Sempre più spesso ci troviamo, e mi riferisco a chi ha figli in età scolare, nella condizione di sentire genitori che accusano gli insegnanti di mancanza di … empatia, di non riuscire ad instaurare un buon rapporto con i ragazzi, e così via. Nei campi scout forse ci si aspetta un rapporto empatico totale, giochi, canti, passeggiate, a scuola ci si aspetta un insegnamento adeguato e, magari, anche continuare sulla strada dell’educazione. La presenza di rappresentanze democratiche nelle scuole, rappresentanti degli studenti e dei genitori, introdotte negli anni settanta durante la sbornia egualitaria, si è dimostrata un’inutile sforzo per far apparire cose che non esistono. I piani formativi, adesso triennali, vengono decisi dai responsabili della didattica degli istituti, i manuali scolastici vengono scelti dagli insegnanti e i rappresentanti delegati non sanno mai niente, tutto normale. A noi genitori rimane la scelta dell’istituto che, assieme ai nostri figli, facciamo prima dell’iscrizione, spesso cercando di orientarlo perché noi, dico noi, conosciamo bene le sue qualità e quale dovrà essere il suo futuro, sempre per il suo bene!
Ma quanto avviene da qualche anno, con la presenza assillante dei genitori a salvaguardia dei propri pargoli è il segnale di un disagio che, alla lunga, si ripercuote proprio su quelli che vorremmo particolarmente protetti. Assillante forse è il termine più adeguato del rapporto genitori/figli/scuola. “Se nostro figlio va male a scuola è perché gli insegnanti sono incapaci di spiegare; se non è diligente, è colpa dell’insegnante che non riesce a far rispettare la disciplina in classe. (…) La responsabilità è a senso unico perché la compatta famiglia adolescente non se ne assume alcuna”. Questa impietosa descrizione del rapporto famiglia/scuola è di Massimo Ammanniti (La famiglia adolescente, Laterza, 2015) che introduce già nel titolo il termine adolescente collegato alla famiglia. Cosa significa? Che le figure dei genitori hanno subito un cambiamento, negli ultimi decenni, che ha snaturato la figura materna e paterna. Il fenomeno è stato già messo in luce da psichiatri, psicologi e sociologi, ma Ammanniti, psicanalista che si è occupato di sviluppo infantile e adolescenziale, conia questo termine, famiglia adolescente, che bene mette in chiaro quanto sta accadendo. L’adolescenza “è una ‘malattia’ normale. Il problema riguarda piuttosto gli adulti e la società: se sono abbastanza sani da poterla sopportare”, questa è una massima dello psicanalista inglese Donald Winnicott che Ammanniti invita a imparare a memoria. Descrive bene il problema: la famiglia adolescente è insicura, non ha modelli educativi di riferimento, è in crisi di identità, quasi in balia dei figli incapaci di rispondere agli attacchi tipici dell’età adolescenziale, “Ma se i genitori tornano adolescenti, perché i figli dovrebbero diventare adulti?” Altro aspetto è la perdita dei ruoli: “specie in un periodo di confusione e di crisi come l’adolescenza, i figli non hanno bisogno di un padre amico. Hanno bisogno di una figura autorevole, che non vuol dire autoritaria. Una figura la cui autorevolezza sia capace di far fronte agli attacchi dei figli, che dal canto loro stanno costruendo la propria identità e autonomia”. E le mamme: lo diventano sempre più tardi, somigliano sempre più alle figlie, magari hanno una vita sentimentale, che dopo la separazione dal padre, provoca scontri e gelosie. Se poi ci mettiamo le tempeste ormonali al miscela può diventare esplosiva. E non parliamo delle vacanze della figlia da sola con le amiche: summit tra madri, tentativo di controllo globale “senza rendersi conto che così finiscono per privarle di un’esperienza importante, educativa”.
“San Gregorio di Nissa, un Padre della Chiesa, scriveva che solo lo stupore conosce” ecco allora che, cominciando da noi adulti, occorre riappropriarsi della “meraviglia di essere al mondo, di essere vivi, di trovarsi di fronte a una bella giornata e al proprio figlio che cambia ogni giorno. Perché la capacità di meravigliarsi è un modo di conoscere.” “Se diventando adulti si perde inevitabilmente curiosità e capacità di meravigliarsi, il mondo dell’adolescenza ci risulta incomprensibile e anche fastidioso”.