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Nella società dei cambiamenti e dell’innovazione, qual è quella attuale, in cui ogni azione appare sempre di più orientata verso il soggettivismo, l’egocentrismo, il profitto e l’apparire, quale potrebbe essere il ruolo di una educazione che si pone come obiettivo quello di instillare nella persona l’esigenza del vivere secondo morale?

Affrontare una discussione sulla questione morale vuol dire ricercare sia prospettive contingenti sia permanenti in un momento in cui è divenuto alquanto sentito ed attuale il dibattito sui comportamenti morali, elementi essenziali nella formazione della personalità delle giovani generazioni.

Gli aspetti contingenti riguardano i notevoli cambiamenti che, negli ultimi decenni, si sono verificati nella nostra società, in fatto di comportamenti morali; quelli permanenti, invece, sono riferiti al senso morale, inteso come aspetto strettamente connesso con l’intelligenza e, di conseguenza, degno della persona, la quale cerca di dare un significato ed un valore alla propria vita, al proprio esistere.

La crisi economica in cui oggi versa l’Italia appare sempre più grave, con ripercussioni sulla certezza del lavoro e sulle difficoltà cui vanno incontro i giovani nella ricerca di una occupazione che non assuma i contorni della precarietà o del lavoro nero.

Questa situazione, comunque, rappresenta solo un aspetto di quella crisi molto più incisiva, ambigua e subdola, che interessa l’intera nostra nazione. È la crisi della legalità e della morale; è la crisi della carenza di assunzione di comportamenti corretti e onesti nei quali tutti noi abbiamo sempre creduto e per i quali continuiamo, ancora oggi, a credere ed a lottare.Purtroppo, i mass media ci presentano, quotidianamente, nuovi casi di malaffare da parte di politici, imprenditori, dirigenti; ci presentano gli accordi poco leciti della partitocrazia, che sembrano coinvolgere proprio tutti, anche quelle persone che reputavamo fulgidi esempi da imitare per la correttezza e la dirittura morale che, in ogni occasione, ostentavano. La scoperta dei sotterfugi e degli imbrogli sui quali, soprattutto oggi, appare fondata la politica italiana, l’inesorabile avanzare della criminalità organizzata, le nefandezze e gli inganni reiterati dai vari politici, imprenditori e dirigenti, le connivenze sempre più diffuse e lucrose delle bande delinquenziali e mafiose, hanno contribuito a disorientare i cittadini i quali, sempre di più delusi e scoraggiati, si sentono, ormai, abbandonati e traditi proprio da quelle persone che rappresentano le istituzioni, persone che avrebbero dovuto garantire la legalità,l’onestà, in una parola, l’assunzione di comportamenti corretti, giusti, morali.

Di fronte ad un siffatto scenario, si pone, subito, un interrogativo: quale strada bisogna percorrere perché la morale possa ritornare ad essere presente, credibile ed efficace nell’attuale realtà sociale e politica?

La condizione essenziale ed imprescindibile è rappresentata da una educazione morale in grado di ricondurre la persona ad una chiara visione di ciò che costituisce il suo stesso bene e quello della collettività, in un equilibrato sviluppo delle personali risorse culturali e sociali.

Si tratta, comunque, di un impegno notevole, in quanto è venuta meno la fiducia nella intera classe politica e, ancora di più, negli obiettivi che i vari gruppi cercano di pubblicizzare, soprattutto durante le campagne elettorali.

Le proposte che ci rivolgono sono sempre le stesse: discorsi demagogici che lasciano intravedere la risoluzione dei vari problemi in tempi alquanto brevi; le colpe delle difficoltà lavorative sono da attribuire sempre ad altri anche se loro siedono tra i banchi del Parlamento da decenni; richiesta di nuovi sacrifici, necessari per risanare le malridotte finanze dello Stato e delle pubbliche amministrazioni. Sono anche questi discorsi che fanno aumentare sempre di più la diffidenza e il pessimismo nei riguardi della politica e delle istituzioni.

