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Grazie a Vincenzo Chianese, Antonio Limongelli Cinzia delle Grotti e Bruna Martine che hanno contattato il Corriere del sud, dove cmi hanno spiegato una realta che non conoscevo...come mi spiega Vincenzo Chianese  parlando con il Corriere del Sud, "Siamo gli attuali  Commissari del “ruolo ad esaurimento” quegli investigatori specializzati che lo Stato selezionò accuratamente, mediante concorsi molto complessi ed addestrò ai massimi livelli - a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 - collocandoci sopra tutti gli allora sottufficiali - per dotare la Polizia di Stato di professionalità adeguate a fronteggiare efficacemente i fenomeni terroristici e la violenza mafiosa che in quegli anni erano giunti a minacciare addirittura la tenuta delle Istituzioni democratiche". E lo dimostrano le lettere al Presidente del Consiglio Conte, al Ministro del Interno Lamorgese, al Ministro della Difesa Guerini e al Capo della Polizia Gabrieli  e ai vari gruppi Parlamentari della richiesta di aiuto per la tutela dei loro diritti....

Tuttavia, mentre noi continua Chianese pensavamo solo a servire lo Stato per strada, all’inizio degli anni ’90 quello stesso Stato fece avanzare sul piano economico svariate decine di migliaia di “sottufficiali” delle altre Forze di Polizia, cui venne anche offerta la possibilità di progredire in carriera e quindi di superarci abbondantemente, fino a diventare tenenti colonnelli ed addirittura colonnelli, grazie  ai concorsi per i ruoli speciali previsti dalla legge per tutte le Forze e nei fatti negati solo a noi.

La nostra amministrazione, dopo aver deliberatamente omesso, per oltre 15 anni, di realizzare il Ruolo speciale previsto dalla legge, nel 2017, mentre le altre Forze facevano rientrare i nostri colleghi, un tempo subalterni, nei loro ruoli “normali” degli ufficiali, invece di restituirci opportunità, soldi e prospettive pensionistiche  ci ha fatto fare un nuovo concorso per farci diventare ancora una volta … “tenentini”, come oggi sarebbero i nostri figli “promuovendoci” al grado  finora inesistente di Vice Commissario avente un parametro stipendiale inferiore a quello nostro precedente!

Nulla è stato speso per gli RE finora: dal 2017 nessuno di noi ha avuto un reale aumento di stipendio mentre, in compenso, a molti gli straordinari vengono pagati meno, così perdiamo soldi ogni giorno. Quanti di noi inoltre sono andati in pensione con questo nostro “nuovo” ma fittizio grado si trova a percepire una pensione più bassa di quanto avrebbe percepito con il precedente grado!

La maggior parte di noi, anche grazie alle riforme intervenute, riceverà un assegno addirittura inferiore ai suoi stessi collaboratori, compresi quelli con la qualifica di Catarella.

La Camera dei Deputati, nel 2017, ci ha dato ragione, scrivendo nel suo parere che dovevamo essere nominati commissari capo subito dopo il corso, ma quella raccomandazione indirizzata al Governo non fu accolta, obbligandoci così a scendere in piazza già il 27 marzo scorso presso il Viminale dove, dopo la manifestazione, ci venne ribadito che si, avevamo ragione.

Dopo gli inutili primi correttivi del 2018 il rimedio doveva arrivare quest’anno con i secondi correttivi al riordino 2017 ma, sul tavolo di confronto, l’Amministrazione ha recentemente rivelato ai sindacati che il nostro problema, nonostante ci siano tutte le risorse necessarie, non può essere risolto con i correttivi del 30 settembre.

All’inizio del mese abbiamo quindi ufficialmente e doverosamente avvertito, del nostro più che legittimo ed ormai non più tollerabile malessere, il Sig. Presidente del Consiglio, il Sig. Ministro della difesa, la Sig.ra Ministro dell’interno ed il Sig. Capo della Polizia. Al momento, però, non ci è giunto nessun segnale di attenzione ma, anzi, anche la prospettiva della beffa: il cambio del nome del ruolo!

