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In prossimità delle elezioni europee mi sono posto imposto di leggere alcuni libri che avessero per soggetto la storia, la cultura dell'Europa, ma soprattutto la sua identità. Ne ho presentato qualcuno in questo blog, non ho fatto in tempo a leggere e studiare, per presentarli, «Identità dissolta. Il cristianesimo lingua madre dell'Europa», di monsignor Rino Fisichella, Mondadori (2009) e «Radici culturali e spirituali dell'Europa. Per una rinascita dell'”uomo europeo”», del professore Giovanni Reale, Raffaello Cortina Editore (2003). Anche se datati i 2 volumi presentano riflessioni interessanti che sono straordinariamente attuali.

Il primo libro, dal titolo, sembrerebbe avere un taglio pessimistico, ma come scrive l'autore, non è così. Monsignor Fisichella ripercorre il cammino dell'Europa, nata su basi culturali, e su valori prettamente cristiani. «C'è stato un tempo in cui l'identità dei popoli che costituivano l'attuale Unione europea era evidente, chiara e subito riconoscibile. Oggi non è più così. Negli ultimi decenni si è creata progressivamente una condizione di dissolvimento di questa identità».

Non è chiaro perchè l'identità, conservata per secoli, si sia disciolta come neve al sole.

Le radici su cui era cresciuta la cultura europea ormai si sono seccate. Ma Fisichella non vuole essere pessimista riporta una frase di Goethe, abbastanza indicativa: «L'Europa è nata in pellegrinaggio e la sua lingua materna è il cristianesimo». Infatti per Fisichella questa è una immagine limpida che descrive mirabilmente le basi culturali del nostro continente. «L'Europa è nata cristiana, e soltanto nella misura in cui conserverà questa identità potrà realizzare ciò che è stata nel passato e ciò che le permetterà di sopravvivere nel futuro senza dissolversi».

Tuttavia la frase di Goethe spesso viene dimenticata: fin dalla nascita l'Europa ha conosciuto il cristianesimo come suo fondamento. Fisichella al contrario di Reale, non entra in merito al dibattito politico sul mancato inserimento delle radici cristiane nel Preambolo della nuova Costituzione europea. Si è parlato tanto, poco si è fatto, preferendo cedere alla prepotenza di pochi.

Tuttavia per Fisichella, l'Europa non è stata inventata oggi. Bene ha fatto il professore Mauro Ronco, nel recente convegno sull'Europa, organizzato da Alleanza Cattolica a Torino, a sottolineare che l'Europa non è stata fondata dai cosiddette padri fondatori: Schuman, De Gasperi, Adenauer, come spesso si ripete, ma il suo fondamento è radicato nei secoli passati. Fisichella a questo proposito cita la grande azione svolta a favore dell'Europa, da san Giovanni Paolo II. «Non ci sarà l'unità dell'Europa fino a quando essa non si fonderà nell'unità dello spirito. Questo fondamento profondissimo dell'unità fu portato dall'Europa e fu consolidato lungo i secoli dal cristianesimo con il suo Vangelo, con la sua comprensione dell'uomo e con il suo contributo allo sviluppo della storia dei popoli e delle nazioni». Ma papa Wojtyla ci tiene a precisare che «questo non significa volersi appropriare della storia. La storia dell'Europa, infatti, è un grande fiume, nel quale sboccano numerosi affluenti, e la varietà delle tradizioni e delle culture che la formano è la sua grande ricchezza. Le fondamenta dell'identità dell'Europa sono costruite sul cristianesimo. E l'attuale mancanza della sua unità spirituale scaturisce principalmente dalla crisi di questa autocoscienza cristiana».

Pertanto nel libro monsignor Fischella lancia una sfida al mondo laico per trovare un cammino comune da percorrere che tenda  a ricostituire l'unità dell'Europa.