Ma gli effetti dei comportamenti amorali e scorretti vanno ben oltre la regressione economica che gli italiani vivono, anche perché dal sistema corruttivo è possibile uscirne fuori, qualora vi fosse la volontà politica, invece, fare riacquistare alla gente piena fiducia nelle istituzioni e motivare la collettività a credere nei valori etici e morali appare una impresa sempre più ardua e complessa. E ancora, i molteplici negativi esempi che ci provengono dal mondo politico potrebbero indurre molte persone a ritenere che assumere comportamenti morali e legali, in un contesto sociale in cui vige maggiormente la cultura dell’apparire rispetto a quella dell’essere, significa solamente intraprendere una via difficile da percorrere e dai risultati modesti, se non addirittura, negativi o nulli.

Questo vuol dire che la famiglia e la scuola sono sempre di più impegnate non solo nella educazione e nella formazione di persone autonome, libere, responsabili, leali, giuste, ma soprattutto nella ricerca dei valori autentici e della libertà di pensiero e di giudizio, al fine di evitare che i propri figli e i propri alunni possano cadere nella allettante rete delle facili illusioni.

La formazione di una coscienza morale è sempre stato il compito preminente dell’azione educativa. Oggi, è un impegno particolarmente complesso far capire agli adolescenti i concetti di morale, di giustizia, di lealtà, di onestà, dal momento che, quotidianamente, vengono tempestati da notizie che smentiscono, in modo evidente, questi valori.

Il continuo susseguirsi di notizie di nuove corruzioni, di atti mafiosi, di tangenti, di bustarelle e regalie di vario genere, hanno, ormai, creato una forma di assuefazione nella mente della gente e, in particolare, dei giovani, al punto da non dedicare più, a queste notizie, la dovuta attenzione. Comunque, rimanere indifferenti di fronte a siffatte notizie non è, di certo, la scelta migliore. È, invece, opportuno che ognuno avverta sdegno e risentimento avverso tutto ciò che di dannoso e negativo continua a verificarsi, al fine di far emergere i veri ed autentici valori morali.

La moralità è un processo di assimilazione di onestà, di correttezza e lealtà. Si manifesta mediante l’affermarsi dell’Io inteso come consapevolezza e come adesione e condivisione di valori. Per tale motivo per moralità possono essere intesi sia tutti quei modi di essere che rispettano le norme dell’agire sociale, sia quelle condotte che tendono al conseguimento del bene collettivo, senza mai ledere l’altrui libertà.

È morale, perciò, quel comportamento finalizzato al conseguimento della serenità e del benessere per se stessi e per gli altri. Questo vuol dire che la morale assume il significato di comportamento morale solo se strettamente connessa all’etica. Infatti, è proprio il sentimento etico che consente di individuare e perseguire condotte e modi di agire moralmente giusti, leali, civili. Ed è proprio a questo senso etico, inteso come condivisione di valori, a cui la formazione morale deve continuamente tendere.

Gli effetti della educazione morale non si riscontrano in tempi immediati, né è possibile quantificarli in quanto attengono alla sfera interiore della persona. Sono, comunque, quelli che durano per tutta l’esistenza dal momento che, una volta interiorizzati e condivisi, diventano esempi di vita efficaci, giusti e corretti, che lasciano una traccia duratura e perenne nell’intera realtà sociale.

La strada da percorrere per acquisire una autentica cultura morale è, certamente, lunga. Per questo motivo viene richiesto alla famiglia, alla scuola, alle chiese, ai centri di culto, i quali, più di ogni altro, dovrebbero avere una importanza vitale nella diffusione di comportamenti morali ed etici, una sempre maggiore attenzione e responsabilità sia nella educazione e formazione dei giovani, sia nell’orientare i propri figli e i propri alunni alla conquista del senso morale, perché è da piccoli che ci si deve nutrire di “morale”, in quanto i comportamenti morali si assimilano nella quotidianità, nelle piccole azioni di tutti i giorni; quello che vediamo, ascoltiamo, impariamo da piccoli, determinerà quello che saremo da adulti: ovvero, che uomini e che cittadini saremo.

