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Con l’insediamento al ministero di Matteo Salvini, i contatti diplomatici con Tripoli rimangono molto solidi. Proprio il segretario della Lega è tra i primi ad incontrare Fathi Bishaga, il suo omologo libico, a poche settimane dal suo ingresso all’interno del governo di Al Sarraj. Come rivela il giornale negli articoli di "occhi nella guerra" una mossa favorita anche dai contatti che lo stesso Salvini stringe con il Qatar, a cui sia il premier libico che Bishaga sono ritenuti vicini: “In queste ore stiamo sondando tutti i contatti diplomatici con le parti in causa – dichiarano dal Viminale – L’obiettivo è fare fronte comune e chiede lo stop alle ostilità”. La fine immediata dei combattimenti è del resto la richiesta che viene fatta dal governo di Giuseppe Conte già dalle prime ore dall’inizio della battaglia. Lo ribadisce, nel suo discorso di questo giovedì alla Camera dove riferisce ai deputati, lo stesso Conte. Ed anche Salvini, più volte, dichiara di sostenere lo stop agli scontri: “Il Viminale sta lavorando per questo”, sottolineano dal ministero.

Ma ciò che, dagli uffici del ministero degli interni, preme maggiormente specificare in queste frenetiche ore caratterizzate dalla crisi attorno la capitale libica, riguarda indubbiamente la questione migratoria. Nei giorni scorsi sono parecchie le preoccupazioni circa una possibile ripresa delle partenze dalla Libia. Il caos all’interno della città di Tripoli e l’impiego delle milizie tripoline nelle battaglie, fanno temere un minore controllo lungo le coste del paese africano. Se martedì è lo stesso premier Al Sarraj a tranquillizzare l’Italia, affermando che la sua Guardia Costiera continua a lavorare per arginare i flussi, in questo giovedì è il Viminale a fare quadrato: ” Non si teme, al momento, un incremento delle partenze di immigrati – tagliano corto dal ministero – Stiamo però monitorando la situazione costantemente”.

Proprio nelle scorse ore un barcone in difficoltà con venti migranti a bordo viene soccorso e riportato in Libia dalla stessa Guardia Costiera di Tripoli. Per il momento dunque, la situazione sotto questo fronte sembra sotto controllo. E questo, agli stessi funzionari del Viminale, fa tirare un primo debole ma significativo sospiro di sollievo.

Non solo il volo Bengasi-Roma-Bengasi continua il Giornale di un misterioso Falcon che era presente all’aeroporto di Ciampino lunedì scorso. C’è un altro aereo, sempre dello stesso modello, che ha avuto un percorso diverso ma la stessa base di partenza: Bengasi. Ma questa volta la rotta puntava più a nord, direzione Parigi.

A rivelarlo è sempre Repubblica che, seguendo i tracciati di Flightradar, ha ricostruito un altro viaggio degli uomini di Khalifa Haftar, che in base al monitoraggio dei voli sembra siano atterrati nella capitale francese giovedì 4 aprile per poi ripartire dall’aeroporto di Orly l’alba del giorno dopo. E l’Eliseo ha confermato al quotidiano italiano che “degli emissari di Haftar sono venuti”. Anche in questo caso, c’è chi parla di Saddam Haftar, il figlio del generale, quello che secondo le indiscrezioni sarebbe stato anche a Roma per incontrare il figlio del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Ma c’è un altro aereo misterioso tracciato dai radar sulla rotta Francia-Libia: un jet decollato a un aeroporto secondario di Lione ed è atterrato a Bengasi dopo aver sorvolato per lungo tempo i cieli della Cirenaica: forse in missione di ricognizione.

Scrive il Giornale le domande sorgono spontanee: dopo il sostegno malcelato dei francesi per l’uomo forte della Cirenaica, che cosa ci faceva l’alta delegazione di Haftar a Parigi? Il sospetto è che quell’incontro arrivato dopo la visita degli emissari a Roma serva per dare e ottenere garanzie. La Francia vuole vederci chiaro: ha sostenuto Haftar in ogni modo, anche bloccando la condanna Ue alle operazioni dei suoi miliziani (anche se Parigi nega qualsiasi tipo di “boicottaggio”), ma adesso potrebbe sfuggirgli di mano.

