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Sorelle mie, svegliamoci!

Dobbiamo far sentire la nostra voce!

È un appello accorato che vi rivolgo, non per finalità personali, ma per il bene di tutte quante noi.

È un appello alla vostra intelligenza, in un momento difficile della realtà sociale e politica in cui viviamo.

Noi donne, non abbiamo bisogno di “quote rosa”, ma di far valere le nostre “quotazioni” come persone, a livello nazionale e internazionale.

Per millenni siamo state in silenzio e abbiamo lasciato fare ai nostri uomini.

Adesso il vento è cambiato e non possiamo far finta di niente.

Ci hanno fatto credere che eravamo deboli, invece noi siamo una forza.

Ci hanno detto che la politica era “cosa” da maschi e che noi non dovevamo metterci il “becco”.

Ci siamo rassegnate? No!

Abbiamo lottato e ci siamo conquistate il nostro posto nella società, nella cultura e in tutti quei settori dai quali eravamo state escluse.

Noi siamo più della metà della popolazione umana.

Abbiamo sempre lavorato in casa e fuori casa.

Abbiamo cresciuto figli e nipoti.

Chi meglio di noi conosce la fatica di far quadrare il bilancio della famiglia per portare, sempre e comunque, un piatto in tavola?

Tutto questo non è una novità per nessuna di voi.

Ve lo volevo semplicemente ricordare.

Perché?

Ebbene sì, perché adesso c’è più che mai bisogno di noi, del nostro intuito, della nostra saggezza e del nostro cuore.

Non possiamo chiamarci fuori.

Non possiamo permetterci di essere sfiduciate, scoraggiate e pessimiste.

In tante avevamo creduto e sperato che i governi di Silvio Berlusconi avessero potuto attuare nel 2006 quelle stesse riforme che oggi vengono proposte al Parlamento a distanza di otto anni. Nei programmi del “Popolo della Libertà” c’erano già tutte ma chi le aveva impedite allora tenta tuttora di sabotarle.

Siamo rimaste male? Oh, sì!

Ci siamo allora trincerate nelle nostre delusioni, pensando che era tutto inutile e che non avremmo mai potuto cambiare il corso degli eventi.

Avevamo ragione di temere fin tanto che una vecchia classe politica, di sinistre memorie, avrebbe ostacolato la novità delle nostre scelte.

Hanno inventato gioiose “macchine da guerra” per demolire, accusare, demonizzare, condannare il nostro leader. Lo avevano chiamato “giaguaro” e lo volevano “smacchiare”, mentre lui era un leone.

I “giaguari” stavano, infatti, dall’altra parte della barricata, abbarbicati da decenni sulle loro poltrone, ma non si erano guardati allo specchio nel timore di riconoscersi.

Gli hanno rovesciato contro un mare di fango nella speranza di seppellirlo, reo solo di ostacolare la loro presa di potere. L’hanno insultato, umiliato e fatto soffrire in mille modi.

Hanno insultato, umiliato e fatto soffrire anche noi che gli avevamo dato fiducia e l’avevamo votato.

Quante tra noi, donne, gli abbiamo girato la faccia per non vedere il suo volto, quando un folle, istigato da altri, glielo aveva insanguinato?

Alcune poi, aspiranti “veline”, si sono fatte comprare e gliele hanno cantate e suonate di tutti i colori.

Ci siamo vergognate? Sì, di noi stesse.

Le abbiamo credute?

Tutto poteva essere e il contrario di tutto, ma, come spesso accade, abbiamo alzato la mano per scagliare la prima pietra.

Chi tra noi era ed è senza colpa?

Cerchiamo di non ripetere, oggi, lo stesso errore quando saremo chiamate a decidere per l’Europa.

Qualcuna penserà magari che l’Europa è lontana e che abbiamo ben altre cose di cui preoccuparci.

Invece no!

Sarebbe letteralmente drammatico se ascoltassimo i “vaffan” di chi ci vuole far uscire dalla Comunità e dall’Euro.