Ci sentiamo traditi e nei fatti anche dileggiati. Il 30 settembre scade la delega al Governo ed è per questo che il 27 manifesteremo a Piazza di Montecitorio, nei pressi della Camera – che ci aveva dato ragione già nel 2017 – e di Palazzo Chigi che, invece – condizionato da comandi ed amministrazioni – ci ha ignorati per ben due volte: stavolta chiediamo che siano lo Stato ed i Cittadini ad ascoltarci!

Grazie Vincenzo Chianese perche hai spiegato al Corriere del Sud i vostri problemi e ringrazio anche  Antonio Limongelli Cinzia delle Grotti e Bruna Martine. 

 

 

 

Vienna e la musica formano un binomio indissolubile. Nel 2020 la città celebra gli artisti che l’hanno resa la capitale mondiale della musica, tra loro Ludwig van Beethoven di cui ricorre proprio il prossimo anno il 250mo anniversario. Beethoven è stato un visionario che ha generato stimoli creativi non solo per la musica ma anche per Vienna stessa, ancora oggi. Vienna fu il luogo che vide la composizione e la prima esecuzione di gran parte delle sue opere. L'Ente per il Turismo di Vienna, in occasione di questa ricorrenza, ha chiesto ad alcuni viennesi per scelta quale sia il loro rapporto con la capitale della musica e ha inoltre ideato in cooperazione con l'Orchestra Sinfonica di Vienna una storia interattiva incentrata su Beethoven per Amazon Alexa e Google Home. Chi attiva l'Alexa Skill o la Google Action “Beethoven in Vienna” potrà ascoltare l'inizio di una storia interattiva incentrata sulla vita e l'operato di von Ludwig van Beethoven, che nacque nel 1770 a Bonn e trascorse gran parte della sua vita a Vienna. Si potranno così scoprire storie e aneddoti, che permetteranno di avvicinarsi alle opere e alla personalità del grande compositore. Non mancheranno le sorprese anche per coloro che di Beethoven se ne intendono. Per la colonna sonora, che è costituita da registrazioni dell'Orchestra Sinfonica di Vienna diretta da Philippe Jordan, sono stati selezionati passaggi significativi di tutte le nove sinfonie di Ludwig van Beethoven.

La voice app “Beethoven‘s Vienna” è disponibile come Alexa Skill e Google Action nei rispettivi store ed è linkata anche sulle campagne online, nonché sui canali dell'Ente per il Turismo di Vienna e dell'orchestra dei Wiener Symphoniker.

Molti italiani si recano a Vienna non solo per le bellezze della città, più volte selezionata come città più vivibile al mondo, ma anche per la sua ricca ed intelligente offerta musicale.

Un’anticipazione del 2020 musicale, è stata offerta a Roma, presente la responsabile per l’Italia dell’ente turistico di Vienna, Isabella Rauter, in occasione di un evento che è stato allietato dalle note del duo Igudesman & Joo, duo che da molti anni gira il mondo, da solo o accompagnato da orchestre sinfoniche e da camera. Con i suoi virtuosissimi show, in cui propone performance comico-classiche, la coppia si prende gioco delle esecuzioni di musica classica. I due musicisti di Igudesman & Joo si sono esibiti insieme a Gideon Kremer, Julian Rachlin, Joshua Bell, Yuja Wang e John Malkovich (www.igudesmanandjoo.com).

Igudesman non si dedica esclusivamente alle attività artistiche ed è cofondatore di Music Traveler, che propone servizi professionali per musicisti. Al sito, e anche con la app, musicisti in viaggio possono prenotare in tutto il mondo a tariffe accessibili sale dove esercitarsi e, se necessario, anche strumenti (www.musictraveler.com).

