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Giovedì, 01 Maggio 2025

La visita del primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis in Israele e i suoi incontri con la leadership politica del paese hanno provocato forti reazioni sulla stampa turca. La sua posizione generale riflette il fastidio di Ankara per il riavvicinamento greco-israeliano, soprattutto sulle questioni della difesa e della strategia geopolitica.

Il quotidiano filogovernativo Star adotta un tono aggressivo, dipingendo l'incontro come un segno della paura di Atene per la potenza difensiva di Ankara. "Temendo la Turchia, il vicino è andato alla porta del genocidio! L'hanno trovata nel fatto che gli F-35 non dovrebbero essere venduti", titola il giornale filogovernativo turco, sostenendo che questa visita è legata agli sforzi della Grecia per impedire la vendita di aerei da combattimento americani alla Turchia.

Star adotta una retorica ancora più dura, definendo Netanyahu il "macellaio di Gaza" e accusando Mitsotakis di un alleanza con Israele "che massacra migliaia di palestinesi".

Mitsotakis – Netanyahu: un incontro che scatena tensioni

Millet si riferisce in modo neutrale all'incontro di Kyriakos Mitsotakis con il primo ministro israeliano e il presidente del paese, osservando che le due parti hanno discusso questioni di cooperazione bilaterale.

"La cooperazione tra Grecia e Israele sta progredendo"

L'opposizione Jumhuriyet affronta la questione da una prospettiva diversa, concentrandosi sull'energia e sulla cooperazione geopolitica nel Mediterraneo orientale.

"La cooperazione nel Mediterraneo all'ordine del giorno della linea israelo-greca", si legge nel titolo, sottolineando che i due Paesi continuano a rafforzare la loro cooperazione sui temi della sicurezza e dell'energia.

La stampa turca vede "aspirazioni greche" dietro la visita

Sozju, da parte sua, si limita a una descrizione giornalistica della visita, affermando semplicemente che "il primo ministro greco Mitsotakis ha incontrato il presidente israeliano Herzog a Gerusalemme".

È cm e improbabile che la Turchia sia in grado di sfidare la superiorità aerea israeliana sulla Siria..I recenti attacchi aerei israeliani contro basi aeree nella Siria centrale hanno portato alcuni analisti siriani a ipotizzare che Israele segnali la sua ferma opposizione alla Turchia per stabilire una presenza militare in Siria, il nuovo governo provvisorio a Damasco e il sostenitore di Ankara. Vero o no, una cosa è assolutamente chiara: la Turchia avrà il difficile compito di sfidare la superiorità aerea israeliana sulla Siria, sottolinea un rapporto del media americano Forbes.

L'esercito israeliano ha annunciato attacchi separati contro le basi aeree di Tiyas o T-4 e l'aeroporto di Palmira, nella Siria centrale, rispettivamente il 21 e il 25 marzo. I rapporti preliminari dicono che il primo attacco ha ferito due soldati siriani. L'esercito israeliano ha affermato di aver colpito le basi "capacità militari rimanenti" del regime dell'ex presidente Bashar al-Assad, e l'aviazione ha rilasciato filmati degli attacchi, insieme ad attacchi simultanei contro Hamas nella Striscia di Gaza e Hezbollah in Libano.

Gli analisti hanno interpretato gli attacchi come un avvertimento contro il nuovo governo siriano di Damasco, guidato dal presidente ad interim Ahmed al-Saraa, e il suo sostenitore, la Turchia. Reuters ha riferito a febbraio che Saraa avrebbe dovuto discutere un patto di difesa turco-siriano che avrebbe incluso la creazione di basi aeree turche – molto probabilmente a T-4 e Palmira – durante il suo primo incontro con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan quel mese.

Non vi è alcuna indicazione che la Turchia dispiegherà forze o aerei nella Siria centrale nel prossimo futuro. Ciononostante, l'agenzia siriana North Press ha riferito che la Turchia ha iniziato a lavorare alla "creazione di un centro di difesa aerea" presso la base aerea di Menagh nel nord-ovest della Siria, vicino al confine turco, forse per aiutare la Siria a monitorare nuovamente il suo spazio aereo.

