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Katia Aiello Le saline di Trapani, olio su tela - 2008

Katia Aiello Le saline di Trapani, olio su tela - 2008

“Sicilianamente Arte” nasce dall’idea e dalla volontà della sua fondatrice, la pittrice Katia Aiello che, coinvolgendo altri tre artisti Silvano Raiti, Santa Battaglia e Salvatore Spina, ha dato vita al gruppo nel giugno 2013.

La mission del Gruppo è la divulgazione della volontà di emanciparsi da certi circoli viziosi che hanno reso gli artisti simili a”burattini in pasto alle gallerie” – così come si legge dal testo critico della curatrice, Marilisa Yolanda Spironello. Gli artisti sin da subito si prefiggono il proposito - tutt’altro che semplice - di aprire nel panorama artistico regionale (e successivamente nazionale) un nuovo discorso sull’Arte siciliana e sulla “sicilianità”, intesa come essenza, come impronta richiudibile e/o rappresentabile all’interno di un’opera d’arte e tout court nello stesso gesto artistico.

Prediligendo la materia pittorica  e specificatamente l’olio su tela, gli stessi hanno fatto rivivere sulle proprie tele,  30 opere in esposizione, quelle “Sicilie” che Bufalino descriveva affascinato nel suo libro “Cento Sicilie. Testimonianze per un ritratto”, 1962. “Sicilianamente Arte” si configura, dunque, come una realtà interessante e di rilevante valore culturale e nella fattispecie artistico, nata soprattutto col dichiarato intento di promuovere, all’interno dello scenario contemporaneo, quattro artisti siciliani che non hanno ancora smesso di guardare alla loro terra natia con incanto e dedizione.

La manifestazione patrocinata dal Comune di Catania, dall’Assessorato ai Saperi e alla Bellezza Condivisa ed inserita nell’ambito della programmazione dell’Estate Catanese 2013 che offre come ogni anno possibilità agli artisti emergenti e a quelli già consolidati nel territorio etneo di potersi far conoscere da un pubblico e da una critica sempre più vasta.

Il vernissage avrà luogo giorno 30 agosto alle ore 17.30 presso gli spazi della Sala del Refettorio dove sarà allestita l'esposizione e interverranno alla presentazione il curatore della mostra la Dott.ssa Marilisa Yolanda Spironello e l’Assessore ai Saperi e alla Bellezza Condivisa, prof. Orazio Licandro. La mostra durerà due settimane e sarà visitabile con ingresso gratuito dalle 9:30 alle 13:00 e dalle 15:30 alle 19:00 tutti i giorni esclusa la domenica in cui sarà possibile visitarla solo di mattina, fino alle 13.00.

Silvano Raiti Catania dal mio studio n°1, olio su tela - 2008

Silvano Raiti Catania dal mio studio n°1, olio su tela - 2008

Con venticinque milioni di devoti sparsi in tutto il mondo, San Gennaro è il santo cattolico più famoso e conosciuto nel mondo. La sua è una lunghissima storia legata strettamente a Napoli, tra devozione e pregiudizio, fede e incredulità, fino a una fortissima identificazione tra il Santo protettore e la coscienza di un popolo periodicamente minacciato da catastrofi naturali ed eventi storici.
La mostra offrirà l’occasione di approfondire da un punto di vista scientifico l’inestimabile valore artistico e culturale del Tesoro di San Gennaro per far riscoprire, tramandare e rivivere attraverso un viaggio nel tempo, Napoli e il suo nume tutelare, la sua storia, i suoi artisti e soprattutto l’inestimabile patrimonio che si è accumulato lungo sette secoli.
L’esposizione curata da Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro, e Ciro Paolillo, esperto gemmologo e docente di Storia, economia e produzione della gioielleria presso l’Università La Sapienza di Roma, con la consulenza di Franco Recanatesi, sarà un evento unico di grande rilevanza storica e artistica: per la prima volta, oltre 90 opere provenienti da una delle collezioni di arte orafa più importante al mondo, verranno presentate al di fuori delle mura della città partenopea accanto a documenti originali, dipinti, disegni, arredi sacri.

La mostra a Palazzo Sciarra si svilupperà secondo un percorso scientifico senza escludere un approccio anche emozionale, per descrivere quale è stata l’evoluzione del culto di San Gennaro a Napoli, il motivo per cui il Tesoro appartiene ad un’istituzione laica e come l’arte orafa partenopea si sia perfezionata nei secoli, dando vita a gran parte dei capolavori esposti.

