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carlo acutis libro 1

Riprendo a scrivere dopo qualche settimana di pausa. Mentre scrivo da Parigi arrivano notizie terribili di attacchi terroristici. Intanto per ora provo a raccontarvi la storia di un giovane adolescente di 15 anni morto improvvisamente per una leucemia fulminante. E' la storia di Carlo Acutis, che riprendo dalla biografia di Nicola Gori, “Eucarestia. La mia autostrada per il cielo”, Edizioni San Paolo (2007). “Che cosa può offrire alla nostra frenetica esistenza un adolescente che a soli 15 anni muore improvvisamente? Qual è il messaggio che egli ha lasciato a tutti nel corso della sua breve esistenza? Che cosa è rimasto impresso nel cuore di coloro che l'hanno conosciuto?” Sono domande che si è posto nell'introduzione lo scrittore Nicola Gori.

Carlo era un ragazzo intelligente, geniale, che amava i computer e i programmi informatici. Potremo scrivere che era come tanti altri ragazzi della sua età, amava i cartoni animati, i film, i giochi. Ma gli piacciono anche gli animali, in casa teneva sia i cani che i gatti.

Perchè è importante raccontare la vita di questo ragazzo? Perché ci lascia una testimonianza concreta di un giovane che nonostante tutto può vivere nella normalità amando totalmente una Persona speciale; Gesù Cristo. Coglie bene monsignor S. E. Michelangelo M. Tiribilli, Abate generale dei Benedettini di Monte Oliveto, nella presentazione del libro: “questo ragazzo sociologicamente uguale ai suoi compagni di scuola, è un autentico testimone che il Vangelo può essere vissuto integralmente anche da un adolescente”. A questo proposito, scrive Gori: “senza la presenza di Gesù nel suo vivere quotidiano, non si potrebbero comprendere il comportamento e il modo di essere di questo ragazzo, in tutto simile ai suoi amici, ma che conserva dentro di sé un segreto incorruttibile”.

Certo Carlo è cresciuto in una famiglia cristiana, è vissuto in un ambiente cristiano, frequenta la chiesa di Santa Maria Segreta a Milano e quindi anche le scuole elementari e medie presso le Suore Marcelline di Milano.

Carlo è un ragazzo che si trova a testimoniare i valori evangelici che in tanti hanno smarrito e dimenticato. “Egli non ha timore di presentarsi come un'eccezione o di andare controcorrente, contro la mentalità imperante nel suo ambiente o nell'opulenta società”.

Il Gori inserisce la figura di Carlo Acutis in quella moltitudine di piccoli santi che con la loro esistenza hanno reso gloria a Dio. I modelli a cui fare riferimento sono San Domenico Savio, San Luigi Gonzaga, i pastorelli di Fatima, i beati Giacinta e Francesco. Ma poi anche i Martiri, tra i quali S. Tarcisio, martire per l'eucarestia, Sant'Agata, S. Agnese, S. Maria Goretti.

La scelta di Carlo è quella di scommettere tutto su Cristo in modo coerente e non un fuoco passeggero. I due pilastri fondamentali su cui fonda la propria vita spirituale sono l'eucarestia e la la Vergine Maria. La vita di Carlo . Scrive Gori – è interamente eucaristica, nel senso che non solo ama e adora profondamente il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo, ma ne assume l'aspetto oblativo e sacrificale”.

Carlo ha scelto di aiutare soprattutto le persone che vivono lontane da Gesù, immerse nel peccato. Spesso prega e si offre in riparazione dei peccati e delle offese compiute contro l'amore divino. E' devoto al Cuore di Gesù e confida nel suo amore misericordioso. Ogni giorno partecipa alla Santa Messa e si comunica tutti i primi venerdì del mese per riparare gli oltraggi e i peccati che offendono il Cuore eucaristico. Recita quotidianamente il Santo Rosario.

Carlo non vive fuori dal mondo, “non è un alieno – scrive Gori – è solo una persona consapevole di avere incontrato Gesù e per rimanergli fedele è pronto a sfidare l'opinione comune e le abitudini della maggioranza”.

