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Huysmans, come vivere misticamente il rapporto con Dio

Con la pubblicazione del romanzo L’oblato del grande scrittore francese Joris-Karl Huysmans (1848-1907) la casa editrice D’Ettoris è andata meritoriamente a colmare un vuoto nella editoria italiana introducendo un romanzo mai tradotto in Italia di uno scrittore sì famoso, ma conosciuto solo parzialmente e soprattutto selettivamente anche attraverso il canale scolastico.

Infatti Huysmans è l’autore che fa da cerniera nello sviluppo letterario che va dalle estreme manifestazioni dei gusti del Romanticismo al Decadentismo passando attraverso il Naturalismo di Émile Zola, di cui Huysmans fu, all’inizio della sua attività letteraria, un seguace e un pupillo.

Capofila dei decadenti, con gran dispiacere dello stesso Zola, Huysmans lo troviamo nelle antologie scolastiche con il suo alter ego lettererario Des Esseints, l’eccentrico, geniale, bizzarro anticonformista, misantropo e nevrotico protagonista unico del romanzo À rebour (Controcorrente, 1884), prototipo dei personaggi similari che usciranno dalla penne di Oscar Wilde e Gabriele D’Annunzio.

Dopo di che di Huysmans si perdono le tracce e si potrebbe pensare che la sua attività letteraria fosse cessata o inaridita: in realtà non fu affatto così.

Il successo di Controcorrente, se gli valse le aspre critiche di Zola, gli procurò un successo strepitoso. E letterariamente parlando fu un successo meritatissimo: Huysmans scrive divinamente e oltre a inventare un nuovo genere letterario, sostanzialmente epigono estremo di certe tendenze e morbosità del Romanticismo ma mantenendo la ricchezza descrittiva e particolareggiata che aveva acquisito grazie agli esordi naturalisti, mise in scena la sua vita nel personaggio di Des Esseints descrivendo, attraverso di lui e le sue stramberie, la malattia morale del vivere, malattia che genera noia e che conduce a forme patologicamente rilevanti di nevrosi frequenti nelle élites culturali secolarizzate. Nell’Huysmans di Controcorrente qualità letterarie, estetismo, erudizione e stravaganze si combinano in un tentativo di dare un senso alla propria esistenza costruendone una tutta artificiale in un ambiente altrettanto artificiale plasmato dal genio estetico dello scrittore che, isolato dal resto del mondo, lo arreda con gusto ricercato e sofisticatissimo attraverso piante rare, pietre preziose, profumi rari, opere d’arte e libri dal tocco esotico e dal profondo significato simbolico che solo il protagonista poteva cogliere e ordinare nel proprio mondo interiore. La vita esterna e di relazione, invece, è praticamente nulla e volta alla più completa dissolutezza che passa dalla sistematica frequentazione di bordelli e donne facili e dall’idea inebriante di potersi impadronire e farsi manipolatore dell’esistenza altrui fino a pensare di utilizzarla in modo criminale creando dipendenza attraverso l’iniziazione a piaceri illeciti. Ma non c’è solo questo nella morbosa interiorità di Des Esseints/Huysmans, c’è un altro polo, che al momento non si distacca affatto dal momento estetico e da quello patologico della morbosità: quello che riguarda la mistica e la spiritualità e in generale l’interesse, seppur del tutto estrinseco, per la religione. Des Esseints passa dai piaceri carnali a quelli procurati dall’assistere alle pompe della liturgia cattolica coi suo inni antichissimi e lo splendore del canto gregoriano ben eseguito, intendendoli non come due poli “spirituali” che si oppongono, ma come due momenti diversi di un unico piacere da assaporare. Ma tutto ciò non può durare a lungo e il contrasto comincia a manifestarsi. Non può durare a lungo neppure questo artificioso stile di vita: la nevrosi dilaga e il medico lo rispedisce dalla periferia, dove si era sistemato creando il suo mondo artificiale, a Parigi. E con la nevrosi lo scavo intellettuale e interiore di Huysmans, grandissimo peccatore, misantropo ma uomo di intelligenza acuta e mai  banale, snob ma non radical chic, prosegue e, sebbene ancora sordo ai richiami di una formazione religiosa che aveva ricevuto da ragazzo per poi rigettarla come “infantile”, l’opera della grazia, proprio attraverso la bellezza della mistica, del canto e della liturgia comincia a insinuarsi nella sua anima ferita.

