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Alta tensione tra Teheran e Riad

Ayatollah Khomeini

E' altissima la tensione  tra Riad e Teheran con l'Arabia Saudita e il Bahrain  con l'Arabia Saudita e il Bahrain che decidono di interrompere le relazioni diplomatiche con l'Iran che promette vendetta per l' esecuzione dell' imam Nimr al - Nimr.
Da Riad la risposta è stata pronta: "Il regime iraniano è l'ultimo al mondo che può accusare gli altri di sostenere il terrorismo", ha detto un funzionario del ministero saudita, visto che "sponsorizza il terrore ed è condannato dalle Nazioni Unite e da molti Paesi". Riad interrompe i propri rapporti con Teheran evacuando i propri diplomatici da Teheran e invitando quelli iraniani a lasciare l'Arabia Saudita entro 48 ore. Anche il Bahrain, secondo la tv panaraba al Arabiya, ha dato 48 ore di tempo ai diplomatici iraniani per lasciare il Paese.

Intanto nonostante i circa 50 arresti annunciati dalla magistratura, altre proteste si sono ripetute oggi nello stesso luogo, con scontri e qualche agente ferito. Proteste concluse con un atto simbolico da parte dei manifestanti: una targa nuova, con il nome dello Sheikh Nimr, al posto di quella che indicava Boustan street.

Le autorità iraniane hanno annunciato che per l'assalto all'ambasciata saudita a Teheran sono state arrestate 40 persone. Secondo l'agenzia Isna, il procuratore di teheran Abbas Jafari Dowlatabadi ha detto che "sono in corso indagini per identificare altre persone coinvolte dell'attacco".
"La vendetta divina si abbatterà sui politici sauditi", tuona la Guida suprema Ali Khamenei nel secondo giorno dell'ira sciita contro la monarchia saudita. Parole durissime accompagnate da una immagine più che eloquente: un boia bifronte, una parte vestita con l'abito bianco saudita e l'altro con quello nero di Jihadi John, l'impietoso tagliatore di teste dell'Isis.
Lo Sheikh Al Nimr, che nel 2009 aveva fatto appello alla secessione delle province orientali, ricche di petrolio e dove vive la maggioranza dei due milioni di sciiti del Regno, era stato condannato lo scorso anno da una Corte speciale a Riad per "sedizione" e per avere posseduto armi. Il leader sciita aveva respinto quest'ultima accusa e aveva detto di non aver mai incitato alla violenza. Suo fratello, Mohammad al Nimr, ha riferito che la famiglia è rimasta "scioccata" dalla notizia delle esecuzioni, ma ha fatto appello alla popolazione sciita perché ogni protesta "sia pacifica". Mohammad al Nimr è il padre di Ali, il giovane anch'egli condannato a morte per il quale la comunità internazionale si è mobilitata negli ultimi mesi, ma che non compare nella lista dei giustiziati oggi. Amnesty International ha riferito che Ali al Nimr è stato arrestato nel febbraio del 2012, quando aveva 17 anni, ed è stato condannato a morte per rapina a mano armata e per aver attaccato le forze di sicurezza.
Quella di oggi è stata la più grande esecuzione di massa in Arabia Saudita dal 1980, quando vennero messi a morte 63 militanti fondamentalisti per un assalto alla Grande Moschea della Mecca l'anno precedente. Nel 2015 invece, secondo varie organizzazioni per i diritti umani, le esecuzioni nel Regno sono state almeno 157, il numero più alto negli ultimi 20 anni.
Sono state almeno 158 le persone giustiziate nel 2015 in Arabia Saudita, che oggi ha annunciato le esecuzioni di altre 47 persone tra le quali lo Sheikh sciita Nimr al Nimr e il leader locale di Al Qaida Fares al Shuwail. Si tratta del numero più alto di persone messe a morte negli ultimi 20 anni: una tendenza che vede il Regno saudita accomunato al nemico sciita nella regione, l'Iran, il Paese che ha visto una crescita esponenziale delle esecuzioni nell'ultimo ventennio e che detiene il record del più alto numero di persone giustiziate al mondo rispetto al totale della popolazione.
Secondo l'Onu, le esecuzioni capitali in Iran fino alla fine della scorsa estate sono state 694, di cui 33 in pubblico, ma secondo Amnesty International il numero potrebbe aver superato i mille entro la fine dell'anno. Sia in Arabia Saudita sia in Iran, inoltre, si può essere giustiziati per crimini commessi da minorenni. Si ritiene comunque che il Paese con il più alto numero in assoluto di esecuzioni al mondo sia la Cina, anche se non esistono dati precisi in materia perché sono considerati segreto di Stato. In Arabia Saudita, dove spesso le esecuzioni avvengono tramite decapitazione e in pubblico, i reati più comuni per i quali si è condannati a morte sono l'omicidio, il traffico di stupefacenti e lo stupro. In teoria la pena capitale è prevista anche per l'adulterio e l'apostasia, anche se in questi casi viene applicata di rado. La medesima situazione si registra in Iran, dove è prevista la condanna a morte anche per l'omosessualità e le esecuzioni avvengono per impiccagione. Nessuno Tocchi Caino teme che il 2016 vedrà un'ulteriore "escalation nella pratica della pena di morte" in Arabia Saudita in nome della "guerra al terrorismo", dopo che Riad "si è posta alla testa della Grande Coalizione anti-Stato Islamico".
Siria, Iraq, Yemen. Sono almeno tre i conflitti in corso nella regione mediorientale che vedono contrapposti l'Iran e l'Arabia Saudita: il primo bastione dell'Islam sciita, il secondo di quello sunnita. Ma le tensioni confessionali esplose alla luce del sole con l'esecuzione a Riad dello Sheikh sciita Nimr al Nimr nascondono un'antica guerra tra arabi e persiani per la supremazia nella regione.

