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Anticipatrice della poesia moderna, Emily Dickinson scrive senza eccessivi vincoli di punteggiatura e con una costruzione letteraria già libera e avanzata, "fuori luogo" rispetto al Massachusetts del suo tempo.
L'amore irrealizzato, la morte ( I heard a fly buzz / when i heard ) ma soprattutto la descrizione della natura "la madre più soave" e l'ambiente sono fra i suoi temi più ricorrenti. Una sorta di solitaria Greta ottocentesca che dal proprio giardino si serve del verso per lanciare un'elegiaco messaggio ai lettori che verranno, una "lettera pel mondo" che solo dopo la sua vita terrena verrá pubblicata. In qualche caso musicata. Come avvenuto con il chitarrista Daniele Cervigni che oggi presenta l'album Emily Dickinsongs con la label Improvvisatore Involontario con 9 tracce musical poetiche. Complimenti!
Perchè ci vuole orecchio, metrico s'intende, nell'appropriarsi coraggiosamente di alcuni suoi suoi testi per farne delle canzoni. Ma che di che tipo? 
Prendiamo ad esempio The Grass. Se ne ricorderá l'incipit " l'erba ha poco da fare/ sfera d'umile verde/ per allevar farfalle/ e trastullare api ".
Che musica ci imbastisce Cervigni senza sperderne la cadenza? 
Una ballad pervadente, con la voce di Anna Laura Alvear Calderon che "anima" le liriche, il pianoforte di Gabriele Evangelista che "spezza" il parlato fattosi cantato mantenendone intatta la suggestione ed il contrabbasso di Lorenzo Scipioni a completare l'affresco con colori tenui. Altro esempio.
I See che nei versi iniziali recita - Ti vedo meglio al buio / non mi occorre altra luce / l'amore è per me un prisma / che supera il violetto - ed in inglese - I see thee better in the dark / I do not need a light / the love of the a risme of be / excelling violet. 
Il suono elettrico della chitarra all'inizio apre il "discorso", lo segue armonicamente, ne detta gli steps col batterista Pasquale "Pako" Montuori, si concede alcuni momenti improvvisativi che ascrivono il disco al genere Jazz anche se con evidenti influssi soul pop rock r. & b. . Tratto comune anche ai rimanenti brani, composti di pensieri di un secolo e mezzo fa e note di oggi, per un connubio nient'affatto strano. Che sta a dimostrare l'eterna giovinezza dell'arte della poetessa statunitense.

“Riflessi di Umanità” è la mostra fotografica che sarà possibile ammirare nel suggestivo Chiostro dei Domenicani del borgo di Altomonte.

La mostra, curata da Stefania Lecce, che resterà allestita e aperta gratuitamente al pubblico sino a domenica 22 settembre, è stata inaugurata nell’ambito del Divino Jazz, contestualmente alla presentazione del catalogo “Riflessi di umanità”, nato da un’intuizione di Maria Pina Iannuzzi e Pierfranco Costa e pubblicato da Le Pecore Nere, prima in Argentina e poi in Italia.

La felice coesistenza delle creazioni di sette scrittori (Arthur Balder, Héctor Berenguer, Carmela Bianco, Regina Cellino, Matteo Dalena, Tálata Rodríguez e Francesco Vitale) e di sette fotografi (Pierfranco Costa, Karen Cucci, Maria Cristina Esposito, Nicola Iuvaro, Stefania Lecce, Mafalda Meduri e Rachele Zumpano) caratterizza un’opera fresca che offre bellissimi spunti di riflessione.

A questo originale catalogo si accompagna una mostra fotografica itinerante, già ospitata a Villa Rendano a Cosenza e all’interno della rassegna “Giugno poetico” di Praia a Mare.

L’esposizione offre una chiave di lettura immediata: si tratta di immagini e parole che si incontrano per raccontare il rapporto dell’individuo con l’ambiente che abita.

Quattordici fotografie scattate da sette fotografi calabresi che con passione ed entusiasmo hanno sposato il progetto.

14 Immagini diverse tra loro che spaziano tra svariati generi fotografici, abbracciandoli un po’ tutti, dalla fotografia naturalistica si arriva a quella di strada, passando per una fotografia più intima, di ritratto, mantenendo però un unico filo conduttore: indagare e raccontare le diverse sfumature di un’umanità oggi sempre più minacciata dalla frenesia quotidiana che non lascia troppo spazio a riflessioni profonde.