Il giovane non perde mai occasione di fare evangelizzazione, anche nei momenti di gioco, quando opera con il computer. “Carlo ha capito che occorre un grande sforzo missionario per annunciare il Vangelo a tutte le creature”, per questo apprezza molto lo slancio del beato Giacomo Alberione, il fondatore delle Paoline. Carlo ha piena fiducia nei mezzi di comunicazione, “nei mass media che, se ben utilizzati, sono un ottimo strumento di diffusione e di conoscenza della Parola di Dio e della persona di Gesù”. La passione del ragazzo di far conoscere a più gente possibile la figura di Gesù, lo fa assomigliare al grande apostolo delle Genti, a Paolo di Tarso.

Carlo Acutis era molto devoto del Papa, è rimasto colpito dalla sua prima visita in Vaticano, in occasione del grande Giubileo del 2000, quando San Giovanni Paolo II, insieme ai Vescovi, fecero la consacrazione del millennio alla Madonna di Fatima.

Oltre al Papa e alla Chiesa Carlo era molto devoto alla Madonna, a lei affida completamente la sua vita. A lei ricorre nei momenti più bui e di bisogno. In particolare rimane colpito dai racconti delle Apparizioni di “Lourdes e di Fatima e vuole seguire i messaggi e le raccomandazioni fatti dalla vergine per mezzo dei veggenti”.

Molto legato ai messaggi di Fatima, in particolare, il ragazzo resta molto impressionato dal racconto della visione dell'Inferno come riferito da Lucia. Infatti l'autore di questa biografia, non manca di sottolineare l'importanza di ricordare i novissimi, gli elementi ultimi della fede. “In un mondo in cui, ormai, parlare delle ultime verità della fede sembra diventato un anacronismo, una remora del passato, un discorso superato dalla civilizzazione e dal progresso, Carlo scuote le coscienze e invita a guardare oltre il limitato orizzonte terreno”.

Pertanto per monsignor Tiribilli la vita esemplare del giovane Carlo non interroga solo i giovani, che hanno molto da imparare da Carlo che si è lasciato sedurre dall'amicizia per Cristo, ma i laici, la Chiesa stessa: “la testimonianza evangelica del nostro Carlo non è solo di stimolo per gli adolescenti di oggi, ma provoca i parroci, i sacerdoti, gli educatori a porsi degli interrogativi sulla validità della formazione che essi danno ai ragazzi delle nostre comunità parrocchiali e come rendere questa formazione incisiva ed efficace”.

Infatti nonostante la giovane età Carlo ha maturato una fede talmente viva e gioiosa che può essere descritto come un vero “paladino dell'ortodossia della fede [che] difende con forza il Magistero e gli insegnamenti dei Papi davanti alle critiche e alle interpretazioni personali. Basandosi sul Vangelo e sulla Tradizione della Chiesa, Carlo riesce a maturare un'esperienza di fede non comune per un giovane della sua età”.

Dalle numerose testimonianze che il libro racconta, siamo certamente di fronte a un'anima nobile, immersa nel mistero di Dio. L'esempio di Carlo è contagioso, il giovane ci provoca, vuole che il nostro impegno sia duraturo e motivato dall'amore a Cristo e non compiuto per pura filantropia.

047

La scrittrice e poetessa Francesca Farina il prossimo venerdì 6 novembre 2015 alle ore 17.30 presenterà il suo ultimo, straordinario libro “Casa di morti” (2015,GPS Editore-Roma) presso lo spazio “Aleph” sito in Vicolo del Bologna 72 (Roma Trastevere) di Giulia Perroni, che leggerà alcuni significativi passi, e Luigi Celi.

La lettura critica del romanzo sarà a cura di Plinio Perilli, Claudia Pagan e Roberto Piperno.

L’autrice di questa avvincente opera mito-biografica ha saputo raccogliere, con aulica capacità, i policromi aspetti della sua meravigliosa Sardegna, una Terra intrisa di storia, suggestioni, incanto e miti.

