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Simone Maggio 4et, "Cuerdas" Camilla/Saint Louis Management-Stefano Mastruzzi Editore

Può sembrare curioso che un pianista denomini "Cuerdas" un proprio album. Nel nuovo disco di Simone Maggio in 4et, edito da Camilla Records, in effetti si ritrovano strumenti a corda, il violino di Carlo Cossu ed il contrabbasso di Federica Michisanti la quale completa la ritmica col batterista Ermanno Baron. Metaforicamente però le corde potrebbero attenere al sentimento, immagine, questa, senza riferimenti anatomici come potrebbero esserlo le corde vocali. Allora il titolo ci può indirizzare, durante l'ascolto degli undici brani (di cui quattro Impro collettive) che occupano la capienza di ben 73 minuti dello spazio nel cd audio, verso l'idea di una musica costituita da fili primari e secondari che si vanno ad intrecciare su una struttura intessuta e registrata dal pianoforte. Senonché l'uso del termine Cuerdas, e non dell'italiano corrispondente Corda, potrebbe rimandare anche all'unità di misura, volume o superficie adoperata in alcuni territori ispanici. Il che spiegherebbe le accurate geometrie musicali disegnate da leader e gruppo nel concertare. L'assenza di note esplicative nella cover autorizza a libere interpretazioni e di critica "creativa". Certo è che, al di là della genesi progettuale che decolla sin dal primo pezzo, non a caso "Cuerdas", a livello strettamente musicale il lavoro si esibisce come di forte suggestione. Il pianista di Grosseto si conferma compositore elegante, valente nel dragare polifonie dal proprio strumento e talora dell'armonium, portato ad un tipo di sintesi intrastilistica che allivella avanguardia radicale e musica contemporanea ("Heavy Snow"), "ambient" colto un po' alla Satie ("Green Desert"), passato classico ("Una semilla distante") e antico ("The Book of Dreams"), tutto in rac-cordo in un'esecuzione ondosa e ondeggiante. Ed è forse questo il suo carattere più jazzistico. Nel gruppo ognuno conferisce un plusvalenza, come il polposo contrabbasso di "Touch", il violino mistico di "The Deep Way", e certe sfrenate progressioni della batteria in parti istantanee all'improvviso. Nella romanità si declinava cor cordis per dire cuore. Corrispondenza che in questo caso impregna animus ispirativo e senno inventivo in un aggrovigliarsi a mò di Cuerdas.

Karabà, Viola, Emme Records

Viola è il secondo album dei Karabà, formazione che vede al pianoforte Alessandro Casciaro con Stefano Rielli al contrabbasso e Alberto Stefanizzi alla batteria, edito dalla Emme Records. Un titolo, quello del disco, che fa riflettere.

Il viola è un colore deciso ma ambiguo, confina con il lilla, ha svariate sfumature, fino ad arrivare all'indaco, a volte la tonalità sfora nell'azzurro, non a caso si chiama costa Viola quella linea nel Tirreno meridionale dove il blu del mare è cosi intenso da degradare nel viola. 

Ed in effetti già il primo dei nove brani, "Beijing", è un tuffo in atmosfere mediterranee.

Ma è il successivo "Viola", una marcetta con frequenti rallentamenti, soste e ripartenze swing, a fornire la chiave interpretativa più coerente del lavoro, da perfetta title track.

Il viola intinto dal pianista sulla tastiera è il colore della seduzione e della passione che lui impasta tramite accorto uso dell'armonia e abile manovra della verve improvvisativa

Le sfumature jazz, per merito anche del pressing bassistico e di un batterismo nerboruto e disinvolto, raggiungono diverse gradazioni in "Parco Belloluogo".

Più contenuta è "Colosseo", una ballad dalle tonalità all'inizio tenui, poi man mano nette con innesti latin sul pigmento base. "Blue Jeans" e "Paracetamolo" vestono di brillantezza un'esecuzione che spazia fra bop e contemporary. ""Primavera" ma soprattutto "Eleonora" ci riportano in un clima ritmicamente più mite e seducente per l'interlocutore (l'ascoltatore). 

Del resto, anche nella moda femminile, il vestire di viola per una donna può significare voglia di conquista. 

Il trio propone in chiusura un fascinoso ed intrigante "Tonight Tonight" degli Smashing Pumpkins. Si può ben dire che il gruppo assume il colore viola come un amuleto che porta bene alla musica, nello specifico al jazz. 

