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La Cassazione ha respinto il ricorso della Fininvest contro la Cir per il risarcimento del Lodo Mondadori, che rimane confermato con un ritocco al ribasso, un taglio di circa 23 milioni di euro sulla cifra liquidata dai giudici e pari a 564,2 milioni di euro. Lo scrive la Cassazione.
In particolare, la Suprema Corte, nella decisione appena depositata dalla terza sezione civile e relativa all'udienza svoltasi lo scorso giugno, ha accolto solo, e in parte, uno dei motivi della difesa Fininvest, il reclamo sull'eccessiva valutazione delle azioni del gruppo L'Espresso. Sul punto i supremi giudici hanno "cassato senza rinvio il capo della sentenza di appello contenente la liquidazione del danno in via equitativa, come stimata nella misura del 15% del danno patrimoniale già liquidato".
Con la sentenza di oggi la Cassazione ha messo la parola fine a una partita aperta più di vent'anni fa con al centro la cosiddetta 'Guerra di Segrate', ossia lo scontro, avvenuto tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti per assicurarsi il controllo di uno dei maggiori gruppi editoriali italiani, soprattutto dopo che nel 1989 la Mondadori aveva acquistato l'Editoriale L'Espresso e il controllo di Repubblica, di una catena di quotidiani locali e di importanti settimanali come Panorama, L'Espresso, Epoca. Il lodo arbitrale sul contratto Cir-Formenton è del 20 giugno 1990. La decisione fu presa dai tre arbitri, Carlo Maria Pratis (Presidente), Natalino Irti (per Cir) e Pietro Rescigno (per la famiglia Formenton), incaricati di dirimere la controversia tra De Benedetti e Formenton per la vendita alla Cir della quota di controllo della Mondadori, promessa a De Benedetti e poi venduta all'asse Silvio Berlusconi/Leonardo Mondadori. Il lodo era favorevole alla Cir e dava a De Benedetti il controllo del 50,3% del capitale ordinario Mondadori e del 79% delle privilegiate. Berlusconi perse la presidenza, da poco conquistata, e al suo posto si insediò il commercialista Giacinto Spizzico, uno dei quattro consiglieri espressi dal Tribunale come gestore delle azioni contestate. Nel luglio del '90 la famiglia Formenton fece ricorso. Il 24 gennaio 1991, la Corte d'Appello di Roma, presieduta da Arnaldo Valente e composta dai magistrati Vittorio Metta e Giovanni Paolini, dichiarò che, dato che una parte dei patti dell'accordo del 1988 tra i Formenton e la Cir era in contrasto con la disciplina delle società per azioni, era da considerarsi nullo l'intero accordo e, quindi, anche il lodo arbitrale. La Mondadori sembrò così tornare nelle mani di Berlusconi. Dopo alterne vicende di carattere legale e dopo l'approvazione della legge Mammì, nell'aprile 1991, con la mediazione di Giuseppe Ciarrapico, Fininvest e Cir-De Benedetti raggiunsero un accordo: la transazione in sostanza attribuì la casa editrice Mondadori, Panorama ed Epoca alla Fininvest di Berlusconi, che ricevette anche 365 miliardi di conguaglio, mentre il quotidiano La Repubblica, il settimanale l'Espresso e alcune testate locali a Cir-De Benedetti. Questa transazione è al centro del risarcimento chiesto in sede civile (complessivamente un miliardo) dalla holding della famiglia De Benedetti alla luce della sentenza penale con cui nel 2007 il giudice Vittorio Metta, l'avvocato di Fininvest Cesare Previti e gli altri due legali Giovanni Acampora e Attilio Pacifico sono stati condannati definitivamente per corruzione in atti giudiziari. La Cassazione sei anni fa aveva confermato l'ipotesi delle indagini avviate dalla Procura di Milano: la sentenza del 1991 della Corte d' Appello di Roma sfavorevole a De Benedetti fu in realtà comprata corrompendo il giudice estensore Metta con 400 milioni provenienti da Fininvest. Tesi quest'ultima contestata dalla società di Berlusconi secondo la quale dei tre giudici che annullarono il Lodo Mondadori nel 1991 due ''avevano condiviso'' la sentenza di annullamento ''in piena autonomia''. In primo grado il giudice civile Raimondo Mesiano, il 3 ottobre 2009, aveva condannato Fininvest a versare alla controparte quasi 750 milioni di euro per danni patrimoniali ''da perdita di chance'' per un ''giudizio imparziale''. Il 9 luglio 2011 la conferma della condanna da parte della Corte d'Appello di Milano che aveva però ridotto l'entità del risarcimento a 564,2 milioni di euro. Oggi la Suprema Corte ha confermato la condanna di due anni fa con ancora un lieve ritocco al risarcimento: circa 23 milioni in meno

La valutazione complessiva" degli "elementi ed argomenti di prova, condotta ai soli fini civilistici, di ricondurre alla societa' Fininvest la responsabilità del fatto corruttivo imputabile anche al dott. Berlusconi", risulta "correttamente motivata" scrive la Cassazione nella sentenza sul Lodo. La Suprema Corte sottolinea inoltre che la vicenda penale del Lodo Mondadori si è ormai "irrevocabilmente" conclusa per Silvio Berlusconi, che è stato prosciolto per prescrizione.