Dopo la caduta del regime di Assad l'8 dicembre, Israele ha rapidamente ampliato la sua presenza nel sud della Siria e ha distrutto grandi quantità dell'arsenale militare strategico del precedente regime. Ha denunciato il governo Saraa e ha suggerito che prenderà provvedimenti contro di esso per proteggere la minoranza drusa della Siria.

Israele è anche diffidente nei confronti della Turchia, che ha stretti legami con Saraa, espandendo e consolidando la sua presenza militare in Siria dopo Assad. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha tenuto una riunione sulla sicurezza il 23 marzo per discutere il coinvolgimento della Turchia nel vicino settentrionale di Israele. Inoltre, Reuters ha riferito a febbraio che Israele stava attivamente facendo pressione sugli Stati Uniti affinché non facessero pressioni sulla Russia per ritirarsi dalla Siria, sostenendo che la presenza fortemente ridotta dell'esercito russo in Siria funge da baluardo necessario contro un'ulteriore espansione turca lì.

Dal 2016, quando la Turchia ha lanciato la sua prima operazione transfrontaliera in Siria durante la guerra civile, l'esercito turco e i delegati della milizia siriana hanno controllato aree significative della Siria settentrionale, la maggior parte delle quali hanno sequestrato ai suoi oppositori curdi. I suoi delegati hanno recentemente catturato Menag, che era stata precedentemente controllata dalle forze curde dal 2016, dopo il crollo del regime di Assad. L'attività segnalata dalla Turchia potrebbe suggerire che stia gradualmente aiutando Damasco a ripristinare alcune capacità di sorveglianza e difesa aerea. Tuttavia, questo è probabilmente limitato ed è improbabile che metta in discussione la superiorità aerea di Israele sulla maggior parte della Siria.


Israele senza dubbio protesterà contro qualsiasi dispiegamento turco sul T-4 o su Palmira, specialmente se si tratta di un dispiegamento di F-16 o di una difesa aerea terrestre. Anche se la Turchia dovesse tentare un tale dispiegamento in cooperazione con Damasco, Ankara – nonostante la sua capacità di difesa aerea e aerea – troverebbe difficile prevenire o scoraggiare il sorvolo israeliano in Siria per molte ragioni.

Fonte varie agenzie 

 

 

 

 

Eccola la notizia sensazionale che nessuno sta dando, tranne Il Foglio e qualche blog come atlanticoquotidiano. “Da due giorni si assiste a uno scenario inedito: centinaia di palestinesi protestano a viso scoperto contro Hamas, scrive Sharon Nizza su Il Foglio (Gaza vuole liberarsi di Hamas, 27.3.25, Il Foglio) “Le manifestazioni sono iniziate martedì a Beit Lahia, nel Nord della Striscia”. L'innesco delle manifestazioni sono dovute al fatto che il 18 marzo l'Idf, l'esercito israeliano ha ordinato di evacuare la città, in seguito al bombardamento per il rifiuto di Hamas di liberare gli ostaggi. “La protesta è stata piuttosto spontanea, il risultato della immensa frustrazione che viviamo a Gaza”, dice al Foglio, Ahmed Radi'aa, insegnante di 47 anni, che ha perso diversi famigliari in bombardamento israeliano. Continua Ahmed, “Le persone hanno raggiunto il punto di non ritorno ed è sempre più chiaro a tutti che paghiamo il prezzo di una guerra che iniziato Hamas con una decisione unilaterale […] scendo in piazza perchè chiedo che Hamas esca completamente di scena con le sue armi e con il suo governo politico”. Quel primo raggio di luce dalle proteste anti-Hamas a Gaza. Si può forse iniziare a sperare, con una forte dose di ottimismo, in un “25 aprile” palestinese? Se lo chiede Cookie Schwaeber-Issan.