Ma non subito. La malsana curiosità dello scrittore intrisa di sensualità sente il bisogno, sollecitato dagli studi che sta compiendo su Gilles de Rais (luogotenente di santa Giovanna d’Arco e caso clamoroso di mostruosa violenza pedofila associata a pratiche satanistiche, un caso dove la mistica si perde e si conclude – ecco il suo interesse -  nel satanismo e nel male) di esplorare il mondo dell’occultismo e del satanismo dove sesso e spiritualità rovesciata si incontrano e dal cui squallore malefico pure un peccatore del suo calibro si sente scosso. Un’esperienza raccontata nel romanzo La-bas (Laggiù o L’abisso), scritto nel 1891 e vero best seller dell’epoca, ma che soprattutto per Huysmans e il suo nuovo alter ego romanzesco, Durtal, divenne un provvidenziale choc. Perché tanto interesse da parte dei satanisti e di questi preti apostati per quella particola bianca? E se veramente fosse il corpo di Cristo? D’altronde neppure le esperienze più estreme in materia di erotismo, assieme a quelle artistiche, riescono a dare vero sapore alla vita di Durtal/Huysmans: la noia e la nevrosi non si separano da lui, e neppure la sensualità che sino a quel momento lo aveva accompagnato lo appaga più. Huysmans è attratto dal Cattolicesimo, ma solo per l’aspetto estetico: la dottrina, non meno che ai suoi illustri contemporanei, gli appare infantile. E tuttavia incontra e frequenta alcuni ecclesiastici dei quali apprezza l’intelligenza e la cultura. Questi non gli saltano al collo con la prospettiva della conversione, non lo assaltano né lo assillano col timore dell’inferno: semplicemente seminano sulle sue sensibilità naturali con intelligenza e lasciano lavorare la grazia sul peccatore accompagnandolo con discrezione nella sua conversione. Quando Huysmans indeciso sul compiere il grande passo sembra oscillare pericolosamente, don Arthur Mugnier (che probabilmente è rappresentato nei suoi romanzi come don Gévresin) lo invita a trascorrere un periodo nella Trappa d’Igny. Huysmans, l’uomo vecchio, è recalcitrante ma alla fine accetta e l’esperienza della vita monastica mette a nudo la sua anima. La vita a contatto con questi silenziosi monaci e con la pratica quotidiana del loro ufficio divino lo risana pur in mezzo a tormenti spirituali, scrupoli e tentazioni che lo scrittore descrive magistralmente e con finissima introspezione spirituale e psicologica al punto da rendere la lettura di questa opera consigliabile a tutti e particolarmente ai neoconvertiti. Durtal/Huysmans adesso è finalmente cristiano e cattolico ed En route (1895, Per strada) è il romanzo della conversione ed anche l’inizio di un genere particolare di narrativa spirituale e, di fatto, apologetica che può definirsi come “romanzo liturgico”.