L’inflazione polverizzerebbe in poco tempo i nostri sudati risparmi e i prezzi dei beni di consumo sulla nostra lista spesa si gonfierebbero a dismisura, unitamente alle bollette dell’energia comprata all’estero.

Ma c’è molto di più in gioco.

Il Mediterraneo è già pieno di barconi e di altri pericoli molto, ma molto, più insidiosi!

In un mondo globalizzato, l’Italia non può permettersi il lusso d’isolarsi.

È facile far leva sulle nostre insoddisfazioni e predicare rimedi salvifici che tali non sono affatto.

Dobbiamo fare attenzione e ragionare prima di lasciarci coinvolgere con leggerezza in avventure politiche che non portano da nessuna parte.

I canti delle Sirene lasciamoli all’Ulisse di turno che, magari, recita commedie e predica tragedie.

Purtroppo c’è tanta negatività che sobilla le piazze.

Noi siamo invece positive e creative.

Non facciamoci turlupinare!

Papa Francesco ha reso omaggio alle donne perché loro videro per prime Gesù risorto.

La nostra testimonianza, anche quando non valeva nulla nella Storia antica, è stata tramandata dai Vangeli.

Dentro la Chiesa e fuori dalla Chiesa siamo sempre noi donne, nonne, madri, figlie, spose o sorelle, a fare la differenza.

Nel mio piccolo, vi ho semplicemente fatto sentire la mia voce.

Non vi voglio convincere di alcunché, perché rispetto la vostra libertà, come la mia.

Desidero solo pregarvi di riflettere bene sulle finalità dei partiti che scegliete nel segreto delle urne.

Andate caute!

Pensate con la vostra testa!

Approfondite le cose e, soprattutto, leggete i programmi dei vari schieramenti.

Non possiamo permetterci di essere superficiali!

Non lasciatevi convincere dalle chiacchiere.

L’Europa siamo noi!

A ragion veduta, io ho deciso. Voterò sempre Berlusconi perché mi fido della sua geniale lungimiranza politica.

E voi?

 

Ogni riferimento a persone, partiti, movimenti o Istituzioni è di pura invenzione.

Vi voglio raccontare una favola

che si ascolta meglio a tavola

sorseggiando un bicchiere di vino

con la vicina … o con il vicino …

 

C’era una volta in un bel paese

un piccolo villaggio alle prese

con vicende molto serie

accadute in un grande prato

da tempo abbandonato

alle intemperie.

I rumori, provenienti dal prato,

avevano molto allarmato

l’intero vicinato.

Fu quindi convocato il sindacato

per deliberare sul fatto,

ma nessuno seppe dire

come fare per zittire

i “vaffan” di una tribù di grilli

i cui continui e snervanti strilli,

soprattutto nel mese di maggio,

tenevano sveglio tutto il villaggio.

Difficile capire, infatti,

da dove e come erano nati

e da chi fossero mandati.

Organizzati in movimento

davano il tormento

al Parlamento

del villaggio

accusato di brigantaggio.

Riuniti per deliberare

e per appurare

come screditare l’Istituzione,

con una dura opposizione,

fu deciso, seduta stante,

che il “grillo parlante”,

era solo UNO

capace, come nessuno,

di fare tabula rasa

e mandare tutti a casa.

La sua missione?

era la non collaborazione,

e, come esito finale,

a livello nazionale

e internazionale,

fare la festa

a chi non avesse grilli in testa.

Nel nostro famoso prato

fu subito organizzato

un dibattito infocato

tra le opposte tifoserie

di due partigianerie.

C’era chi diceva:

«l’essere grillo è bello!»

e chi ne faceva

un proprio zimbello.

 

Il capo grillo s’infuriò e disse:

vorrei che la commedia finisse.

I detrattori delle idee grilline

devono fare una brutta fine”.

Il grillo padrone,

ispirato “capobastone”,

pur senza mandato popolare

si dichiarò la stella polare,

aconfessionale

e pluridimensionale.

della democrazia digitale.

E fu così che diventarono tanti,

i “grillo” simpatizzanti.

