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Def. Il jazz italiano in Epoca Covid, un libro-inchiesta di Gerlando Gatto

Per il mondo dello spettacolo l'anno bisesto 2020 è stato se non proprio funesto, per parafrasare il famoso detto popolare, diciamo dannoso o meglio pernicioso a causa del covid.
Un settore che vive di relazioni, a partire dai concerti, come quello della musica, ma si potrebbe dire lo stesso del teatro del cinema o dello spettacolo circense, ha subito ancor più i colpi delle restrizioni imposte da una pandemia che sembrava sopita d'estate e che in autunno è riemersa con vigore. Il jazz, nella fattispecie, per l'alto tasso di "internazionalità" dei propri scambi e contatti, è uno dei comparti più colpiti sia sul piano economico che organizzativo. E lo è anche, è il caso di dire, nel cuore stesso di una musica che vive e si alimenta del confronto e della contaminazione fra le culture e i musicisti e che anzi nell'interrelazione ha sempre trovato motivo di rigenerazione e crescita.
Il giornalista e critico musicale Gerlando Gatto, già in pieno lockdown, ha pensato bene di registrare quanto stava avvenendo nel jazz italiano interrogandone una serie di protagonisti per capire come stessero vivendo la situazione da thriller fantascientifico in cui si era piombati.
Messe assieme, le 41 interviste, sono diventate ""Il jazz italiano in epoca Covid. Parlano i jazzisti", GG Edizioni, prefazione di Massimo Giuseppe Bianchi, un libro-inchiesta del tutto particolare che si differenzia dai precedenti due volumi di interviste dello stesso studioso editi da KappaVu. Non si tratta intanto di un appello alle istituzioni anche se un intervento dall'alto è evocato in modo più o meno esplicito. Il volume fotografa attentamente le ansie di prestigiosi protagonisti della scena musicale jazzistica e, coadiuvato da Marina Tuni e Daniela Floris, collaboratrici storiche di "A proposito di Jazz" rivista diretta dallo stesso Gatto, ci rivela inediti profili umani prima ancora che artistici degli intervistati.
Il valore del libro sta proprio nell'approfondimento, per molti versi psicologico, che vien fatto, connotato che lo colloca in un saggismo "di lunga durata"; nel senso che, specie quando finalmente ci si ritroverà fuori da questa esperienza tragica che sta piegando e piagando il mondo intero, così almeno si spera, lo si potrà ancora leggere come una testimonianza "dal di dentro" di ciò che andava succedendo, al di là dei numeri statistici e del macabro gossip sul "chi è" il contagiato di turno, un "selfie" su carta delle paure e delle speranze di persone che hanno investito tempo, risorse, la vita stessa in musica, nel jazz, e che si son trovate ad affrontare ed a confrontarsi con un problema più grande di loro e comunque non di loro competenza.
Chi lavora nella musica si è sentito ancora più "debole" ma di certo se non ci fosse stata la musica l'isolamento da lockdown sarebbe risultato ancor più deprimente e solitario.
Un libro del genere aiuta a riflettere sul mondo del jazz facendolo sentire più vicino anche a chi non ė appassionato del genere. La musica e l'arte saranno pure sovrastrutture dell'economia ma interessano strutture dell'animo umano. E di questi tempi sono antidoti all'angoscia e vaccini contro lo sconforto. È questo il messaggio d'insieme che Gatto trasmette tramite la voce dei jazzisti in questo volume

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