Le manifestazioni si sono estese anche in altri luoghi della Striscia. Gli uomini di Hamas, che non si aspettavano manifestazioni così aperte, per questo hanno manganellato i manifestanti. Nello stesso tempo, hanno attivato la macchina della propaganda: “Hamas sta cercando di distorcere la narrazione, sostenendo che le dimostrazioni sono contro Israele, piuttosto che contro l'organizzazione, tentando di confondere”, spiega Ahmed. Peraltro, ci tiene a chiarire che, “queste proteste sono contro l'oppressione, la tirannia e il furto di aiuti e mezzi di sostentamento diretti ai civili da parte di Hamas”. Che la narrazione sia manipolata è evidente e qui l'articolista de Il Foglio, ricorda come il 7 ottobre 2023, il canale di Muthanna o di altri canali amici dei terroristi facevano la cronaca live dei rapimenti al Kibbuz Nir Oz insieme agli assalitori palestinesi di Hamas. Naturalmente il grande alleato della narrazione manipolatoria è Al Jazeera, che non dà spazio alle manifestazioni contro Hamas. Nell'intervento Sharon Nizza, fa un elenco dettagliato delle organizzazioni partecipanti alle manifestazioni di protesta.  Hanno partecipato diversi clan e capi di famiglia, che hanno apertamente chiesto la resa di Hamas. Un altro uomo palestinese Said (nome fittizio) ha detto al Foglio che ci sono diverse sacche di ribellione contro i terroristi, ma c'è ancora paura, chi dissente viene gambizzato, o addirittura ucciso. Tuttavia persiste la volontà di ribellarsi ad Hamas. Said è convinto che metà della popolazione di Gaza è d'accordo con il Piano di Trump, il “Tahijr”. “L'unica soluzione per noi in questo momento è uscire”. “Se i Paesi arabi aprissero le porte, come è stato per i siriani, noi ci fionderemmo” subito. Ma l'Egitto solo per uscire da Gaza chiede 5.000 dollari. Intanto rileva Nizza che negli ultimi mesi all'estero sta prendendo corpo una serie di iniziative di dissidenti arabi liberi, come quella della Center for Peace Communication, che raduna tutti i dissidenti dal mondo arabo e nello stesso tempo cerca di dare voce a chi dentro Gaza cerca di resistere ai terroristi. Poi c'è l'organizzazione Realign for Palestina guidata da Ahmed AlKhatib. Questi dissidenti devono affrontare una doppia sfida, per la della narrazione, sono stati accusati prima come traditori quando erano a Gaza, ora anche vengono accusati dai propal che dicono di difendere la causa palestinese. E' un paradosso: “E' come stare tra l'incudine e il martello”, dice Ahmed, dove l'incudine è Hamas da cui sono scappati e il martello è il cosiddetto mondo propal. In pratica per aver criticato Hamas sono bollati come palestinesi al servizio di Israele. Ci sono tanti tabù da sfatare a cominciare da quello che è vietato criticare i palestinesi di Hamas quando commettono atrocità non solo contro gli israeliani, ma anche contro gli stessi palestinesi. Ahmed critica apertamente i propal occidentali, che utilizzano slogan senza conoscere la realtà di Gaza. Esiste,“una dissonanza incredibile tra la narrazione nel mondo occidentale – con gli slogan 'dal fiume ala mare', o “sionismo è nazismo', che legittimano Hamas – e quello che invece pensano i palestinesi dentro Gaza, che vorrebbero liberarsi di questo regime che li ha portati al collasso”. Tuttavia, “il mondo propal gioca sulla pelle dei palestinesi”. Aggiunge Kamel. “Il nostro obiettivo è quello di portare avanti una nuova narrazione pubblica”, spiega Hanza. “Battersi per il diritto all'autodeterminazione di Gaza, ma liberi da Hamas, dal Qatar, dall'Iran”.