Franco D'Andrea "New Things", Parco della Musica Records

Cose Nuove dal mondo del jazz. Il pianista Franco D'Andrea, storico ed acclamato jazzista italiano di levatura internazionale, un curiculum da capogiro e collaborazioni che vanno da Max Roach a Gato Barbieri, tanto per fare un paio di nomi, presenta "New Things", un nuovo album prodotto dalla Fondazione Musica per Roma-Parco della Musica Records.
Musicista, D'Andrea, che non ha bisogno di presentazioni.
La formazione del doppio cd è il suo trio che annovera Mirko Cisillino, dal grande "effluvio" trombettistica ed il chitarrista Enrico Terragnoli, tipico il suo tocco personale e le ricche aperture tech. 
La "bacchetta" virtuale del pianista enuclea i contenuti del proprio progetto e detta i tempi delle esecuzioni mettendo dentro un po' di tutto, trad swing cool bop free sperimentale, con le "consuete" doti della sintesi espressiva e dell'elevata disponibilità all'accoglienza stilistica.
Succede così che accanto a spezzoni di Livery Stable Blues e Tiger Rag si vadano a collocare brani d'avanguardia con una sorprendente continuità. 
D'Andrea ci ha abituati a vedere la storia del jazz secondo una prospettiva sincronica ed orizzontale che contemporaneizza il classico e classicizza il contemporaneo. 
Una musica, la sua, su cui si lasciano installare sovrastrutture, estensioni sonore che vanno ad applicarsi sulla primaria sorgente compositiva per meglio qualificarla in interpretazioni fondanti e fiondanti. In cui trovano spazio la tromba in "March", gli effetti elettronici prodotti dal chitarrista in "P4", e si evidenzia l'intensità d'insieme di "Deep"... Un disco matrioska che presenta altre sorprese. Quelli appena descritti sono semplici flashes di un lavoro scaturito da(l numero perfetto di) postazioni coordinate attorno ad un nucleo, quello del leader, che si/ci offre una sorta di trifoglio che si nutre di semi di diversa natura per far germogliare il triadico "New Things". Riprendendo dal vocabolario francese très (molto) e dal portoghese tres (tre), verrebbe da dire un Trio " Très Tres "!

Amanita, Calandra, Manitu Records

Musical phrasing, Walking bass, Drumming. Tre gerundi che potrebbero sintetizzare i principi cardine della musica degli Amanita. Anche nel nuovo disco, Calandra, edito da Manitu Records, il primo, il fraseggio, è il ruolo affidato al chitarrista Raul Gagliardi che lo espleta modellando armonie, delineando melodie ed improvvisando con accorto garbo e frizzante inventiva, già dall'apertura in "Wriland". Il secondo, il walking del contrabbasso o del basso elettrico, sono le sequenze i contrappunti le quadrature che fornisce Carlo Cimino, solista di massima sicurezza nella navigazione in mezzo al turbinio di note generato dalla chitarra. Il terzo, il drumming, è lo stantuffo, il motore di ricerca di contrattempi stacchi e sincopi tenuto sotto controllo dal batterista Maurizio Mirabelli.
Gerundi ovviamente al presente perché la loro è musica fresca di attualità jazzistica, non rincorre citazioni né effettua flashback tranne forse un'occhiata alla GRP, e si guarda attorno nella realtà per ispirarsi senza insaporimenti etnici semmai con frequenti immersioni nelle metriche del contemporary più evoluto.
Ma perché quel titolo al disco?
La calandra è un uccello che nidifica anche sulle montagne della Calabria, da dove i musicisti provengono, ma è soprattutto, lo si legge nelle liner notes, espressione gergale che indica le ore più calde del giorno. Non c'è somiglianza con la siesta messicana, anche se il brano omonimo, al centro del disco, ha delle intonazioni spanish; nel villaggio glocale degli Amanita, in quelle ore roventi, la calura stimola la mente verso un fare statico ma creativo, magari accarezzati dalla brezza di un leggero venticello sotto l'ombra di un albero.
La musica dei sette brani, oltre " Message in a bottle " di Sting, di questo prezioso compact va allora ascoltata immaginando un tipo di contesto del genere, pensando di esser nella controra, quella delle lucertole campestri che sgusciano via per fermarsi davanti al rivolo di una fontana. Per meglio goderla, l'acqua, come la musica!

San Rocco è stato e resta nel cuore e nelle preghiere dei suoi fedeli, colpiti oggi da una nuova epidemia, che è comparsa nel nostro tempo all'improvviso, e siamo straziati da questo virus che può essere equiparato alla peste che San Rocco combatté  e vinse semplicemente con la preghiera e con la sua eroica e taumaturgica carità.

San Rocco è stato e resta un singolare testimone della carità di Cristo, modello evangelico di distacco dalle cose del mondo, si fa povero, animatore di servizio ed esempio e di altruismo, rifugio e speranza nella Provvidenza Divina di fronte all'impossibile umano.

