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“Crisi”: Il significato delle parole in tempi di recessione

Ogni qualvolta ci si trova a discutere sulla situazione politica e sociale dell’Italia affiora subito alla mente la parola crisi”. Si tratta, certamente, di una espressione, forse, abbastanza scontata e reiterata, ma è una parola che fa immediatamente intuire che vi sono delle questioni di non facile soluzione.

Ma di quale “crisi” si tratta? Ormai, da anni, discutiamo sugli effetti della crisi economica che tormenta ed angustia tante famiglie; parliamo di crisi politica, determinata sia dalla mancanza di stabilità delle coalizioni di governo sia dalla mancanza di credibilità nei politici e, cosa ancora più grave, di crollo della fiducia in loro; affrontiamo questioni inerenti la crisi sociale, generata dell’indebolimento e dalla decomposizione dei vincoli e delle connessioni sociali; di crisi della famiglia con conseguente separazione e allontanamento dei genitori e, in molti casi, di rapporti relazionali e affettivi non sempre cordiali ed affettuosi tra i coniugi.

Ebbene, si tratta di tante differenti “crisi” che, interagendo tra di loro, rendono particolarmente complessa la comprensione di questo momento storico e alquanto arduo immaginarne l’evoluzione.

Quando a parlare di “crisi” ed a prospettarne le difficoltà del momento sono i nostri politici, allora ogni discorso viene spostato sulle difficoltà riscontrate dalle nostre imprese; difficoltà dovute alla eccessiva imposizione fiscale, alla diminuzione dei consumi, alla concorrenza anche straniera, per, poi, spostare l’attenzione sulla vertiginosa ed ormai incontrollabile corsa in ascesa del debito pubblico.

Nelle loro parole appare subito evidente la necessità di un immediato intervento, come se la colpa di tutti questi mali fosse da addebitare ai cittadini. Manifestano, accanto alla loro buona volontà nel voler risolvere le difficoltà del momento, tutta una serie di importanti misure da adottare. Si tratta di interventi urgenti, necessari e non più differibili, così almeno continuano a ripetere, se, di fatto, vogliamo cambiare rotta e invertire, finalmente, quel trend negativo che rappresenta un ostacolo invalicabile per la nostra economia.

Quando la questione viene affrontata sul versante pubblico, tenendo conto di quanto divulgato dalla stampa e dalla televisione, vengono sempre di più mischiati tra di loro i vari presupposti e principi, centrando la discussione su quelli che sembrano essere gli elementi maggiormente incerti e complessi. Infatti, parlare di crisi significa ammettere che le cose non vanno affatto bene. Vuol dire spostare l’attenzione sulla disoccupazione, giovanile e non, sempre di più in aumento, sul reddito delle famiglie che quotidianamente si assottiglia, sui consumi ormai ridotti al solo essenziale, sulla sicurezza nelle nostre città sempre più a rischio, sulla perdita di valori.

Particolarmente goffo appare ogni tentativo di attribuire ad altri le proprie manchevolezze e di giustificare gli sprechi per soddisfare i propri privilegi.

Si desume che, nonostante i buoni propositi, non sono state ancora focalizzate la cause della crisi, né si intravedono probabili vie di uscita. Unica consolazione è la consapevolezza di non essere i soli a vivere questi difficili momenti e che, prima o poi, dovrà pur finire. Purtroppo, dobbiamo riconoscere che ci troviamo imbrigliati in una moltitudine di crisi.

Ci troviamo nel pieno di una “crisi globale”, resa maggiormente complessa dalla inarrestabile crescita del debito pubblico e, per quanto riguarda questo problema, ogni responsabilità è da addebitare esclusivamente ai nostri esimi governanti per aver ritenuto opportuno non risanarlo quando questo era fattibile e senza richiedere grossi e particolari sacrifici ai cittadini.

Anche la crisi economica è stata affrontata con particolare approssimazione e in modo sommario, somministrando alla collettività incoraggianti rosei orizzonti che, purtroppo, ancora stentano ad apparire.

Crisi economica e scarsa produttività delle forze politiche, purtroppo, continuano a determinare una crescente dipendenza a livello tecnologico, un continuo aumento della disoccupazione con sempre maggiori difficoltà di impiego per giovani diplomati e laureati, una sistematica perdita di produttività e di competitività a livello internazionale. Ebbene, la “crisi” ci frastorna tutti e ci sconcerta in quanto rappresenta la causa diretta di rilevanti turbamenti. La persona, di fronte a queste difficoltà e alla crescente incertezza per il futuro, appare sempre più confusa e indecisa nell’assumere decisioni, a volte, anche importanti. Ed ecco che, proprio nel momento in cui sembra che si incominci ad intravedere una lieve ripresa economica, ricompaiono gli spettri di sempre: corruzione, stretti legami tra classe politica e criminalità, depauperamento del territorio, rifiuti tossici abbandonati o sotterrati in terreni adibiti a coltivazioni, automobilisti sempre più insofferenti, arroganza dilagante. Sono anche questi degli evidenti segni di crisi: crisi di un popolo, dei sui valori, della sua cultura. Questo popolo, per cui tutti dichiarano di lavorare, non si riconosce più nei suoi governanti, nei suoi rappresentanti, nella classe politica, nei suoi giudici.

“Un tempo, quando il potere veniva esercitato dalla monarchia, il re, rivolgendosi ai propri sudditi, si autoproclamava sovrano per grazia di Dio e per volontà del popolo;

Con l’avvento della Repubblica, la Carta costituzionale riconosce cha la sovranità appartiene al popolo;

I giudici, alla fine di ogni processo, introducono la sentenza con la secolare formula: nel nome del popolo …;

Le guerre, le rivoluzioni, gli atti terroristici, gli attentati e ogni altra espressione di violenza sono sempre promossi per la libertà del popolo;

Gli uomini politici affermano sempre di operare per il bene del popolo.

popolo fortunato! cos’altro pretendi?” (Pasquale Mastandrea)

Il popolo pretende di ritrovare la “bussola”; pretende di riconoscere delle “costellazioni” che, senza ombra di dubbio, gli indichino la giusta via, non per lasciarsi passivamente guidare, ma per potersi orientare nel difficile cammino della storia.

Oggi, molte persone guardano al papa venuto “dalla fine del mondo” come alla nuova “stella polare” e affollano ogni domenica piazza San Pietro per ascoltare parole semplici, parole coraggiose come quelle pronunciate sulla guerra e sul mercato delle armi; parole di speranza e di fiducia.

Il pericolo maggiore, però, è quello di assuefarsi al “male” e di rassegnarsi ad esso: solo il coraggio, la speranza, la determinazione e l’onestà morale ci consentiranno di uscire dalla “crisi” attuale.

 

 

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