Capitale mondiale della musica

Il ricco patrimonio della musica classica viennese continua a vivere con ininterrotta vitalità e nelle sue più diverse sfaccettature nella capitale mondiale della musica. Oggi come 250 anni fa Vienna è la città della musica per eccellenza. Qui tutte le sere 10.000 appassionati di musica ascoltano pezzi di musica classica dal vivo all'Opera di Stato, al Musikverein, al Konzerthaus, al teatro lirico Volksoper e in diverse altre istituzioni musicali. Vienna è riuscita a mantenere viva nel presente la sua grande tradizione classica, arricchendola di nuovi impulsi. La notevole competenza musicale di Vienna si manifesta a tutti i livelli: nel livello qualitativo della formazione, nei grandi teatri lirici e sale da concerto, negli eccellenti interpreti e orchestre, nei numerosi musei e luoghi commemorativi dedicati alla musica nelle sue più diverse espressioni, nel suo ampio ventaglio di servizi per musicisti professionisti, dalla costruzione di strumenti agli studi di registrazione high end, e infine anche ovviamente negli splendidi concerti ed eventi, che riempiono il calendario musicale viennese, entusiasmando il pubblico internazionale, alcuni dei quali accessibili agli appassionati di musica classica di tutto il mondo, basti pensare al Concerto di Capodanno e al Concerto di una Notte d'Estate dell'Orchestra Filarmonica di Vienna a Schönbrunn.

Viennesi d’adozione e amore della musica

La capitale della musica e il suo pubblico entusiasta e competente rappresentano da sempre un polo d'attrazione per artisti di tutto il mondo. Ludwig van Beethoven scelse Vienna come centro della sua vita e del suo operato. Oggi tra i viennesi d’adozione più celebri vanno annoverati i cantanti lirici Anna Netrebko, Elīna Garanča e Juan Diego Flórez, il direttore d'orchestra Philippe Jordan e i musicisti Julian Rachlin e Aleksey Igudesman. Numerosi musicisti di fama internazionale sono molto legati a Vienna. 

Negli Stati Uniti è Nashville la 'capitale della musica‘ ma in Europa la capitale della musica è Vienna”, dice uno dei più noti solisti americani, il cantante, pianista e autore Billy Joel. Hans Zimmer, una leggenda nel mondo delle colonne sonore, rincara la dose: “Se al mondo c'è un luogo che ispira i musicisti, questo luogo è ed è sempre stato Vienna.” Anche Joshua Bell, virtuoso del violino, si profonde in lodi per Vienna: “Chiaro che venire qui è il sogno di ogni musicista”. È un'ispirazione straordinaria trovarsi in una città dove ogni angolo respira bellezza”. E Yuja Wang, la pianista superstar, a Vienna si sente come a casa: “Ho tanti amici a Vienna. Quando sono qui mi sento felice, sicura e amata. Adoro andare a passeggio nei giardini dello Stadtpark. E il Konzerthaus non è lontano dal Musikverein. È un angolo di paradiso.”

 

 

 

 

 

Raccontare il martirio, o le persecuzioni dei cristiani fa bene, lo sostiene il giornalista americano Rod Dreher nel suo libro “L'opzione Benedetto” (San Paolo, 2018). Riportare «le storie di uomini e donne coraggiosi che patirono tormenti fisici e morirono piuttosto che tradire Cristo […] Questi martiri sono dei nostri e hanno lezioni importanti da insegnarci – lezioni che abbiamo un disperato bisogno di ascoltare». E se fa bene sentire le storie del martirio passato, figuriamoci di quello che riguarda il nostro tempo che stiamo vivendo. Anche se per la verità, sentire parlare di martirio non è adatto all'euforia ottimistica di certi ambienti cattolici. Infatti non sentirsi bersaglio come in tanti Paesi del mondo, «può renderci pigri, più propensi a ignorare che in molte parti del mondo dichiarare la propria religione è un atto di coraggio, che può portare alla morte», scrive Barbara Serra di Al Jazeera English, nella prefazione all'ottimo e documentato libro di don Luigi Ginami, «Dove i cristiani muoiono», pubblicato da San Paolo (2018).