L’educazione ai valori morali appare, oggi, necessaria e non differibile. Ognuno, perciò, deve capire che il futuro che ci attende è un futuro fondato sulla lealtà, sulla responsabilità, sulla giustizia, sulla morale. La società futura sarà il risultato di ciò che famiglia, scuola, chiese, centri di culto e istituzioni avranno saputo fare oggi, per cui la rinascita di una sensibilità civile trova le sue basi proprio nella educazione morale. Non sono sufficienti le leggi contro la corruzione, quelle sulla trasparenza amministrativa, le norme contro l’usura, ecc., se non si possiede una autentica educazione e formazione morale. Questo vuol dire che l’educazione morale è un impegno che compete a tutti. Essa si accresce nel tempo divenendo condizione essenziale di educazione permanente e ricorrente, in grado di concorrere non solo al miglioramento di se stessi, ma della società.

I giovani, anche in modo inconsapevole, anelano ad avere ideali e valori, e se non saremo in grado di darglieli, di farglieli conoscere e vivere, saranno facile preda di fanatismi religiosi e politici: questo è il grave pericolo che dobbiamo affrontare e la sfida che, come genitori, come educatori e, ancor prima, come persone, dobbiamo vincere!

 

 

E’ un quesito che si trova nel testo che sto presentando, “Inchiostro e Incenso”, di Ilaria Mattioni, edizioni Nerbini (2012). Dell’argomento si interessò fin da subito con la pubblicazione de Il Giornalino, don Giacomo Alberione nel 1924. Dopo i primi mesi Il Giornalino acquisiva una sua fisionomia con un taglio religioso e più educativo e meno didascalico. Il periodico come del resto la stampa cattolica per ragazzi a lungo ha usato il metodo educativo,“degli esempi contrapposti, da un lato il bambino perfetto che possedeva tutte le virtù, dall’altro il fanciullo che rappresentava la summa di tutti i vizi”. Tanta importanza per don Alberione rivestiva l’esame di coscienza, attraverso la quale i ragazzi prendevano atto delle proprie mancanze e si impegnavano a migliorare. Dal 1931 Il Giornalino pubblicò mensilmente la “pagellina degli Amici di Gesù, una tabella comprensiva di tutti i giorni del mese che avrebbe dovuto essere riempita quotidianamente dal lettore con le azioni buone compiute, le preghiere dette, i sacrifici fatti e le manchevolezze”. L’iniziativa ha avuto successo tra i lettori, “A ogni pagellina mensile corrispondeva una ‘crociata’ che di volta in volta poteva essere per la riparazione delle bestemmie, la sconfitta dell’ateismo…”. Con l’esame di coscienza, come metodo educativo, il ragazzo, il fanciullo, “si sentiva responsabilizzato e reso consapevole che ogni suo agire influiva sul mondo circostante. Con il suo comportamento poteva essere, ad esempio, modello positivo o negativo per i bambini più piccoli, con la sua preghiera poteva contribuire a far trionfare la Chiesa”.

Pertanto, in quel momento storico, il compito del periodico per ragazzi deve essere quello di educare e non di divertire. Si ammetteva che entrambi coabitavano nello stessa pubblicazione, ma l’intento doveva rimanere sempre quello formativo.

Interessante a questo proposito il riferimento della Mattioni a Luigi Gedda, presidente dell’Azione Cattolica, fondatore dei Comitati Civici e grande esponente cattolico del Novecento, per lui,“il ragazzo doveva essere abituato a passare dall’azione al pensiero, un certo tipo di stampa lo manteneva legato ai valori dell’azione provocando, di fatto, un ritardo nella maturazione psichica del soggetto”. Una stampa realmente cattolica, per Gedda, “avrebbe dovuto porsi come apologia del sacrificio e della rinuncia”. Invece stigmatizzava il comportamento di certa stampa che proponeva ai ragazzi esempi dove veniva promosso l’ottenimento del proprio interesse, del tornaconto personale.

Gedda si rendeva conto che i ragazzi erano indifesi dal punto di vista mentale, erano “una città aperta a tutte le influenze, buone e cattive”. Così era il giornale per i ragazzi, il periodico educativo, che “doveva assumersi la responsabilità di tutelare le debolezze del giovane”. Il giornale formativo che tanta influenza aveva avuto per noi adulti, ora deve essere riproposto a questi ragazzi di oggi, ne era convinto l’illustre esponente cattolico. “E’ una missione angelica perché angelo vuol dire annunciatore, messaggero; se siamo i messaggeri di una storia, di una generazione alla generazione del futuro, alla storia che viene, dobbiamo essere degli angeli”.