Fisichella ritorna sul concetto di «Europa nata in pellegrinaggio» a lui caro. Fa riferimento al Passo del Cize, un monte sul cammino di Santiago. Sulla cui sommità si può vedere il mare britannico e l'occidente e le terre di tre paesi: Castiglia, Aragona, Francia. Inoltre sulla cima, vi è un luogo, chiamato «la Croce di Carlo, perchè lì con asce, con picconi, con zappe e con altri attrezzi aprì una volta un sentiero Carlo Magno quando entrò in Spagna con i suoi eserciti e poi, inginocchiato verso la Galizia, innalzò le sue preghiere a Dio e a san Giacomo».

Infatti, proprio qui, i pellegrini in ginocchio, sono soliti pregare rivolti a Santiago e tutti piantano ognuno una croce. Fisichella fa riferimento al Liber Sancti Jacobi (più noto come Codex Calixtinus) del 1150.

Rileggendo queste pagine monsignor Fisichella si esalta, «permette di compiere un'esperienza non comune: immergersi in un mondo che sembra non esistere più». Arrivare a Santiago in quei tempi equivaleva raggiungere il limite del mondo allora conosciuto, oltre c'era l'ignoto.

Fisichella mette in risalto la straordinaria esperienza dei pellegrini, che era nello stesso tempo religiosa, ma anche culturale. «Raggiungere il santuario era lo scopo ultimo, ma questo consentiva di vivere una serie di esperienze che aprivano lo sguardo e allargavano gli orizzonti. Pellegrinaggio e cultura non erano contrapposti, ma sintetizzati in una visione armonica della vita che favoriva lo sviluppo e la crescita personale». Sostanzialmente il pellegrino era mosso da motivazioni religiose, che tuttavia non gli impedivano di fare esperienze pienamente “culturali”, provocate dalla curiosità e dal piacere di conoscere il mondo.

Il viaggio per il pellegrino includeva tutti gli aspetti della fede cristiana, in particolare, la carità, la solidarietà, la comprensione della vita come un passaggio attraverso questo mondo, nel quale rimaniamo, per dirla con le parole dell'apostolo Pietro, “stranieri e pellegrini” (1 Pt 2,11)- ».

Tuttavia il pellegrino per la sua curiosità era «un personaggio che ammirava oggetti sulle bancarelle dei mercati, si incantava davanti a musici e giullari, sostava nelle fiere e ascoltava racconti e leggende di vario genere. Così, insieme ai miracoli dei santi, imparava anche a conoscere le grandi gesta di Carlo Magno, di Orlando e dei paladini le cui tombe trovava sul suo cammino».

Fisichella entra nei particolari descrivendo il pellegrino come un uomo disposto sia a fare che a imparare nuovi lavori e spesso prestava la propria opera  in cambio di vitto e alloggio. Il pellegrino, «imparava come si organizzavano le corporazioni e i comuni, come si strutturavano i mercati e le fiere, per quali vie si trasportavano i carichi di spezie prelibate che giungevano dall'Oriente o i prodotti in pelle provenienti dai paesi nordici...Diventava così – scrive Fisichella – suo malgrado, testimone e interprete, protagonista di una trasmissione di tradizioni e costumi, fondamenti basilari di ogni cultura».

Per Fisichella il suo porsi come pellegrino attraverso vari paesi che percorreva, dava all'uomo medievale quell'identità, che andava al di là di quella personale, per raggiungere quella realizzazione culturale che poi si sarebbe stabilizzata nel corso dei secoli. Insomma secondo Fisichella «il pellegrino italiano o fiammingo, greco o scandinavo, ispanico o irlandese che fosse – si riconosceva in un'unica identità culturale che non teneva conto della nazionalità né della condizione sociale né della lingua». Praticamente si trattava di assunzioni di consuetudini che poi si radicavano in comportamenti che si trasmettevano  creando una solida tradizione.