L’Eliseo infatti teme che Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti abbiano preso il sopravvento sui piani dell’Esercito nazionale libico. E adesso il generale può diventare una scheggia impazzita tanto che la francia vuole iniziare a far vedere di avere ancora il polso della situazione anche per non perdere la leadership sulla possibile futura transizione libica in cui è chiaro che Emmanuel Macron abbia giocato tutte le sue carte.

Dalla Francia continuano a negare qualsiasi sostengo diretto ad Haftar. Parlano di un sostegno a entrambe le parti in causa, di volontà di arrivare a una pacificazione, di sostegno all’operato delle Nazioni Unite e dell’inviato Ghassan Salamè. Addirittura continuano a sostenere che non esiste alcuna rivalità tra Parigi e Roma, con l’Italia che non è “rivale” ma addirittura alleata della Francia.

Parole che però inutile nasconderlo non svelano l’altra verità,come rivela "occhi della guerra"  quella fatta di un continuo lavorio diplomatico, di intelligence e politico per farsi fuori a vicenda ed evitare che uno dei due governi prenda il sopravvento sulla crisi libica. In questo senso, è chiaro che Francia e Italia debbano cooperare necessariamente in Libia: perché due Paesi Nato e Ue non possono non condividere informazioni fondamentali specialmente se confinanti e se coinvolte entrambi direttamente in un conflitto e con proprie forze sul campo. Ma la divergenza strategica è del tutto evidente: Parigi non ha alcun interesse a fare in modo che Roma si prenda un ruolo di guida della transizione. E stessa cosa può dire l’Italia, visto che a nessuno, specialmente in questo governo, interessa che Macron prenda in mano la guida del conflitto.

Sotto questo profilo, sempre come riporta Repubblica, le parole di Michel Scarbonchi, “ex deputato europeo che si presenta come una sorta di ambasciatore di Haftar nella capitale francese” sono molto più realistiche: “Nessuno vuole dirlo, ma tutti sperano che il Generale prenda Tripoli e diventi l’ uomo forte capace di stabilizzare la Libia”. Anzi, lo stesso Scarbonchi rivela come oramai anche l’Italia abbia di fatto capito che l’unico con cui si può realmente interloquire è Haftar. Ma è evidente che i suoi uomini siano andati a Parigi per chiedere l’assenso alle operazioni. Mentre in Italia è venuto per garantire che non colpirà i nostri interessi.

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Il caos in Libia non significa che qualcun non stia vincendo.E tra i possibili “vincitori” di questo conflitto, c’è sicuramente la Russia di Vladimir Putin che, nella peggiore delle ipotesi, in ogni caso riuscirebbe a mantenere più di un piede in un Paese che, con la caduta di Muhammar Gheddafi, poteva anche perdere del tutto. Perché la caduta del colonnello libico non è stata solo la fine di un governo partner dell’Italia, ma anche della Russia, considerati i contratti siglati fra Mosca e Tripoli nel corso degli anni precedenti la caduta.

Con la guerra in Libia, tutto sembrava perduto per Mosca. Secondo il quotidiano il Giornale ma così non è stato. E il fatto che adesso il caos imperi nel Paese nordafricano è comunque un segnale che la sfida per Tripoli e dintorni non si è conclusa e che il Cremlino non ha mai messo la parola fine alla sua strategia per la “conquista” della Libia. In questo senso, le parole rivolte ad Agenzia Nova da Lev Dengov, direttore del gruppo di contatto russo per la Libia, sono particolarmente importanti. Il funzionario russo ha infatti affermato che il suo Paese rappresenta “la piattaforma di dialogo ideale per la soluzione pacifica del conflitto” in Libia e ha citato in particolare la figura di Ramzan Kadyrov che “opera come ponte nelle relazioni tra il mondo musulmano e Mosca”.

 

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Il sottile filo rosso che lega Libia e Federazione russa è rappresentato, come sostenuto da Dengov, da Kadyrov. Il governatore della repubblica di Cecenia, musulmano e sunnita, è un elemento essenziale per comprendere la strategia del Cremlino in Medio Oriente e Nord Africa, perché, come spiegato dal funzionario russo, “ha svolto un grande lavoro nel fondare delle relazioni con la Libia ed ha buone amicizie in Medio Oriente, negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita“. Una lista di nomi che appare essenziale per comprendere su chi verte la “simpatia” di Putin visto che sia Riad che Abu Dhabi puntano sul comandate dell’Esercito nazionale libico e anche l’Egitto, sponsor fondamentale del maresciallo di Bengasi.

