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Margotti, l'ideatore della formula "né eletti né elettori"

Sembrerebbe una formula di qualche movimento politico del nostro tempo, oppure una frase per indicare quel quasi 50% di italiani che non va più a votare perché “schifato” dell’odierna politica. Invece è la formula con cui sono conosciuti i cattolici intransigenti che nel 1861 non parteciparono alle elezioni indette dal nuovo Stato liberale di Vittorio Emanuele, per protestare contro l’inglobamento dei vari regni pre-unitari della penisola italiana. L’ideatore di questa formula e, per questo solo viene conosciuto, fu il religioso Giacomo Margotti (1823-1887) ligure ma attivo a Torino. Tento di presentare questo teologo e scrittore, questo “antimoderno” come lo chiamerebbe Tommaso Romano, dopo aver letto l’ottimo pamphlet di Oscar Sanguinetti, “Cattolici e Risorgimento. Appunti per una biografia di don Giacomo Margotti”, pubblicato da “D’Ettoris Editori (Crotone, 2012).

La figura di Margotti come di tanti altri ha subito la “dannatio memoriae” da parte della cultura ufficiale. Eppure meriterebbe maggior considerazione almeno da parte dei cattolici che a volte sembrano dei “figli senza padri”, spesso “incapaci di ricostruire il proprio passato, - scrive Marco Invernizzi nella prefazione - incerti sulle radici dalle quali proviene la loro fede, e in balia di un’interpretazione della storia italiana ed europea, dopo il 1789, subalterna a una delle diverse ideologie che hanno culturalmente dominato i secoli XIX e XX”.

Don Margotti fu un giornalista cattolico, polemista che tra tante cose ha diretto due giornali cattolici dell’Ottocento, “L’Armonia” e “L’Unità Cattolica”. Naturalmente non è possibile, forse neanche necessario, ripercorrere tutte le battaglie culturali che ha visto protagonista il sacerdote sanremese. Per sintetizzare si può scrivere che “la sua stella polare è il Papa e la sua priorità: difendere fino all’ultimo il potere temporale e rivendicarlo dopo l’esproprio; mettere in luce le gravi deformazioni della nuova macchina statale e auspicarne il rovesciamento con qualunque mezzo legale; nonché criticare senza mezzi termini la nuova classe di governo viepiù secolarizzata, massonizzata e dedita alla corruzione e al trasformismo”.

Giacomo Margotti, diventa pioniere ed esponente di punta dell’intransigentismo cattolico che riteneva soprattutto il “risorgimento” una vera e propria rivoluzione culturale e sociale che attraverso il pretesto dell’unità, intendeva plasmare un nuovo ethos nazionale in antitesi con un passato comune, carico di memorie religiose e di istanze universali.

Bersagli dei suoi accesi e numerosi interventi sui giornali da lui diretti furono i vari personaggi del Risorgimento italiano ma anche i suoi “padrini” stranieri a cominciare dall’autocrate francese Napoleone III, e dei politici liberali inglesi. Per Sanguinetti,“Margotti fu un antiliberale ma non legittimista filotemporalista ma non antinuitario; conservatore ma non reazionario, don Margotti è uno dei personaggi più eminenti di quell’’altra faccia del Risorgimento’ che a poco a poco una storiografia indipendente, frantumando rigidi clichè ‘di tendenza’ e mettendo in discussione posizioni accademiche di comodo, comincia a far riemergere”. In pratica era intransigente come il beato Pio IX e in parte lo stesso don Bosco. Bisogna tenere conto del momento storico che stava vivendo la Chiesa, tra l’altro, era la posizione culturale che univa tutti i cattolici di allora, almeno fino al 1904, quando venne superato il non expedit, si voleva dare una testimonianza di fedeltà totale al Papa e al suo Magistero, anche nelle cose temporali, opinabili. Certo, non partecipare ad elezioni politiche, non era materia di fede o di ortodossia, infatti c’erano anche i cattolici transigenti, che intendevano magari partecipare attraverso un partito conservatore alla vita politica. Del resto, poi, la Chiesa vediamo che ha riconosciuto le virtù eroiche sia d’intransigenti come il beato Giuseppe Tovini (1841-1897) e di transigenti come il beato Contardo Ferrini (1859-1902).

Invernizzi nella prefazione ci tiene a precisare che studiando la figura poliedrica di don Margotti non si vuole “ripetere acriticamente le tesi di allora, come se fossero esenti da intemperanze, eccessi, mancanza di un’adeguata riflessione sul fatto che la Rivoluzione era un processo in continuo mutamento, che era necessario cambiare i modi per combatterla con efficacia”. Tuttavia è importante riscoprire queste figure, perché senza di loro“il mondo cattolico oggi non sarebbe così come è”. Per Invernizzi, “senza gli intransigenti non ci sarebbero state le banche cattoliche, le casse rurali e le società di mutuo soccorso, quella rete sociale nata attorno alle parrocchie che ha resistito fino ai nostri giorni, le opere di cui spesso si parla a proposito dl principio di sussidiarietà della dottrina sociale della Chiesa”. Senza di loro non avremmo avuto quella rete di cattolicesimo sociale ben sviluppato, presente in particolare nelle regioni Lombardia e Veneto.

In pratica quello che vuole farci intendere il testo di Sanguinetti che bisogna amare “i nostri”, coloro che ci hanno preceduto nella storia della presenza cristiana e della lotta per preservarla”, naturalmente evitando di fare “leggende auree”, riconoscendo i loro errori e difetti. “Si può rilevare qualche similitudine fra i suoi anni e i nostri”, certamente si. Per Sanguinetti,“anche la nostra epoca in cui la Rivoluzione domina, ancorchè in altre forme, anche oggi siamo attori e vittime di processi di riformulazione delle culture e di unificazione – non più nazionale ma europea – che generano tensioni e disorientamento”. Anche oggi sarebbe necessario avere figure integralmente cristiane totalmente inflessibili nella devozione al Santo Padre, come lo fu il nostro don Margotti. Non solo ma il merito del direttore de L’Armonia è anche la sua caratteristica di combattere quella “buona battaglia delle idee”, di fronte alle sempre nuove forme assunte dall’errore e dalle dottrine “demoralizzanti” la fede e il senso della vita.

“Quanto alle idee, quanto al suo intransigentismo,- conclude Sanguinetti - Dio solo sa quanto bisogno ci sarebbe oggi, in tempi di pensiero’debole’ e di postmodernità, di prese di posizione antimoderne, nette e ‘forti’ come quelle del cattolicesimo conservatore dell’Ottocento che egli incarna”. Don Margotti ci ricorda che si può fare apostolato anche con la penna, avendo il giornalista un rapporto privilegiato di testimonianza con la verità, e perché rispetto ad altre professioni, il giornalista cattolico, ha ottime possibilità di orientare le opinioni e formare le coscienze.

 

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