Per far comprendere l’impatto di questo appuntamento, basti dire che il Tesoro di San Gennaro, formatosi attraverso settecento anni di donazioni di papi, imperatori, re, ma anche di ex voto popolari, ha un valore storico superiore a quello dei Gioielli della Corona d’Inghilterra e dello Zar di Russia, come ha rilevato una ricerca pubblicata nel 2010 e compiuta da un’equipe di gemmologi coordinata dal Prof. Ciro Paolillo, curatore della mostra, che nell’arco di un triennio ha effettuato approfonditi studi su alcuni dei preziosissimi gioielli donati al Santo e che saranno esposti a Roma.
Inoltre, al contrario di quanto accaduto per altri patrimoni dinastici ed ecclesiastici, il Tesoro si è mantenuto intatto dalla sua nascita ad oggi, senza mai subire spoliazioni e senza che i suoi preziosi fossero venduti per finanziare guerre, in un processo di acquisizione e ampliamento continuo.

“Ritengo che sia di fondamentale importanza diffondere la conoscenza dell’inestimabile patrimonio che possiede il Nostro Paese, la cui conservazione e valorizzazione rappresentano un asset strategico del mercato culturale. Ed è proprio per l’impegno in tale settore che la Fondazione Roma, attraverso l’attività svolta dalla Fondazione Roma-Arte-Musei, è divenuta negli anni un punto di riferimento per l’incontro fra domanda e offerta di cultura nella Città Eterna”, dichiara il Prof. Avv. Emmanuele F.M. Emanuele, Presidente di Fondazione Roma. “La mostra dedicata al Tesoro di San Gennaro” - prosegue il Prof. Avv. Emanuele – “si inserisce a pieno titolo nel progetto culturale promosso dalla nostra Istituzione, che ha come obiettivo quello della diffusione dell’arte in tutte le sue manifestazioni, quale elemento di crescita sociale. Quest’attenzione al rapporto tra cultura e società, rappresenta il trait d’union tra l’attività svolta dalla Fondazione e dal Museo di San Gennaro, che ha portato alla realizzazione di questo rilevante evento espositivo, permettendo al pubblico di ammirare, per la prima volta, opere che per la loro preziosità e per la loro forte connotazione identitaria non erano mai state esposte al di fuori delle mura di Napoli”.

“Ogni opera d’arte appartenente al Tesoro di San Gennaro”, afferma Paolo Jorio, “esprime non solo la propria intrinseca ricchezza artistica, frutto dell’ineguagliabile maestria di scultori, di argentieri, di cesellatori, di saldatori, di mettitori d’insieme (come erano chiamati gli assemblatori del tempo), capaci di realizzare capolavori di rara bellezza con sapienza tecnica e creatività, ma narra anche la straordinaria storia di un popolo e della sua  civiltà millenaria”.
“Una narrazione - continua Paolo Jorio - che mette sullo stesso piano il popolo napoletano e i regnanti europei che in modo trasversale e laico hanno reso omaggio a San Gennaro e donato a Napoli capolavori dal valore inestimabile”.

Il percorso espositivo ruoterà attorno ai due più straordinari capolavori del Tesoro: la Collana di San Gennaro, in oro, argento e pietre preziose, realizzata da Michele Dato nel 1679 e la Mitra, in argento dorato, 3326 diamanti, 164 rubini, 198 smeraldi e 2 granati, creata da Matteo Treglia nel 1713, di cui quest’anno si celebrano i 300 anni della realizzazione.

