Azerbaijan, secondo riforma, il ruolo di Ankara si va sempre più definendo. In particolare con la fornitura di migliaia di mercenari e jihadisti provenienti dalla Siria (e forse anche dalla Libia) per combattere a fianco degli azeri contro gli armeni. Un destino, quello della cittadina al confine turco-armeno di Kars, analogo a quello delle città frontaliere di Ceylanpinar e di Reyhanli nel conflitto siriano. Ugualmente utilizzate per smistare le milizie islamo-fasciste.
Per il giornalista curdo Mustafa Mamay scrive riforma, non ci sarebbe quindi da stupirsi se «da ora in poi vedremo i salafiti passeggiare per le vie di Kars».
D'altra parte era quasi scontato che Erdogan intervenisse a gamba tesa nella questione del Nagorno-Karabakh ai primi segnali di ripresa del conflitto.
Mettendo a disposizione di Baku, oltre ai già citati mercenari e terroristi, aerei F-16, droni Bayraktar TB-2, veicoli e consiglieri militari.I combattimenti sono in corso ormai da più di una settimana, ma nelle ultime 48 ore i bombardamenti hanno colpito quartieri residenziali in entrambi i paesi, anche al di fuori delle zone contese. Colpi di artiglieria pesante e razzi hanno raggiunto la capitale del Nagorno Karabakh, Stepanakert, e le città azere di Ganja e Mingachevir.
Secondo il Cicr scrive - Pierre Haski - al Internazionale, si contano già decine di morti e feriti tra i civili, con centinaia di scuole, ospedali e abitazioni distrutte. Questi fatti, secondo il comitato, rischiano di violare il diritto internazionale umanitario che vieta gli attacchi indiscriminati e sproporzionati. La Francia, gli Stati Uniti e la Russia, i tre paesi che costituiscono il gruppo di Minsk incaricato di organizzare una missione nella regione, hanno condannato la piega presa dalle ostilità nella giornata del 5 ottobre.
E stato probabilmente l'Azerbaigian secondo Haski,a dare il via alla nuova fase di ostilità con la vicina Armenia. Il che non significa che sia tutta colpa di Baku.
Gli scontri secondo Haski, cominciati domenica 27 settembre sono i più gravi dal cessate il fuoco del 1994: ci sono elicotteri abbattuti, carri armati distrutti e decine di morti. La cosa potrebbe andare per le lunghe – la guerra combattuta tra il 1992 e il 1994 provocò trentamila vittime e un milione di profughi – o potrebbe concludersi in pochi giorni. Ma non risolverà niente.
Nel Caucaso i paesi confinanti possono essere estremamente diversi: l’Azerbaigian è un paese musulmano sciita e parla quello che è in realtà un dialetto orientale del turco, mentre l’Armenia è cristiano-ortodossa e parla una lingua che non ha parenti noti nella famiglia indoeuropea. Ma i due paesi condividono una lunga storia d’oppressione.
Secondo Sputnik Italia la situazione nella regione contesa del Caucaso meridionale è peggiorata domenica scorsa, dopo che Armenia e Azerbaigian hanno dato vita a reciproci scontri a fuoco e provocazioni militari lungo la linea di contatto. L'escalation ha spinto entrambi i Paesi a introdurre la legge marziale e la mobilitazione.
Il conflitto nella regione è iniziato nel febbraio del 1988, quando la Regione Autonoma del Nagorno-Karabakh a maggioranza armena proclamò l'indipendenza dalla Repubblica Socialista Sovietica dell'Azerbaigian. Nell'area è scoppiato un conflitto armato tra il 1992 al 1994, da allora sono stati avviati negoziati per la normalizzazione del conflitto con la mediazione del gruppo di Minsk dell'OSCE, guidato da Russia, Stati Uniti e Francia.
La Autoproclamata Repubblica, che formalmente fa parte dell'Azerbaigian, ha cercato il riconoscimento internazionale, con il premier armeno Nikol Pashinyan che ha proseguito i tentativi alla luce delle crescenti tensioni nell'area contesa.Quando la Russia post sovietica ha mediato per un cessate il fuoco tra le due parti in causa, ormai esauste, l’Armenia è riuscita a mantenere non solo il Nagorno Karabakh, ma anche un’ampia porzione di territorio (ormai svuotato dagli azeri) che collegava quest’ultimo con l’Armenia vera e propria. Ed è precisamente lì che il confine – o più precisamente la linea del cessate il fuoco – è rimasto fino a oggi.
