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L'economia tedesca sta rallentando, e anche l'Italia rischia

Sono mesi sempre più problematici per l’economia della Germania, sempre più fiacca e intrappolata nel circolo vizioso della stagnazione produttiva e dell’assenza di vere prospettive di rilancio.

L’Italia, priva di una politica industriale degna di questo nome, rischia di essere la grande sconfitta della crisi tedesca. I dati di alcuni settori dell’Italia del Nord sono indicativi in tal senso: tra settembre e novembre, ad esempio, l’economia della provincia di Brescia, tra le più integrate con la Germania, ha conosciuto un rallentamento del 4,5% nel campo della produzione industriale, ancora più accentuata in quei settori funzionali all’export, come metallurgia (-6,7%), meccanica tradizionale (-5,9%) e componentistica (-4,9%). In Lombardia, oltre al caso bresciano, il Messaggero segnala che i distretti più in crisi nell’ultimo scorcio di 2019 sono alcuni tra quelli più legati alla catena del valore tedesca, specie nel settore auto: la gomma del Sebino Bergamasco (-9,7%), la metalmeccanica di Lecco (-7%) e la meccanica strumentale di Bergamo (-14%). La crisi della Germania è una crisi europea. E l’Italia deve impegnarsi politicamente per contenerne le conseguenze interne: non sapendo per quanto a lungo si potrà protrarre, un’azione incisiva in materia di politica commerciale ed industriale non è solo desiderabile ma anche necessaria.

“L’industria dell’auto più di ogni altra branca, ma anche il resto del vasto comparto manifatturiero tedesco, soffre della crisi mondiale del mercato delle quattro ruote”, fa notare Repubblica. Tale situazione problematica è “aggravata poi dai ritardi delle scelte di conversione produttiva di ogni marchio tedesco dalle auto a motori a combustione interna a modelli ibridi o elettrici, rispetto ai concorrenti asiatici, francesi, o nel comparto premium anche a confronto con Volvo”. La flessione è stata del 5,6% su base mensile e addirittura del 14,4% su base annua.

I campanelli d’allarme della Germania devono preoccupare tutta l’Europa. Intenta a serrate discussioni sul “fondo salva-Stati” (il Mes) che non devono contribuire a spostare l’attenzione dal quadro generale: la complessiva rigidità della governance economica europea avente al suo centro la Germania della Merkel. Il mercantilismo tedesco è la risultante della somma dell’austerità europea alla svalutazione interna, ma l’integrazione delle catene del valore ha portato molte industrie europee, tra cui quella dell’Italia del Nord, a essere integrate nei processi produttivi delle case madri di Berlino.

Ma la soluzione del problema economico Italiano potrebbe arrivare dal Giappone ..
Secondo quanto riportato da Bloomberg, per attuare le misure previste, il governo nipponico è pronto a stanziare un budget dal valore di 216 miliardi di euro, 121 miliardi dei quali saranno destinati al taglio delle tasse. In altre parole, per limitare i danni di un’imminente recessione globale, il Giappone pensa che non basti supportare le banche centrali, ma che occorra invece sostenere la crescita dello Stato mediante un’iniziativa politica.

A limitare l’Italia dall’adottare la ricetta del Giappone, oltre all’euro, sono anche vari trattati che inchiodano il nostro Paese a un destino nefasto. L’Unione europea marca a uomo il governo italiano ed è pronta a farsi sentire quando Roma prova, anche solo lontanamente, a imboccare la strada della diminuzione del deficit. Guai a far aumentare il deficit, che deve essere ancorato ai diktat di Bruxelles e non alle esigenze del Paese. Secondo "inside Over" la situazione è alquanto paradossale se pensiamo che l’Ue, attenta a sorvegliare i nostri conti, pretende il pagamento di 110 miliardi di euro per salvare le banche tedesche e francesi nell’ambito della riforma del Mes. Non potendo spendere un euro senza l’ok di Bruxelles, a uno “Stato senza moneta” non resta che recuperare la somma richiesta dai conti correnti dei cittadini. Ma questi, per i tecnocrati dell’Ue, sono evidentemente dei dettagli secondari.

Quanto intende mettere in campo il Giappone – e che per certi versi ha già fatto Trump negli Stati Uniti con buoni risultati – potrebbe fungere da interessante spunto anche per l’Europa, Italia compresa. Il nostro Paese avrebbe proprio bisogno della medicina adottata da Tokyo: uno stimolo alla crescita in grado, allo stesso tempo, di abbattere le tasse e far ripartire l’economia. Investimenti pubblici, ad esempio sarebbero richiesti con una certa impellenza nel campo dell’innovazione così come delle infrastrutture.

Uno stimolo enorme all’economia affiancato da uno stimolo alla domanda interna, sottolinea inside over così da assicurare da eventuali crisi estere: sono queste le due armi che dovrebbe imbracciare l’Italia seguendo l’esempio giapponese. Tra l’altro, imitare i samurai nipponici ci costerebbe circa 40 miliardi di euro, ovvero una cifra più che dignitosa per far ripartire un’economia congelata da una ventina di anni abbondanti. Certo, bisogna fare i conti con una differenza non da poco: è vero che il Giappone ha un debito pubblico che si aggira intorno al 240% del Pil – a fronte del 130% italiano – ma è altrettanto vero che, a differenza di Roma, Tokyo può contare su una sovranità monetaria.

 

Intanto in caso di elezioni, Meloni ricorda che il centrodestra avrebbe già un suo programma scritto nel 2018, che andrebbe comunque aggiornato. Secondo l’ex ministro, Lega, Fi e Fdi hanno una visione comune che è sicuramente più solida di quella dell’attuale maggioranza. L’ex vicepresidente della Camera ribadisce però che non ci sarebbe un’uscita dell’Italia dall’euro, se il suo partito andasse al governo. “Ma non penso che per stare in Europa si possa accettare tutto quello che fa male all’Italia - precisa Meloni scrive il Giornale -. Vanno valutati vantaggi e svantaggi. Alcuni Paesi, come la Germania, si sono avvantaggiati, altri, come l’Italia, si sono impoveriti”.  

il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha accusato l’opposizione di fare terrorismo sul Mes a scopi elettorali e in questo Meloni è convinta delle sue idee. Tanto è vero che oggi sarà a Bruxelles con tutti i parlamentari di Fdi per sottolineare con forza che il partito non è disposto a farsi prendere in giro su una questione così importante. In un'intervista alla Stampa, l’ex ministro auspica che qualcuno risponda alle sue osservazioni, riassumibili in alcune domande. “È vero o non è vero che con la riforma il Mes diventa sempre più un fondo salva-banche? - chiede la deputata -. È vero o no che chi accede a fondo potrebbe essere costretto a ristrutturare il suo debito? È vero o no che questa ipotesi potrebbe rendere meno appetibili i titoli di Stato italiani?”. Meloni va poi all’attacco di Luigi Di Maio che in passato aveva espresso i suoi dubbi sul Mes. E ricorda che i pentastellati sostenevano nel loro programma il superamento del Meccanismo, mentre oggi stanno per votare la sua riforma.

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