La Collana di San Gennaro è uno dei gioielli più preziosi esistenti al mondo e la sua storia si intreccia indissolubilmente con il percorso della costante devozione tributata al Santo dalla città e dai regnanti nel corso dei secoli. Nel 1679 i Deputati decidono di utilizzare alcune gioie (tredici grosse maglie in oro massiccio al quale sono appese croci tempestate di zaffiri e smeraldi) per creare un magnifico ornamento per il busto, dando mandato a Michele Dato, cui si affiancarono altri artigiani, per consentire la realizzazione di un pezzo così impegnativo nell’arco di soli cinque mesi.
Attualmente la collana comprende anche altri gioielli di diversa fattura e datazione e di provenienze illustri: una croce donata nel 1734 da Carlo di Borbone, una croce offerta dalla regina Maria Amalia di Sassonia, una ciappa in tre pezzi con diamanti e smeraldi, una croce di diamanti e zaffiri del 1775 donata da Maria Carolina d'Austria, una spilla a forma di mezza luna del 1799 donata dalla Duchessa di Casacalenda, una croce e una spilla in diamanti e crisoliti offerte da Vittorio Emanuele II di Savoia ed altri oggetti ancora.
Particolare curioso è che nel 1933 Maria Josè, moglie di Umberto II di Savoia, si trovò a visitare la Cappella di San Gennaro in forma privata e non avendo portato con sé nulla da donare, si sfilò l’anello che indossava offrendolo al Santo. Questo dono regale trova ora posto sulla collana.
Lo stesso Napoleone, che ovunque ha depredato e sottratto, quando approdò a Napoli non solo non prelevò nulla, ma unico caso nella storia, ha addirittura donato. Giuseppe Bonaparte, infatti, quando entrò a Napoli donò, su consiglio del fratello, nel 1806 una croce di diamanti e smeraldi di rara bellezza che poi la Deputazione volle inserire tra i gioielli donati dai sovrani che compongono il collare di San Gennaro dal valore inestimabile. Anche il cognato di Napoleone, Gioacchino Murat, che aveva sposato la bellissima Carolina Bonaparte, seguì il suggerimento dell’imperatore francese e volle donare nel 1808 un ostensorio in oro, argento con pietre preziose. Tutti e due i capolavori  saranno esposti nella mostra di Roma. La venuta dei francesi a Napoli è testimoniata dall’unica iconografia conosciuta: un quadro del francese Hoffman, realizzato nel 1800 e recuperato dalla Deputazione a Parigi,  dove si distingue l’altare maggiore del Duomo, sul quale sostano minacciose e armate le truppe francesi, comandate da Championet e da Mc Donalds, che “pretendono” che San Gennaro compia il miracolo della liquefazione davanti al popolo. Anche questo dipinto sarà esposto a Roma, come il quadro su San Gennaro, realizzato dal Solimena nel 1707, un autentico capolavoro cromatico più famoso al mondo perché da quell’anno tutte le immaginette del santo patrono di Napoli sono riprese da questo quadro.

La Mitra, di cui quest’anno si celebra il 300° anniversario della realizzazione, venne commissionata dalla Deputazione per essere indossata dal busto durante la processione dei festeggiamenti nell’aprile del 1713. Vede la luce nell’Antico Borgo Orefici, voluto dai sovrani angioini, una vera fucina di talenti, fra cui l’autore: il maestro orafo Matteo Treglia. Il valore della mitra è enorme, sia per quanto concerne la materialità dell’oggetto, sia per la forte simbologia di cui è intrisa.
3964 pietre preziose tra cui diamanti, rubini e smeraldi ornano la Mitra, secondo una tradizione di costruzione di oggetti ecclesiastici legata alla simbologia delle pietre: lo smeraldo rappresentava l’unione della sacralità del Santo con l’emblema dell’eternità e del potere, i rubini il sangue dei martiri e i diamanti il simbolo della fede inattaccabile.
Inoltre, le pietre raccontano un’altra affascinante vicenda. Si è scoperto, infatti, che alcune provengono da antiche cave dell’America latina. Come afferma Ciro Paolillo: “Grazie alla dedizione del Treglia oggi ci troviamo di fronte a una delle più belle collezioni di smeraldi degli antichi popoli sudamericani esistenti al mondo e per tale motivo queste pietre acquistano un valore, non solo per la loro preziosità ma anche per la loro storia”.

