Pare di sentire la terra nera sporcarci i sandali mentre seguiamo un ragazzo di undici anni correre dai genitori. Come pure sono palpabili il suo affanno, la paura e l’entusiasmo negli occhi. Poco più che bambino, e senza sapere fino in fondo che cosa significhi, egli sente di avere in petto la comunicazione più importante della vita: “Mamma forse entro in seminario”. E sembra di vedere una mamma qualunque preoccupata per un’ambizione di cui non sa niente, mentre chiede che cosa sia un seminario e poi, “con gli occhi spalancati”, si arrabbia per una pretesa così sciocca. Anche il papà gli ribadisce, con ironia e tenerezza, che un nero non può diventare un prete della Chiesa Cattolica. Per tutti gli abitanti del piccolo villaggio di Ourous, in Guinea, un sacerdote poteva solo assomigliare ai missionari bianchi. In ogni caso, proprio questi si riveleranno per quel bimbetto uno dei viatici attraverso cui si sarebbe manifestato il piano disegnato per lui.
Oggi quel bimbo si racconta al mondo grazie alle domande di Nicolas Diat, rispondendo da cardinale, Cardinale Robert Sarah. Arriva dal cuore dell’Africa e la sua storia, come nei bei romanzi, inizia su una nave. Quella che da Conakry lo porterà ad Abidjan per intraprendere la strada del seminario. Quattro giorni di viaggio che non ha più dimenticato, in una stiva, con un caldo soffocante, nutrendosi quasi di nulla, visto che il poco che si riusciva a mangiare era cibo talmente grasso da “finire subito a nutrire i pesci”. Nello stomaco non restava niente.
Il motivo del viaggio ritornerà più e più volte, anche per via delle vicende politiche che si agitano sullo sfondo della sua vita e che lo obbligheranno anche a cambiare brutalmente il luogo dei suoi studi. Le relazioni tra la Guinea e la Francia erano diventate complicate, in particolare i rapporti tra Sékou Touré e il Generale de Gaulle. Finirà il seminario in Senegal, “ma anche lì si sentiva il vento del movimento rivoluzionario del 1968”.
La Provvidenza lo accarezzerà sempre, non senza il di lui stupore, svelandogli poco a poco il senso di ogni traiettoria, e lì dove la vicenda storica del Corpo Mistico di Cristo allungava la lista dei suoi Pontefici, lui riuscirà ad incontrarli in una maniera sempre un po’ speciale. Paolo VI qualche mese prima di morire farà di lui il vescovo più giovane al mondo; san Giovanni Paolo II qualche anno più tardi lo vorrà segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli; Benedetto XVI gli affiderà il Pontificio Consiglio Cor Unum e Papa Francesco lo nominerà Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.
Attraverso la conversazione con Diat, che Cantagalli ha pubblicato per l’Italia, il Cardinale non manca di sottolineare più di una volta la sua devozione per quei missionari che, venuti dalla Francia, avevano lasciato tutto per portare Dio ai confini del mondo, certo che, senza quegli uomini, non Lo avrebbe mai conosciuto. E pare sentirlo commuoversi mentre racconta del patrimonio che per lui ha rappresentato l’uomo occidentale, che invece per qualcuno è stato solo un invasore.
Quando gli capita di paragonare l’Occidente alla sua Africa non fa la vocina compassionevole, non punta il dito sull’uomo bianco, non inneggia all’assistenzialismo, ma si mostra, al contrario, più preoccupato per la miseria spirituale e per gli slogan dell’ONU. Disprezza il sentimentalismo ideologico con cui si parla di povertà ed ha parole durissime per la cosiddetta “Teologia della liberazione”, che aveva esercitato un certo fascino anche in Africa. “Quando ho compreso le origini marxiste di certi sostenitori di questa teologia, ne ho preso immediatamente le distanze. Vedevo fin troppo bene nel mio Paese le conseguenze dell’ideologia comunista. La teoria della lotta di classe era al centro della politica di Sékou Touré. Questa visione funesta della realtà sociale è stata l’origine di molti mali della Guinea. Pretendendo di aiutare coloro che si trovano in miseria, senza promuovere la loro libertà e la loro responsabilità, non si faceva che accentuare il bisogno della popolazione”.
Tornerà ancora a guardare alla sua terra per denunciare l’inferno della dittatura di Sékou Touré che pretendeva di realizzare le utopiche promesse di Marx con la lotta di classe, cioè con la violenza e l’oppressione tirannica, e non si asterrà dall’affermare con forza che “l’uguaglianza non è una creazione di Dio”. Nel soffermarsi sull’Occidente di cui si sente figlio adottivo, ne piange amareggiato la sorte che si sta ricamando, ora che fa di tutto per nascondere le sue radici e la sua identità, e che ostaggio di “poteri finanziari e mediatici sta impedendo ai cattolici di usare la loro libertà”. Un Occidente che eclissando Dio sta trasformando la democrazia in una specie di oligarchia in cui regna la disuguaglianza: “come sempre l’eclissi del divino comporta l’abbassamento dell’umano.”
Il Cardinale Sarah per tutte le pagine del libro ci accompagna senza mai farci la paternale, raccontando al lettore la verità con l’esigenza che l’impone. C’è l’ostinazione di chi ha conosciuto il mondo e la vita, accompagnata dalla grazia di chi ha sposato la Speranza senza compromessi. Guarda avanti senza l’ossessione del progresso, cercando, piuttosto, un ritorno alle origini e tenendo come punto di riferimento fisso l’intero Pontificato di Benedetto XVI. Si specchia nelle sue parole, tra le quali trova spesso una soluzione.
Matrimonio, divorzio, inferno, teoria del gender, eternità, storia, angeli. Costringe il lettore ad un esercizio stimolante, come uno stretching prima della corsa. Non si sottrae a nessuna delle domande, non ne dribbla il senso con affermazioni che mettano tutti d’accordo. Invita l’uomo a tornare nel suo cuore, nell’essenza della vita. Perché, in fin dei conti, Dio o niente.