Pertanto per monsignor Fisichella occorre andare a riscoprire i valori del “pellegrino”, che esprimono con evidenza la vera identità dell'Europa, frutto della sua storia millenaria che, nel bene e nel male, ci appartiene.

A questo punto l'autore del libro propone delle domande fondamentali: «da dove è sorta l'unità delle terre che ora chiamiamo Unione europea? Che cosa ha spinto uomini e donne a mettersi in cammino da una regione all'altra sfidando tutto e mettendo a rischio la propria vita?». Certamente non si tratta di pura casualità. Qui ci viene incontro una lettura cristiana della storia. Subentra il progetto, il piano di Dio, che lascia spazio alla libertà degli uomini.

Si possono fare diversi esempi storici, evidenziando i corsi e ricorsi di certi episodi, avvenimenti, uomini e donne che hanno cambiato la storia. Fisichella fa l'esempio di Costantino nella battaglia di Ponte Milvio, e questo è certamente un fatto fondamentale per i cristiani. La sua conversione è stata decisiva perchè il cristianesimo si affermasse sul paganesimo. E attenzione precisa Fisichella, senza nessun obbligo alla conversione.

L'impronta cristiana dell'Europa è evidente. Il cristianesimo ha potuto esprimere la sua originalità senza distruggere il bene che trova, in ogni società

Tuttavia per Fisichella, esiste una malattia da debellare, si tratta dell'oblio. Alcuni dimenticano da chi sono stati generati, oggi «è necessario ritornare al IV secolo per individuare la grave crisi dell'Impero romano e il sorgere di un nuovo soggetto storico, culturale e politico come la Chiesa». Per capire cosa sia successo basta guardare all'immagine offerta dai Fori imperiali. E' un tema questo che affiora in diversi studiosi, storici delle civiltà.

Fisichella espone sinteticamente cosa è successo, focalizzando i passaggi principali, dall'opera di Gregorio Magno, ai quaranta monaci inviati in Britannia, alla regola di san Benedetto. E poi il grande e geniale conquistatore e organizzatore Carlo Magno.

Il sorgere degli innumerevoli monasteri, il fecondo scambio culturale tra i monaci, che avevano conservato la cultura del passato, I primi maestri dell'epoca: Anselmo d'Aosta, san Tommaso, Alberto Magno. Da questa rapidissima sintensi, si può osservare che «il cristianesimo si contraddistinse per conservare, e non per distruggere, la ricchezza culturale e giuridica che aveva trovato a Roma».

Tutto questo si cerca di ricordarlo non per fare trionfalismo, ma solo esclusivamente «per permettere un salto qualitativo nell'attuale momento di passaggio culturale». Nella memoria non si può fare riferimento al concetto fondamentale di persona. Intorno a questo termine si può rileggere tutta la Storia, lo sviluppo civile, culturale, sociale e politico che ha caratterizzato l'intero Occidente. Se si dimentica di Dio, si dimentica anche la persona, che è sua immagine. Oggi l'uomo contemporaneo ha delegato alla tecnica di produrgli ogni cosa. E così l'uomo si è ridotto ad essere un oggetto di sperimentazione. «Tolto il concetto di persona, si allontana anche quello della sua inviolabilità e sacralità, e tutto diviene preda dell'arroganza del più forte».

Fisichella accenna alle varie crisi che stanno colpendo l'uomo contemporaneo, come la solitudine, e il matrimonio. Praticamente si vive nell'illusione «di una notte bianca dove tutto luccica fino al mattino, quando ci si ritrova stanchi e obbligati a iniziare da capo a capo un altro giorno sempre uguale e forse anche più monotono».

Per Fisichella occorre recuperare il senso della relazionalità, serve un recupero del concetto di “tradizione”. Fisichella precisa che «la tradizione, infatti, è una forma di trasmissione che si inserisce in un processo più ampio e che genera conoscenza [...]». Non significa fare riferimento solo a una storia bimillenaria, ma piuttosto, «la partecipazione diretta a una viva trasmissione della fede che ispira e genera cultura».