E la cifra poteva essere pari al doppio se la Suprema Corte non avesse deciso di dimezzarle per ''la complessità e la novità delle questioni trattate (che emergono anche dalla operata correzione della motivazione della sentenza di appello) e l'accoglimento di uno dei 15 motivi di ricorso'' della Fininvest. Queste le ragioni che hanno indotto il collegio a disporre ''la compensazione per la metà'' delle spese del giudizio liquidando a Cir ''la somma di euro 900.200''. Il verdetto è firmato dal presidente del collegio della Terza sezione civile, Francesco Trifone, e dal consigliere Giacomo Travaglino. L'udienza si era svolta lo scorso 27 giugno

"Prendo atto con soddisfazione che dopo più di 20 anni viene definitivamente acclarata la gravità dello scippo che la CIR subì a seguito della accertata corruzione di un giudice da parte della Fininvest di Berlusconi, il quale, a quel tempo, era ancora ben lontano dall'impegnarsi in politica". Lo afferma Carlo De Benedetti. "La spartizione del Gruppo Mondadori-Espresso - sottolinea De Benedetti - avvenne a condizioni per me molto sfavorevoli per un grave motivo che all'epoca nessuno conosceva. Ci sono voluti sei gradi di giudizio, tre penali e tre civili, per arrivare a questa inappellabile decisione". "La cifra definita - aggiunge - è importante, ma occorre tener conto che essa è composta per meno di un terzo dal danno riconosciuto e per più dei due terzi dal semplice meccanismo di interessi e inflazione dovuto ai vent'anni trascorsi. Questo percorso l'ho compiuto in solitaria e desidero ringraziare gli avvocati e i consulenti che a suo tempo ho scelto per la collaborazione che mi hanno sempre fornito. Questa cifra - prosegue De Benedetti - è destinata alla CIR e non a me, neanche indirettamente, avendo recentemente donato ai miei tre figli il controllo del Gruppo". "A me - conclude - rimane la grande amarezza di essere stato impedito, attraverso la corruzione, di sviluppare quel grande gruppo editoriale che avevo progettato e realizzato. Avrò modo di ritornare sull'argomento"

E' "corretta", ad avviso della Cassazione, la "conclusione in diritto" cui è arrivata la corte d'appello", alla luce della quale "l'avvocato Previti doveva ritenersi organicamente inserito nella struttura aziendale" della Fininvest "e non occasionalmente investito di incarichi legali conseguenti alle incombenze demandategli". Tra queste rientravano "anche l'attività di corruzione di alcuni magistrati, allo scopo di conseguire illeciti vantaggi" per la Fininvest. Questi alcuni dei passaggi che la Suprema Corte nella decisione sul Lodo dedica nel 'capitolo' sulla "responsabilità di Fininvest per l'illecito di Previti ex art.2049 Cc". In proposito, i supremi giudici bocciano come inconferente la tesi della difesa Fininvest sulla "pretesa impredicabilità del necessario rischio tipico connaturato al conferimento di incarichi legali, con riferimento all'attività di corruzione", in quanto - prosegue il verdetto della terza sezione civile - "ben altro" è risultato "il rischio tipico cui volontariamente e consapevolmente" Previti "si era andato esponendo nello svolgere tale illecita attività, nell'evidente e non dubitabile interesse della Fininvest".

La prova dell'ingiustizia 'ex corrupto' della sentenza Metta non può non trarre un suo primo fondamento da una 'praesumptio facti' secondo la quale la corruzione di un giudice finalizzata all'emanazione di una sentenza favorevole al corruttore postula che un giudice non corrotto avrebbe pronunciato una sentenza (non corrotta) di segno opposto a quella emanata". Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni sul Lodo "ad integrazione" del verdetto di secondo grado che ha condannato Fininvest.