Le arti letterarie rappresentano per lei da sempre la maggiore passione, che ha iniziato a coltivare dall’età di tredici anni, quando cominciò a redigere i suoi diari, che ad oggi ammontano a circa cento quaderni.

Francesca Farina, attualmente docente presso le scuole superiori, ha compiuto gli studi classici a Siena e quelli universitari a Roma, dove ha conseguito la laurea in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea, per poi perfezionarsi in Letteratura Italiana.

Nel 1986 ha iniziato la sua collaborazione in qualità di critico letterario presso la rivista accademica “Esperienze Letterarie”, diretta dal prof. Marco Santoro, continuando parallelamente la scrittura poetica e in prosa.

Nel 1998 ha pubblicato il libro”Framas”ottenendo lusinghieri consensi di pubblico e critica.

In questi anni ha ricevuto numerosi premi letterari e prestigiosi riconoscimenti e dal 2002 ogni anno, nel corso del mese di giugno, presso l’isola Tiberina di Roma organizza il “Leopardi’s day”, una giornata di letture poetiche in omaggio a Giacomo Leopardi, che vede la partecipazione di moltissimi poeti italiani e fra il mese di giugno e luglio “l’Isola dei Poeti”, sempre nella medesima, suggestiva location romana, avvalendosi in entrambe le manifestazioni della preziosa collaborazione dello scrittore e poeta Roberto Piperno.

Sempre fattivamente presente nelle varie iniziative poetiche e manifestazioni di carattere letterario e culturale, organizza fra l’altro, con cadenza mensile, le “Maratone di Poesia”, affrontando sempre tematiche diverse e di particolare impatto sociale, spesso ispirate ai fatti più salienti della Storia contemporanea.

In questi ultimi anni ha pubblicato tre plaquettes di poesie: “Fleurs”, “Sonetti estremi” e “Lai”.

Attualmente ha in preparazione tre nuove raccolte poetiche ed un nuovo romanzo.

Il suo blog poetico-culturale è: www.poeticontemporanei.blogspot.com

Ha iniziato a scrivere poesie durante l’adolescenza. Il suo voler fissare i momenti più significativi della vita vuol essere un modo per contrastare il veloce ed inesorabile scorrere del tempo?

In realtà ho iniziato a scrivere poesie fin da bambina, quasi si trattasse di un atavismo; pertanto, sono certa che la scrittura sia un dono del sangue, ossia qualcosa che non si apprende soltanto, ma che si ha in sé, nei propri geni, nei propri cromosomi. Per quanto mi riguarda, non è stato altro che riscoprirla e metterla in atto, per dare corpo a un assoluto che premeva per esprimersi, non tanto per superare la precarietà estrema della vita, quindi del tempo, quanto per affermare la mia propria essenza.

Lei ha trascorso la sua infanzia in Sardegna, dove è nata, una Terra avvolta di fascino e mistero. Nei suoi diari giovanili, oltre ad esprimere le inquietudini e i turbamenti adolescenziali, fa riferimento al suo paese natale?

La mia Terra ha costituito un mistero per molti anni anche per me, che la vivevo dal di dentro, come per molti che la vivevano e la vivono dal di fuori. Dove mi trovavo, chi ero, che cosa volevo? Questi sono stati per diverso tempo i miei “interrogativi categorici” e tutta la bellezza, tutto l’enigma, tutto il dramma della Sardegna li ho introiettati nella mia stessa natura. Quindi, nei diari, che ho iniziato a redigere a dodici anni e che non ho mai smesso di scrivere, tanto che oggi ammontano a un centinaio di quaderni, ho cercato di raccontare sia tutto di me, sia la mia gente, il mio mondo, come a voler testimoniare l’universo nel quale ero immersa e che mi coinvolgeva e sconvolgeva al tempo stesso. Vorrei aggiungere che alcuni di essi nel 1998 sono risultati finalisti al “Premio Pieve Santo Stefano”, indetto dall’Archivio Diaristico Nazionale.