In questo momento storico per Fisichella i cristiani dovrebbero ripensare il loro ruolo di essere missionari ed evangelizzatori della Chiesa in Europa. «il recupero del senso della tradizione e del suo valore per il mantenimento della propria identità e per la costruzione dell'Europa è una strada obbligata, sebbene non facile da percorrere[...]». Non possiamo perdere la nostra identità, altrimenti non potremmo comprendere le nostre città con i segni che le caratterizzano. Certo bisogna rispettare tutti, anche chi non condivide la nostra fede. Ma questo significa che in modo preciso e risoluto dobbiamo esprimere la nostra identità, «per evitare di diventare vagabondi senza più una meta e cittadini senza più una patria».

Pertanto una UE senza il cristianesimo, può essere concepita? Impossibile, Nel III capitolo il monsignore offre ricche riflessioni e spunti per capire come affrontare le varie crisi che stiamo attraversando. Diverse sono le indicazioni poste dal testo di Fisichella, come quelle di fare attenzione ai vari modelli di libertà. E poi si insite sulla pari dignità per tutti. I cristiani non chiedono privilegi, ma nello stesso tempo non vogliono essere discriminati a causa della loro fede.

E' inutile negare, secondo il presule, ci troviamo di fronte a un problema di natura culturale, prima ancora che religioso. Attenzione a non affidarsi alla tecnica. Questo non significa che vogliamo ritornare al bistrattato Medioevo. «Non siamo così ingenui da rifiutare le conquiste compiute nel corso di lunghi secoli di faticoso progresso».  Anche se si potrebbe dimostrare che i maggiori artefici del progresso sono proprio dei religiosi, uomini di fede.

Fisichella propone un progetto culturale scaturito da un giusto equilibrio «per consentire al patrimonio culturale di cui siamo portatori di ritornare a essere un interlocutore credibile presso le nuove generazioni». Il tutto deve giocarsi su tre ambiti: l'università con il suo mondo accademico, votato alla ricerca, il mondo della comunicazione, investito oggi di una particolare funzione formativa. Si pensi a come viene orientato il consenso, gli stili di vita. Infine, un ruolo importante dovrà giocarlo il mondo religioso, in particolare il cristianesimo. Sono tre ambiti che necessariamente dovranno lavorare insieme con il contributo che verrà offerto alla politica e all'economia.

Occorre guardare al futuro senza restare imprigionati «in una sorta di nostalgico romanticismo che guarda solo al passato, né di cadere in un orizzonte di utopia perché ammaliati da ipotesi che non potranno avere riscontro». Fisiche riferendosi ai credenti, insiste, «rimanere rinchiusi nelle nostre chiese potrebbe fornirci qualche debole consolazione, ma renderebbe vana la Pentecoste. E' il tempo di spalancare le porte e ritornare ad annunciare la risurrezione di Cristo di cui siamo testimoni». Mi sembra di sentire Papa Francesco. E terminiamo con le le parole del vescovo Ignazio: «Non basta essere chiamati cristiani, bisogna esserlo davvero».

 

 

Nel 2018, Il numero di persone in fuga da guerre, persecuzioni e conflitti ha superato i 70 milioni. Si tratta del livello più alto registrato dall’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, in quasi 70 anni di attività.

I dati raccolti nel rapporto annuale dell’UNHCR Global Trends, pubblicato oggi, mostrano come attualmente siano quasi 70,8 milioni le persone in fuga. Per coglierne la portata, tale cifra corrisponde al doppio di quella di 20 anni fa, con 2,3 milioni di persone in più rispetto a un anno fa, e a una popolazione di dimensione compresa fra quelle di Thailandia e Turchia.

