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Braccio di ferro tra Italia e Ong Tedesche e Olandesi

"Non ce la facciamo più, qui siamo come in prigione, aiutateci a sbarcare presto, a mettere i piedi giù da questa barca". E' l'appello lanciato dai migranti a bordo della Sea Watch 3 da 13 giorni al largo di Lampedusa. "Siamo tutti stanchi, esausti, stremati - dice uno di loro in un video della Ong postato sulla pagina facebook del 'Forum Lampedusa solidale' - pensate ad una persona appena uscita di prigione e fuggita dalla Libia, che ora si trova qui seduta o sdraiata. Immaginatevi come debba sentirsi questa persona".

I migranti sottolineano che a bordo "manca tutto, non possiamo fare niente, non possiamo camminare né muoverci perché la barca è piccola mentre noi siamo tanti. Non c'è spazio". L'Italia "si rifiuta di farci approdare", proseguono, "chiediamo l'aiuto delle persone a terra, qui non è facile, non è facile stare su una barca piccola. Per favore - concludono i migranti - non ci lasciate qui cosi, non ce la facciamo più".

La Sea Watch in Italia non ci arriva, possono stare lì fino a Natale. In 13 giorni se avessero avuto veramente a cuore la salute dei migranti sarebbero andati e tornato dall'Olanda.". È una presa di posizione politica, è una provocazione”. “L’Italia – continua – non si fa dettare le regole da una ong pagata da chissà chi”. Il vicepremier poi annuncia che “qualunque sarà la decisione di Strasburgo, la nostra linea non cambia. È una nave olandese di una ong tedesca, il problema lo risolvano Berlino e Amsterdam. Il mio atteggiamento non cambia neanche se arrivasse la Regina di Svezia. Come stabilisce il decreto Sicurezza bis, per chi infrange la legge il mezzo verrà sequestrato e rischia una multa fino a 50 mila euro. Ognuno risponde di quel che fa”.

Lo ha detto il ministro dell'interno Matteo Salvini ribadendo che non consentirà alla nave di entrare in acque italiane e aggiungendo che "l'Italia non si fa dettare la linea da una ong che non rispetta le regole

Oltre all'Italia, anche Malta ha negato l'autorizzazione a sbarcare. E, nonostante la lettera di Matteo Salvini, nemmeno l'Olanda sembra voler in qualche modo collaborare alla soluzione della vicenda. Resta l'ipotesi Tunisia, ma la Rackete non vuol cedere: "Non ha una normativa che tuteli i rifugiati", spiega. La "capitana", del resto, aveva rifiutato anche di portare i naufraghi salvati a Tripoli, nonostante fosse stato indicato proprio quel porto come approdo.

Sto aspettando cosa dirà la Corte europea dei diritti dell'uomo. Poi non avrò altra scelta che sbarcarli lì", ha detto a Repubblica, sostenendo di essere pienamente consapevole del fatto che sarà accusata di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. "Ma io sono responsabile delle 42 persone che ho recuperato in mare e che non ce la fanno più", insiste, "Quanti altri soprusi devono sopportare? La loro vita viene prima di qualsiasi gioco politico o incriminazione. Non bisognava arrivare a questo punto".

Da 13 giorni la nave olandese della Ong tedesca è ferma davanti alle coste italiane. "I migranti sono disperati", dice la Rackete, "Qualcuno minaccia lo sciopero della fame, altri dicono di volersi buttare in mare o tagliarsi la pelle. Non ce la fanno più, si sentono in prigione. L'Italia mi costringe a tenerli ammassati sul ponte, con appena tre metri quadrati di spazio a testa". A bordo ci sono anche tre ragazzini di 11, 16 e 17 anni.

"Siamo stanchi, siamo esausti. Fateci scendere", chiede uno dei naufraghi in un video pubblicato da Forum Lampedusa Solidale, "Immaginate come deve sentirsi una persona che è scappata dalle carceri libiche e che ora si trova sui, costretta in uno spazio angusto, seduta o sdraiata senza potersi muovere. Inevitabilmente rischia di sentirsi male Non ce la facciamo più, la barca è piccola e non possiamo muoverci. Non c'è spazio. L'Italia non ci autorizza a sbarcare, chiediamo il vostro aiuto, chiediamo l'aiuto delle persone a terra. Pensateci perché qui non è facile".

La Chiesa cattolica, come di consueto, sta facendo sentire con forza la sua voce. La richiesta è una sola: aprire i porti del Vecchio continente, quindi far sbarcare le persone.