Il suo splendido ed interessantissimo libro “Casa di morti” è ricco di suggestive immagini ancestrali, quasi incantate, con icastiche descrizioni che accompagnano il lettore in un viaggio nel tempo e tracciano la via dell’infinito, fra miti e tradizioni di una cultura singolare, come quella sarda. Quanto tempo ha impiegato per raccogliere tutte queste notizie?

Il mio romanzo posso dire di averlo sempre scritto, incessantemente, di averlo portato sempre in me, appropriandomi di ogni aspetto della mia realtà fisica e sentimentale, di ogni traccia della vita dei miei avi, come di me stessa, dei miei più lontani antenati, come dei miei più vicini familiari. A un certo momento, non ho fatto altro che mettere sulla carta ciò che avevo nella memoria, nel cuore, nelle parole. Per cinque anni ho scritto centinaia di pagine, meditando ogni frase, ogni espressione, ogni immagine, per rendere tutto nella sua più alta verità, lavorando sui contenuti come sulla lingua, rifuggendo dal banale delle cose, come delle parole e cercando, infine, di restituire alla letteratura quanto le spettava e che sentivo mancare alle opere dei contemporanei, che via via leggevo e che non mi soddisfacevano.

Nello scorrere della lettura, ho trovato l’avvincente ricordo del suo bisnonno, soprannominato il piccolo Caporale, sui campi di battaglia in Crimea, come tanti giovanissimi soldati italiani, costretti alla guerra. Intensa la descrizione dell’estenuante resistenza degli Alleati, durata trecento giorni; una minuziosa, puntuale rappresentazione del tragico teatro di guerra, fino all’estrema e stoica resistenza di Sebastopoli. Fra le righe si percepisce l’umana caducità e l’inutilità di ogni conflitto. Quali sono i messaggi che il suo antenato ha lasciato in eredità ai nipoti, quindi ai posteri, attraverso i suoi racconti?

Mio padre, il cui pudore, la cui altissima moralità lo facevano rifuggire da ogni sfacciata espressione di sentimentalismo, rarissime volte si abbandonava a ricordi o emozioni e tra quelle rarissime volte c’erano i momenti in cui rievocava il nonno Caporale, in realtà padre della prima moglie di suo padre, quindi, una specie di nonno acquisito, come racconto nel romanzo. Ebbene, la frase ricorrente di mio padre attraverso i decenni, che prima e di sovente fu pronunciata da quel lontano antenato, era: “Vi parrà la Crimea!”, come a dire, che sarebbe venuta anche ai suoi discendenti una stagione crudele, come quella che aveva sperimentato lui stesso in quella terribile guerra di morti, fame e malattie. Per lui si trattava quasi di un rito apotropaico, significava che occorreva non ripetere mai il tremendo destino che lo aveva costretto a combattere, poiché era stata un’epoca di tali atrocità, che avrebbe preferito non nominare neppure.

Inoltre, mi ha colpito particolarmente l’attenzione che il popolo sardo, per propria cultura, riservava alla ricorrenza dei defunti; i grandiosi banchetti, in occasione dei quali si consumavano cibi semplici, fatti in casa, come i dolcetti tipici, farciti di uva passa. Poi, le antichissime nenie, cantate in loro onore, quasi a voler mantenere viva la presenza degli estinti fra i vivi, un qualcosa che va ben oltre il ricordo. Questa tradizione viene ancora rispettata dalle nuove generazioni?

La “cena dei morti”, che si celebrava immancabilmente ogni due novembre a casa mia, quando ero bambina, in Sardegna, con tutta la solennità dolente del caso, ha costituito forse uno dei misteri più grandi della mia esistenza. In un silenzio grave, rotto soltanto dalla voce delle zie, che recitavano una lunga preghiera in sardo, si invocava la pace per i poveri parenti defunti, allestendo per essi un semplice banchetto con i cibi tradizionali e invitandoli a cibarsene, per perdonare i vivi dell’essere vivi…La loro morte infatti causava un immenso senso di colpa a chi restava, ancora sentito in me, per tutti coloro che sono trapassati.