La pubblicazione paolina in questo periodo storico, respirò un’aria fortemente moralistica per Ilaria Mattioni. Si ebbe una svolta negli sessanta, con il sessantotto, adesso i bambini non potevano essere educati ancora attraverso semplici raccontini moralizzanti, “figli di un’Italia che ormai non esisteva più”. C’erano nuovi problemi da affrontare, come il razzismo, il consumismo, la violenza. “Il Giornalino – scrive Mattioni – non abdicò al proprio ruolo formativo, ma capì per tempo che avrebbe dovuto essere una guida pedante per i propri lettori, ma compagno di viaggio, per insegnare loro a diventare ‘uomini capaci di decidere liberamente’, responsabili delle proprie scelte”.

Un giornale al passo con i tempi: fumetto, fotoromanzo, cinema, tv…

Fin dagli inizi don Alberione voleva un settimanale illustrato, credeva nelle immagini, sono fondamentali per catturare l’attenzione dei ragazzini. Ben presto il periodico delle Paoline si avvicina al Corriere dei Piccoli, che appare vincente, e iniziò a pubblicare proprie “storie a quadretti”. Non tutti nel mondo cattolico però erano d’accordo sull’utilizzo del mondo delle nuvolette, c’era la paura che fomentasse la violenza; il dibattito sull’utilizzo dei fumetti era aperto. Il Giornalino ha accolto il loro utilizzo, si cercò di creare fumetti “impregnati di eticità”. Tra i tanti problemi, c’era quello delle armi, legato ai vari fumetti, era una questione sentita nel mondo cattolico.

Il Giornalino non dimenticando lo spirito cristiano, era convinto che bisognava anche guardare la realtà, fatta, purtroppo di violenze e di delinquenza. In una risposta a una signora, il direttore don Dino Cappellaro, nel 1974, scriveva: “Noi non vogliamo ingannare i nostri lettori presentando un mondo che sia tutto bello, pulito, pacifico, teso al bene…”. La società è piena di rapine, omicidi e tanto altro, tuttavia il Giornalino, non intende esaltare queste bruttezze.

Nel dibattito intorno alla preparazione del Giornalino subentra anche la questione cinema, anche qui occorre discernere come per tutti gli strumenti, i film, sicuramente vanno utilizzati. Bisogna utilizzare questi mezzi per il bene e la salute delle anime, come diceva don Alberione.“L’importanza di creare film pensati appositamente per bambini e adolescenti sarebbe stata ripetutamente ribadita dal settimanale della San Paolo in nome della specificità del mondo del fanciullo”.

Dopo con la comparsa della TV, si ricava, che proprio i bambini erano considerati particolarmente esposti al fascino emanato dalla televisione. Il Giornalino nel 1955 si faceva portavoce delle preoccupazioni di Pio XII: “Attenti, cari fanciulli! Quando vi capita di assistere a spettacoli che il progresso vi ha portato fin dentro le vostre case, fate attenzione! Spesso vi è il serpente nascosto, che vuol mordervi, che vuol strapparvi a Gesù…”.

Il Giornalino intanto aveva capito che “la televisione stava cambiando le abitudini e l’immaginario dei ragazzi, pur tentando comunque di portare i giovani a dominare il mezzo televisivo, attraverso una scelta consapevole dei programmi, e non lasciarsi dominare passivamente”. Interessante la descrizione della Mattioni quando descrive il rapporto con i lettori del Giornalino, visto come un amico di carta. “Il Giornalino è, per i ragazzi, un po’ come un fratello maggiore a cui rivolgersi per chiedere quelle cose che non sempre si chiedono ai genitori o agli adulti”, lo dice a conclusione dello studio di Mattioni, il direttore Gorla.

