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Giovedì, 01 Maggio 2025

Mentre continua il mio studio sui testi del vescovo americano Fulton Sheen mi pare doveroso presentare questa figura ai miei lettori. Nato a El Paso nell’Illinois (Stati Uniti) l’8 maggio 1895, da una famiglia di origine irlandese. Qualche anno dopo, i suoi genitori si trasferirono a Peoria, centro della diocesi, affinché il loro figli potessero frequentare le scuole cattoliche. Dopo la laurea presso il St. Viator’s College a Bourbonnais, entrò nel Seminario San Paolo a Saint Paul, in Minnesota. Il 20 settembre 1919 fu ordinato sacerdote a Peoria: da allora promise che avrebbe dedicato un’ora al giorno all’Adorazione Eucaristica, restando fedele a quell’impegno per tutta la vita. Approfondì gli studi a Washington DC, a Lovanio, a Parigi e a Roma. Mentre insegnava Teologia a Washington DC, cominciò a tenere un programma radiofonico sulla NBC, «L’Ora Cattolica» («The Catholic Hour»).

Fulton Sheen è conosciuto per aver portato Cristo alla radio e in Tv, non gli bastava la cattedra universitaria: voleva raggiungere più fratelli ancora, da condurre a Gesù, l’unico amore della sua vita. Celebrava il S. Sacrificio della Messa, ogni giorno con più fervore, chiedendo a Gesù di poter conquistare a Lui più anime possibili. Don Fulton predicava per convertire le anime a Cristo, per condurle in Paradiso, e per questo - affinché la sua predicazione fosse efficace - passava lungo tempo in adorazione a Gesù Eucaristico, davanti al Tabernacolo.

Cristo in TV

Iniziò a tenere conferenze in patria e all’estero. I suoi discorsi erano sempre più seguiti: appassionava e conquistava. Nel 1930, fu invitato dalla NEC (la radio degli Stati Uniti), a parlare ogni domenica sera, in un programma intitolato “L’ora cattolica”. La sua voce diventò nota in tutti gli States, ascoltato da cattolici, da protestanti, da atei.
Si trovò sommerso da migliaia di lettere: persone che gli aprivano l’anima, alla ricerca di Dio; Rispondeva a tutti. E pregava, pregava per loro. Si vide una primavera di conversioni a Gesù, alla Chiesa Cattolica.
Anche il Papa Pio XI - e il Segretario di Stato, Card. Pacelli - seppero di lui e della sua opera. Nel 1935, il Papa, a esprimergli la sua riconoscenza lo nominò “Prelato domestico” con il titolo di Monsignore.
Nel 1950, all’inizio dei programmi TV negli USA, fu chiamato dalla medesima NEC a comparire sui teleschermi. Cominciò con un programma “Vale la pena di vivere”, in cui partiva dalla necessità impellente che tutti - credenti non-credenti, protestanti, ebrei e atei - hanno di dare un senso alla vita.
A questo problema, Mons. Sheem offriva risposta: Gesù Cristo, l’unica soluzione, il Cristo Crocifisso e risorto. Ogni settimana era seguito da 30 milioni di persone. Il suo linguaggio era limpido, comprensibile da tutti, di serietà straordinaria, eppure a volte scherzoso, sempre piacevole, anche quando poneva davanti alle più gravi responsabilità. Sempre nel 1950 fu nominato direttore nazionale della Società per la propagazione della Fede. Iniziò una lunga serie di viaggi in Asia, in Africa e in Oceania per interessarsi dell’evangelizzazione di popoli.
Un’altra mirabile possibilità di irradiare Gesù, il suo Vangelo, di far comprendere che solo in Lui ogni anima, ogni popolo trova la sua vera grandezza.
Gesù nella parrocchia, Gesù sulla cattedra universitaria, Gesù alla radio e in TV, Gesù per le strade del mondo. Sì, perché solo Gesù è il Salvatore del mondo, il Figli di Dio incarnato e crocifisso, il Vivente!

Attività da vescovo.

L’11 giugno 1951 a Roma, per volontà di Papa Pio XII, Mons. Fulton Sheen è consacrato Vescovo. Si avvera in pieno la profezia di Mons. Spalding di 50 anni prima. Nella sua autobiografia “Un tesoro nell’argilla” scriverà: “L’investitura episcopale può dare un senso di euforia, ma non necessariamente la stima che la gente ti dimostra, corrisponde a quella che il Signore ha di te”.
Tuttavia il sacerdote - il Vescovo- è chiamato a agire “in persona Christi”, a essere un Cristo vero, in mezzo al mondo, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.
È Vescovo ausiliare di New York, ma lui commenta con il solito humor: “Non è detto che uno catturi più pesci vestito di violetto che di nero!”. Lui continua a parlare in Tv e a scrivere libri, uno più bello dell’altro, che hanno un grande successo, una fecondità mirabile di bene.
Forse tra quelli più belli è la “La filosofia della religione” in cui mostra come ai nostri giorni la filosofia abbia raggiunto il livello più basso di irrazionalismo con cui guarda con disprezzo assoluto a Dio e alle verità eterne… e poi l’Autore indica il cammino della ragione sana illuminata dalla Fede, alla ricerca e al possesso di Dio, in Cristo, unica Via, unica Verità, unica Vita. È la filosofia di S. Tommaso, che sola ci è di guida per la comprensione dell’uomo, del mondo, di Dio. È la più vera apologetica che porta alla Verità eterna.
Mons. Fulton Sheen partecipa al Concilio Vaticano II, portando con intelligenza e fortezza questa Verità, al di là di ogni confusione. Nel 1966 è nominato Vescovo di Rochester e sperimenta sulla sua pelle la contestazione alla Verità che ormai dilaga nella Chiesa. La febbre dell’impegno nel mondo sembra impadronirsi di preti e suore, a scapito della preghiera e del rapporto con Dio. Il catechismo e i Sacramenti diventano secondari - o inutili - davanti alle cosiddette urgenze del tempo. È un vento infido che soffia e squassa tutto, cosìché Papa Paolo VI parla di “autodemolizione della Chiesa”.
Il Vescovo brillante dei teleschermi, noto nel mondo intero, alza la voce per dire a preti e seminaristi che “innanzi-tutto il sacerdote è chiamato a essere con-vittima e con-redentore con il Signore Gesù offerto sulla croce e sull’altare: non basta alleviare le necessità materiali dei fratelli, occorre annunciare Gesù Cristo, farlo conoscere e amare. Convertire le anime a Lui e questo è frutto di santità, di unione con Dio”.