La mostra di Roma offrirà anche l’occasione per scoprire altri tesori come, ad esempio, la Croce in argento e coralli del 1707, dono della famiglia Spera, che testimonia la grande diffusione che ebbe a Napoli in epoca barocca l'uso del corallo accostato all'argento, sia in ambito laico che religioso.
Il Calice in oro, rubini, smeraldi, brillanti dell'orafo di corte Michele Lofrano, commissionato da Ferdinando di Borbone e realizzato nel 1761. L'Ostensorio in argento e rubini (1808) donato come atto di devozione al santo patrono da Gioacchino Murat al suo arrivo in città su suggerimento di Napoleone. La Pisside gemmata in oro, rubini, zaffiri, smeraldi e brillanti (1831) offerta da Re Ferdinando II nel 1831. L'Ostensorio in oro, pietre preziose, perline, smalti (1837), uno splendido esempio di ripresa di modelli barocchi in un oggetto dai caratteri ormai neoclassici. L'ostensorio venne dato da Maria Teresa d'Austria in occasione delle sue nozze con Ferdinando II. Il Calice in oro zecchino (1849), donato da Papa Pio IX nel 1849 per ringraziare i napoletani dopo essere stato ospitato in asilo a causa dei moti mazziniani di Roma, è uno dei pochi di manifattura non napoletana essendo stato realizzato dall'orafo Valadier a Roma. La Croce episcopale in oro, smeraldi e brillanti, donata da Re Umberto I e Margherita di Savoia il 23 novembre 1878 nella prima visita a Napoli dopo la loro assunzione al trono, per rendere omaggio al Santo Patrono della città regalando così alla Cappella del Tesoro una croce in lapislazzuli e pietre preziose con laccio d'oro. Infine la Pisside in oro, corallo e malachite (1931), realizzata dalla famiglia Ascione di Torre del Greco e donata da Umberto di Savoia il 5 novembre 1931 quando si trasferì con la moglie José a Napoli.

Lavoro di squisito gusto barocco sono i due Splendori, così chiamati proprio in virtù della magnificenza e dell'imponenza delle loro dimensioni (cm 370 di altezza), opera dell’argentiere Filippo del Giudice su disegno di Bartolomeo Granucci (1744); donati da re Carlo III di Borbone e dalla regina Maria Amalia di Sassonia, precedono la balaustra dell’Altare Maggiore.
A tutto tondo i puttini sul globo terrestre e le sei virtù: Fede (il calice), Speranza (l’ancora) e Carità (donna che allatta bambino). Alle tre virtù teologali corrispondono, sull’altro candeliere, tre allegorie che forse esaltano i meriti di Carlo di Borbone, il quale contribuì con l’offerta di duemila ducati. Queste le tre allegorie: Fortezza (donna con elmo in testa, scudo sul braccio e lancia in mano), Mansuetudine (donna con agnello), Buon Governo (donna che regge il globo). Nei documenti appare chiaro che gli Splendori furono donati da Carlo III di Borbone e della regina Maria Amalia di Sassonia e commissionati dalla Deputazione stessa, senza specificare mai nomi precisi di alcun deputato.

Amedeo_Modigliani_Maternité

 

La mostra di Martigny “Modigliani e l’École de Paris” ci fa rivivere un grande momento della storia dell’arte dei primi vent’anni del Novecento, in una Parigi che accoglie artisti di tante nazionalità e di grande talento. L’evento è nato dalla collaborazione fra la Fondazione P. Gianadda e il Centro Pompidou di Parigi, la cui direttrice Catherine Grenier ha curato e valorizzato la mostra con tanti capolavori provenienti dalla collezione del Centro.

Ai primi del Novecento Parigi attira artisti da ogni paese del mondo, il movimento degli impressionisti ha aperto le porte alla rivoluzioni artistiche, i pittori non dipingono chiusi nei loro atelier, ma all’aperto, nei boschi, in riva ai fiumi alla ricerca della luce. La città è in fermento, vi si respira la gioia di vivere, molti artisti si concentrano nel quartiere di Montparnasse, confluiscono nei caffè come la Dôme e La Rotonda, ove scambiano idee, parlano della loro vita spesso lottando con la miseria e la fame ma ricchi di idee e di entusiasmo.

Una vita particolarmente travagliata e intensamente vissuta ebbe Amedeo Modigliani (Livorno 1884-Parigi1920). Giunto a Parigi nel 1906 fu influenzato all’inizio dall’espressionismo, dal fauvismo e dal cubismo.

Dopo un breve soggiorno a Livorno nel 1909, dove si dedica allo studio di teste (anche sculture) rientra a Parigi aiutato dal suo amico collezionista Paul Alexander.

Si lega a Costantine Brancusi con una solida amicizia e frequenta altri artisti.

Lo scrittore Max Jacob lo presenta a Paul Guillamme che diviene il suo mercante dal 1914 al 1916.