La corruzione da parte della Fininvest del giudice romano Vittorio Metta, nella vicenda del Lodo Mondadori, ha privato la Cir di Carlo De Benedetti "non tanto della chance di una sentenza favorevole, ma, senz'altro, della sentenza favorevole, nel senso che, con Metta non corrotto, l'impugnazione del Lodo sarebbe stata respinta". Lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni sul Lodo, aggiungendo che questa tesi, già espressa nella sentenza di appello, "risulta conforme a diritto" .

La sentenza della Cassazione conferma che nessuno in Italia può sentirsi più al sicuro: nessuno può sentirsi sicuro della propria libertà personale, sicuro dei propri beni, sicuro dei propri diritti". Lo dice il coordinatore del Pdl Sandro Bondi commentando la cassazione che ha respinto il ricorso Fininvest sul lodo Mondadori.

la sentenza della Corte di Cassazione sul lodo Mondadori conferma che contro Silvio Berlusconi è in atto un vero e proprio attacco concentrico. Un'operazione di accerchiamento che, dopo la sentenza Mediaset e la conseguente interdizione, mira a colpirlo anche da un punto di vista patrimoniale''. Lo dice il presidente dei senatori del Pdl, Renato Schifani che sottolinea come ''chi ha condiviso le battaglie politiche con il presidente Berlusconi, e i milioni di italiani che continuano a sostenerlo nelle urne, sanno però qual è la verità''. ''Al di là di valutazioni processuali che pagano il prezzo del pregiudizio'' conclude Schifani.

Con una ormai ricorrente chirurgica tempestività, a ventiquattrore da un delicatissimo dibattito parlamentare sulla discutibile applicabilità della legge Severino al senatore Berlusconi, la magistratura colpisce ancora. Ed emana una sentenza in cui traveste di certezza quelle che erano e rimangono delle congetture". Lo afferma Renato Brunetta, presidente dei deputati del Pdl. "Se qualcuno avesse avuto bisogno di un'ulteriore conferma della necessità di una riforma radicale della giustizia, oggi non può avere più dubbi. La domanda è sempre la stessa: perché i magistrati sono gli unici cittadini a non essere mai responsabili dei propri atti?", conclude.

Segna il passo il Cavaliere. E come un plotone che continua a marciare sul posto in attesa dell'alt o dell'ordine di riprendere l'avanzata, anche Silvio Berlusconi è incerto e per nulla deciso sul da farsi
La Giunta per l'immunita' del Senato ha accolto all'unanimità la proposta del presidente Dario Stefano di votare mercoledì sera. Questo è il calendario dei lavori: lunedì, dalle 15 alle 20; martedì, dalle 9 alle 14; mercoledì, dalle 20.30 in poi dichiarazioni di voto e voto.

Sul fronte del Pd, Massimo D'Alema dice: 'Mi meraviglia il Pdl che per Berlusconi chiede una soluzione politica. Lasciamola fuori, perché la legge è legge e si deve applicare'.

Sul lato opposto, il ministro Quagliariello osserva: 'Sembra quasi che in giunta si stia facendo una corrida; ho paura che lavorino perché rimanga tutto tale e quale'.

E Maurizio Gasparri accusa: 'Una parte del Pd ha avvelenato il clima per far cadere il governo Letta'.

Sul tavolo del PDL e di Berlusconi ci sono ancora tutte le ipotesi, come quella di staccare la spina al governo (perché in effetti sarebbe insostenibile restare nella stessa maggioranza con chi ti ha appena fatto decadere da senatore con un voto dell'aula) e sperare in elezioni anticipate con una campagna elettorale incentrata sulla giustizia. Sarà un caso, ma ieri nella nuova sede del partito in piazza in Lucina hanno iniziato a sventolare dai balconi (anche sul lato via del Corso) le bandiere di Forza Italia. Resta in piedi, però, anche la trattativa per una soluzione meno dura. Che magari potrebbe passare per la grazia o per un Berlusconi che decide di dimettersi prima del voto dell'aula così dal disinnescare la miccia.

A quel punto, il Cavaliere resterebbe sulla scena come leader del centrodestra alla Beppe Grillo, guiderebbe cioè il partito da fuori il Parlamento. Più probabilmente affidato ai servizi sociali più che agli arresti domiciliari. Sembra che l'ex premier propenda infatti più per la prima soluzione, che gli permetterebbe anche di avere una certa «agibilità politica». Se invece la scelta dovesse alla fine cadere sui domiciliari con ogni probabilità chiederebbe di trascorrerli ad Arcore.