Un breve sondaggio su Facebook mi ha confermato che in quasi tutta la Sardegna ancora oggi si celebrano questi millenari riti, che certamente risalgono ai Greci e ai Latini, se non agli antichi Shardana, antenati dei Sardi, che vivevano nel Vicino Oriente Antico e hanno popolato la mia isola in tempi lontanissimi.

Vorrebbe parlarmi della seconda parte della sua opera letteraria?

Dopo la prima parte, in cui narro proprio le storie mitizzate di questi avi ancestrali, come dei miei antenati più prossimi, nella seconda parte del mio romanzo, quasi in una galleria di famiglia, faccio sfilare alcuni dei parenti con i quali ho vissuto parte della mia esistenza e che, attraverso il loro incessante insegnamento, hanno formato il mio carattere: i miei genitori, spesso assenti, ma sempre aleggianti come anime in pena accanto a me; le mie zie paterne, gli zii, colonne della famiglia, che hanno dedicato l’intera vita ai nipoti, privandosi di una loro esistenza; i fratelli, con l’assurda scomparsa di uno di essi a soli trentatrè anni…Tutti hanno contribuito, con il loro sacrificio, a dare forma alla mia anima e corpo alle mie parole.

Questo libro ha una lunga storia, che mi farebbe piacere far conoscere ai nostri lettori. Cosa le è accaduto?

Come accennavo qui sopra, dopo circa cinque anni di incessante lavoro, durante una vacanza estiva, purtroppo, ho perduto il manoscritto, che si componeva di circa cinquecento fogli dattiloscritti in un’unica copia, (non esisteva ancora la pratica dello scrivere al computer!), con infinite annotazioni di mia mano. La pena per tale perdita ha rasentato quasi la rinuncia a scrivere il mio romanzo, ma, dopo qualche tempo, facendo appello alla mia ferrea memoria, ho riscritto quanto avevo profondamente incamerato, operando uno sforzo gigantesco per ricostruire ogni capitolo e ogni pagina, così come la ricordavo. Spero di esserci riuscita.

Nella sua esperienza di docente quali sono le maggiori difficoltà che incontra nell’infondere fra i discenti un certo interesse verso le arti letterarie?

Da docente, che ama profondamente il proprio lavoro e soprattutto il continuo scambio con i propri studenti, la cui meravigliosa forza vitale alimenta tutta la mia passione quotidiana dell’insegnare, constato sovente, purtroppo, quanto sia arduo per i giovani acquisire contenuti non superficiali, impossessarsi della profondità della lingua italiana dei secoli passati, come anche di quella dei nostri scrittori contemporanei, (lo stesso Calvino, o Pasolini, o Morante o Ortese rappresentano un banco di prova difficilissimo per gli alunni del quinto anno, che pure sono quasi maturi). Tuttavia, non mi scoraggio dal proporre loro incessantemente di andare oltre la banalità delle cose, di appassionarsi a quanto di bello e di grande ci hanno lasciato i nostri antenati, e di cercare, per quanto possibile, di imitarli, citando spesso il noto detto: noi non siamo altro che nani sulle spalle di giganti: non saremo mai come loro, ma essi ci permettono di guardare lontano…

Conversando con lei, percepisco con piacere il suo inesauribile desiderio di scrivere; in altre parole, si tratta di una forte necessità di esprimere il suo “sentire”?

Assolutamente sì: “Nulla die sine linea”, cioè “Neppure un giorno senza scrivere una riga” dicevano gli antichi; ma io, che ho sentito per anni la bellezza della scrittura, a volte ne sento tutto il peso, il dolore anzi, quasi si tratti di una malattia cronica, che mi affligge da sempre e dalla quale non credo riuscirò mai a guarire…

Mi ha riferito che ha già iniziato la stesura di un nuovo libro; qualche anticipazione?