Gli sconosciuti algoritmi che regolano il processo dell’evoluzione dell’uomo, hanno deciso, ovviamente senza interpellarmi, di farmi partecipare al gioco della vita facendomi nascere qui nel sud, nel meridione d’Italia, dove il sole, il mare, il vento ed il cielo più limpido, pare siano rimaste le sole ed uniche ricchezze di una terra dove il tempo si è fermato e dove il vento della crescita economica continua a spirare in altre direzioni. Si succedono una dopo l’altra le generazioni attraverso l’incalzare inesorabile del tempo, la cui unica aspirazione è procedere solo verso il futuro, avendo il creatore dimenticato di inserirgli anche la retromarcia. A volte mi chiedo perché i territori dove la natura è stata così prodiga di bellezze naturali e climatiche, abbiano poi generalmente rappresentato aree che hanno risentito meno lo sviluppo economico. Sembrerebbe come se il calore del sole, i mari trasparenti, i cieli limpidi e le lunghe giornate assolate mal si conciliano con la realizzazione di processi economici evoluti. Come se qualcuno avesse a monte deciso che, chi ha la fortuna di nascere in questi territori bellissimi debba poi pagare uno scotto. La scarsa attenzione riposta alle sorti del sud già dai primi anni dell’unità d’Italia, la cui storia per alcuni versi dovrebbe essere riveduta e corretta, soprattutto per quel che concerne la contrabbandata affermazione di un sud povero e ignorante. E poi chi sa perché, se leggiamo attentamente le statistiche degli italiani emigrati nei tre decenni successivi all’Unità d’Italia constatiamo, guarda caso, stranamente e paradossalmente, che le regioni interessate non erano quelle del sud bensì quelle del nord, con il Veneto in testa. Un sud che nonostante le numerose problematiche sociali, sicuramente godeva di una condizione economica che non necessitava di mandare i propri figli ad emigrare nel mondo. Solo dopo la scellerata politica protezionista del De Pretis, che per favorire lo sviluppo dell’industria nelle aree del nord con l’applicazione dei dazi condizionò fortemente l’ agricoltura del sud, che se pure con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, riusciva a sfamare i suoi figli, generando dalla fine del decennio del 1880 una emigrazione che nei decenni successivi ha assunto enormi dimensioni .

Questo amara terra del sud da allora è rimasta la terra dei figli senza futuro, dove per poter aspirare al diritto al lavoro, questi figli devono ancora oggi abbandonare la loro terra, i loro affetti, per cercarlo in altre regioni. Un sud che nonostante l’incalzare dei decenni non riesce a garantire un futuro lavorativo alle nuove generazioni. Prima i giovani emigravano con le valigie di cartone tenute su da uno spago, oggi i nostri giovani continuano questa tradizione portandosi dietro i loro zainetti ed il cellulare ma sempre emigranti restano. L’apertura dei nuovi mercati europei, lo sviluppo della produzione industriale, la globalizzazione ha fortemente favorito le regioni frontaliere, penalizzando sempre di più quelle meridionali, sempre più lontane e meno competitive per l’incidenza dei costi di trasporto, sia per l’approvvigionamento delle materie prime, sia dei prodotti finiti. Non ultima la miopia politica, che non ha saputo investire nella reale vocazione del sud, cioè nell’agricoltura, turismo e servizi.

E noi genitori, vecchi rincoglioniti, subiamo passivamente e atavicamente rassegnati al volere altrui, senza tirar fuori le cosiddette “Palle” e cominciare a partecipare attivamente e concretamente alle scelte politiche ed economiche del nostro territorio. La mia rabbia sta proprio in questo. Non riesco a sopportare che per un secolo e mezzo la politica italiana si sia contraddistinta in leggi, programmi, finanziamenti per il sud che hanno solo saputo produrre povertà e disoccupazione. Tu cittadino del sud quando la smetterai di subire supinamente per non dire altre volgarità, questa incapacità politica, questa volontà mirata affinché questo sud sia lasciato ai margini dello sviluppo del paese? Quando vorrai scuoterti dal tuo torpore e ricordarti che i Borboni sono andati via tanto tempo fa e che il padrone, quello di oggi è cambiato, e che forse, nonostante il tempo trascorso, la situazione pare sia rimasta tale, se non addirittura peggiorata? Oggi non vi è famiglia nel sud che non abbia parenti di ogni ordine e grado sparsi per le regione d’Italia, i più fortunati, gli altri in giro per i quattro continenti. Intere generazioni che hanno contribuito con il loro lavoro, ad arricchire l’economie altrui non riuscendo però ad arricchire la propria.