Negli spazi siderali,

i grilli, avendo le ali,

non temevano rivali.

Ma era per mare

che vollero andare

a navigare e a pescare.

Cosa presero nella rete?

granchi, cefali e trigliette.

I candidati esperti e navigati

non furono tra i più votati.

Invece, le mezze calzette

risultarono politicamente corrette.

Anche se il grillo, per natura

e morfologica struttura,

malgrado i suoi grandi progetti,

nel regno degli insetti,

sia poco più di un pigmeo,

il lancio di un “grillo europeo

sembrò a molti la soluzione

per infestare la Comunione.

 

Il villaggio era rinomato

per aver sempre esportato

ottime merci in tutto il mondo,

ma nessuno si aspettava, in fondo,

che tra tanti pregiati oggetti

avrebbe esportato anche gli insetti!

Pensate gente, pensate,

quando votate:

il grillo è un animale strano

buono soprattutto a far baccano.

 

 

Firmato

«Un moscherino»

Caro Silvio,

Mezzo secolo fa ti avrei scritto una lettera molto più affettuosa, ma allora tu facevi sentire la tua bella voce ai crocieristi e io pagavo ancora il mutuo di casa. Ecco perché oggi ho scelto la formula della “lettera aperta” che, pur essendo rivolta ad un unico destinatario, riguarda fatti e problemi di un più diffuso interesse.

Le “lettere aperte” propongono, infatti, una lettura dei segni dei tempi in una chiave storica razionale, al fine d’individuare nel passato quei semi che portavano già in grembo l’avvenire.

Il coraggio che ha sempre contraddistinto il tuo pensiero è stato visto e compreso da molti, e da chi ti scrive, nonostante le mistificazioni giornalistiche di una certa stampa.

Nel passaggio dal Secondo al Terzo millennio, molte ombre pesano ancora sulla storia politica dell’Italia. Di certo non saranno mai diradate da quei “mostri sacri” a cui le lottizzazioni della Prima Repubblica ha conferito fin troppo credito.

Nel mio piccolo, vorrei comunque tentare di gettare uno sguardo retrospettivo sulla tua figura di leader.

So bene che è tanto il mio ardire.

Tu sei stato e sei tuttora un Grande; io, invece, un metro e cinquantotto in altezza! È poco, lo so, ma sono una donna e so che le donne ti stanno a cuore; il che, per me, è un punto a tuo favore.

Eppure, nel frattempo mi sono un po’ distratta e, come tanti altri, ho preferito il silenzio.

Beh, ho sbagliato e sono pentita.

Sarai “decaduto” da qualche parte, ma in cambio sei cresciuto nella mia stima e di tutte quelle persone, che, come me, talvolta si scoraggiano, ma poi ci ripensano.

Di un uomo come te, caro Silvio, scrive la Storia, e se gli capita malauguratamente di “cadere” si rialza come tu hai sempre fatto dando un ottimo esempio.

Questo è il motivo principale che mi ha convinto a rompere il silenzio.

Forse bisogna prima dimenticare per poter poi ricordare ciò che eravamo e ciò che siamo.

Il primo ricordo che affiora alla mia mente riguarda la volta che ti ho visto, durante una convention di “Forza Italia”, a Napoli, nella primavera di 1994. Mi trovavo alla Mostra d’Oltre Mare in mezzo ad una folla oceanica, assieme ad alcune mie amiche giornaliste. Quando hai cominciato a parlare è accaduto l’incredibile! Le mie amiche, chiacchierone impenitenti, sono rimaste zitte per un’ora ad ascoltarti, mentre io pensavo tra me: “ecco il siluro che affonderà la Prima Repubblica». Non mi sbagliavo affatto.

Il tuo programma era davvero una “favola”, e io di favole me ne intendo, perché di tanto in tanto ne scrivo una. A quel tempo, qualcuno affermava che facevi “sognare” la gente.

Le favole, come i miti, sono messaggi di speranza per un futuro migliore e rimangono scolpite nella coscienza collettiva.