Per Berlusconi la partita è complicata e ogni soluzione si porta dietro pro e contro. Con una certezza: difficilmente la questione potrà essere risolta definitivamente, perché sul tavolo non c'è solo il voto sulla sua decadenza da senatore ma pure la riformulazione delle pene accessorie della Corte d'appello e, guardando ancora più avanti, gli altri processi che sono in piedi (tra cui quello Ruby già in appello). Insomma, difficile pensare ad una soluzione definitiva.

Ecco perché il Cavaliere temporeggia, perché pur essendo più tentato dallo strappo che dalla trattativa lascia che gli ambasciatori – con il Pd e con il Colle – facciano il loro lavoro. «Presidente, è arrivato il momento di prendere una decisione», lo invitava ieri più di un interlocutore. Ma Berlusconi continua a frenare, ad evitare lo show down. E il massimo che gli riescono a strappare i colonnelli del Pdl che hanno occasione di sentirlo al telefono è la promessa che «entro pochi giorni scioglierà gli indugi». Per il momento, però, continua ad «aspettare un segnale», in particolare dal Colle. Un attesa che non dovrebbe durare più di qualche giorno, al massimo fino a quando la prossima settimana la Giunta per le elezioni del Senato si pronuncerà sulla relazione del senatore Andrea Augello. Allora, se il voto fosse compatto e contrario come probabilmente sarà, si dovranno tirare le somme. E decidere il da farsi.

 

''Il Pd evidentemente si è accorto di aver sbagliato, l'accelerazione era sbagliata. Pensare la decadenza del senatore Berlusconi in 24 ore era follia pura. Evidentemente qualcuno se ne è accorto e qualcuno ha frenato il Partito democratico. Penso, molto probabilmente, anche se non lo so con esattezza, il Colle più alto''. Così Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, in un'intervista a 'Radio Anch'io', su Radio Uno. ''Il Partito democratico - sottolinea l'ex ministro - ha fatto marcia indietro e si è diffuso un po' di buon senso, solo un po' di buon senso. Loro insistono a dire, senza se e senza ma, che la decadenza debba essere decisa e al più presto. E sul più presto sono anche d'accordo, perché questa incertezza deve finire. Noi siamo dell'avviso che l'applicazione della legge Severino sia incostituzionale - spiega - che non si può applicare la legge Severino in forma retroattiva, e chiediamo che sia la Corte Costituzionale oppure la Corte del Lussemburgo a decidere. Metà Paese la pensa così, metà dei costituzionalisti la pensano così, i dubbi sono chiarissimi da questo punto di vista''. ''Non capisco - conclude - perché il Pd, alleato di maggioranza, insista in questa posizione se non per ragioni politiche''.

Dopo l'intesa raggiunta ieri sulla procedura da seguire per il caso Berlusconi, oggi invece non si raggiunge l'unanimità nella decisione sul calendario dei lavori che dovrebbe seguire la Giunta del Senato. "In assenza dell'unanimità - spiega Stefania Pezzopane (Pd) - dovrà essere domani il presidente a proporre il calendario".

All'inizio della seduta dell'Ufficio di presidenza della Giunta per le Immunità del Senato, il vicepresidente Giacomo Caliendo (Pdl), aveva proposto di arrivare ad un voto tra due settimane. Poi il Pdl aveva provato a correggere il tiro ipotizzando un voto entro venerdì della prossima settimana. Ma ormai le posizioni di Pd e Movimento 5 stelle, dopo l'iniziale presa di posizione di Caliendo, si erano irrigidite. Così è stato difficile riuscire ad arrivare ad una decisione unanime. I senatori grillini, infatti, proponevano di far lavorare la Giunta, se necessario, anche il finesettimana pur di arrivare ad un voto nei tempi più rapidi possibili. L'intenzione del Pd, invece, era quella di chiudere il capitolo 'relazione Augello' entro lunedì, al massimo martedì mattina. In questa situazione, dopo due ore di discussione, si è preferito affidare la decisione di fissare un calendario dei lavori al presidente della Giunta Dario Stefano. Sarà lui, infatti, domani, in apertura della seduta fissata per le 15, ad avanzare una proposta ''di mediazione''. Il socialista Enrico Buemi ha lasciato in anticipo l'Ufficio di presidenza per protestare contro ''l'atteggiamento del Pd che probabilmente vuol far cadere, con quest'atteggiamento, il governo Letta''. ''Questa posizione di Buemi è kafkiana, ridicola e pretestuosa'', commenta il vicepresidente della Giunta Stefania Pezzopane. ''Soprattutto - osserva - perché lui non ha fatto nessuna di queste dichiarazioni in Ufficio di presidenza, ma solo a voi della stampa, e poi perché provengono da un uomo eletto nel Pd''.