La cifra di 70,8 milioni è stimata per difetto, considerato che la crisi in Venezuela in particolare è attualmente riflessa da questo dato solo parzialmente. In tutto, circa 4 milioni di venezuelani, secondo i dati dei paesi che li hanno accolti, hanno lasciato il Paese, rendendo la crisi in atto uno degli esodi forzati recenti di più vasta portata a livello mondiale. Sebbene la maggior parte delle persone in fuga necessiti di protezione internazionale, ad oggi solo circa mezzo milione di queste ha presentato formalmente domanda di asilo.

“Quanto osserviamo in questi dati costituisce l’ulteriore conferma di come vi sia una tendenza nel lungo periodo all’aumento del numero di persone che fuggono in cerca di sicurezza da guerre, conflitti e persecuzioni. Se da un lato il linguaggio utilizzato per parlare di rifugiati e migranti tende spesso a dividere, dall’altro, allo stesso tempo, stiamo assistendo a manifestazioni di generosità e solidarietà, specialmente da parte di quelle stesse comunità che accolgono un numero elevato di rifugiati. Stiamo inoltre assistendo a un coinvolgimento senza precedenti di nuovi attori, fra cui quelli impegnati per lo sviluppo, le aziende private e i singoli individui, che non soltanto riflette ma mette anche in pratica lo spirito del Global Compact sui Rifugiati”, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. “Dobbiamo ripartire da questi esempi positivi ed esprimere solidarietà ancora maggiore nei confronti delle diverse migliaia di persone innocenti costrette ogni giorno ad abbandonare le proprie case”.

La cifra di 70,8 milioni registrata dal rapporto Global Trends è composta da tre gruppi principali. Il primo è quello dei rifugiati, ovvero persone costrette a fuggire dal proprio Paese a causa di conflitti, guerre o persecuzioni. Nel 2018 il numero di rifugiati ha raggiunto 25,9 milioni su scala mondiale, 500.000 in più del 2017. Inclusi in tale dato sono i 5,5 milioni di rifugiati palestinesi che ricadono sotto il mandato dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (United Nations Relief and Works Agency/UNRWA).

Il secondo gruppo è composto dai richiedenti asilo, persone che si trovano al di fuori del proprio Paese di origine e che ricevono protezione internazionale, in attesa dell’esito della domanda di asilo. Alla fine del 2018 il numero di richiedenti asilo nel mondo era di 3,5 milioni.

Infine, il gruppo più numeroso, con 41,3 milioni di persone, è quello che include gli sfollati in aree interne al proprio Paese di origine, una categoria alla quale normalmente si fa riferimento con la dicitura sfollati interni (Internally Displaced People/IDP).

La crescita complessiva del numero di persone costrette alla fuga è continuata a una rapidità maggiore di quella con cui si trovano soluzioni in loro favore. La soluzione migliore per qualunque rifugiato è rappresentata dalla possibilità di fare ritorno nel proprio Paese volontariamente, in condizioni sicure e dignitose. Altre soluzioni prevedono l’integrazione nella comunità di accoglienza o il reinsediamento in un Paese terzo. Tuttavia, nel 2018 solo 92.400 rifugiati sono stati reinsediati, meno del 7 per cento di quanti sono in attesa. Circa 593.800 rifugiati hanno potuto fare ritorno nel proprio Paese, mentre 62.600 hanno acquisito una nuova cittadinanza per naturalizzazione.

“Ad ogni crisi di rifugiati, ovunque essa si manifesti e indipendentemente da quanto tempo si stia protraendo, si deve accompagnare la necessità permanente di trovare soluzioni e di rimuovere gli ostacoli che impediscono alle persone di fare ritorno a casa”, ha dichiarato l’Alto Commissario Filippo Grandi. “Si tratta di un lavoro complesso che vede l’impegno costante dell’UNHCR, ma che richiede che anche tutti i Paesi collaborino per un obiettivo comune. Rappresenta una delle grandi sfide dei nostri tempi”.