 

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Per la Russia, sottolinea il Giornale avere legami con tutte le parti del conflitto significa ergersi a possibile leader della transizione del Paese nordafricano dopo la guerra civile, ma soprattutto avere un nuovo avamposto nel Mediterraneo. Proprio per questo motivo, il fatto che gli Stati Uniti abbiano fisicamente abbandonato la Libia con l’immagine di Africom che comunica l’uscita dei soldati Usa dal territorio del Paese, ha un significato molto profondo.

Di fatto, gli Stati Uniti hanno già delegato alle Nazioni Unite il compito di guidare la transizione libica. E mentre Donald Trump dimostra disinteresse nei confronti del conflitto libico, anche grazie agli errori commessi dal governo italiano cher hanno abbandonato la linea più apertamente vicina al governo statunitense, la Russia può incunearsi cercando di prendere non il controllo della situazione, ma quantomeno di diventare, ancora una volta, una potenza necessaria. Ed è questa la vera vittoria di Putin.

 

 

 

 

l premier Giuseppe Conte ha riferito in Parlamento sulla crisi libica che in queste ore sta infiammando il Nord Africa.
«Gli ultimi sviluppi in Libia ed in particolare l'escalation militare sono motivo di forte preoccupazione per l'Italia, così come lo sono e devono esserlo anche per tutta l'Europa e per l'intera Comunità internazionale». Lo dice il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nell'informativa alla Camera sulla Libia

«Le evoluzioni in Libia non ci devono far deflettere dalla ricerca di una soluzione politica, l'unica davvero sostenibile», dice  Conte. «Urge dunque lavorare innanzitutto in direzione di un cessate-il-fuoco e di un'immediata interruzione della spirale di contrapposizione militare, preservando l'integrità di Tripoli e la distensione sul resto del territorio», sottolinea.

E ancora: «In questi mesi sono stato, e sono in questi stessi giorni ed ore tuttora in contatto diretto, con i due principali attori libici, il Presidente Serraj e il Generale Haftar (con quest'ultimo nelle scorse ore ho avuto un contatto attraverso un suo emissario), così come con gli altri protagonisti del panorama politico interno».

Il premier ha ribadito la linea del governo che chiede l'immediato stop alle operazioni di guerra. "In Libia c'è un concreto rischio di crisi umanitaria che va scongiurato rapidamente", ha affermato il presidente del Consiglio. Il premier ha aggiunto: "Urge lavorare per un cessate il fuoco, preservando l'integrità di Tripoli e la distensione nel resto del territorio".

L’Italia continua a muovere le sue pedine in Libia per evitare la catastrofe. E nelle ore precedenti le dichiarazioni di Giuseppe Conte alla Camera, arriva la notizia, riportata da Repubblica, di un nuovo contatto fra gli uomini di Khalifa Haftar e il governo italiano.

Come riporta il quotidiano, i servizi segreti italiani e quelli dell’Esercito nazionale libico hanno iniziato a percorrere la rotta Roma-Bengasi per far incontrare i rispettivi emissari. Lunedì pomeriggio, un aereo Falcon è partito da Ciampino e precisamente dall’hangar dei servizi segreti per raggiungere la Libia. Un aereo che però è scomparso da Flightradar prima di arrivare sulle coste libiche, e che incuriosiva soprattutto per la direzione: non puntava la Tripolitania, ma si avvicinava inevitabilmente a Bengasi. Ed ecco l’ipotesi: quel Falcon è quello che utilizza Haftar e il suo entourage. E l’idea è che gli emissari libici abbiano incontrato direttamente Conte e i vertici dell’intelligence italiana per riprendere i contatti sulla campagna militare del generale su Tripoli.
E fra quegli emissari, sembra ci fosse anche lo stesso figlio di Haftar. Come ha appreso Adnkronos da fonti libiche, nella delegazione dell’Enl che ha incontrato Conte c’era anche lui: segno evidente dell’importanza del vertice romano.