Don Luigi è presidente della Fondazione Santina Onlus, che cura progetti di adozione a distanza e realizzazioni in ogni parte del mondo. In questa veste ha raccolto le testimonianze dirette e uniche di uomini e donne in quattro diverse missioni compiute in Kenya, poi in Iraq e in Palestina. Anche don Luigi è convinto che sia importante raccontare la vita dei cristiani sofferenti e perseguitati oggi. «Questi viaggi di solidarietà mi fanno aprire la porta e uscire fuori. E fuori ti accorgi che la gente vive il Calvario». Anche se poi il sacerdote aggiunge una profonda riflessione che vale per lui, ma anche per tutti noi che viviamo in Occidente. «Parliamo si, del Calvario di Gesù, ma nel frattempo ci costruiamo una bella stanza piena di cose che ci rendono la vita comoda».

Don Ginami inizia il suo viaggio in Kenya il 16-23 febbraio 2017 a Dadaab, presso il più grande campo profughi dell'ONU del mondo (circa 360.000 persone). Qui ci sono profughi della vicina Somalia, del Sudan, del Sud Sudan e dell'Uganda. Il sacerdote insieme ai suoi collaboratori, ascolta storie e raccoglie testimonianze. Il campo di Dadaab, «accoglie vittime di violenze fisiche e psicologiche, di stupri di massa, di mutilazioni genitali femminili legate alla cultura tribale – scrive padre Gigi – accoglie persone che hanno gli occhi sbarrati dal dolore, che nel loro corpo portano orribili segni di tortura: tagli, bruciature, ossa rotte in più parti, cicatrici sulle mani, sui fianchi, sulla schiena, sulle gambe, sulla pancia».

In questa realtà di terrore e di dolore, c'è un fatto incontestabile: gli uomini e le donne più perseguitate sono i cristiani, che sono visti con odio da una parte consistente del mondo musulmano. Di conseguenza, «essere cristiano a Dadaab significa essere doppiamente perseguitato: a motivo della guerra, o delle guerre tribali, e a motivo dell'odio religioso». Su 360.000 profughi, il 9% è cristiano, si tratta di una minoranza che non dovrebbe fare paura a nessuno, invece muoversi nel campo, per un cristiano è rischioso. Don Gigi, racconta la testimonianza di dolore di Gladis, cristiana del Sud Sudan, quando era studente, ogni volta che entrava in classe, i musulmani imponevano la preghiera coranica. Una volta si è rifiutata e la misero in prigione, torturandola. «Mi ponevano davanti un foglio sul quale dovevo sottoscrivere l'abiura del cristianesimo». La donna si è rifiuta e per questo è stata picchiata e stuprata più volte dai soldati. Un'altra storia significativa è quella di Antoine, il catechista fiero di essere cristiano. Per questo ha rischiato di morire, è stato investito da una motocicletta, gli hanno rotto tutte le ossa, passando sul suo corpo per ben tre volte. Secondo Antoine, in questo campo Al Shabaab, l'organizzazione terroristica islamista, ha programmato l'uccisione dei 148 studenti all'Università di Garissa.

Ecco il 2° viaggio di don Gigi a Garissa, dove c'è stato il massacro dei giovani studenti cristiani, il 2 aprile 2015.

Per il sacerdote quei poveri studenti uccisi barbaramente dall'odio islamista sono dei veri e propri martiri. Nel libro si racconta dettagliatamente l'emozionante pellegrinaggio del religioso presso i locali dell'università del Kenya. Don Luigi entra nei particolari della macabra esecuzione dei poveri ragazzi. Nelle aule, nelle stanze, ancora si possono trovare i suppellettili utilizzati dai ragazzi martiri. Nei visitatori cresce la commozione, gli occhi sono pieni di lacrime. Tocca a don Luigi celebrare la prima messa dopo la strage. «Oggi torna - scrive don Gigi - a scorrere il sangue, in quest'aula, ma è il sangue presente in un calice e, in virtù dell'eucarestia che celebro, ci rende presente il sangue di Gesù e il suo sacrificio».