Cerca la Chiesa più odiata

A 75 anni, nel 1969, diventa vescovo emerito, continua a tenere conferenze, a scrivere sui giornali e a scrivere libri. Sono ormai più di sessanta, tra cui la famosa sua Vita di Cristo. Le sue conversazioni televisive sono raccolte in volumi, diffusi in tutto il mondo. Solo Dio sa quante persone egli abbia convertito. Nella sua citata autobiografia, ricorda diverse storie in cui la conversione avvenne per incontri casuali o richiesti: si tratta di non cattolici che, grazie a lui, hanno trovato l’unica vera Chiesa di Cristo, o di cattolici da anni lontani dai Sacramenti, di peccatori con gravi colpe.
Il 2 ottobre 1979 Papa Giovanni Paolo II, in visita negli Stati Uniti, lo abbraccia a lungo nella cattedrale di S. Patrizio e gli dice: “Lei ha scritto e parlato bene del Signore Gesù!”.
Va a vedere Dio “faccia a faccia” il 9 dicembre 1979. Sheen è morto nella cappella privata del suo appartamento di New York. Il 5 luglio 2019 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto relativo a un miracolo ottenuto per sua intercessione. Tuttavia, il 3 dicembre 2019, la diocesi di Peoria ha annunciato che la data della beatificazione è stata rinviata su richiesta di alcuni vescovi della Conferenza Episcopale Statunitense.

Abbiamo letto tante pagine di Fulton Sheen ma due ci sono rimaste impresse come un dardo di fuoco che segna oggi che cosa dobbiamo fare, nella confusione dilagante del nostro tempo. “Se io non fossi cattolico - diceva nel 1957 - e volessi trovare quale sia oggi, nel mondo, la vera Chiesa, andrei in cerca dell’unica Chiesa che non va d’accordo con il mondo. Andrei in cerca della Chiesa che è odiata dal mondo. Infatti, se oggi nel mondo Cristo è in qualche Chiesa, Egli dev’essere tuttora odiato come quando viveva sulla terra. Se dunque oggi vuoi trovare Cristo, trova la Chiesa che non va d’accordo con il mondo… Cerca quella Chiesa che i mondani vogliono distruggere in nome di Dio come crocifissero Cristo. Cerca quella Chiesa che il mondo rifiuta, come gli uomini rifiutarono di accogliere Cristo”.Trascorse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi alla predicazione e alla scrittura di libri. 

Mentre preparavo questa scheda su Fulton Sheen, mi ha colpito una risposta del cardinale Camillo Ruini nella recente intervista di Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera. Di fronte a una Chiesa che sembra non essere più di popolo,“non serve disperare o lamentarsi degli errori anche molti commessi a livello pastorale in alcune parti dell’Europa e degli altri Continenti”, rispondeva il cardinale, non serve un atteggiamento che sia solo difensivo, come una “minoranza” che si debba proteggere. Un atteggiamento di questo tipo, è in definitiva «perdente e sbagliato». Secondo Ruini occorre proporre e soprattutto testimoniare, «Questo è il nostro compito. In Italia, in Europa c’è ampio spazio per farlo». È il compito del Vangelo di Gesù che diede ai suoi discepoli nella storia dell’umanità: tanto all’epoca quanto oggi, serve riscoprire la radicalità del Vangelo, seguendo la complessità della Chiesa Cattolica in unità col Papa e senza perdersi in “protestantesimi” continui. Ecco mi pare quello che abbia fatto in tutta la sua vita monsignor Sheen.

Per chi è interessato ad avere maggiori informazioni sulla vita del vescovo americano può consultare il sito degli amicidifultonsheen.woedpress.com.  

 

La Galleria dell'Accademia di Firenze avvia il rinnovamento del Museo degli Strumenti Musicali. Dal 10 dicembre 2024, tre spinette cinquecentesche di grande pregio e fattura vengono esposte per la prima volta al pubblico. È l'inizio di un progetto destinato a valorizzare le prestigiose collezioni del Conservatorio di Musica Luigi Cherubini.

Il Museo degli Strumenti Musicali è inserito nel percorso di visita della Galleria dell'Accademia di Firenze. Nato da una collaborazione tra la Galleria dell'Accademia di Firenze e il vicino Conservatorio di Musica Luigi Cherubini, vanta una collezione di circa 400 esemplari databili tra il XVI secolo e l’età contemporanea. Tra questi, spiccano gli strumenti appartenuti alla collezione del Gran Principe Ferdinando dei Medici, tra cui la viola tenore di Antonio Stradivari e il clavicembalo in ebano di Bartolomeo Cristofori, inventore del pianoforte. Nel segno di quest'ultimo, gravita il progetto di riallestimento del Museo promosso dalla Galleria dell’Accademia.