Delle manifestazioni nella striscia di Gaza ne ha parlato anche atlanticoquotidiano (Natham Greppi, Ecco le voci palestinesi che accusano Hamas, 29.3.25, atlanticoquotidiano.it) “centinaia di palestinesi hanno accusato l’organizzazione terroristica di essere responsabile dei loro problemi e hanno chiesto di smetterla con la guerra contro Israele”. Atlantico fa parlare Mohammed Al-Tous, un terrorista redento: “Oggi dico ai miei nipoti di non seguire la strada degli attentati e della resistenza”, lo ha dichiarato in un’intervista rilasciata il 31 gennaio all’emittente statale saudita Al-Arabiya. Al-Tous, 69 anni, è uno dei più anziani prigionieri liberati nell’ambito del precedente accordo di cessate il fuoco per il rilascio degli ostaggi a Gaza. In un’altra intervista ha criticato la leadership di Hamas quando gli è stato chiesto cosa ne pensasse dell’attacco del 7 ottobre, ha detto:  “Se avessi saputo quale sarebbe stato il prezzo della mia libertà, sarei rimasto in prigione. (…) Un leader che sta pensando di effettuare un attacco su larga scala deve essere consapevole del prezzo da pagare. È inaccettabile che il costo del nostro rilascio dal carcere sia anche solo una goccia di sangue di un bambino palestinese.

Dalle proteste alla cooperazione

Nel corso della guerra a Gaza, Ahmed Fouad Alkhatib ha perso decine di parenti sotto bombardamenti israeliani. “Ogni volta che condivido questa storia, la gente presume che io sia consumato dalla rabbia, desideroso di vendicarmi dei responsabili. Devo disprezzare tutti gli israeliani e considerarli miei nemici giurati”, ha scritto nel giugno 2024 sul sito americano The Free Press.Nonostante la mia profonda frustrazione e risentimento per le azioni del governo israeliano e la guerra in corso a Gaza, non lo faccio. Semmai, sono più critico nei confronti di alcuni attivisti filopalestinesi, molti dei quali stanno peggiorando le cose, mettendo sempre più in pericolo le persone che affermano di difendere. In effetti, direi che alcuni non sono poi così interessati al benessere dei palestinesi”. Alkhatib, racconta del tentativo di progettare un aeroporto nella Striscia di Gaza che “avrebbe potuto dare alle persone la possibilità di entrare e uscire da Gaza e garantire una certa libertà di movimento ai palestinesi intrappolati dal blocco nella Striscia”. L'iniziativa aveva riscosso un certo interesse nel governo israeliano. “Ciò che mi mancava”, ha spiegato, “era il sostegno degli attivisti filopalestinesi. Si sono opposti ai miei sforzi, perché la cooperazione avrebbe semplicemente fatto fare bella figura a Israele. (…) Per loro questo non era accettabile, anche se il popolo palestinese ne avrebbe tratto beneficio. Alcuni credevano che con la libertà di movimento molti abitanti di Gaza avrebbero scelto di andarsene, realizzando così il complotto sionista di svuotare la Striscia dei suoi abitanti, sostenendo in altre parole che la prigionia degli abitanti di Gaza servisse ad “una causa più grande”. Alkhatib non riusciva a credere a quello che sentiva: “Intrappolare le persone a Gaza andava bene perché ciò rendeva più facile smascherare e attaccare Israele? Che tipo di causa può fondarsi sul costringere la propria gente a rimanere in perenne miseria così che gli attivisti occidentali potessero condannare più facilmente i loro avversari?”. Un altro esponente della dissidenza palestinese è il giornalista, Ayman Khaled, noi, “Abbiamo bisogno di promulgare una legge che ritenga Hamas e coloro che hanno partecipato al 7 ottobre responsabili. È anche necessario congelare i fondi di Hamas, che ammontano a miliardi, e stanziarli per la ricostruzione di Gaza”. Il dissenso viene colpito anche in Italia. L'avvocatessa Ilaria Celledoni, portavoce delle donne del Pd in Friuli Venezia Giulia, avendo condannato Hamas ritenendola responsabile dei problemi dei palestinesi, ha ricevuto numerosi attacchi e  minacce. Risultato: i vertici regionali e nazionali del suo partito ne hanno preso pubblicamente le distanze e sollevata dal suo incarico. A breve l'espulsione dal partito. Perché in un’area politica che ha fatto della causa palestinese e dell’antisionismo una sorta di religione dogmatica, questo è ciò che accade agli eretici.