Sì, il mio “Antenato barbarico”, un Aldobrandinus, che venne in Sardegna a dare origine alla mia stirpe, dalla terra dei Germani all’epoca dei Longobardi, forse; mi accompagna da molti anni e adesso vorrei davvero cominciare a rispondere alla sua supplica di raccontarlo, di farlo uscire dal mondo dei morti atroci e solenni, che giacciono immemori nelle desolate plaghe della dimenticanza…

il fondamentalismo dell'origine dell'isis

Da qualche mese la Sugarcoedizione di Milano distribuisce un interessante testo del professore Massimo Introvigne, “Il fondamentalismo dalle origini all’Isis”, un’opera interessante dove si sostiene che la domanda di religione ancora presente è in gran parte una domanda di conservatorismo.“In una situazione normale, il tipo di religione che ha più successo è quello conservatore; il fondamentalismo ha una presenza più ridotta, l'ultra-fondamentalismo molto ridotta”. Ma ahimè, i tempi non sono normali, e quindi il fantasma del “fondamentalismo” è emerso dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989 e la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991. Viene studiato sia dalla sociologia delle religioni, sia dalla geopolitica. Introvigne noto sociologo, fondatore del Cesnur(Centro Studi sulle Nuove Religioni) in questo testo lo studia con ampia documentazione, proponendo i casi della Palestina, della Turchia, dell’Algeria, fino all’emigrazione musulmana in Europa, da bin Laden al Califfato dell’Isis.

Lo studio si divide in due parti. Nella prima, si chiede se sia possibile proporre una teoria del “fondamentalismo” dal punto di vista della sociologia delle religioni, in particolare da quella detta dell’economia religiosa. Nella seconda, propone un’applicazione della griglia teorica e metodologica al cosiddetto “fondamentalismo” islamico. Introvigne volutamente virgoletta la parola “fondamentalismo”, proprio perché non è una “categoria univoca o scontata”, spesso, nello studio, viene messa ripetutamente in discussione.

Lo studio del professore torinese si muove nell’ambiente metodologico della teoria dell’economia religiosa del grande sociologo americano Rodney Stark, illustrata da Introvigne nel testo, “Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente” (Stark e Introvigne, 2003).

Che cosa sostiene questa teoria, nella prima tesi, che i “movimenti religiosi hanno molto spesso cause e motivazioni religiose”. Invece il marxismo, la psicanalisi, la scuola di Francoforte, hanno convinto generazioni di studiosi che “i fenomeni che si presentano come religiosi sono spesso solo la maschera di fattori materiali”. Infatti Friedrich Engels, il più stretto collaboratore di Marx, spiegava che “ogni religione non è altro che il riflesso fantastico nella testa degli uomini di potenze esterne che dominano la loro esistenza quotidiana, come le condizioni economiche e i mezzi di produzione”. Così, per anni si è sostenuto che “la Prima Crociata è la conseguenza di un surplus demografico all’interno della nobiltà europea – nel senso che bisognava trovare qualcosa da fare per i figli dei cadetti in soprannumero delle famiglie nobili -, che le eresie medievali e la Riforma rappresentano una lotta di classe della borghesia urbana contro la nobiltà rurale, e che i ‘Grandi Risvegli’ che contraddistinguono la storia del protestantesimo inglese e americano sono forme primitive di rivolta contro la moderna economia di mercato”.

Anche se ormai gli storici hanno smantellato queste costruzioni ideologiche, tuttavia, per Introvigne, “ogni volta che un fenomeno sembra religioso, un riflesso condizionato, che deriva in gran parte dal marxismo, spinge molti a chiedersi: di quale struttura economica reale la ‘sovrastruttura’ apparentemente religiosa è la maschera o il prodotto?”. Questa prima tesi diventa pertinente dopo che sono stati congelati i conflitti regionali durante la Guerra Fredda, quando il tutto era ridotto alla domanda: “Stai con i sovietici o con gli americani?”