Ovviamente qui Huysmans cessa di essere interessante per il pubblico colto ed erudito dei suoi ex compagni di strada letterati (e qui si spiega il clamoroso boicottaggio editoriale delle sue opere successive la cui lettura è fondamentale invece per ben capire L’Oblato) e per parte del suo pubblico; al tempo stesso, non sempre è accettato e creduto dagli stessi cattolici che dubitavano della sincerità della conversione di un soggetto simile. Certo il talento letterario di Huysmans, il suo stile, una certa mentalità, certi contenuti e anche certi atteggiamenti restano gli stessi, in Durtal rimane molto di Des Esseintes: medesimo è il disprezzo per il banale, per il mediocre, per lo sciatto e per il devozionismo che trova puerile, tratti ampiamente presenti anche nel mondo cattolico del suo tempo in cui sente una violenza non solo e non tanto contro sé stesso quanto contro la grandezza e la bellezza di quella religione che lo ha rapito e strappato alle tenebre. Nei suoi nuovi romanzi permane lo stile precedente, permane la sua enorme erudizione e ovviamente permangono tutti gli interessi che aveva mutato precedentemente ma, stavolta, ordinati non più a comporre solipsisticamente il suo habitat come proiezione di sé sulle cose, ma ordinando sé stesso e le cose con la fede. E questa è una grande lezione da imparare da Huysmans: diventare cattolici non significa buttare via niente neanche delle realtà terrene. Significa collocarle al loro giusto posto nell’ordine che queste devono avere in rapporto a noi e a Dio. La sua stessa centralità dedicata alla sofferenza fu sospetta perché letterariamente costituì cifra della morbosità  e della fantasia malata di autori decadenti a lui coevi e spesso ai limiti dell’ortodossia come Barbey d’Aurevilly, Villiers de l’Isle d’Adam, Leon Bloy e volendo lo stesso Baudelaire. Tuttavia è difficile pensare che in Huysmans ci sia semplice compiacimento estetico e semplice morbosità. In En route, per esempio, uno spazio particolare viene dedicato a santa Luduina di Schiedam (1380-1433), una bellissima ragazzina olandese che rimase paralizzata a soli quindici anni, paralisi che le provocò orribili e gravissime ripercussioni per almeno trent'anni sul corpo che si coprì di piaghe repellenti, scomparse prima che morisse santamente. Huysmans qui si trova davanti alla questione della sofferenza e al dolore innocente. Ma proprio qui scopre la dottrina cattolica della sostituzione che dà alla sofferenza, se offerta in unione con la sofferenza di Cristo, un valore espiativo, riparatorio al male proprio e altrui e quindi, proprio come la sofferenza di Cristo, assumente un valore santificante e redentivo per sé e per gli altri. Dato, questo, che lo conduce ad apprezzare quegli ordini contemplativi, di cui già allora non si coglieva più l’utilità, i quali nella preghiera continua e nella mortificazione anche della carne si accollano l’onere della riparazione dei peccati altrui. Altra grande lezione da apprendere.  

La Cathédrale (1897) è il suo secondo romanzo liturgico nel quale attraverso la minuziosa descrizione del simbolismo della Cattedrale di Chartres il Durtal ormai convertito fa vibrare l’anima mistica del Medioevo cristiano che vive nella pietra e nell’architettura della cattedrale. Medioevo che per Huysmans fu l’epoca genuinamente cristiana ed impregnata di quel cristianesimo mistico fondato sulla capacità di leggere simbolicamente tutta la realtà creata in una corrispondenza conoscitiva con il sacro e con Dio che informava tutta la società e le relazioni umane.

Proprio ne La Cathédrale Huysmans descrive con parole commoventi la partecipazione sentita del popolo cristiano, anche quello più minuto e meno colto, alla realtà della liturgia cattolica. A distanza di un secolo, e proprio dopo aver letto le descrizioni di Huysmans, fa veramente impressione che, in nome della “actuosa participatio”, sia stata smantellata questa meravigliosa opera di culto voluta da Dio e offerta a Dio.

Huysmans pensa anche alla vocazione monastica ma seppur tipo solitario e privo di famiglia la sua vocazione è quella laicale di artista e letterato. Come mettere a beneficio della sua vita spirituale e a vantaggio della Cristianità questi suoi talenti? Nel 1898 si licenzia dall’impiego che ricopriva presso il Ministero della Difesa e godendo di una buona pensione acquista un terreno a Ligugé a ridosso del monastero benedettino di cui diverrà oblato, come da titolo dell’ultimo romanzo della trilogia scritto nel 1903. Ligugè è nella parte centro-occidentale della Francia ma Huysmans colloca il suo Durtal dalla parte opposta, in Borgogna, nella Val des Saints, vicinissima a Digione (che darà modo a Huysmans di sciorinare la sua erudizione artistica sulla città) presso un monastero benedettino. Qui, insieme ai tre coprotagonisti coi quali Durtal vivrà in piena sintonia nella quotidiana partecipazione ai vari momenti dell’ufficio liturgico monastico che scandisce la loro giornata e costituisce lo sfondo e il senso attorno nel quale muove il romanzo, Durtal verrà ammesso come oblato nella famiglia benedettina. In questo ingresso c’è ovviamente l’idea della propria santificazione attraverso la via monastica benedettina (seppur da laico), ma c’è anche qualcosa di più che per Huysmans doveva suonare come un ambizioso progetto teso a riportare alla sua grandezza l’arte cristiana a beneficio della Chiesa e per la rinascita della Cristianità. Un progetto che doveva vedere come protagonisti piccole pattuglie di uomini di talento che, in qualità di oblati, avrebbero dovuto vivere in piccole comunità attorno a un monastero e sotto la direzione spirituale di una abate, legati attraverso essenziali pratiche della preghiera comunitaria e di momenti di vita in comune capace di produrre una comune spiritualità nella quale il talento individuale potesse dispiegarsi per riscoprire ed esaltare quella bellezza artistica che la religione del Vero deve necessariamente possedere per attirare ed elevare le anime attraverso il bello.