La copia del clavicembalo di Cristofori, realizzata da Kerstin Schwarz nel 2009, viene spostata nella sala che ospita le due grandi tele di Anton Domenico Gabbiani, che ritraggono il Gran Principe Ferdinando de’ Medici e i suoi musici. Al suo posto vengono collocate tre spinette cinquecentesche, poste in dialogo con l'innovativa spinetta realizzata da Bartolomeo Cristofori nel 1690 ed appartenente alla collezione Medici.

La spinetta è uno strumento a tastiera con corde pizzicate, come il virginale e il clavicembalo. Si differenzia da quest'ultimo per le dimensioni contenute e l’assenza di un sostegno proprio, prestandosi dunque ad essere facilmente trasportata e suonata in ambito domestico. Le tre spinette che da oggi impreziosiscono il percorso espositivo del Museo degli Strumenti Musicali sono state realizzate a Venezia nella seconda metà del Cinquecento.

La prima è la spinetta a sei lati di Benedetto Floriani, la più antica tra le opere firmate dal costruttore veneziano. Realizzata nel 1568, è un modello insolito rispetto alla più tradizionale spinetta a cinque lati. Un oggetto dal pregio indiscusso, firmato e datato nel listello sopra la tastiera.

Il secondo strumento destinato ad arricchire la collezione del Museo degli Strumenti Musicali risale al 1570 circa. Si tratta di una spinetta attribuita a Benedetto Floriani sulla base di considerazioni tecniche e stilistiche. Considerata la pregiata decorazione, fu probabilmente concepita per una committenza lussuosa.

Conclude il gruppo, la spinetta poligonale attribuita a Joseph Solodiensis. Fu donata nel 1997 al Conservatorio da Mirella Gatti Kraus, nipote del collezionista Alessandro Kraus. Lo strumento è esposto all'interno di una custodia, coeva e probabilmente originale, in legno dipinto con decorazioni floreali.

“L'esposizione delle tre spinette cinquecentesche è il primo di una serie di interventi destinati a mettere in risalto l'unicità di questa collezione, formata da strumenti di indiscutibile valore storico ed estetico, che sono stati ideati per produrre musica” - ha commentato Alessandra Nardi, Funzionario Storico dell'Arte della Galleria dell'Accademia di Firenze-. “Fondamentale, in questo senso, la movimentazione della copia del clavicembalo di Bartolomeo Cristofori, che si configura come un'opportunità per accogliere futuri eventi musicali promossi dal Museo in collaborazione con il Conservatorio Luigi Cherubini”.

Il processo di rinnovamento del Museo degli Strumenti Musicali proseguirà nella prima metà del 2025.

 

Fonte uff.st.Andrea Acampa

 

 

Con vocaboli studiati, incolori o edulcorati, diciamoli “orwelliani”, l’hanno chiamata “maternità surrogata” o “Gpa” = “gestazione per altri”, “gestazione solidale”, “maternità solidale” e, perfino, “Gpa altruistica” quasi fosse un atto di amore verso chi non può avere figli; in realtà la si può tradurre meglio e in modo più esplicito e volgare con “utero in affitto”, cioè compravendita, da parte di gente danarosa, dei corpi di una donna povera e di un bambino che diventa la merce pattuita: giustamente, la maggioranza di Centro-Destra del nostro Parlamento ha provveduto a definirla (16-X-2024) “reato universale”. Nella mia ingenuità di quidam de populo (persona senza titoli) credevo, però, che tutti, almeno in Italia, saremmo stati d’accordo nel condannare una tale pratica disumana che dicono sia ormai banalmente diffusa nel mondo e muova montagne di euri e di dollari. E invece mi sono dovuto ricredere. Così, leggendo i giornali (“primi della classe”, al solito, “Repubblica” e “La Stampa”) e vedendo la televisione ho potuto raccogliere un corposo florilegio di affermazioni contrarie alla condanna e, di conseguenza, credo, favorevoli a tale pratica. Per quagliare le mie considerazioni sull’argomento, scegliendo fior da fiore, mi basta e me ne avanza ciò che ha detto la signora Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico:

Abbiamo visto l’atroce propaganda anche sulla pelle delle persone e dei bambini con l’obbrobrio di questo reato universale contro la gpa, che [...] calpesta i diritti fondamentali delle bambine e dei bambini. Non si capisce che cosa ha questo governo contro i bambini” (da “La Verità”, 18 ottobre 2024).