Tuttavia don Gigi assicura i lettori che «la fede cristiana deve ripartire da Garissa come in passato ripartì da Roma, come altri luoghi in cui si massacrano i cristiani, è un faro di luce per tutti noi. La terribile debolezza di 148 ragazzi proclama la granitica fede in Dio e nella sua parola e proclama il fatto che i cristiani reagiscono al martirio porgendo l'altra guancia, che i cristiani perdonano chi spappola i loro crani, che i seguaci di Gesù sono pazzi fino al gesto supremo dell'amore per i loro nemici».

Il libro si sofferma sui particolari dell'esecuzione dei studenti, la maggior parte di loro sono stati giustiziati, nel dormitorio Elgon B e qui che gli uomini di Al Shabaab, armati con fucili pesanti, li hanno uccisi, perlopiù tramite decapitazione (si tagliava la carotide, far uscire fiumi di sangue e solo dopo staccare violentemente la testa). Lo ha raccontato un professore cattolico sfuggito alla strage.

Ma i giovani a Garissa non morivano solo sgozzati, ma anche con «proiettili a espansione: un terribile modo di uccidere, teso semplicemente ad ammazzare, ma soprattutto a sfigurare i martiri. […] La munizione a espansione causa la frantumazione della scatola cranica in mille pezzi». Si tratti dei fucili d'assalto AK47. Interessante il racconto di uno studente cristiano Nicholas, si è salvato perchè ricordava a memoria una sura del Corano, imparata da suo zio. Infatti i jihadisti invitavano gli studenti a recitare a memoria un brano del Corano, chi faceva scena muta era freddato.

Don Gigi è riuscito ad avere quattro bossoli vuoti, probabilmente hanno ucciso i poveri studenti. Con profonda emozione, don Gigi custodisce accuratamente questi oggetti, trattandoli alla stregua delle “reliquie”. Negli altri viaggi ne raccoglie altre , soprattutto quando visita la Piana di Ninive.

A questo punto il sacerdote si domanda come rendere concreti i volti di questi ragazzi, che meritano di essere ricordati come sono ricordati i tanti martiri della Chiesa primitiva, delle grandi persecuzioni al tempo dei romani. Ecco viene trovato un sms di Janet, una ragazza innamorata di 22 anni, che prima di morire scrive al proprio ragazzo: “Amore, stanno venendo per noi, siamo i prossimi, dove è l'esercito che ci aiuti? Stiamo per essere uccisi. Se non dovessimo più vederci amore sappi che ti amo tanto. Ciao e prega per noi...Dio ci aiuti!”. Un piccolo poema d'amore struggente. Una dichiarazione d'amore, di una splendida e bella ragazza di 22 anni, davanti all'odio implacabile degli aguzzini islamisti. Una morte orrenda, ma «Quelle parole, quel semplice testamento di una vita nel suo sbocciare,- per il sacerdote bergamasco -  riservano un posto d'onore a Dio e io penso che Dio, il 2 aprile 2015, abbia riservato un posto d'onore alla sua Janet e ogni tanto mi trovo a invocarla, a chiederle il suo aiuto e la sua forza».

Questa ragazzina fragile e spaventata, morta per il Signore è semplicemente un gigante. «Del resto - scrive don Ginami – tutti i martiri e testimoni nella storia della Chiesa sono stati fragili e deboli, ma con la loro vita hanno saputo gridare che “Quando sono debole è allora che sono forte”».

E' proprio in questi particolari, entrando nella vita di questi martiri, che si ha la conferma che conoscerli, a noi cristiani fa tanto bene, e se poi ci capita di toccare qualche frammento che appartiene a loro, questo diventa «un potente farmaco contro la vita dissipata che tutti viviamo in Europa». Pertanto, «toccare con mano il loro sangue, accarezzarmi con il loro sangue la fronte mi rende partecipe della loro storia».

