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Un dolce da colazione per una colazione dolce  e una golosa merenda per tutti cosparso di zucchero a velo. Questo il Danubio un dolce, o meglio una brioche  molto soffice che si può preparare con svariati ripieni,  è composto da tante brioscine a forma di palline.

Come tutte le storie che girano intorno alla cucina, l’amore è all’origine di questo dolce che ci arriva dalla Boemia.

Giovanni Scaturchio, pasticciere  calabrese di nascita  napoletano di adozione,

era tornato a Napoli, dopo la Prima Guerra mondiale, portando con se  la bellissima  moglie salisburghese. Nel 1905 il nostro aveva fondato una pasticceria in piazza San Domenico Maggiore, dove si trova tutt’oggi.

Tanti i dolci che venivano preparati nel laboratorio come: la Pastiera, i Babà, le Sfogliatelle ricce e frolle, i Roccocò, gli Struffoli  e le “novità” che ci venivano d’oltralpe come: lo Strudel, la torta Sacher e proprio il Buchteln, che presto venne chiamato  Brioscina dolce del Danubio, ripiena di marmellata. La  ricetta del dolce austriaco Buchteln venne regalata con un atto d’amore dalla moglie austriaca di Giovanni, che la portò in dote insieme ai pizzi e merletti. Le “Brioscine del Danubio”, in seguito chiamate solo “Danubio” furono prodotte dalla pasticceria Scaturchio dal 1920, quindi è da un secolo che i napoletani ( e non solo) sono deliziati da questa bontà.

Inizialmente il  Danubio  era un dolce tipicamente pasquale, oggi invece la tradizione napoletana lo colloca in ogni festa, specialmente a Natale,  quale gustoso centro-tavola. I morbidi panini uniti insieme sono pronti da mangiare in modo che ognuno può prenderne uno.

Antimo Caputo, Amministratore Delegato del  celebre  Mulino di Napoli ha ideato un contest per non dimenticare la ricorrenza delle cento candeline :  «Abbiamo ideato un contest  rivolto a chi ama cucinare e preparare bontà. Noi del Mulino Caputo - ha riferito Antimo Caputo - siamo molto attenti alle nostre tradizioni e al lavoro degli artigiani che, da sempre, hanno profuso energie e idee per creare prodotti tipici. Quella del Danubio è la rivisitazione di una specialità d’oltralpe, diventata squisitamente napoletana e da qui diffusa in tutt’Italia, grazie alla tipica esuberanza della creatività partenopea». Quest’anno si è deciso di ricordare tutti assieme il Danubio, perché vantare cent’anni ininterrotti di apprezzamenti non è da tutti. Dolce o salato, il Danubio a Napoli è un’istituzione: non c’è festa, rinfresco o buffet che non lo preveda. Per celebrare il centenario, Mulino Caputo lancia un social contest rivolto a quanti siano appassionati di impasti, lievitazioni e arte bianca. La storia della cucina napoletana è ricca di revisioni, riletture e reinterpretazioni di ricette arrivate, nel tempo, da tutte le parti del mondo. E il Danubio non fa eccezione: a Napoli, accanto alla versione dolce,  si sono impasti ripieni rustici, che prevedono  formaggio, salame e prosciutto  che riscuotono grande apprezzamento. La Mulino Caputo ha deciso di festeggiare i cento anni della brioche con un contest, chiedendo  di proporre la personale ricetta indicando  gli ingredienti utilizzati, pubblicando entro il 20 novembre la ricetta corredata di una foto su l’hashtag #danubio100   e   #mulinocaputo

Il Danubio a pieno titolo è diventato un classico della cucina napoletana particolarmente indicato  per le feste di compleanno dei più piccoli o  per  la colazione del mattino,  piace a tutti per la sua praticità e siamo certi con il contest si conosceranno varianti di tutti i tipi frutto dell’originalità e inventiva delle donne di Napoli.  Le donne di Napoli - come nella canzone di Francesco Baccini – «Sono tutte delle mamme, le donne di Napoli si gettano tra le fiamme,le donne di Napoli, Dio, ma che bella invenzione riescono a ridere anche sotto l'alluvione e anch'esse fanno da mangiare, sanno cucinare odiano stirare e san far l'amore» ed è proprio l’amore che Giovanni Scaturchio ha avuto per la giovane moglie che ci ha consentito di avere a Napoli il “Danubio” senza dover andare a Vienna.

 