La preoccupazione per quanto sta avvenendo a Tripoli di fatto è costante: "In questi mesi sono stato, e sono in questi stessi giorni ed ore tuttora in contatto diretto, con i due principali attori libici, il Presidente Serraj e il Generale Haftar con quest'ultimo nelle scorse ore ho avuto un contatto attraverso un suo emissario, così come con gli altri protagonisti del panorama politico interno".

Secondo il quotidiano il Giornale in questo scenario internazionale sempre più coinvolto nella battaglia libica, il governo italiano ha aperto un'intensa interlocuzione con la Casa Bianca: "Sono intensamente impegnato sul piano diplomatico, anche attraverso le mie numerose missioni all’estero. In virtù anche dell’azione del mio staff diplomatico e dei competenti organismi, abbiamo ulteriormente rafforzato in questi giorni il dialogo con tutti i principali stakeholder internazionali, a partire dagli Stati Uniti, dai partner europei e dagli attori regionali più influenti in Libia.

Molto intensa è l’interlocuzione con Washington, in particolare con la Casa Bianca. Ricordo al proposito che il Segretario di Stato americano Pompeo ha rilasciato, il 7 aprile scorso, un comunicato nel quale ha espresso profonda preoccupazione per gli scontri in corso e affermato con determinazione l’opposizione degli Stati Uniti all’offensiva militare delle forze di Haftar". Infine Conte afferma: "Non ci sfugge, peraltro, che questa crisi è frutto certamente di debolezze strutturali del contesto locale ma anche di influenze esterne che non sempre sono andate nella direzione della stabilizzazione. ’instabilità protrattasi per otto anni in Libia - aggiunge il presidente del Consiglio - va del resto inserita in un contesto regionale non meno critico, si pensi all’Algeria e agli sviluppi nel quadrante mediorientale. Dobbiamo purtroppo costatare - rimarca ancora - che talvolta la Comunità internazionale non riesca a inviare segnali univoci alle forze libiche, nonostante il forte impegno delle Nazioni Unite sul terreno".

Nel corso della mattinata il vicepremier, Matteo Salvini ha avvertito Parigi sulle presunte mosse del governo francese in territorio libico: "Se ci fossero interessi economici dietro al caos in Libia, se la Francia avesse bloccato un'iniziativa europea per portare la Pace, se fosse vero, non starò a guardare. Anche perché le conseguenze le pagherebbero gli italiani. Se qualcuno per business gioca a fare la guerra, con me ha trovato il ministro sbagliato".

La questione per l’Italia è serissima. E non è un caso che l’intelligence di Roma sia operativa su tutti i fronti, dalla Cirenaica alla Tripolitania fino ai deserti del Fezzan. La strategia italiana è stata messa in crisi dall’operazione avviata la scorsa settimana dal generale libico. Ed è opportuno rimettere le cose in ordine prima che sia troppo tardi. E già adesso sembra molto complicato che l’Italia possa di nuovo provare ad assumere quella leadership politica sulla transizione libica. La nostra presenza militare a Tripoli e a Misurata conferma la nostra linea di pieno supporto nei confronti del governo di Fayez al-Sarraj. Ma è chiaro che la campagna-lampo dell’Esercito nazionale libico abbia cambiato le carte in tavola. E il sostengo ormai acclarato di Emmanuel Macron non può che aver lanciato l’allarme finale.

La Francia continua a muovere i suoi fili sulla Libia. E il fatto che in queste ore sia arrivato il blocco, da parte di Parigi, della condanna dell’Unione europea al generale Khalifa Haftarè un segnale molto importante: la prova che tutti stavamo aspettando. Secondo i occhi della guerra del quotidiano il giornale ...Ieri notte, l’Europa voleva diramare una condanna ufficiale di ogni azione militare intrapresa dall’uomo forte della Cirenaica. E, come spiega Repubblica, “una bozza del documento era stata preparata ieri dal Servizio Esterno dell’Unione ed è stata fatta circolare fra tutti gli stati membri”. L’obiettivo era l’approvazione del documento da parte di tutti i governi entro le 21. Ma la Francia ha bloccato perché nominava esplicitamente Haftar e le sue forze armate. Di fatto, è  arrivata la conferma dei sospetti non solo di Tripoli ma anche di molti servizi d’intelligence europei e mondiali: Emmanuel Macron ha sostanzialmente avallato la campagna del generale.