Avvicinandoci ai martiri di Garissa, non possiamo che baciare fisicamente il Vangelo di Giovanni, quando dice: “Verrà l'ora in cui vi uccideranno ed uccidendovi penseranno di rendere gloria a Dio” (GV 16,2)

Il viaggio di don Ginami continua in Iraq, nella città devastata di Mosul, qui racconta gli orrori della guerra degli uomini neri di Daesh, il cosiddetto stato islamico dell'Isis.

Anche qui il religioso constata che si muore per Gesù e allora è meglio scappare, come stanno facendo i cristiani in tutto il Medio Oriente.

In Iraq, il sacerdote ascolta i racconti del terrore islamista, in particolare quello dei bambini. In un campo di rifugiati dell'UNCHR, Al Dawidiya Refugee Camp, si affida al racconto di Nasren, una ragazzina yazida. «In Europa nessuno immagina cosa provi un piccolo iracheno, cosa provi una ragazzina di soli undici anni davanti alla follia! Quanti piccoli hanno devastato, quei criminali, con il loro terrore?».

Qui don Luigi apre una parentesi medica sui risvolti patologici delle violenze brutali subite dai piccoli, dai bambini, sui disturbi post-traumatici da stress. E a proposito dell'etnia yazida, don Gigi evidenzia la violenza che si è abbattuta sulle donne rese schiave.

Interessante il racconto del religioso nella sua avventura in città a Mosul, accompagnato da Ivan, un giovane cristiano, munito di pistola, pronto a utilizzarla. Il sacerdote è consapevole che per poter visitare i quartieri pericolosi della città è necessario girare armati. A Mosul non ci sono più cristiani, sono fuggiti, quando la città è stata occupata dall'Isis. Colpiscono le numerose scritte farneticanti dei jihadisti sui muri delle case ma anche nelle chiese profanate.

Abbastanza surreale e da brividi la santa Messa che padre Ginami celebra in una chiesa diroccata di Mosul, praticamente si trovano soli in tre. E' la prima messa che si celebra qui dalla liberazione dall'Isis. A Mosul che si sente il rumore della guerra. Il viaggio nella Piana di Ninive diventa un vero pellegrinaggio tra i villaggi abbandonati dai cristiani. «E' stato un pellegrinaggio di tristezza e di riflessione. Un momento di revisione profonda in paesi devastati dai serpenti velenosi di Daesh». Per certi versi il sacerdote ha descritto una specie di geografia dell'orrore, anche qui raccoglie e li porta a casa frammenti di croci, pezzi di statue di madonne. «Il valore materiale di questi ricordi è nullo, ma il loro potere spirituale è terribile: sono reliquie davanti alle quali pregare con intensità».

A questo punto don Ginami si interroga: ma perchè il mondo perseguita i cristiani? Probabilmente la risposta sta nel Vangelo: «il mondo odia i cristiani per la stessa ragione per cui ha odiato Gesù, perchè Lui ha portato la luce di Dio e il mondo preferisce le tenebre per nascondere le sue opere malvage».

A don Gigi vengono in mente le parole di Papa Francesco, nell'Angelus del 26 dicembre 2016, nel giorno di santo Stefano: «Anche oggi la Chiesa, per rendere testimonianza alla luce e alla verità, sperimenta in diversi luoghi dure persecuzioni, fino alla suprema prova del martirio […] io vi dico una cosa, i martiri di oggi sono in numero maggiore rispetto a quelli dei primi secoli [...]».

Il testo del sacerdote si conclude con l'esperienza nel cuore dei conflitti medio-orientale, nella Striscia di Gaza, in Palestina. La città rappresenta un mosaico di orrore. Anche qui, tra le contese di Hamas e al Fatah si racconta l'estrema difficoltà di vivere da cristiani.

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