Il senatore del Psi Enrico Buemi ha abbandonato per protesta i lavori dell'Ufficio di presidenza della Giunta che doveva decidere il calendario dei lavori sul caso Berlusconi. "Il clima si è di nuovo avvelenato - dice - il Pd vuol far cadere il governo. Non si possono accettare dei diktat sul calendario dei lavori come quelli che stanno arrivando dal centrosinistra".

'Domani, in apertura di seduta, cercherò di fare una proposta di mediazione che ottenga il via libera dalla più ampia maggioranza. Le posizioni non sono distantissime, pertanto penso che si possa arrivare per domani ad una decisione condivisa''. E' quanto afferma il presidente della Giunta Dario Stefano (Sel).

''Perché si è rotto nell'Ufficio di presidenza per un solo giorno di differenza? Sono posizioni che legittimamente sono state espresse. Non tocca a me commentare. Io posso praticarmi per trovare un'intesa che sia la più ampia possibile'', prosegue Stefano rispondendo alla domanda dei cronisti su come mai non si sia raggiunta l'unanimità in Giunta per le immunità visto che il Pdl chiedeva di votare giovedì prossimo, mentre il Pd, dopo aver proposto in un primo momento il voto per lunedì, si era dimostrato possibilista ad accogliere anche la proposta del mercoledì come giorno ultimo per arrivare ad una conclusione sulla proposta del relatore Augello di confermare la convalida di Berlusconi. ''L'intenzione di tutti è quella comunque di votare entro la prossima settimana - sottolinea Stefano - pertanto penso che ad un'intesa si possa ancora arrivare''.

La decisione presa in Giunta costituisce un precedente importante. Non era mai stata decisa una procedura del genere. E' stata accolta la nostra richiesta di individuarne una ad hoc per questo caso". Lo ha detto il relatore del caso Berlusconi in Giunta per le Immunità del Senato Andrea Augello. "Non lo speravo davvero che si sarebbe arrivati ad una decisione unanime su questa storia. Per quanto riguarda i tempi non sono ancora in grado di dire nulla perché dovranno essere ancora decisi dall'ufficio di presidenza - prosegue Augello - ma posso solo dire che essendo una questione del tutto particolare, tanto che richiede una procedura a sè, ci vorrà tutto il tempo che ci vorrà...". "Abbiamo ottenuto che prima si voti sulle questioni preliminari e poi sulla decadenza o meno di Berlusconi. Ognuno potrà esprimersi su ogni questione pregiudiziale e poi ci sta il voto complessivo. E' stata accolta, di fatto, la nostra richiesta e di questo siamo soddisfatti". Secondo Augello il clima in Giunta stasera "è stato molto più disteso e conciliante rispetto a quello di ieri"

E il coordinatore del Pdl Sandro Bondi: La prima condizione per salvare l'Italia è dire la verità. L'Italia sta precipitando verso il baratro, verso la catastrofe economica, politica e morale. Non è vero che l'economia sta migliorando e che si profilano i primi segni di una ripresa. E' vero il contrario: la ripresa è lontana e incerta, mentre nel frattempo tutti i dati dell'economia volgono al peggio con conseguenze sociali sempre più drammatiche. La politica è un deserto di leader, di idee, di onestà intellettuale e di lungimiranza. In questo deserto, l'unico potere che sopravvive è quello della magistratura, un potere senza controllo che è una delle cause principali dell'ingovernabilità e del degrado italiano. In questo contesto assistiamo alla farsa ridicola, grottesca e delirante di una condanna inflitta per un supposto illecito amministrativo all'unico imprenditore italiano che non ha fatto fortuna alle spalle dello Stato e della collettività, e dell'unico leader politico italiano che ha cercato di restituire dignità all'Italia". Lo dice il coordinatore del Pdl Sandro Bondi
Silvio Berlusconi ''non è un delinquente'': lo ha voluto ribadire all'ansa sua figlia Barbara Berlusconi commentando il momento del padre: ''La sua è una storia imprenditoriale e politica, non criminale''.

''Qualcuno cerca di rappresentare la storia di mio padre come quella di un criminale. Non è così - ha detto Barbara Berlusconi, interpellata dall ansa mentre usciva dalla sede del Milan - La sua è invece una storia imprenditoriale e politica. Si possono usare tanti aggettivi per descrivere Silvio Berlusconi, ma non quello di delinquente''.

Come presidente di un Parlamento, la sola cosa che posso dire è che in caso di giudizio e di perdita dell'immunità e di conseguenze legali di atti giuridici, un Parlamento non ha alternative". Lo dice Martin Schulz sul caso della decadenza di Berlusconi. "Non ci sono alternative all'applicazione delle leggi" aggiunge.

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