Resto sbalordito nel leggere queste proposizioni e i vocaboli usati (“atroce propaganda”, “obbrobrio”…) che capovolgono la realtà e la verità delle cose, pronunciati non da una persona qualsiasi, come sono io, ma dalla prima rappresentante del Partito post-comunista che in passato, quando si chiamava Partito Comunista Italiano, comunque lo si voglia giudicare, fu sicuramente “grande” e che oramai si è ridotto a “partito radicale” che vuole essere “di massa”: cosa non immaginata non dico da Togliatti che nel 1948, magari per carpire i voti dei cattolici, faceva diffondere manifesti in difesa della famiglia naturale, ma forse neanche dal più recente Berlinguer. Penso che l’“obbrobrio”, in quella materia, tra le tante altre vergogne, stia soprattutto nel bambino a cui sarà vietato di conoscere la propria madre perché strappato alla povera donna che lo ha portato in grembo per nove mesi; e, poi, come fa la signora a parlare di “diritti fondamentali delle bambine e dei bambini” ed essere per l’aborto – uccisione, appunto, di “bambine e bambini” prima di nascere e anche...dopo –, a condannare i tanti medici obiettori di coscienza che si rifiutano di operare? Signora, non La capisco! Mi permetta però alcune domande semplici: nel corpo di una donna incinta c’è o non c’è una creatura umana e il venire alla luce di tale creatura è o non è il primo e “fondamentale” suo diritto? Qualcuno magari pensa che ci sia un “grumo di sangue” o un volgare rigonfiamento della pancia della donna, mentre anche la scienza dice che fin dal primo istante si tratta di una persona. Forse le sue “maestre” sono state quelle giovani forsennate, ora con le guance cadenti come la mia, che nel “1968” gridavano “Il corpo è mio e lo gestisco io!”. “no alla virilità fascista!”, “siamo donne, siamo figlie, distruggiamo le famiglie!”... A quell’epoca – “vent’anni”! – io ero presente e stando sulla barricata opposta, correvo pericolosamente le strade e le piazze della Città, vedevo, sentivo, annotavo e formulavo le mie convinzioni. Ne consegue, signora, che fra la sua posizione e la mia c’è un fossato incolmabile e senza ponte levatoio, ecco perché, stando così le cose, non voterò mai né per Lei né per il suo Partito, non perché su alcuni problemi possiamo avere pareri discordi: i migranti, la riesumazione del cadavere fascista e del suo fantasma, l’antifascismo fuori tempo e quindi ridicolo, lo ius soli o lo ius scholae, il reddito di cittadinanza o le pensioni o le fognature che in Romagna non hanno funzionato durante le piogge d’autunno…: codeste, per quanto importanti, restano però cose secondarie e transeunti di fronte alla enormità della compravendita della carne di un bambino e di una donna o l’uccisione del nascituro o, come avviene in certe occasioni, del già nato; per me Vita e Famiglia sono due assoluti che precedono qualsiasi altra cosa! Questo è il principale motivo del presente foglietto.

Chi a questo punto dovesse credere che con l’“utero in affitto” la società ha toccato il fondo, è meglio che si ricreda; esso – l’ “utero” – è sicuramente uno dei tanti “fondi” in cui la società oggi s’è cacciata ma può rappresentare solo una tappa di un processo di “conquiste” cosiddette “civili” più o meno prossime future. Tale processo studiosi lo chiamano Rivoluzione ed ha come fine ultimo la costruzione prometeica di un “homo novus” e la distruzione di quello creato da Dio e conosciuto nella nostra millenaria civiltà giudaico-cristiana; un processo che non sorge improvviso come un fungo dopo le piogge di fine estate, ma avviene per gradi e con una sua “meccanica” studiata da chi – un “Padrone del mondo” o un “Grande Fratello”... – manovra ogni cosa dall’alto della Piramide; ha suoi agenti, sue “massonerie”, una strategia ben precisa, magari dei tre passi avanti e uno o due indietro, così da confondere gli sprovveduti e gli ingenui che non ne hanno studiato gli ingranaggi. La Rivoluzione ha ricevuto una accelerazione col 1968, “anno” nodale ed emblematico – io ne sono buon testimone perché vi fui in mezzo, protagonista – da cui è iniziata una sua “nuova” fase: l’attacco “in interiore” dell’uomo, l’esaltazione dei suoi “desideri”, del “sesso libero”, la droga sperimentata nelle “occupazioni” delle università e delle scuole, il disporre del proprio corpo e del corpo degli altri in libertà assoluta secondo le passioni, le tendenze sregolate e i vizi, il “proibito proibire”… Attenzione! La prima caratteristica della Rivoluzione è la seguente: come la bestia dantesca, che dopo il pasto ha più fame che pria, se non viene fermata – cosa a viste umane oggi difficilissima – prepara altre “tappe” future che al momento a noi poveretti sembrano aberranti e, quindi, impossibili da attuare; così, magari, sarà per l’incesto già richiesto a suo tempo da un “Comitato etico” al Parlamento di Berlino col dire che “se c’è amore e libera partecipazione, il rapporto non può essere vietato” (“Il Giornale” 30-IX-2014); così per la pedofilia anch’essa richiesta molti anni fa da un “Manifesto in difesa della pedofilia” firmato da Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e altri cattivi maestri del “68”, pubblicato su “Le Monde” il 26-1-1977 (v. “Il Foglio quotidiano” 7-IX-14).  Insomma, è il disordine che solo in parte abbiamo visto avverarsi in questi 50 anni e via via ne subiamo le tragiche conseguenze intorno a noi ogni giorno: di “ospedale da campo” parla, infatti, Papa Francesco. Va da sé che coloro che non si adeguano e vi si oppongono vengano bollati come passatisti, reazionari, medioevali, talebani, fascisti… Costoro devono sopportare la propaganda compatta di televisioni, giornali, politici di dozzina, presidenti e ministri di qualcosa, intellettuali e pensatori, presuntuosi professorini che insinuano il gender fra gli alunni all’insaputa dei genitori, cantanti, comparse e guitti dello spettacolo...; ecco perché plaudo alla coraggiosa dichiarazione dell’utero in affitto come “reato universale” che – dati i tempi – mi pare sia stato un vero e proprio miracolo!