Amico/a se anche tu vuoi intraprendere un cammino all'ombra di San Rocco, e come Lui vuoi servire  il Signore, allora contattaci e vivi anche tu con la tua comunità un cammino semplice fatto di fede, speranza e carità.

La forza trainante della storia e del mondo è l'amore: Dio è l'Amore e san Rocco ne è un segno certo.

Preghiamolo con fede, guardiamo a Lui che è nostro amico, perché è amico di Dio.

Fratel Constantino 

 

Coronavirus, un’epidemia di cui si conosce poco, che sta mettendo in ginocchio il mondo intero. C’è un Santo in particolare, a cui si fa ricorso proprio in periodi come questi, ed è San Rocco da Montpellier. La sua devozione inizia nel pieno Medioevo quando, contro la terribile piaga della peste, veniva invocato affinché placasse il contagio. Attualmente il suo culto ha varcato i confini italiani ed europei; solo in Italia vi sono tremila chiese, oratori e Santuari, è  patrono di ben 1386 comuni e compatrono di 890 paesi, un santo molto venerato in Basilicata e nel sud Italia, a cui rivolgersi con fede in questo momento delicato della nostra storia.                                Nessuno può dimenticare, per la sua vita e per la vita dell’umanità, l’epidemia in cui siamo sommersi; nessuno può minimizzare il grande impegno dei medici, degli operatori sanitari e sociali, e nessuno può lavarsi le mani dagli sciacalli che la nostra società opulenta, predatrice, fa nascere dai suoi egoismi inveterati. Davanti ad una situazione così confusa e pericolosa, il popolo di fedeli guarda a San Rocco ed osasperare in una conversione e in una nuova mentalità nei confronti della natura, degli altri e dello stesso Dio. San Rocco, dentro epidemie ancora più virulente e devastatrici di quelle odierne, cristiano convinto, non è stato a bilanciare vantaggi e  svantaggi, pericoli e fortune, devozioni alle tombe degli Apostoli a Roma, e morti che continuamente incontrava sulla strada del suo pellegrinare. Si è messo immediatamente a servizio del sofferente, povero o ricco, giusto o malvagio, strafottente o condiscendente, il povero insomma che incontrava mezzo morto nel suo cammino, e così si fermò, cambiò direzione, sensibilizzò il giro dei sani per recare sollievo ai colpiti dall’epidemia. Fu tale la sua opera, e tanto pericolosa l’epidemia dei suoi tempi, da renderlo la “Mano di Dio” in soccorso per tutta la sua vita dei malati di lebbra. Non era medico, ma portava ai malati l’affetto di un uomo, la forza di un lavoratore che presta mani e piedi a chi ne aveva bisogno, e portava la misericordia di un Dio che usciva dalla regola dei conventi per favorire un incontro con i laici,perché non si smarrisse mai la speranza. 

L’ “Associazione Europea Amici di San Rocco” fondata nel 1999, conta 76 gruppi  di preghiera in Italia e 18 negli altri paesi europei. Tante sono le opere di accoglienza e carità che svolge nel nome del Santo di Montpellier. In questo momento di particolare emergenza, la nostra Associazione si mostra maggiormente impegnata come gruppo di credenti a mettersi a disposizione dei bisogni spirituali, morali e curativi di tutti, e soprattutto delle vittime di questa epidemia, cercando di rispecchiare i valori del Santo pellegrino, non un santo  delle piazze o delle ricorrenze periodiche,  ma un uomo di Dio da prendere ad esempio di concreta carità ardente.

Sono vicino a tutti gli italiani, e al mondo intero, e sono sicuro che ne usciremo con la forza dell’opera e della fede, il coronavirus , un’epidemia di cui si conosce poco, che sta mettendo in ginocchio il mondo intero. C’è un Santo in particolare, a cui si fa ricorso proprio in periodi come questi, ed è San Rocco da Montpellier. La sua devozione inizia nel pieno Medioevo quando, contro la terribile piaga della peste, veniva invocato affinché placasse il contagio. Attualmente il suo culto ha varcato i confini italiani ed europei; solo in Italia vi sono tremila chiese, oratori e Santuari, è  patrono di ben 1386 comuni e compatrono di 890 paesi, un santo molto venerato in In tutte le regioni e nel sud Italia, a cui rivolgersi con fede in questo momento delicato della nostra vita .

Il Santo pellegrino, che metteva assieme tutte le forze disponibili per i  momenti più impossibili e gravi, convinto che fosse Dio, come sempre, a guidare la storia.  

Fratel Costantino De Bellis 

Fondatore dell’“Associazione Europea Amici di San Rocco”

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