La notizia è particolarmente importante. E getta un’ombra su tutta la strategia europea per la Libia. Perché è chiaro che a questo punto i giochi sono molto più complessi ma anche finalmente cristallini rispetto a prima. L’Unione europea non esiste, gli Stati giocano la loro partita singolarmente. E l’Italia, con l’avanzata di Haftar, rischia di essere messa con le spalle al muro da un asse composto da Francia, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. E con il non troppo tacito placet della Russia che, da giocatore esterno ma presente, muove i fili libici sostenendo (pur non formalmente) l’avanzata dell’Esercito nazionale libico. Per Palazzo Chigi, la caduta di Tripoli in mano ad Haftar rappresenterebbe la chiusura definitiva di una volontà di leadership della transizione nel Paese nordafricano.

E gli errori del nostro governo rispetto a tutti i possibili partner coinvolti in Libia, rischiano di pesare in maniera molto grave a adesso Roma rischia di essere rimasta isolata. In queste ore, Giuseppe Conte ha telefonato al premier libico Fayez al-Sarraj per confermare la volontà italiana di non abbandonare l’alleato libico. E la presenza delle nostre truppe a Tripoli e a Misurata dimostra la volontà da parte del governo giallo-verde di non lasciare il campo alle milizie locali, ma anche per lanciare un segnale a tutte le parti in campo. Il problema è che adesso, con la battaglia di Tripoli che infuria, la questione sembra essere molto più complicata. Non si tratta di abbandonare un alleato, si tratta di capire come gestire l’inevitabile transizione di un Paese in cui Roma poteva contare tantissimo ma che, per colpa di evidenti errori strategici e tattici, stiamo perdendo quasi definitivamente. E la mossa francese con Haftar sembra essere l’ultima dimostrazione.

Secondo il quotidiano il Messaggero : Dopo che l'allarme era stato lanciato dai migranti («Se non arriveremo in Italia moriremo tutti», aveva detto al telefono uno dei venti a bordo), dalla ong Sea Watch era partita l'accusa: «Né gli Stati né le compagnie private vogliono aiutarli». Mentre Salvini aveva risposto che la barca «è in Libia, lontanissimo dall'Italia». Oltre ai venti a bordo, sono stati segnalati otto dispersi. Dalla Libia in fiamme, dunque, continuano a partire carrette del mare dirette verso l'Europa. L'Unhcr parla di «condizioni di insicurezza» a Tripoli ed oggi ha trasferito 120 migranti da un centro di detenzione ad una struttura protetta. «Visto che la Libia non è sicura - spiega l'Agenzia dell'Onu - i migranti soccorsi non devono esser riportati lì». E il Mediterraneo centrale è un mare sempre più a rischio per la mancanza di mezzi di soccorso, dopo la chiusura della missione Ue Sophia e l'offensiva anti-ong.

L'unica nave umanitaria presente è la Alan Kurdi di Sea Eye, che si trova fuori dalle acque territoriali di Malta con a bordo 63 migranti salvati una settimana fa e respinti prima dall'Italia e poi da La Valletta. Ed i mercantili privati, anche dopo il recente caso di dirottamento subito da parte di migranti soccorsi, sono sempre più restii a intervenire. Alle sei del mattino, a quanto fa sapere Alarm Phone, la telefonata di allarme: una ventina di persone, tra cui anche donne e bambini, su un barcone che ha perso il motore e vaga nelle acque tra Tunisia e Libia. «Tutte le autorità sono state informate, ma nessuno sforzo è stato fatto. Senza dubbio, se i dispersi fossero europei e bianchi un'operazione di salvataggio sarebbe già stata effettuata».