Infatti dopo il 1989 sono riemersi scontri locali che “la Guerra Fredda aveva nascosto, ma non risolto”, scrive Introvigne. Così le tesi di Juergensmeyer o dello stesso Samuel Huntington, sono attendibili, perchè sostengono che questi conflitti locali molto spesso hanno un’importante componente religiosa, anche se non sono completamente privi da componenti nazionali, etniche, politiche, economiche. Per Introvigne l’insegnamento che si può trarre dal libro “Lo scontro di civiltà” (The Clash of Civilizations and Remaking of World Order (1996), spesso più criticato che letto, “è che gli elementi che fanno riferimento alle nozioni di civiltà e di cultura – quindi anche di religione – sono riemersi in tutta la loro ineludibile pregnanza dopo la fine della Guerra fredda[…]”.

La seconda tesi dell’economia religiosa è quella che “iprocessi di modernizzazione non determinano necessariamente il venir meno della presenza della religione, ma sono compatibili, a determinate condizioni, con la tenuta e perfino con la crescita delle credenze e delle appartenenze religiose”.

La terza tesi della religious economy, sia in Europa che negli Stati Uniti, ha raccolto minori consensi rispetto alla seconda, anzi appare “scandalosa” e “politicamente scorretta”. Sempre che si verificano determinate condizioni, la religione, che tiene o cresce nelle società moderne e postmoderne non è, come si potrebbe a prima vista credere, la religione ‘progressista’ che cerca di adattarsi alla modernità, ma è al contrario la religione ‘conservatrice’, che con diversi elementi della modernità è in evidente contrasto”. Infatti esiste una tesi di una certa sociologia delle religioni negli Usa, che sostiene che “le Chiese e le comunità ‘conservatrici’ vincono e quelle ‘progressiste’ perdono”.

Sulla questione del fondamentalismo, Introvigne ammette il termine lascia molto spazio alla confusione, “un tema fra i più scivolosi e inafferrabili, per di pù inquinato da un uso ‘politico’ e polemico del termine”. Introvigne a questo proposito introduce anche la nozione di “ultra-fondamentalismo” con riferimento a gruppi di tipo estremista e radicale, alcuni dei quali ricorrono alla violenza e al terrorismo”.

La seconda parte del volume si occupa di come la teoria starkianadell’economia religiosa, si applica all’Islam contemporaneo. Pertanto, secondo Introvigne, “anche nel mercato religioso intra-islamico, a mano a mano che avanzano i processi di modernizzazione è possibile che si verifichi il fenomeno imprevisto o almeno non previsto – e certo imprevedibile da parte dei teorici della secolarizzazione – secondo cui movimenti conservatori‘vincono’ e tentativi progressisti ‘perdono’. Anche se il professore torinese nel testo, più volte, si chiede se l’espressione “fondamentalismo” sia idonea e rende ragione dell’ampio e variegato arco di organizzazioni islamiche, e se sia giusto riunirle sotto una sola etichetta. A questo punto Introvigne propone tre diversi tipi di realtà nel mondo islamico: i conservatori, i fondamentalisti in senso stretto, e gli ultra-fondamentalisti. Anche per il mondo islamico, per Introvignevale la “la teoria dell’economia religiosa prevede maggiore successo, in condizioni normali, delle organizzazioni conservatrici rispetto a quelle fondamentaliste e una presenza relativamente limitata dei movimenti ultra-fondamentalisti”. Il sociologo italiano sa che l’impressione che si ha del mondo islamico sia diversa: “occorre chiedersi se le cose stanno davvero così, e in caso affermativo perché”. Il quinto e ultimo capitolo, il libro si occupa della nicchia ‘ultra-fondamentalista’ o radicale all’interno dell’islam. E qui il professore con documenti e conoscenze alla mano si occupa di una miriade di personaggi e di organizzazioni ultra-fondamentaliste e terroristiche che non lascia nessuno escluso. Per la verità il testo costituisce una specie di aggiornamento e ampliamento del volume pubblicato nel 2004 da Piemme, “Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa”. E’ chiaro che la parte relativa all’ultra-fondamentalismo islamico e al terrorismo è stata ampiamente riscritta, con particolare riferimento all’Isis e al Califfato nelle terre siriane e irakene.

 

 

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