Il vero pericolo per l'Europa non proviene né dalla Cina né dalla Russia, ma risiede al suo interno, tra quei governi che ignorano la volontà dei loro cittadini e reprimono il dissenso, favorendo una progressiva erosione della libertà di espressione. Questa tendenza, evidente tanto nell'Unione Europea quanto nel Regno Unito, è stata al centro dell'intervento del vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco.

Chi si aspettava una critica mirata all'insufficiente spesa militare dei Paesi europei è rimasto sorpreso dal tono provocatorio del suo discorso. Vance ha infatti denunciato quello che considera un tradimento dei valori fondamentali condivisi con gli Stati Uniti, accusando l'Europa di aver intrapreso una deriva autoritaria che la rende sempre più simile all'Unione Sovietica, il nemico che per decenni americani ed europei hanno combattuto insieme durante la Guerra Fredda.

Il vicepresidente Usa esprime la sua scarsa simpatia per l'Europa in una chat riservata, criticando l'imminente attacco in Yemen e le politiche europee
Intanto nella conversazione sull'imminente attacco in Yemen, cui era stato aggiunto per errore il direttore di The Atlantic, Jeffrey Goldberg, il vicepresidente americano è particolarmente duro: "Da fastidio salvare di nuovo l'Europa", dice nello scambio con il segretario alla Difesa, Pete Hegseth. Il riferimento è all'imminente raid americano in Yemen, per spingere gli Houthi a mettere fine agli attacchi contro le navi commerciali in transito nel Mar Rosso. 

Vance esprime chiaramente dubbi sull'operazione che servirebbe più gli interessi europei, visto che dal Mar Rosso, dallo stretto di Bab-el-Mandeb e dal Golfo di Aden passa il 40% del traffico commerciale europeo contro solo il 3% di quello americano.

"Penso che stiamo commettendo un errore", dice il vicepresidente, esprimendo dubbi sul fatto che Trump ne sia consapevole, secondo la ricostruzione di Goldberg che, davanti al regalo di uno scoop inatteso, ha pubblicato foto delle schermate degli scambi tra Vance, Hegseth e il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, che lo aveva aggiunto alla chat per errore. 

Vance teme che l'attacco sia "in contraddizione" con le bacchettate di Trump all'Europa. Nonostante questo, "se pensi che dobbiamo farlo, andiamo. Odio solo salvare di nuovo l'Europa", chiarisce Vance a Hegseth che si affretta a dirsi sulla stessa linea. "Condivido pienamente il tuo disgusto per un'Europa scroccona", scrive il capo del Pentagono, secondo cui, arrivati a quel punto, bisogna almeno controllare la narrativa. Dunque, bisogna dare la colpa all'ex presidente Joe Biden per avere fallito con gli Houthi e all'Iran per il loro sostegno ai ribelli. 

"La scarsa simpatia di Vance" verso l'Europa non è una novità. Pochi giorni dopo l'insediamento, dal palco della conferenza di Monaco, non lesinò critiche al vecchio continente: "La minaccia che mi preoccupa di più per l'Europa non è la Russia. Non è la Cina. Non è nessun altro attore esterno. Quello che mi preoccupa è la minaccia interna - il ritiro dell'Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori che sono condivisi con gli Stati Uniti d'America", aveva detto. E sulla stessa linea una recente intervista a Fox News: "L'Europa rischia di arrivare a un suicidio della sua civiltà".

 

 

 

 

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