Da un aereo della missione Sophia che ha sorvolato l'area è stata data l'indicazione di chiamare le autorità tunisine, che però non sono intervenute. Sea Watch nel pomeriggio ha chiesto all'armatore olandese Vroon, le cui navi VOS Triton e Aphrodite sono vicine all'imbarcazione alla deriva, la disponibilità a intervenire. Ma anche in questo caso non ci sono state risposte. E senza risposte, ormai da una settimana, si trova anche la Alan Kurdi, che si tiene fuori dalle acque maltesi, senza aver avuto l'autorizzazione a sbarcare i 63 salvati, tra i quali due bimbi di 11 mesi e 6 anni e due donne incinte. Ieri una giovane nigeriana che era collassata è stata trasferita a Malta, ma le autorità della Valletta non hanno finora concesso il porto sicuro alla nave umanitaria.

Sempre ieri un'imbarcazione della ong Moas ha portato rifornimenti sulla nave. La Mare Jonio, di Mediterranea saving humans, intanto, si prepara a tornare in mare dopo il sequestro e l'indagine a carico di capitano e capo-missione da parte della procura di Agrigento. A bordo ci sarà anche il senatore Gregorio De Falco, ex M5s ora al Gruppo Misto. «Non vorrei - ha spiegato - essere un passeggero zavorra, ma avere una funzione di utilità a bordo, mettendo a servizio la mia esperienza di ufficiale di Marina».

La guardia costiera libica e riportati indietro i 20 migranti che avevano lanciato l'allarme attraverso il numero di emergenza di Alarm Phone. Ne ha dato notizia, con soddisfazione, il ministro dell'Interno Matteo Salvini. «I famosi 20 che 'stavano affondandò sono stati prontamente salvati dalla Guardia Costiera libica e riportati a terra. Molto bene!», è il commento del ministro. Opposto il giudizio di Alarm Phone: «La cosiddetta Guardia costiera libica ha intercettato la barca. Le 20 persone saranno riportate in una zona di guerra da una milizia finanziata dall'Ue. È una vergogna che questo respingimento illegale e disumano avvenga nell'indifferenza generale».

Salvini a quanto pare non andrà all'Altare della Patria, forse non accompagnerà il Capo dello Stato all'apertura delle celebrazioni e chissà non parteciperà neppure ad una delle tante iniziative organizzate dall'Anpi e non solo in tutta la penisola. "La lotta a camorra, 'ndrangheta e mafia è la nostra ragione di vita - ha detto il ministro leghista a margine della festa della polizia - Vado a Corleone a sostenere le forze dell'ordine nel cuore della Sicilia".  

Nessuno prima d'ora si era mai esposto così tanto: il prossimo 25 aprile il ministro dell'Interno non sarà a "sfilare qua o là" per celebrare partigiani e Resistenza. Andrà invece a Corleone, tra "le forze dell'ordine" che combattono ogni giorno la mafia.

Non è solo l'assenza a pesare. Ma anche le parole. Salvini non intende "sfilare qua e là" con "fazzoletti rossi, fazzoletti verdi, neri, gialli e bianchi". Insomma: non sembra voler associare la sua immagine con quella dei cortei partigiani che il 25 aprile invadono le cittadine italiane. A partire dalla Capitale.

La notizia ha irritato e non poco anche l'Associazione Nazionale dei Partigiani Italiani. La presidente Carla Nespolo è convinta che Salvini non voglia "onorare con il dovuto rispetto l'antifascismo e la lotta partigiana". "È istituzionalmente doveroso - ha detto ieri sera - che Salvini esca dalla sua brutale propaganda contro una festa nazionale che ricorda tante donne e uomini sacrificatisi per ridare all’Italia la libertà sottratta dalla violenza e dai crimini del fascismo e del nazismo".  

Come sottolinea il Giornale e scontata la reazione della sinistra. Il primo a prendere posizione è Emanuele Fiano, già firmatario di un progetto di legge contro la diffusione di tutti i gadget del Fascismo e del Duce. "Noi ci auguriamo che il ministro dell'Interno sia in prima fila per combattere la criminalità organizzata tutti i giorni, come purtroppo sembra non fare - attacca - Ma il 25 aprile è il giorno della Liberazione. Cioè della rinascita della democrazia nel nostro Paese e ogni vero amante della nostra Repubblica dovrebbe onorarlo senza ma e senza se". Per Fiano le "frasi sciocche" di Salvini sono "sconcertanti", perché si ricorda "del suo ruolo per la lotta alle mafie in modo strumentale solo per offuscare il valore di una giornata storica e alimentare in modo sempre più netto la negazione del valore dell'antifascismo come fondamento della Repubblica".