Per il mondo dello spettacolo l'anno bisesto 2020 è stato se non proprio funesto, per parafrasare il famoso detto popolare, diciamo dannoso o meglio pernicioso a causa del covid.
Un settore che vive di relazioni, a partire dai concerti, come quello della musica, ma si potrebbe dire lo stesso del teatro del cinema o dello spettacolo circense, ha subito ancor più i colpi delle restrizioni imposte da una pandemia che sembrava sopita d'estate e che in autunno è riemersa con vigore. Il jazz, nella fattispecie, per l'alto tasso di "internazionalità" dei propri scambi e contatti, è uno dei comparti più colpiti sia sul piano economico che organizzativo. E lo è anche, è il caso di dire, nel cuore stesso di una musica che vive e si alimenta del confronto e della contaminazione fra le culture e i musicisti e che anzi nell'interrelazione ha sempre trovato motivo di rigenerazione e crescita.
Il giornalista e critico musicale Gerlando Gatto, già in pieno lockdown, ha pensato bene di registrare quanto stava avvenendo nel jazz italiano interrogandone una serie di protagonisti per capire come stessero vivendo la situazione da thriller fantascientifico in cui si era piombati.
Messe assieme, le 41 interviste, sono diventate ""Il jazz italiano in epoca Covid. Parlano i jazzisti", GG Edizioni, prefazione di Massimo Giuseppe Bianchi, un libro-inchiesta del tutto particolare che si differenzia dai precedenti due volumi di interviste dello stesso studioso editi da KappaVu. Non si tratta intanto di un appello alle istituzioni anche se un intervento dall'alto è evocato in modo più o meno esplicito. Il volume fotografa attentamente le ansie di prestigiosi protagonisti della scena musicale jazzistica e, coadiuvato da Marina Tuni e Daniela Floris, collaboratrici storiche di "A proposito di Jazz" rivista diretta dallo stesso Gatto, ci rivela inediti profili umani prima ancora che artistici degli intervistati.
Il valore del libro sta proprio nell'approfondimento, per molti versi psicologico, che vien fatto, connotato che lo colloca in un saggismo "di lunga durata"; nel senso che, specie quando finalmente ci si ritroverà fuori da questa esperienza tragica che sta piegando e piagando il mondo intero, così almeno si spera, lo si potrà ancora leggere come una testimonianza "dal di dentro" di ciò che andava succedendo, al di là dei numeri statistici e del macabro gossip sul "chi è" il contagiato di turno, un "selfie" su carta delle paure e delle speranze di persone che hanno investito tempo, risorse, la vita stessa in musica, nel jazz, e che si son trovate ad affrontare ed a confrontarsi con un problema più grande di loro e comunque non di loro competenza.
Chi lavora nella musica si è sentito ancora più "debole" ma di certo se non ci fosse stata la musica l'isolamento da lockdown sarebbe risultato ancor più deprimente e solitario.
Un libro del genere aiuta a riflettere sul mondo del jazz facendolo sentire più vicino anche a chi non ė appassionato del genere. La musica e l'arte saranno pure sovrastrutture dell'economia ma interessano strutture dell'animo umano. E di questi tempi sono antidoti all'angoscia e vaccini contro lo sconforto. È questo il messaggio d'insieme che Gatto trasmette tramite la voce dei jazzisti in questo volume

La label siciliana TRP ha appena pubblicato l'album "Fogli che che raccontano", a firma di LaRizzo, al secolo Alessandra Rizzo. La cantautrice di origine toscana, ormai insediatasi stabilmente a Catania dove si occupa di insegnamento di canto jazz e vocologia, si racconta in un disco in cui si parla di esperienze di vita, in senso lato, sia esistenziale che interiore.
Il tutto in otto brani alcuni dei quali composti unitamente al chitarrista Edoardo Musumeci, dei Tinturia, ed al produttore Riccardo Samperi ("Albero di Pietra" è invece di A. Lo Certo) dai quali trapela un'ispirazione narrativa basata su "percorsi", al di là delle mete da raggiungere, un po' alla Kerouac. La voce è di venata di leggerezza, in un fluire melodico/poetico al femminile che esprime altalenanti stati e moti d'animo d'animo tramite la modalità musicale, miglior format ai propri appunti di viaggio. LaRizzo ha, al riguardo, dichiarato "anche in questo disco di fine e rinascita ho composto in contemporanea sia musica che versi". Il ruolo della poesia pertanto non è slegato dalla partitura ma vi appare intimamente connesso. Ed ancora: "la ricerca che svolgo è anzitutto su me stessa. Chiaramente l'aspetto tecnico è importante. Ma quando condivido la mia musica mi lascio trasportare dal sentimento e le mie esperienze concertistiche e didattiche, le mie specializzazioni, tutto ciò passa in second'ordine". L'album piacerà a quanti, nell'apprezzarne la modernità e i diffusi riverberi nell'accompagnamento, prediligono una scrittura agile e una vocalità netta con influenze jazz non pervadenti o pervasive, non arditi orditi vocali bensì trame melodiche scorrevoli ed essenziali.

"I bemolli sono blu" è album che riprende la denominazione dell'omonima raccolta di lettere di Claude Debussy, è inciso dall'AB Quartet per conto di TRJ Records di Asola (Mantova). Il lavoro è una rivisitazione jazz dell'autore di "Après-Midi d'un Faune" effettuata dal pianista Antonio Bonazzo, il clarinettista Francesco Chiapperini, il bassista Cristiano Da Ros e il batterista Fabrizio Carriero. Un'operazione, a ridosso del centenario dalla morte del padre della musica moderna, che trova ancor più motivo d'essere nell'interesse stesso del compositore verso il sincopato in " Golliwog's Cakewalk" ma ancor più rilevante è il fatto che questo "pittore di suoni" (Walsh) introdusse a inizio novecento il modale indebolendo la centralità del tonale. 
Il 4et ne riproduce il gusto della ricerca coloristica, della raffinatezza interpretativa, dell'uso di accordi in/auditi per il suo tempo, si ascoltino i richiami di "Disharmonies".
Spunti diversi, anche improvvisativi, trasformano " Moonlight" in "Moon", "Serenade for the Doll" in "Serenade" così da "The Snow is Dancing" ecco "Snow"!
E non si allude ad operazioni di chirurgia estetica (musicale) semmai ad una musica svincolata da etichette stilistiche in cui il riferimento al maestro dell'impressionismo musicale è un richiamo talora più consistente talaltra un semplice accenno. Così come in "The five notes", un jouer su cinque note di scala ovvero nel cangiante "Immagini dimenticate".
Il "molto mosso" "Movement" chiude un compact che "suona" come invito a percepire l'ascolto dell'originale per confrontarne, in questa libera riproposizione, cromatismi e timbriche. 
Del resto anche Goethe riteneva che "la vita esiste in riflessi colorati".

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