Dovremmo essere stanchi di vedere i nostri figli che per svolgere i loro studi devono emigrare in università dislocate nelle regioni del centro nord, e cercare in quei territori un lavoro, che qui difficilmente riuscirebbero a trovare. Il tutto senza mai chiederci se non fosse il caso di interrogarci perché questo nostro sud, nonostante il trascorrere inesorabile del tempo resta il fanalino di coda nella crescita sociale ed economica del paese. Questo benedetto orgoglio sudista quando lo facciamo venir fuori, pretendendo a ragione, di partecipare ad una vera rivoluzione culturale di rinnovamento e di spinta verso processi evolutivi atti porre in essere progettazioni e programmazioni per una crescita che tenga conto una volta per sempre delle vere vocazioni del sud, lasciando stare le cattedrali nel deserto e i mega investimenti a fondo perduto, peraltro rastrellati dalle solite grandi aziende del nord. Tutto ciò lo potremmo ottenere solo con la riappropriazione della nostra consapevole appartenenza ad una terra che per quanto amara, potrebbe però riservare un futuro migliore alle generazioni future. Tutto ciò però dipenderà solo ed esclusivamente da noi.

Non si riesce a capire come un popolo di santi, esploratori, scienziati e scrittori abbia potuto dimenticare il suo passato così in fretta, abbandonando o peggio ancora svendendo la propria identità culturale e nazionale per opera di quattro idee basate sull’egoismo, scivolando lentamente nel baratro del conflitto generazionale e territoriale, lasciando poco spazio alla solidarietà ed all’intraprendenza, schiacciata quest’ultima dal clientelismo e dalla corruzione.

I giovani oramai per il oltre il 40% risultano disoccupati. I fortunati, si fa per dire, cioè coloro che lavorano, possono godere di rapporti a tempo determinato per altrettanto tempo indeterminato soprattutto grazia all’osannata stabilità del famigerato Jobs Act . Giovani che non possono più contare sulla propria dignità di lavoratori, di persone normali che possano aspirare ad un futuro, ad una propria famiglia, grazie alle straordinarie trovate del libero mercato che pare siano rappresentate dalla produttività e dalla competitività. Un libero mercato che, di libero pare sia rimasta l’egemonia delle grandi aziende a dettare legge sul mercato del lavoro. Aziende che imprecano contro i lavoratori italiani accusandoli di essere scarsamente produttivi, come se agli operai fosse addebitabile l’incapacità manageriale di saper realizzare prodotti competitivi sui mercati internazionali. E’ come al solito è colpa degli operai se le scelte di mercato, gli studi di marketing e di ristrutturazione aziendale in Italia risultano quasi tutte sballate.

I servizi pubblici in questi ultimi anni sono in continuo disfacimento. Scuola, sanità, trasporti, comunicazioni, servizi sociali sono in costante declino pur assorbendo sempre più ingenti risorse finanziarie. Nonostante le indecorose classifiche dove l’Italia è sempre tra gli ultimi posti, e dove in particolare emerge che, rispetto ad altri paesi europei, investiamo di più per avere qualità inferiore, e a noi cittadini italiani è sufficiente sbottare nell’anonimato dei nostri salotti. Non perdiamo mai occasione per lamentarci, per inveire contro tizio o contro caio, nulla ci va bene, son tutti ladri, sono tutti corrotti, riteniamo che il clientelismo sia l’unica forma per poter accedere ad ottenere dei servizi il sospirato posto di lavoro,   e poi pigramente attendiamo l’arrivo del Messia che qualcuno ritiene ancora sia fermo ad Eboli.

 

Lo stato dell’economia italiani è in piena crisi devastante grazie all’imbecillità politica da una parte e dalla narcotizzazione di un popolo che parrebbe ritenersi estraneo alle conseguenze di un disastro economico, che peraltro da qualche anno sta già pesantemente facendo sentire il suo peso soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione.