Il presente foglietto, vuole essere – per quello “zero-virgola” che può valere – una testimonianza e insieme una protesta contro questo Mondo che per me diventa sempre più incomprensibile e perfino nemico: in esso mi sento un estraneo e a disagio; dunque, non posso che essere contrario alle cose che chiama “conquiste”, “diritti civili”, “avanzamento”, “progresso”, etc., cose a cui, visti i risultati fallimentari, non ho mai creduto; pretendo, quindi, da uomo libero, il diritto almeno di poterlo affermare. Ciò dico perché vedo molti tentativi per chiudere la bocca a me e ai tanti come me che non vogliamo piegarci; così – ad esempio – il disegno di legge Zan (Cirinnà, Scalfarotto…, esponenti del solito Partito Democratico), quello contro la cosiddetta omofobia, se non fosse stato bocciato al Senato (7-IX-2021), mi avrebbe proibito di dire pubblicamente che l’unica e sola Famiglia è quella “naturale”: uomo-padre, donna-madre, figli; questa affermazione, infatti, sarebbe diventata “omofoba” cioè dispregiativa nei confronti di “famiglie altre”, due persone dello stesso sesso che stanno insieme (ora si chiamano perfino “marito” e “moglie”!): un giudice solerte mi avrebbe potuto accusare, appunto, di omofobia a colpi di Codice Penale...!  Il mio deciso contrasto a tale Mondo parte dalla educazione che ho ricevuto dai miei Genitori (Padre-uomo, Madre-donna), dalla Chiesa e dalla Scuola della mia infanzia, quando – nonostante possibili errori – appariva ancora chiara la distinzione tra il bene e il male; poi, col relativismo le due cose si confusero tanto che spesso il bene divenne male e il male divenne bene!  Per questo motivo io, ora ottuagenario, sento che questo Mondo fa violenza alla mia persona perché impone cose a cui la mia natura e la mia coscienza non possono che ribellarsi. Pertanto rimango fermo e non posso cambiare idea sol perché propagandisti vogliono convincermi del contrario: possono augurarsi – liberi di farlo – la mia eutanasia e sperare in essa, ma fino ad allora pretendo il diritto di dire ciò che penso: sarò come il grillo parlante della grande favola di Collodi!

Bene ha fatto Alleanza Cattolica a pubblicare quest'anno con la sua casa editrice Cristianità un libro su gli “Scritti di dottrina sociale 1961-2005” di Giovanni Cantoni. Nei miei intensi anni di apostolato sociale nel messinese, ogni volta che presentavo l'associazione non mancavo mai di dire che “Alleanza Cattolica è una associazione nata per diffondere la Dottrina Sociale della Chiesa”. Era il bigliettino da visita dell'associazione, che in alcuni anni, almeno quelli dopo il Vaticano II, forse, era l'unica associazione che faceva apostolato sociale e culturale attraverso i documenti magisteriali della Dottrina sociale. Il volume raccoglie interventi editi e inediti di Giovanni Cantoni, con la prefazione di mons. Michele Pennisi, arcivescovo emerito di Monreale (Pa). Il testo di Cantoni è importante perché è un ottimo strumento di formazione civico-culturale, che aiuta a fare incontrare la fede e la vita in una prospettiva di impegno sociale e politico sia per chi è impegnato nel pre-politico, sia per chi è chiamato a operare direttamente a livello elettorale nelle formazioni politiche. La Dottrina sociale è un alimento indispensabile e doveroso che orienta il laico cattolico nei vari ruoli in cui è chiamato. Cantoni si è impegnato per decenni nella missione culturale di studiare e diffondere attraverso i suoi interventi il Magistero sociale della Chiesa. Alla luce del pensiero di Giovanni Paolo II, il Papa che ha rilanciato la D.S.C e che era convinto come amava ripetere spesso che, “una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. Il testo dopo la premessa di Oscar Sanguinetti, si compone di un Prologo, un intervento di Cantoni sul Senso Comune. Seguono i tre temi affrontati nel libro: Studi e saggi di dottrina sociale della Chiesa; Saggi sulla Chiesa e sulla politica; Articoli e commenti vari. Prima di passare ai contenuti, occorre richiamare al metodo dell'Autore. Il volume, attesta una straordinaria conoscenza del magistero sociale della Chiesa di Cantoni, che certamente si rifà anche ai contributi degli autori della scuola cattolica contro-rivoluzionaria, a partire da Joseph De Maistre (1753-1821) a Plinio Correa de Oliveira (1908-1995), inoltre, “offre un approccio alle varie tematiche in cui spiccano quattro importanti caratteristiche metodologiche: il realismo, la serietà, la fedeltà e la chiarezza”. Le riflessioni e gli studi di Cantoni non parte mai da zero, ma sempre dalla realtà, per ciò che è e mai per come amiamo immaginarla, e poi dal vasto patrimonio del “senso comune”. Dunque niente ideologia che non guarda al totale ma ad una parte della realtà. La seconda caratteristica metodologica è la serietà, Cantoni non è superficiale, fa una lettura attenta dei documenti pontifici, una ruminatio dei testi del Magistero. L'autore legge i documenti nella lingua originale, il latino. Fattore importante, Cantoni leggendo un documento di un Pontefice si confronta con il Magistero dei predecessori, facendo notare i tratti di continuità e di riforma, nella consapevolezza che “Papa non scaccia Papa”, o “enciclica non abolisce enciclica”. Occorre precisare che lo studio di Cantoni non è un mero studio intellettualistico, accademico, ma “scientifico”, orientato a  fronteggiare il processo rivoluzionario di scristianizzazione e di porre le condizioni per la costruzione della civiltà cristiana nel Terzo millennio. E' uno studio fedele dell'insegnamento dei Pontefici, che ha permesso al fondatore di Alleanza Cattolica “di comprendere come la dottrina sociale cristiana viene raggirata, da un lato trasformandola in programma politico o in ideologia, dall'altro lato – come avvenuto sovente e in maniera compulsiva durante gli anni successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) – quando è oggetto di operazioni riduzionistiche, tese alla sua alterazione o negazione, espungendone il carattere profondamente normativo e valoriale [...]”. Il quarto e ultimo elemento metodologico da rilevare è quello della chiarezza. Infatti, “l'attività di Cantoni è stata in gran parte quella di un instancabile comunicatore, tramite l'oralità e gli scritti, attraverso intensi rapporti personali e in incontri pubblici”. Un attento uso delle parole, è stata una delle caratteristiche costanti di Cantoni. E soprattutto niente pressapochismi linguistici, concettuali e culturali. Il metodo cantoniano ci invita a non scadere in prospettive fondamentalistiche, tra ciò che dev'essere distinto tra la sfera spirituale e quella temporale, senza confusioni, ma neanche in atteggiamenti pragmatistici o positivistici, senza sconti dottrinali e senza confusioni o pressapochismi.