Tu dicevi, invece, pane al pane e vino al vino. Avevi il carisma di un vero leader, e tuttora non ti manca, ma credo che tu, caro Silvio, sia stato sempre, in realtà, un pragmatico, un “ingegnere dell’organizzazione”.

I Club di Forza Italia, fin dal loro sorgere, hanno rappresentato il modello organizzativo di un Partito strutturato. Per curiosità giornalistica, ho studiato anch’io qualcuno dei Club della prima ora, ma poiché non avevo nulla da chiederti, ho smesso di frequentarli. In cuor mio avrei forse preferito una formula intermedia trascajolianie publitalisti, ovvero circoli formati da tre o quattro “Amici di Silvio” alla pari, con nomi suggestivi o buffi e senza oneri di sorta. Previa una buona visibilità mediatica, ognuno di questi “Amici” avrebbe potuto dar vita a un altro circolo di tre o quattro componenti e così via, ingenerando una rete del tipo: “catena di Sant’Antonio”, estesa in modo capillare sul territorio. Forse questa formula non t’avrebbe convinto, anche perché non credo che tu abbia una grande dimestichezza con i Santi.

Beh, non importa. Siamo tutti peccatori.

Sono però sicura che sarebbe piaciuta ai giovani che ti seguono in tanti. Purtroppo, in amore e nell’amicizia, non sempre si ha fortuna e mi pare che nemmeno tu sia ben messo in questo settore.

Secondo la saggezza popolare, non tutto il male viene per nuocere, e credo fermamente che dal male che ti è stato fatto ti verrà anche del bene.

La gente vede, pensa e valuta nel segreto delle urne.

I tempi storici sono lunghi, ma talvolta risolvono problemi apparentemente irrisolvibili.

Pochi mesi fa, nessuno, nella palude della sinistra, sembrava avere il coraggio di tagliare i rami secchi in casa propria e di fare il salto nell’era post ideologica. Invece il ribaltamento si è verificato. Ciò che a Berlusconi i cosiddetti “parrucconi” non hanno permesso di fare nel 2006, oggi diventa attuabile grazie all’opposizione costruttiva di Forza Italia.

Quel passo indietro che hai fatto nel 2011 è stato a misura di un vero Statista. Hai dato tempo al tempo, rendendo possibile un riassetto generale delle forze politiche in campo.

A rifletterci bene, potrei formulare l’ipotesi che uno dei motivi principali della distrazione di alcuni milioni tra i vecchi elettori dall’ex “Popolo della Libertà”, sia da addebitarsi, nell’ultima tornata elettorale, alla difficoltà di riconoscersi in un partito in cui tutti erano tutto.

La nascita delle coalizioni attuali dei Moderati di destra ha permesso il disegno di un’architettura più interessante perfino del Beaubourg di Parigi. Finalmente, ora, si vede chiaramente, guardando dal di fuori, ciò che si trova nell’edificio. E vi sono proposte e programmi in abbondanza per tutti i palati.

Il cammino verso la Terza Repubblica resta tuttavia ancora disseminato d’insidie.

Non ho nessun dubbio che tu sia stato e che sei tuttora “l’uomo della Provvidenza”.

Nei momenti più tragici della Storia di questo Paese ci sono sempre state grandi personalità politiche in grado di fronteggiarli.

Non ti ho scritto questa lettera aperta per osannarti, ma per dare merito al merito.

Ahimè, “MERITO”, parola magica che ha così poco corso e che la Storia riconosce solo a posteriori!

Ho deciso di scriverti semplicemente pensando che potrebbe esserti utile sentire l’opinione di qualcuno fuori dal coro.

Vorrei solo aggiungere un’ultima cosa, nello stile della lettera che non ti ho mai scritto. Tu sei un combattente e lo sarai fino al tuo ultimo respiro. È in questa ottica che ti prego di guardare alle vicende che tanto ti amareggiano.

Ad ogni buon conto, se il 10 Aprile decideranno d’inviarti ai “servizi sociali”, io sarei disposta a venire a darti una mano. Sai, noi donne, siamo brave a “fare i servizi”, anche a settant’anni.

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