Una mostra in cui lo strumento fotografico diventa il mezzo per offrire una visione del mondo diversa che possa raccontare sfumature, emozioni e piccole storie che, altrimenti, passerebbero inosservate.

L’allestimento semplice e lineare e la scelta del bianco e nero risultano funzionali alla trasmissione del messaggio: l’osservatore viene guidato direttamente alla lettura delle immagini, senza essere distratto o influenzato in qualche modo da elementi che, in questo caso, risulterebbero superflui.

Un viaggio all’interno delle emozioni in cui il visitatore viene praticamente catapultato.

Un invito a riflettere sulla condizione dell’individuo contemporaneo e sul suo essere nel mondo.

 

 

Il movimento per il neorinascimento della giustizia MOV.RIN.GIU, fondato dal giudice drammaturgo Gennaro Francione, ha organizzato e parteciperà,  insieme al biologo forense Eugenio d’Orio, al convegno dal titolo "CRIMINOLOGIA DINAMICA PER UNA NUOVA ALLEANZA TRA SCIENZA E PROCESSO", che si terrà il 17 settembre 2019 a Roma  presso la  Cassazione.
Gennaro Francione è un magistrato di Torre del Greco (Napoli) e vive a Roma. Scrittore, drammaturgo, attore e regista di teatro internazionale ho rappresentato le sue opere teatrali in Italia e all’estero; è Membro Accademico dell’Internationale Burckhardt Akademie ed ha fondato l’EUGIUS (Unione Europea dei Giudici Scrittori) ma anche le Avanguardie del Diritto  per creare una nuova generazione di magistrati creativi che applichino la disciplina giuridica finalizzata ad una Giustizia "giusta", in quanto  pronti a recepire le novità “rivoluzionarie” dell’esegesi a favore dell’uomo debole, secondo i principi sanciti nell’art. 3 (2° comma) della Costituzione.
Il volume di riferimento è "TEMI DESNUDA" (VADEMECUM PER CREARE UNA GIUSTIZIA GIUSTA (Herald editore Roma 2015), curato da Francione e da lui scritto,  insieme a Ferdinando Imposimato e Paolo Franceschetti, con interventi in pre e postfazione di Saverio Fortunato e Antonietta Montano.

Ogni giorno assistiamo a fatti di cronaca sconcertanti, casi di femminicidio, omicidi senza colpevoli, persone scomparse e processi penali interminabili e farraginosi, talvolta costruiti su basi indiziarie. Vorrebbe parlarmene?

In questi ultimi anni alcuni eclatanti casi giudiziari (Meredith Kercher, Melania Rea, Elena Ceste, Guerina Piscaglia, Roberta Ragusa, Yara Gambirasio, Sara Scazzi, Chiara Poggi etc.) hanno portato alla ribalta degli indiziati che continuano, seppur arrestati, a proclamare la loro innocenza.
La mancanza di prove certe e il fondarsi dei processi su elementi puramente indiziari hanno generato un pullulare in rete e nei social di gruppi contrapposti fra  innocentisti e colpevolisti.
Un vero e proprio cult, dove tutti diventano giudici, criminologi, esperti, alimentati da un pervasivo  sistema mediatico; in particolare, quello televisivo  dedica il 70 % della propria programmazione alla materia noir.

Quali sono le finalità perseguite dal Movimento per la neorinascita della giustizia?

Il Movimento sta girando l’Italia con una serie di convegni in varie città, fra le quali Roma, Caserta, Crotone, Viterbo, Palaia-Agliati, Napoli, Milano, Verona, Lucca, Firenze, dove si sono avuti interventi di addetti ai lavori, personaggi emblematici (Raffaele Sollecito, procuratore Piero Tony, avv. Giuseppe Lipera difensore di Contrada, Ronzoni amico di Bossetti); infine, delle istituzioni particolarmente interessate alla costruzione di una giustizia giusta (Regione Basilicata, Provincia di Crotone, Comuni di Caserta, Palaia, Corsico, Firenze). Il nostro compito primario è di trasmettere la visione di un mutamento radicale della giustizia fondandola sul processo scientifico, mettendo  al bando quello indiziario che ha un altissimo rischio di mettere dentro innocenti.

Seguiranno altri convegni sul tema?