A questo punto mi limito a sfogliare il testo segnalando solo gli argomenti affrontati. Per una presentazione più approfondita segnalo la recensione di Daniele Fazio pubblicata nel numero 428 della rivista Cristianità, organo ufficiale di Alleanza Cattolica (Giovanni e la dottrina sociale della Chiesa. Considerazioni). Il testo dopo il Prologo sul “senso comune”, passa allo studio delle linee essenziali della Dottrina sociale della Chiesa. I Dottrina sociale della Chiesa. Nella Prima Parte, tratta della Natura e Storia. Nella Seconda Parte: Principi, criteri e direttive.

Si prosegue con II Dottrina sociale e lavoro umano nel messaggio della Laborem exercens. L'argomento è sviluppato in Sette Sezioni. III Dottrina sociale, teologia morale e coscienza. IV “Rivalutazione” della dottrina sociale della Chiesa. V La democrazia nell'encilcica “sociale” Evangelium vitae. VI L'Anno della Dottrina sociale della Chiesa.

Parte seconda. Saggi sulla politica e sulla Chiesa. Segnalo soltanto gli interventi su I. La monarchia tradizionale unica soluzione globale alla crisi del mondo moderno. II Costituzionalismo e Tradizione. III. Dittatura e totalitarismo. IV. Papa Giovanni Paolo II a Strasburgo: religione e libertà. V. La libertà religiosa come valore. VI. Il problema ecologioc nel Magistero sociale della Chiesa.

Infine, la Terza parte del testo con Articoli e commenti vari. Sicuramente Giovanni Cantoni può essere annoverato tra i più brillanti interpreti del magistero e del pensiero sociale cattolici. I suoi saggi, articoli, sono contenuti principalmente nelle annate, ormai pluridecennali, di Cristianità, la rivista di cultura religiosa e civica da lui ideata e promossa dal lontano 1973. Ma i suoi “mille” interventi, oltre ai convegni, riunioni e Ritiri dell'associazione, si possono trovare anche in altre riviste e quotidiani dove ha collaborato. L'ampia selezione di interventi in questo volume non vuole soltanto onorare un uomo che si è speso per tutta la vita per costruire una civiltà a misura d'uomo e secondo il piano di Dio, ma anche di fornire un sussidio di qualità a chiunque voglia impegnarsi nella “buona battaglia”, quella delle idee che dagli anni '70 sta combattendo Alleanza Cattolica.

 

Invece di occuparmi delle solite cianfrusaglie di cronaca socio-politica di questi giorni, cercherò di elevare il mio dilettantismo giornalistico con una figura eccezionale che ha sviluppato il senso della “carità” nella Chiesa e nel mondo. Mi riferisco a S. Vincenzo de' Paoli, che si ricorda proprio oggi. Una straordinaria figura vissuta nel XVII secolo, e che si è spenta proprio il 27 settembre 1660. Casualmente ho letto la sua storia nel Volume, “La Chiesa dei tempi classici”; Tomo I, “Il Grande secolo delle anime”, della monumentale “Storia della Chiesa del Cristo” di Daniel Rops, che ho trovato insieme ad altri volumi, presso la “bancarella” dei libri del Santuario della Consolata a Torino. Rops impiega 55 pagine (“Un costruttore della Chiesa moderna: San Vincenzo de' Paoli”) per descrivere l'immensa opera di “Monsieur Vincent”, come lo chiamavano nella sua Francia. La Storia della Chiesa ma non solo, gli riserva un posto considerevole. “Iniziatore del senso sociale, in un epoca in cui finiva di rompersi la solidarietà della città, del comune e del feudo che durante il Medioevo consolava le miserie,[...] egli ha saputo associare tutte le classi in un unico sforzo per alleviare la miseria degli uomini, suscitando tante generosità individuali che la Francia ne è stata mutata”. S. Vincenzo è stato l'iniziatore dell'epoca moderna di quella numerosa schiera di Santi, che invece di affidarsi alle sirene di utopici progetti di solidarietà verso gli ultimi, si sono operati in prima persona, fondando associazioni, congregazioni di uomini e donne per risolvere le tante miserie umane presenti nel loro tempo. Vincenzo aveva ben saputo metterci l'umanità profonda, la vera carità aiutando veramente e concretamente gli uomini del suo tempo.