I suoi nudi presentati alla Galleria Berthe Weill hanno dato scandalo e sono stati ritirati. Malato e depresso nel ’18 lascia Parigi bombardata e si reca al Sud, dove nasce, dalla sua relazione con Jeanne Hébuterne la loro piccola Jeanne. La vita sregolata e la miseria hanno minato la salute dell’artista che muore a Parigi nel ‘20.

Jeanne, incinta di 8 mesi non resiste alla perdita dell’uomo tanto amato e si uccide.

Un breve cenno alla vita dell’artista aiuta nella lettura delle splendide opere presentate in mostra.

Nei due ritratti di Beatrice Hasting si nota l’influenza del cubismo. In particolare nel dipinto” Jenne Femme au pandantif” il collo e il viso allungato e gli occhi socchiusi contrastano con la bocca contratta. Modiglioni e Beatrice vissero insieme per due anni, lei Poetessa e giornalista corrispondente della rivista inglese New Age lo introdusse nel mondo degli artisti. Modiglioni le ha dedicato quattordici ritratti e molti disegni. Modigliani ha realizzato un gran numero di ritratti di amici e artisti, fra questi interessante quello di Pinchus Kremègne artista bielorusso e di Moise Kisling, Modigliani tende a sottolineare la sua appartenenza alla comunità giudaica.

Maurice_Utrillo_Le_lapin_agile_1910

 

Il nudo femminile è uno dei soggetti prediletti da Modigliani “Nudo sdraiato con le braccia dietro la testa” ha una tonalità calda e terrosa molto naturale. “Nudo di fronte” è un’altra opera ricca di sensibilità (in copertina nel bel catalogo). Delicatissimo è il ritratto di Jeanne con quegl’occhi di un azzurro trasparente già perduti in un mondo lontano, quasi a presagire un terribile futuro. Commovente “Maternità” realizzata qualche settimana prima della morte dove c’è un’esaltazione della materia e della struttura che danno profondità al dipinto. Un altro delizioso dipinto realizzato quando Modigliani era al Sud della Francia è “Fillette au tablier noire” una dolce figura di ragazza con l’espressione rilassata sullo sfondo di un armadio scuro con le linee del volto finemente disegnate.

Se le opere di Modigliani rappresentano il nucleo più importante della rassegna quelle dei pittori dell’École de Paris, alcuni suoi contemporanei, sono state realizzate da artisti altrettanto famosi.

Dopo un periodo di sbandamento dovuto allo scoppio della prima guerra mondiale (molti artisti italiani, francesi, tedeschi sono stati mobilitati) alla fine del conflitto Parigi torna ad essere una

calamita per gli artisti e gli uomini di mondo. Nel 1925 un giornalista del Figaro, Andrè Warnod, adopera per la prima volta l’espressione “École de Paris” in riferimento agli artisti di Montmartre e MontParnasse, non indica un movimento ma riunisce sotto questo termine pittori, scultori che con le loro opere hanno fatto di Parigi un centro di creatività artistica e di avanguardia internazionale.

Moltissimi sono gli autori rappresentati in mostra con dipinti e sculture notevoli.

Costantine Brancusi e Modigliani trassero conforto e beneficio dalla loro amicizia, entrambi trovarono la loro espressione artistica e segnarono un’epoca.

Molte le sculture di Brancusi esposte: fra queste “Madamoiselle Pagany III”, “Gran Coq IV”, questa scultura è situata nel parco della fondazione. Numerose le fotografie e i documenti.

Auguste Chabaud si distingue per i colpi di pennello indisciplinati, i colori intensi e la semplificazione delle forme “La casa dei cipressi”. Troviamo esposte opere di Marc Chagall del periodo russo, molto intriganti; di Verain uno splendido ritratto della moglie Alice, di Raul Dufy una enigmatica “Donna in rosa”. E dipinti di Jean Gris, Henri Laurens, Fernand Leger, e quadri celebri di Henri Matisse, Pablo Picasso (esposto il capolavoro la Guitarriste), Soutine, Severini, Braque, Zadkine, Susan Valadon, Van Donghen, Utrillo. Di quest’ultimo è in mostra anche il noto quadro “Le lapin agile” celebre locale di Montmartre dove si riunivano scrittori, poeti e pittori in una calda atmosfera bohemienne. L’esposizione di Martigny è affascinante per il gran numero di artisti rappresentati, la quantità di opere esposte magistralmente selezionate. Ambientata nei bellissimi spazi e nel parco della fondazione la mostra è una gioia per gli occhi e lo spirito.

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