Certamente e saranno sempre volti a verificare le problematiche connesse al processo indiziario, in cui l'apparato investigativo dovrebbe mettersi alla ricerca di prove fortissime ed incrociate, elementi fondanti del giusto processo, per arrivare alla condanna di sicuri colpevoli e non di persone innocenti.

Ho letto che lei, insieme al biologo forense dott. Eugenio D’Orio, già operante presso l’Università di Copenaghen,  ha elaborato la teoria della "Criminologia Dinamica", che ribalta il processo indiziario a favore di un processo popperiano basato su prove fortissime, sfruttando i più recenti background tecnico-scientifici provenienti dalla ricerca. Esattamente, di cosa si tratta?

Il progetto è stato approvato anche dal direttivo della Crime Unit dell'Università di Copenhagen ed è stato presentato al Congresso di Vienna "Increasing security solving Crime".
La teoria è stata espressa compiutamente nel mio libro, scritto insieme ad Eugenio D’Orio, dal titolo  CRIMINOLOGIA DINAMICA. LA VIA DI POPPER AL DNA (Nuova Editrice Universitaria – Roma 2019), con  prefazione di Eraldo Stefani e  postfazione di Massimo Pezzuti. La copertina è del photoreporter Maurizio Riccardi.
Il metodo rigoroso popperiano porta ad escludere che il processo possa essere costruito su indizi,  essendo necessarie prove inconfutabili ed incrociate, poiché scoprire gli autori dei delitti è tutt'altro che semplice; fa parte della letteratura gialla affermare  che non esiste il delitto perfetto. Esiste e come  e la giustizia annaspa alla ricerca di colpevoli a tutti i costi per dimostrare la sua operatività.

Su un’idea del professor Ferdinando Imposimato, lei  ha creato la TAVOLA DELLE PROVE LEGALI. Per procedere a giudizio di merito il giudice deve avere davanti prove, non indizi. Tali elementi sono individuabili nella tavola da voi elaborata?

In effetti, la Tavola delle prove legali costituisce un valido supporto in tal senso. Noi dobbiamo pretendere non solo la confessione e/o la pistola fumante, perché prove forti sono anche intercettazioni telefoniche inequivocabili, testimonianze nette incrociate, percorsi ricostruiti con telecamere a circuito chiuso, marcature post delictum con microspie, sistemi informatici a prova di bomba, come Mytutela per inchiodare comunicazioni incriminanti, uso di data base, di informatica ed algoritmica investigativa, uso delle neuroscienze, rilievi scientifici fatti come si deve e sicuri al 100 % . Non certo come nei casi Cogne, Melania Rea, Meredith, Gambirasio. Per non parlare di Ceste, dove non si sa nemmeno come è morta la donna, o Guerina Piscaglia e Roberta Ragusa, delle quali non sono stati  trovati addirittura i corpi, non potendo affermare se siano morte e, in tal caso, se siano state uccise, come e da chi.

Se non si procede per prove forti, non si potrà fare altro che innescare processi indiziari a carico di presunti colpevoli, tenendoli comunque fuori dalla prigione. Se poi gli indizi non portano a prove gravi precise e non  discordanti, il processo è fallito nella sua finalità.

Il processo indiziario  previsto dall'ordinamento giuridico come andrebbe ristrutturato, o modificato dal suo punto di vista?
Innanzitutto è irrazionale, in quanto di per sé crea sempre un ragionevole dubbio,  tant'è che nei casi eclatanti si crea sempre il partito dei colpevolisti e quello degl'innocentisti, mancando, quindi, a monte la certezza del verdetto finale. Noi ci battiamo per far dichiarare l'incostituzionalità del processo indiziario. Anche perché contro l'espressione della norma, quello che doveva essere un processo eccezionale è diventato la regola, in cui  il soggetto più debole diviene spesso il capro espiatorio di turno.

In definitiva, per arrivare al processo giusto è necessario che il diritto proceda di pari passo con il rigore scientifico degli esperti, operando popperianamente alla ricerca di prove fortissime.  Gli indizi andrebbero ridimensionati allo stato di mere congetture, catalogandoli inefficaci qualora si verifichi che, posti in comparazione con altre elaborazioni, non conducano al medesimo risultato. Per una giustizia scientifica abbiamo coniato con D’Orio  il motto: “Vento in Popper!”.

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