Era nato lontano da Chatillon, in un angolo della Francia, figlio di un povero contadino. Ben presto diventò uomo di chiesa, frequentando gli studi, anche quelli universitari. Ad appena vent'anni fu ordinato prete. E nella sua vita operosa, ha sfiorato la schiavitù, subendo perfino il sequestro da parte dei turchi che lo portarono a Tunisi per essere venduto, acquistato da un padrone, venne successivamente liberato. Rops scrive che ad un certo punto a cominciare dal 1610, misteriosamente, fu “invaso dalla santità”, aiutato da un aristocratico di nascita e di cultura, grande mistico, Pietro de Berulle, poi diventato cardinale. De Berulle, diventa il suo direttore di coscienza, il suo confessore, il suo modello vivente. Su consiglio del cardinale de Paoli diventa precettore dei tre figli del potente Filippo Emanuele de Gondi. Qui è rimasto ben otto anni, in questo periodo incontrò un altro uomo che lo avrebbe ulteriormente cambiato, il vescovo di Ginevra, S. Francesco di Sales. Nei mesi trascorsi a Parigi, con lui Vincenzo ebbe diversi colloqui. E parlò di tutto, della Fede, delle missioni, della direzione delle anime, della politica. S. Francesco divenne il suo nuovo maestro, dopo la sua morte, Vincenzo prese la decisione di operare nella società per dedicarsi interamente ai poveri. ”Taglierà tutti gli ormeggi che ancora lo tengono legato”. Trentacinque anni di operosità per gli ultimi di ogni genere. Colpisce la sua apertura spirituale. Non cerca affatto di brillare nella dialettica e nel gioco delle idee. Cercherà di trovare la soluzione a tutti i problemi che si impongono al suo tempo. Tuttavia, “è anche il contrario del sognatore, di un fabbricatore di sistemi; è preciso, realista; ha tutti e due i piedi sulla terra”. Una frase regola ogni suo atteggiamento: “Dio non ci chiede nulla che sia contrario alla ragione”. Vincenzo è il contrario del polemista, “impegnato nei più vivi dibattiti, vi conserverà sempre la misura, mostrandosi caritatevole con gli uomini di cui condannerà le tesi”.

Ama gli uomini, perché ama Dio, “nonostante le loro mediocrità e le loro miserie, che egli conosce meglio di ogni altro; Li ama proprio per esse”. Ama gli uomini perchè ha preso sul serio i due primi comandamenti del Vangelo. Rops è un po' polemico nei confronti di chi in Francia ha snobbato il Santo, collocandolo tra gli ignoranti, per tenerlo fuori dalla schiera gloriosa dei grandi spirituali. Senza dubbio S. Vincenzo, scrive Rops: “non ha arricchito di nuove concezioni la speculazione religiosa; non ha, come il suo maestro Berulle, dato l'avvio dottrinale a tutta una scuola: Non ha neppure pubblicato nulla di suo”. Ma il suo pensiero mistico e spirituale ha lasciato una impronta profonda. La sua dottrina unisce quella dei suoi maestri. Egli prepara il volto della Chiesa del futuro. Probabilmente il suo successore sarà S. Alfonso de' Liguori. Tuttavia egli riassume un principio fondamentale, quello che S. Paolo ha formulato in termini insuperabili: “vivere in Cristo”. “Vivere la Croce, vivere la passione di Cristo, significa anche vivere il suo infinito amore per gli uomini”. A questo punto Rops elenca e descrive le sue grandi creazioni, a cominciare dalle Missioni. Essendo un frequentatore della Casa Gondi, ne approfitterà per intraprendere, “un'opera multiforme, le cui realizzazioni si collocheranno su ogni specie di piani, un'opera insieme sociale, morale, teologica, pastorale ed anche politica, la cui varietà sorprende non meno che l'ampiezza, la sola che potrà permettergli di portare a buon fine il suo temperamento di capo, servito da un vero genio organizzatore”. Vincenzo è della stessa razza dei santi fondatori come S. Benedetto, S. Domenico, S. Ignazio. Toccando con mano la miseria spirituale delle campagne francesi, crea in lui una esigenza di apostolato. Ecco allora l'esigenza delle Missioni, che si dovevano ripetere per essere veramente incisive. Anzi dovevano essere erette ad istituzione. “Ciò presupponeva quindi l'esistenza di squadre di sacerdoti che facessero della missione il loro scopo fondamentale”. Fu creata una Congregazione della Missione, per le spese immediate ci pensava madame de Gondi. Inoltre arrivarono donazioni di locali e di chiese. Ben presto questa compagnia di preti della Missione vengono chiamati anche Lazzaristi. Girano di villaggio in villaggio, vi passano da quindici giorni a un mese, predicando, parlando dappertutto. Attenzione, parlando in modo semplice; le prediche devono essere semplici, niente “eloquenza cattedratica”. Se si vogliono commuovere i curoi, bisogna parlare con tutto il cuore. Senza frasi oratorie,senza enfasi. Le Missioni furono fondamentali per il popolo, per farlo ritornare alla fede. Non solo ma anche nella Corte del re di Francia, Vincenzo mandò i suoi predicatori.