Entrambi avevano trascorso quasi un secolo sotto l'impero della Russia zarista, ritrovando brevemente l’indipendenza durante la rivoluzione, per poi passare altri settant’anni nell’Unione Sovietica. Quando entrambi hanno recuperato nuovamente l’indipendenza nel 1991, tuttavia, si sono dichiarati quasi immediatamente guerra.
La colpa è di Iosif Stalin. Quando era commissario per le nazionalità, tra il 1918 e il 1922, disegnò i confini di tutte le nuove “repubbliche sovietiche” non russe nel Caucaso e in Asia Centrale secondo il classico principio del divide et impera. Ogni “repubblica” includeva minoranze etniche delle repubbliche vicine, per minimizzare il rischio che sviluppassero una vera identità nazionale.
All’Azerbaigian Stalin attribuì la provincia del Nagorno Karabakh anche se la popolazione di quell'area era per quattro quinti armena. Quando l’Unione Sovietica cominciò a sgretolarsi, settant'anni dopo, le minoranze locali di entrambi i paesi cominciarono a fuggire verso le zone dov’erano in maggioranza per mettersi al sicuro, anche prima che scoppiasse la guerra.
La guerra vera e propria è andata avanti dal 1992 al 1994, ed è stata un conflitto brutale con pulizie etniche: seicentomila azeri e trecentomila armeni sono fuggiti dalle loro case. Sulla carta, l’Armenia avrebbe dovuto perdere, perché ha una popolazione di soli tre milioni di persone rispetto ai nove milioni di quella dell’Azerbaigian, ma in realtà ha vinto la maggior parte delle battagli
Nel conflitto tra l’Azerbaijan e il Nagorno-Karabakh secondo Startmag , Baku è stata incoraggiata a scatenare le attuali ostilità dal suo alleato turco, che fornisce un considerevole supporto militare alle sue operazioni offensive.
Infatti, da quando Erdogan è salito alla presidenza (2014), la Turchia ha cercato di riallacciarsi alla sua “grandezza perduta” e al suo passato ottomano. La reislamizzazione, il nazionalismo e il pan-Turkismo sono stati quindi ampiamente incoraggiati da Erdogan, che ha intrapreso — come più volte abbiamo sottolineato su queste pagine di starmag— una politica di proiezione di potenza in Siria, in Libia e dal 2020 nel Mediterraneo orientale, contro Grecia e Cipro.
Dunque non è un caso che in un contesto di elevata conflittualità, allo stato attuale la Turchia sia l'unica nazione a non chiedere un cessate il fuoco tra i belligeranti ma al contrario sottolinei l’assoluta necessità di sostenere l’Azerbaijan, che incoraggia a riprendersi “le sue terre occupate”. Proprio Yunus Kilic, membro del Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP), ha detto pochi giorni fa che i recenti attacchi dell'Armenia non stanno solo prendendo di mira l’Azerbaijan ma il mondo turco nel suo insieme.
Agendo secondo una linea di politica estera espansionistica spregiudicata il governo turco non ha esitato a mobilitare — contemporaneamente all’invio di caccia, consiglieri militari e membri della sua compagnia militare privata (SADAT) — diverse centinaia jihadisti radicali che aveva precedentemente impiegato contro il regime di Bashar El-Assad in Siria e in Libia e contro le forze del maresciallo Haftar.
Così, Erdogan secondo startmag,ancora una volta, strumentalizza i jihadisti a proprio vantaggio, trasformando il confronto politico-militare in una guerra religiosa. Questi combattenti islamisti sono arrivati dalla Libia, trasportati su aerei di linea turchi, nonostante le smentite di Ankara e Baku. Il loro trasferimento è iniziato prima della metà di settembre, confermando che l’Arzerbaijan stava preparando un’operazione militare contro il Nagorno-Karabakh da diverse settimane. Per il momento, il loro numero è stimato tra alcune centinaia e mille. Di estrema rilevanza, infine, l’uso da parte turca di droni e F-16.