GLOBAL TRENDS 2018 – 8 FATTI SUI RIFUGIATI CHE E’ NECESSARIO CONOSCERE

• MINORI. Nel 2018, un rifugiato su due era minore, molti (111.000) soli e senza famiglia.

• PRIMA INFANZIA. L’Uganda ha registrato 2.800 bambini rifugiati di età pari o inferiore a cinque anni, soli o separati dalla propria famiglia.

• FENOMENO URBANO. È più probabile che un rifugiato viva in paese o in città (61%) che in aree rurali o in un campo rifugiati.

• RICCHI E POVERI. I Paesi ad alto reddito accolgono mediamente 2,7 rifugiati ogni 1.000 abitanti; i Paesi a reddito medio e medio-basso ne accolgono in media 5,8; i Paesi più poveri accolgono un terzo di tutti i rifugiati su scala mondiale.

• DOVE SI TROVANO. Circa l’80% dei rifugiati vive in Paesi confinanti con i Paesi di origine.

• DURATA. Quasi 4 rifugiati su 5 hanno vissuto da rifugiati almeno per cinque anni. Un rifugiato su 5 è rimasto in tale condizione per almeno 20 anni.

• NUOVI RICHIEDENTI ASILO. Nel 2018 il numero più elevato di nuove domande d’asilo è stato presentato da venezuelani (341.800).

• PROBABILITÀ. Nel 2018, 1 persona ogni 108 era rifugiata, richiedente asilo o sfollata. 10 anni prima la proporzione era di 1 su 160.

 

La comunicazione medico-sanitaria sta vivendo una fase peculiare, in virtù di un macro cambiamento che intreccia salute e professioni. La legge Gelli presenta precisi riverberi non solo nella professione medica in sé ma anche nel rapporto con il paziente e con l'universo delle problematiche ad esso connesso. Un rapporto che va costruito e comunicato adeguatamente, anche grazie al ruolo strategico della comunicazione.

E'la ragione per cui la CIMOP (Confederazione Italiana Medici Ospedalità Privata) in occasione del suo congresso nazionale promuove il prossimo 21 giugno a Roma, la tavola rotonda dal titolo La comunicazione medico-sanitaria: perimetro, strategie, opportunità -Come i new media “soccorrono” medici e pazienti (Novotel ore 15,30), alla presenza dei massimi esperti nazionali in materia e con il patrocinio di Ministero della Salute, Ordine dei Medici, Federazione Nazionale della Stampa.

Interverranno: l'on. Rossana Boldi, Vice Presidente Commissione Affari Sociali della Camera, il Dott. Fausto Campanozzi, Presidente Cimop, la Dott.ssa Carmela De Rango, Segretario Nazionale Cimop, il Dott. Filippo Anelli, Presidente Fnomceo (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri), l'On. Federico Gelli, Presidente della Fondazione Italia in Salute e Adjunct professor presso la LUISS Business School, la Dott.ssa Barbara Cittadini, Presidente Nazionale Aiop, il Dott. Guido Quici, Presidente Cimo, Padre Virginio Bebber, Presidente Nazionale Aris, la Dott.ssa Daniela Bracco, giornalista. Modera Francesco De Palo.

“La tavola rotonda – osserva il Segretario Nazionale della Cimop, dott.ssa Carmela De Rango– si pone l'obiettivo di aprire un focus sulla comunicazione medico sanitaria che sta vivendo una fase peculiare, in virtù di due grandissimi cambiamenti che si intrecciano tra salute e professioni. Il primo riguarda la legge Gelli sulla responsabilità medica e il secondo tocca il ruolo dei new media che, accanto alle professioni legate al mondo sanitario, pubblico e privato, hanno l'obbligo di elaborare notizie, analisi e scenari. 