Le liti sull'asse Salvini-Anpi non sono ormai una novità. A febbraio la miccia tornò a esplodere per i post revisionisti dell'Anpi di Rovigo o per il discusso convegno di Parma sulle foibe con la partecipazione della sezione locale dei partigiani. Senza contare le accuse della stessa Nespolo che solo lo scorso agosto additava il ministro di "massacrare i diritti umani". Tre anni fa, era il 2016, Salvini - allora solo leader della Lega - il 25 aprile decise di organizzare una manifestazioni contro il governo Renzi proprio nel giorno della festa della Liberazione. L'Anpi se la prese, parlando di "provocazione" e "insensibilità". "L'Anpi non è padrone del 25 aprile perchè la Resistenza ha avuto tante facce e il 25 aprile è di tutti", disse Salvini. "Porteremo la voce anche dei partigiani che non avevano il sogno della bandiera rossa". Tre anni dopo sarà lì a sfilare. Neppure da ministro. Almeno non ha cambiato idea

Intanto Casarini choc contro il governo: "Che siate maledetti, assassini" mentre la Mediterranea Saving Humans si prepara a lanciare una sfida frontale al governo italiano - per mare, che questa settimana sarà solcato nuovamente dalla Mar Jonio, e per terra, dove è stato presentato un esposto alla procura di Agrigento per "il blocco navale operato contro la Alan Kurdi" - l'ex no global del G8 di Genova, che si è messo al timone della nave dei centri sociali, si è messo a cavalcare il caso del gommone in avaria al largo della Libia sollecitando un intervento immediato del governo italiano.

Gli stessi toni di Casarini scrive il Giornale vengono usati dalla Mediterranea Saving Humans. "Queste persone preferiscono affogare piuttosto che tornare nei lager - si legge su Twitter - i governi europei li stanno condannando a morte". Sabato scorso l'ong ha tenuto un'assemblea a cui hanno partecipato tutti gli equipaggi. Tra questi c'erano appunto Casarini, ultimo capo missione della Mar Jonio, e l'armatore Alessandro Metz. Dopo il dissequestro, del quale si è avuto notizia a fine marzo scorso, la loro nave adesso si trova a Marsala. "In questi giorni - hanno fatto sapere dalla ong - è in corso il cambio degli equipaggi". A bordo non vi saranno Pietro Marrone, il pescatore-comandante nell'ultima missione, né Casarini poiché, come ha spiegato quest'ultimo, "da protocollo ogni missione deve avere un capo missione diverso dagli altri"  

La prima ong a intervenire, non appena Alarm Phone ha lanciato l'sos su Twitter, è stata proprio Mediterranea Saving Humans. Che con un tweet "ha avvisato le autorità di Roma, Valletta e Tunisi" affinché intervengano a salvare i venti immigrati in balia del mare. Stando a quanto è stato riferito dalle persone che si trovano a bordo, infatti, il motore non funziona e la carretta, che sta imbarcando acqua ormai da alcune ore, è alla deriva in prossimità del confine libico-tunisino. "In questo momento uomini donne e bambini stanno affondando davanti alle coste della Libia - twitta Casarini - otto di loro sono già morti. Tutte le autorità sono informate da quattro ore di questa situazione. Nessuno risponde, compresa Roma". Quindi, anziché prendersela con i trafficanti di uomini, lancia una pesantissima invettiva contro il governo gialloverde: "Che voi siate maledetti, assassini".

Data l’attuale situazione d’instabilità nella capitale libica, l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ieri ha ricollocato oltre 150 rifugiati dal Centro di detenzione di Ain Zara, nei quartieri sud di Tripoli, al Centro di raccolta e partenza dell’UNHCR, situato in un’area sicura nelle vicinanze.


Negli ultimi giorni l’area circostante il Centro di detenzione di Ain Zara è stata teatro di scontri pesanti. Alcuni rifugiati hanno riferito all’UNHCR di avere paura e di temere per la propria incolumità a causa degli scontri in corso nella zona, nonché di avere ormai a disposizione quantità minime di scorte.
L’UNHCR è stato informato di situazioni simili che coinvolgono altri Centri di detenzione e attualmente sta esaminando quanto riferito.