"Il nostro popolo non deve trasformare la lotta in una questione settaria", ha detto oggi Seyed Hassan Nasrallah, capo del movimento sciita libanese Hezbollah, alleato di Teheran. Da parte sua, ieri, il portavoce del ministero della Giustizia saudita, Mansur al Qufari, ha negato ogni discriminazione confessionale nel processo che ha portato alla condanna di Al Nimr.

Lo scontro parte dall'Iraq, il Paese che nel 1980, ai tempi del regime di Saddam Hussein, attaccò l'Iran dell'ayatollah Khomeini in quella che molti a Teheran videro come una seconda invasione araba dopo quella del VII secolo.

Proprio il ricompattarsi del Paese contro questa minaccia consentì al nuovo regime, insediatosi solo da un anno e mezzo, di consolidare la sua presa sul potere. E a partire dal 2003, grazie all'attacco anglo-americano che abbatté il regime di Saddam, l'Iran ha guadagnato una forte influenza nel Paese vicino, grazie alla vicinanza con i nuovi governi sciiti a Baghdad e l'istituzione di forze paramilitari sciite coordinate da Teheran. In questo modo, grazie a George W. Bush, la Repubblica islamica è stata in grado di realizzare un sogno secolare, quello di stabilire una continuità geografica tra forze sciite sue alleate dal proprio territorio fino al Libano, attraverso l'Iraq e la Siria. Uno scenario che non può che inquietare lo schieramento a guida saudita e nel quale sono nate le guerre che stanno sconvolgendo la regione.

L'ambivalenza è il sentimento dominante per ogni iraniano, anche il musulmano più convinto, nei confronti delle circostanze che portarono alla diffusione della religione di Maometto in Persia. La fede si contrappone al risentimento verso gli arabi invasori che nel VII secolo dopo Cristo diffusero il nuovo credo con le armi. La fede portata dagli invasori e l'orgoglio nazionale ispirato agli antichi fasti imperiali trovano una sintesi ideale nello Sciismo, la corrente minoritaria dell'Islam diventata religione ufficiale in Iran dal XVI secolo con l'impero dei Safavidi, in contrapposizione al Sunnismo dei Paesi arabi e degli Ottomani turchi. Proprio Arabia Saudita e Turchia sono oggi i primi nemici dell'Iran in Siria, dove Teheran sostiene le forze lealiste con un nutrito schieramento di consiglieri militari appartenenti ai Guardiani della rivoluzione e spende miliardi di dollari all'anno per sostenere il governo del presidente Bashar al Assad. Mentre Riad e Ankara appoggiano gruppi ribelli fondamentalisti.

Dopo l'ascesa al trono del re Salman in sostituzione di Abdullah, nel gennaio scorso, Riad ha inaugurato una politica più aggressiva, dando il via a partire da marzo anche ad una campagna militare in Yemen contro i ribelli sciiti Houthi alleati dell'Iran. Il 'nuovo corso' saudita sembra una risposta alla politica dell'amministrazione americana del presidente Barack Obama, che dopo un accordo sul programma nucleare iraniano firmato nel luglio scorso, sta lavorando ad un riavvicinamento a Teheran contro il jihadismo sunnita, in particolare quello dell'Isis.

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