Il risultato è un'informazione iper accreditata, che però dovrà essere più capace di amalgamare quell'alleanza tra soggetti sanitari e media proprio per offrire ai fruitori una comunicazione di qualità, filtrata attraverso competenza e coordinamento: la doppia stella cometa delle professioni e non cornice secondaria. Obiettivo della tavola rotonda è innescare un dibattito analitico su questi due fronti, nella consapevolezza che solo un patto di acciaio tra lavoro, professioni e fruitori potrà consentire di creare una rete virtuosa e credibile”.

Intanto la Federazione dei medici CIMO-FESMED e la Confederazione Italiana Medici Ospedalità Privata (CIMOP) annunciano di aver siglato un patto federativo per unire le proprie forze e dare seguito alla convergenza di visione e progettualità che da tempo le vede dialogare su temi comuni per la tutela della professione e altre iniziative. Si tratta del primo accordo di sinergia tra rappresentanze del mondo sanitario pubblico e privato in Italia.

L’identità di indirizzo tra le due storiche organizzazioni sindacali su temi cruciali quali la difesa e la valorizzazione della professionalità dei medici, la tutela dei diritti nei contesti di aziende pubbliche e private, la carenza dei medici, l’imbuto formativo e le conseguenze, anche contrattuali, del regionalismo differenziato, è alla base dell’accordo che intende rafforzare rappresentanza e rappresentatività della categoria di fronte alle scelte politiche e alla gestione del SSN.

Questo patto federativo porta CIMO-FESMED e CIMOP, pur nei rispettivi differenti ruoli e autonomie, a rappresentare insieme una parte rilevante dei medici ospedalieri della sanità pubblica e privata, con un bacino complessivo stimabile oggi in circa 17.000 iscritti.

“È un progetto ambizioso e necessario – commenta il Presidente della Federazione CIMO-FESMED, Guido Quici – per la situazione del SSN e dei medici che vi lavorano, che sono sempre più difficili tanto nel perimetro pubblico quanto nel privato. Oltre che una scelta coraggiosa, questo patto è un segnale importante in direzione di quel cambiamento nella governance sindacale che abbiamo sempre invocato e che stiamo attuando concretamente per restituire al medico un ruolo centrale nel sistema, nel quale siano privilegiati competenza, meritocrazie e relazione con il paziente. Insieme ai diritti dei medici, intendiamo essere garanti dei loro doveri, legati al rispetto del codice deontologico più che al contesto di lavoro. Auspichiamo l’aggregazione a questo progetto di altre realtà del mondo medico, anche per superare le attuali frammentazioni”.

“In linea con CIMO-FESMED, riteniamo che la politica debba avere un ruolo importante in sanità ma che le scelte non possano prescindere da un confronto costruttivo con la classe medica – dichiara il Segretario Nazionale CIMOP, Carmela De Rango – ed è fondamentale che il medico, sia nelle aziende pubbliche che in quelle private, ottenga la stessa dignità e le stesse opportunità di carriera. È un dato di fatto che la professione medica, pubblica e privata, stia subendo una mutazione significativa, spinta sia dalle norme sulla responsabilità professionale che da un rapporto medico-paziente profondamente influenzato dalla comunicazione medico-sanitaria: questa alleanza è la risposta alla necessità di strutturare consapevolmente nuove forme di partecipazione e azione che il futuro del mondo sindacale richiede”.

In vista di una sempre maggiore sinergia tra le due realtà e i loro servizi, CIMO-FESMED e CIMOP si confronteranno a breve per analizzare ed elaborare proposte congiunte in tema di contratto dei medici, autonomia differenziata, finanziamento del SSN, responsabilità professionale e formazione. Sin d’ora i programmi delle due organizzazioni sono concentrati, oltre alla difesa dei diritti sulla parte economica, sul voler restituire ai medici il ruolo chiave nella valutazione delle cure, nel lavoro di equipe e nella governance clinica, mentre sulla formazione entrambi intendono proporre nuovi modelli, anche basati su scambio diretto di esperienze con chi ha competenze più elevate.

 

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