Vincenzo de' Paoli era convinto che “dai preti dipende il Cristianesimo”. Santificare se stessi e portare la parola ai poveri. Per evangelizzare i popoli era necessario evangelizzare i suoi pastori. Troppi preti, specialmente nelle campagna vivevano a livello del loro popolo. “Molti erano pigri: 'la pigrizia è il vizio del clero”. Questa decadenza del clero, tormentava l'anima sacerdotale di Vincenzo. Pertanto, si applicò alla riforma del clero, come voleva il Concilio di Trento. E il modo migliore per riformare è quello di istituire i seminari veri e propri, che non erano all'inizio simili a quelli dei nostri giorni. Tornando all'opera caritativa di Vincenzo de' Paoli, bisogna ricordare anche le condizioni, letteralmente spaventose delle società di allora. Le guerre che avevano stremato la Francia, orde di soldati attraversavano le province in ogni senso, incendiando e saccheggiando. Poi c'erano le epidemie di ogni genere. “Il miracolo di Monsieur Vincent sta nel fatto che egli seppe tener testa a tutte le angosce provocate dagli avvenimenti e dall'incoscienza degli uomini [...]Sapeva imporre certi sacrifici con tanta imperiosa dolcezza!”. Alla Regina, ad Anna d'Austria, che esitava ad offrire i suoi diamanti, replicava graziosamente: “una regina non ha bisogno di gioielli!”.Nascono quasi spontaneamente le Dame di Carità, per lo più appartenenti all'alta società, principesse, duchesse, che frequentavano la casa di madame de Gondi. Una di queste Dame di Carità si distinse tra tutte: Luisa di Marillac (1591-1660), giovane vedova di un modesto borghese, un'anima fervente che trovò nella carità la risposta ai suoi dubbi e alle sue angosce, un'intelligenza tutta virile. Fu lei ad avere l'idea di una nuova fondazione: Le Figlie della Carità. Una delle istituzioni che fanno più onore alla Chiesa, quelle che nelle ore più buie, ci impediscono di disperare. Le suore di quel tempo si concepivano chiuse in un convento o dietro una grata. S. Francesco di Sales, invece aveva concepito delle giovani consacrate che vivessero in mezzo al mondo, lavorando per Cristo e per la Chiesa. Fino allora, la carità era soprattutto opera dei chierici, di religiosi e di signore agiate. Ora comparivano delle figlie del popolo, di quelle “buone ragazze di campagna”. Vincenzo impiegò le “suore grigie” dappertutto anche nelle zone di guerra a fare le prime infermiere. Tuttavia Vincenzo nonostante desse più fiducia alle donne, diede spazio anche agli uomini, istituendo la prima “Confraternita di Carità per gli uomini”, antenata delle “Conferenze di S. Vincenzo”, sviluppate due secoli più tardi da Ozanam. Il nostro de' Paoli si è occupato anche dei bambini cosiddetti “trovatelli”. In quei tempi feroci e desolati, un gran numero di madri abbandonano i loro bambini, per miseria o disperazione. Solo a Parigi sono migliaia. Si crea un'opera per loro e ci pensa Luisa di Marillac. Poi ci sono i mendicanti, mutilati di vari eserciti, vecchi abbandonati, uno stuolo numeroso. Poi ci sono i carcerati nelle prigioni anche a loro manda le sue Figlie della Carità. Arrivano a Monsieur anche donazioni anonime. Tutte queste opere che si moltiplicano, danno prestigio e il de' Paoli, nonostante la sua modestia, assume un posto sempre più considerevole in tutta la Francia. Il re Luigi XIII l'aveva ammirato senza riserve, nota Rops. Alla morte del Re, la regina Anna d'Austria col piccolo Luigi XIV si trovò in difficoltà di fronte ai gravosi impegni della reggenza. Anna per essere consigliata chiamò Vincenzo. Una direzione spirituale non troppo facile per il sacerdote. Monsieur Vincent diventa una potenza, un personaggio pubblico di cui si conosceva la influenza, “una specie di ministro senza portafoglio incaricato di ciò che noi oggi chiameremmo l'assistenza pubblica e le questione sociali”. Anche se c'era il cardinale Mazzarino che non sempre accettava di relazionarsi con Vincenzo dè Paoli, che consapevole di aver una influenza considerevole a Corte, cercò di servirsene per allargare il campo della sua carità. Sostanzialmente si trattava di far trionfare Cristo e la Chiesa. Qualcuno l'ha chiamata la sua azione politica. Comunque sia, con “bonaria semplicità, come sempre, egli mise al servizio delle idee che gli stavano a cuore i suoi accresciuti mezzi d'azione”. Comunque scrive Rops, Vincenzo non confuse mai “la carità di Cristo con i metodi della burocrazia statale; per lui l'amore degli uomini non si distribuiva amministrativamente”. E tuttavia Vincenzo da buon ministro senza portafoglio della carità, non ignorava i suoi doveri di occuparsi degli aiuti alle popolazioni, alle province devastate dalla guerra. Si occupò dell'assistenza ai profughi. Rops accenna ad una lettera di luogotenente generale che dovrebbe essere pubblicata dai manuali di Storia. L'ufficiale sosteneva che senza il Santo, il Paese sarebbe morto di fame e lo supplicava di essere ancora “il Padre della Patria”. Ma Vincenzo de Paoli non si occupò solo delle opere di carità, ma di servire la carità di Cristo, attraverso la difesa della Verità e del messaggio di Cristo. Affrontò le gravi questioni dell'eresia del Giansenismo, sempre con ferma dolcezza e col rigore misto di misericordia. Affrontò con gli stessi metodi anche i “fratelli” protestanti. Tuttavia secondo Daniel Rops, è difficile dare un'idea di quello che fu l'irradiazione del santo negli ultimi quindici anni. Le sue opere si moltiplicavano e soprattutto si diffondevano in tutta la Francia, ma anche negli altri Paesi europei. Alla sua morte un intero popolo sfila davanti al letto dove giace il povero corpo logorato. Le sue reliquie sono contese, li reclamano il Papa, i santuari, i vari re.

 

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