Il ricollocamento di rifugiati e migranti detenuti avvenuto ieri è il primo realizzato dall’UNHCR in seguito al recente inasprirsi degli scontri.
L’UNHCR sta lavorando a stretto contatto con le autorità e coi propri partner per garantire che un numero ulteriore di persone vulnerabili sia ricollocato dai Centri di detenzione.

“In Libia molti rifugiati e migranti sono soggetti a terribili depravazioni. Ora sono ancora più esposti a seri rischi e non deve essere tralasciato alcuno sforzo volto a trarre in salvo tutti i civili e a garantire loro un luogo più sicuro”, ha dichiarato Matthew Brook, Vice Capo Missione dell’UNHCR in Libia.
Da quando sono scoppiati gli scontri nella capitale libica, oltre 3.400 cittadini sono stati costretti alla fuga e molti altri sono rimasti vittime del fuoco incrociato, impossibilitati a mettersi in salvo.

L’UNHCR si unisce al resto degli attori umanitari per sollecitare il rispetto degli obblighi legali internazionali volti ad assicurare l’incolumità di tutti i civili e l’integrità delle infrastrutture, oltre che a garantire un accesso incondizionato, sicuro, duraturo e senza impedimenti degli aiuti umanitari alle aree colpite.

Nell’ambito della risposta d’emergenza alle violenze in atto, l’UNHCR ha inoltre predisposto la presenza di aiuti in aree chiave a Tripoli e a Misurata, rafforzando la capacità dei propri servizi di assistenza telefonica e assicurando la continuità dei programmi di protezione per rifugiati e sfollati interni negli insediamenti urbani.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ribadisce la propria posizione secondo cui le condizioni in Libia non sono sicure per i rifugiati e i migranti soccorsi o intercettati e che, pertanto, essi non devono esservi ricondotti.

Intanto domenica sulla tv qatariota Al Jazeera viene trasmesso un servizio che parla proprio dei migranti presenti a Tripoli. Come ben si sa, a partire da giovedì mattina è nell’area della capitale che si concentrano gran parte degli scontri. Ad ovest si combatte tra Sabrata e la periferia di Tripoli, a sud invece nei villaggi e nei paesi vicini l’aeroporto internazionale. 

Non si conosce bene il numero esatto di centri per migranti in questa zona. Alcuni sono censiti ed all’interno vi è il personale delle Nazioni Unite, presente sia con l’Unhcr che con l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Altri invece – quelli più pericolosi essendo gestiti direttamente dalle milizie e dai criminali che organizzano le traversate – non risultano ovviamene tra quelli nell’elenco del governo. I giornalisti di Al Jazeera, nel loro servizio, contattano alcuni migranti presenti nel centro Qasr Bin Ghashir.

Si tratta di una zona pericolosa, qui proprio da domenica si concentrano gran parte degli scontri a sud di Tripoli. Anzi, alcuni video postati poche ore dopo l’inizio dell’operazione di Haftar mostrano cittadini di questa località accogliere festanti gli uomini del generale. Ma la situazione è comunque confusa e i combattimenti sarebbero proseguiti pure successivamente. Del resto a pochi chilometri da qui sorge per l’appunto l’aeroporto e la zona militarmente è quindi strategica. 

Nel servizio di Al Jazeera, i giornalisti che riescono a mettersi in contatto con i migranti presenti a Qasr Bin Qashir raccontano di essere senza cibo da due giorni: “Chi gestisce il centro è scappato”, raccontano alcuni testimoni. Ma, oltre a questo, emerge anche un altro racconto inquietante: con la promessa della libertà, in molti vengono convinti ad arruolarsi tra le milizie vicine ad Al Sarraj. Secondo i racconti dei migranti, vengono fornite armi e divise e si viene spediti al fronte a combattere contro Haftar. Del resto, numeri alla mano, i migranti presenti sarebbero un esercito nell’esercito: sono in migliaia coloro che sarebbero assiepati a Tripoli, costringere ad accettare molti di loro ad arruolarsi potrebbe ingrossare le fila delle milizie filo governative.

 

 

 

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