Una crisi che da alcuni anni, lentamente ma progressivamente, sta assumendo le dimensioni di una tragedia collettiva, dove oramai tutti i settori pubblici e privati di questo benedetto Stato sono in smobilitazione. Tutto funziona male. I servizi, pur costando mediamente più della media degli altri stati d’Europa, sono inefficienti, obsoleti, anche perchè oramai da anni la selezione della relativa classe dirigente è affidata non più alle reali capacità professionali ma al becero clientelismo di una lobby politica frutto della scelta individuale di pochi manipolatori senza scrupoli. Anche l’apparato produttivo di cui tanto ci siamo vantati nei decenni precedenti è disastrato. Le più blasonate aziende italiane oggi tali non lo sono più, o perché finite nelle mani di operatori stranieri o perché fallite.

La desertificazione economica dell’Italia è sotto gli occhi di tutti, non più un concetto astratto percepito solo dagli addetti ai lavori, bensì dalla gente comune che si trova oggi a destreggiarsi con una ridotta capacità reddituale, una dilagante disoccupazione, peraltro aggravata dallo stupido aggravamento dell’imposizione fiscale.

Nel contempo rileviamo una classe politica, la più ben pagata al mondo, fatto che stride con l’impoverimento generale, che vanta peraltro uno sconfortante difetto che ci pone nelle sfere più alte delle classifiche mondiali, ovvero tra i peggiori: la corruzione.

La corruzione in questo Paese ha raggiunto livelli abnormi, non tollerabili, dove non esiste nessuna pratica pubblica che non ne sia viziata. Inefficienze, sprechi di enormi risorse pubbliche, dove l’arrogante potere politico pare non abbia saputo farsi mancare nulla, nemmeno “le mutande verdi” per non parlare dell’inadeguatezza di tutti i servizi pubblici oramai agli ultimi posti nelle classifiche di qualità tra tutti gli stati d’Europa. Scuola, sanità, sicurezza, trasporti, comunicazioni e telecomunicazioni risultano tutte inadeguate. Soprattutto risultiamo incapaci a poter formare quella necessaria nuova classe dirigente che più di tutto il paese ha bisogno. Scuola e università che dovrebbero contribuire, oltre che alla formazione professionale adeguata alle esigenze di una sfida che il mondo globalizzato ci impone, ad una formazione etica dei nostri giovani delusi e demotivati, dove le speranze per un futuro migliore, giorno dopo giorno diventano sempre più utopie.

Di fronte ad uno scenario economico, sociale ed etico, che qualcuno autorevolmente ha paragonato ad un dopo guerra, riscontriamo con profonda irritazione e sconcerto l’inerzia di una classe politica che continua ancora oggi, incurante e indifferente a tutto ciò che sta succedendo, a favorire i propri personali interessi.

E’ veramente nauseabondo constatare che tra le righe di nuovi decreti leggi inseriscano norme che vadano a favorire i loro interessi, a disprezzo di tutti coloro che veramente non rieswcono ad arrivare più a fine mese o di quei milioni di lavoratori in cassa integrazione o peggio ancora che hanno perso il loro lavoro.

Però il paradosso di tutto ciò sta nell’atavica indifferenza di un popolo che a quanto pare di tutto quello che sta succedendo non gliene freghi niente. L’imposizione fiscale s’inasprisce sempre più e va di pari passo con l’inasprimento dello spreco delle risorse disponibili , peraltro poche. Di tutto ciò però sembrerebbe che all’italiano medio non desti molta preoccupazione.  La disoccupazione giovanile ha superato il 42%, quella globale in questi ultimi due anni è passata dal 12 al 13%, le ore di cassa integrazione hanno fatto segnare il loro picco storico con progressivo incremento giorno dopo giorno, e a noi italiani siamo ancora a discutere su XFactor, il Grande Fratello, della nostra squadra del cuore e ci arrabbiamo con la Merkel quale unica causa di questa nostra crisi.

E’ veramente paradossale quello che sta succedendo a questa Italia, al suo popolo, al suo intero sistema. Quasi sessanta milioni di italiani che nel bene e nel male dal dopoguerra hanno saputo realizzare e mettere in piedi la sesta economia produttiva più forte del mondo, oggi ridotta alle “pezze”, ma quel che è peggio è il degrado etico, dove corruzione, clientelismo e reati di ogni genere e tipo contraddistinguono la quotidianità di questo paese nella quasi totale indifferente apatia.

 

 

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