Un progetto importante volto ad innalzare ed educare gli spiriti e le anime, un progetto significativo ed esattamente agli antipodi della mediocritas (quando va bene) che caratterizza le strategie pastorali odierne. Il Bello, qui, è via e partecipazione del Vero e quindi al servizio della Fede e l’arte (ogni tipo di arte) torna ad avere una funzione pedagogica, come la ebbe nel Medioevo, di elevazione spirituale e intellettuale. Siamo però alla vigilia dell’espulsione delle Congregazioni dal suolo di Francia, avvenute alla fine del 1901 per mano di un governo radicale e massonico. Anche qui vi sono brevi passaggi sulla materia politica che fanno di Huysmans veramente un personaggio caratterizzato dall’unpolitically correct. Infatti la sua valutazione dei politici cattolici è caustica, descrivendoli come ipocriti, moralisti e codardi non meno di quelli di oggi, così come è interessante la sua lettura del caso Dreyfus: un errore giudiziario, vero, che il demonio attraverso le sinistre, gli ebrei e i massoni ha ritorto contro il cattolicesimo per sopraffarlo. Altrettanto interessante la sua considerazione autocritica su come noi cattolici, nel corso dei secoli, abbiamo fatto pessimo uso dell’autorità  negando agli altri la libertà al punto che adesso ci si volge contro e ci ritroviamo a pagare il conto: un tiranno come Waldeck-Rousseau, scrive, oggi sembra sempre più accettabile di un cattolico. Altro elemento della nostra storia su cui riflettere perché l’apologetica non è cieca e non nega i fatti.

Il sogno di Huysmans frana, ma non frana la sua fede che anzi lo rende capace di sopportare dolori atroci a causa del tumore che lo ucciderà nel 1907 ad appena 59 anni, a suggello di una conversione che oltre alla bellezza aveva fatto perno proprio sulla centralità del significato della sofferenza, dimostrando di essere riuscito a difenderla davanti alla prova suprema della morte.

Huysmans ha moltissimo da dire all’uomo, al cattolico e alla Chiesa di oggi. Huysmans è già un uomo postmoderno, uomo che incorpora i pregiudizi ostili al cristianesimo della modernità e al contempo vive ripiegato su se stesso, senza l’attrattiva delle grandi ideologie. Ma quest’uomo, come quello odierno, viene vinto dalla noia e scivola in malattie depressive che ne inficiano il senso e il gusto di vivere. Huysmans dimostra che la fede è il più potente ed efficace antidepressivo esistente. Ma quella che Huysmans ha trovato era ancora una fede solida e profonda. E soprattutto puntellata da una liturgia maestosa e sentita veramente come opera divina, curata nel dettaglio del canto e delle rubriche proprio perché opera sacra, fatta da nessuno e costruita misteriosamente, pur nelle sue piccole imperfezioni da sistemare, nel corso secoli. Nella bellezza, nella solennità, nella profondità dell’arte sacra inquadrata nel contesto liturgico Huysmans trova il modo di vivere misticamente il suo rapporto con Dio. Dai suoi interessi estetici, dalle sue migliori inclinazioni naturali la Grazia è partita per operare il miracolo della conversione. Conversione eclatante di una persona particolarmente intelligente e dotata che non poteva non avere un benefico riflesso a cascata e nel tempo su le tante persone che, a distanza pure di un secolo come sta accadendo, lo avrebbero letto.  Viene però anche da chiedersi, in un contesto odierno segnato da un rito espressione di una mentalità abbastanza piatta e orizzontale (anche se per merito della Provvidenza dal 2007 l’antico rito è tornato a essere celebrato fuori dalle catacombe pur in ristrette frange del cattolicesimo), da canti che è impossibile definire “liturgici” e da una totale trascuratezza per l’elemento estetico e quello dottrinale, dal trionfo voluto di una banalità che dissala il sale della terra, come la Grazia si sarebbe mossa o se piuttosto Huysmans gli avrebbe resistito continuando a preferendogli bordelli e compagnie intellettuali più appaganti, pur nella consapevolezza di un orizzonte che sarebbe rimasto vuoto di senso.  

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