"L’Europa è così grande, non credo che così poca gente possa mettere in crisi un continente", ha detto il porporato italiano, come riportato dalla Sir, ponendo quindi al centro il tema dell'accoglienza, ma anche quello della misericordia. Il territorio continentale, insomma, non dovrebbe essere sconvolto dall'arrivo di qualche decina di persone. "A volte – ha continuato il cardinale Montenegro – sembra che l’unico parere possibile sia il silenzio perché determinati atteggiamenti sono incomprensibili. Le norme, le leggi dovrebbero essere fatte per rispettare gli uomini ma a quanto pare ci dimentichiamo che abbiamo davanti degli esseri umani".

Chi ha il comando del timone di Sea Watch 3 ha da poco paventato l'eventualità di forzare il blocco imposto dalla linea del rigore sui fenomeni migratori. Gli ecclesiastici che hanno detto la loro sulla vicenda non hanno citato questa possibilità, ma sembrano tutti concordi - come ribadito pure dall'alto ecclesiastico del Belpaese - sulla mancanza di logicità alla base di questa situazione: "Che esseri umani debbano vivere così, in attesa chissà di chi o cosa, soltanto perché ci sono dei ‘no’ - ha insistito il membro di spicco delle istituzoni ecclesiastiche - mi sembra incomprensibile".

Il quotidiano il Giornale ricorda la memoria corta dell'Europa sull'Olanda.In quella bacchettata all'Italia colpevole, anzi colpevolissima, di non accogliere con i tappeti rossi le navi di Sea Watch e delle altre Ong pronte a trasformarla in un immenso campo profughi c'è un'amnesia degna dello smemorato di Collegno. C'è da chiedersi dove fosse, o in quali faccende fosse affaccendata, la solerte Commissione Europea tra novembre e lo scorso gennaio. In quei mesi l'Olanda, il paese che offre gentilmente la sua bandiera alla Sea Watch, ma si rifiuta di accogliere uno solo dei suoi ospiti, tentò di deportare con la forza il dissidente armeno Sasun Tamrazyan, sua moglie Anousche e i loro tre figli Hayarpi, Warduhi e Seyra di 21, 19 e 15 anni. Quei cinque disgraziati, a differenza dei 42 migranti che la Sea Watch pretende di sbarcare in Italia, non erano approdati in Olanda spinti dal miraggio di un impossibile benessere. Ci erano arrivati perché papà Sasun era stato costretto fuggire dal proprio Paese in quanto perseguitato politico.

E i Tamrazyan non erano sbarcati in Olanda pochi giorni prima della richiesta di rimpatrio, ma ben nove anni addietro. Nove anni durante i quali i giudici avevano riconosciuto per ben due volte la fondatezza della loro richiesta d'asilo. Al terzo ricorso degli avvocati dello Stato, andato in giudicato sei anni dopo l'arrivo, un tribunale aveva però sposato le ragioni del governo respingendo la richiesta d'asilo. Lo scorso novembre le autorità erano dunque pronte a prelevare con la forza e a mettere su un aereo non solo Sasun e sua moglie, ma anche i tre figli cresciuti ed educati in Olanda. Nel frattempo il governo dell'Aja aveva smantellato anche il «kinderpardon» la vecchia legge - a cui come extrema ratio si erano appellati Sasun e i suoi - che vietava la deportazione dei minori rimasti per più di cinque anni nei Paesi Bassi. Assieme ai Tamrazyan sarebbero stati dunque deportati anche altri 600 figli d'immigrati. Il tutto senza che nessuno a Bruxelles, o nelle sedi delle compassionevoli Ong europee, s'interessasse del caso. Gli unici pronti a correre in soccorso della famigliola armena furono i preti della parrocchia di Bethel Chapel a L'Aja. Ricorrendo ad un'antica legge medievale che vieta alla polizia d'interrompere una funzione religiosa accolsero Tamrazyan nelle stanze della Chiesa e diedero il via alla recita della messa più lunga della storia. 

Per 96 giorni preti e diaconi si alternarono giorno e notte sull'altare fino a quando il governo, pressato da stampa e opinione pubblica, si vide costretto a rinunciare alla deportazione. Peccato che in quei 96 giorni di preghiere e appelli non si sia mai sentita né la voce dell'Europa, né quella della sua Commissione. Fosse stato per le autorità di Bruxelles - oggi così sollecite a sventolare in faccia all'Italia le bandiere dell'«imperativo morale» - il signor Sasun e la sua famiglia sarebbero stati messi su un aereo e rispediti al loro paese d'origine. E con loro sarebbero stati rimpatriati, nella più solidale indifferenza, altri 600 bambini immigrati. Oggi, invece, nella versione della Commissione Europea i 43 migranti accolti da una nave di proprietà tedesca e battente bandiera dell'Olanda, rappresentano un «imperativo morale» esclusivamente per l'Italia. Tutti gli altri, Germania e Olanda in testa, possono, invece, continuare a infischiarsene. Con il beneplacito dell'Europa.

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