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L’Europa continua a sostenere convintamente l’Ucraina, ma la fiducia sulla possibile vittoria nel conflitto con la Russia è letteralmente crollata

La maggioranza degli europei è disposta a tutto pur di impedire una vittoria della Russia, ma allo stesso tempo non crede in una vittoria dell’Ucraina: da qui la speranza in un compromesso accettabile. 

L’Europa continua a sostenere convintamente l’Ucraina, ma la fiducia sulla possibile vittoria nel conflitto con la Russia è letteralmente crollata. A quasi due anni dall’invasione ordinata da Vladimir Putin, appena il 10 per cento dei cittadini europei crede nel successo di Kiev: questo quanto confermato dal sondaggio commissionato dal Consiglio europeo per le relazioni estere (ECFR) e riportato dal Guardian. E c’è di più: per la maggioranza degli intervistati, il compromesso tra Kiev e Mosca rappresenta l’esito più probabile di questa guerra.

Il sondaggio è stato realizzato in dodici paesi europei – Italia compresa – ed è emersa la crescita esponenziale del pessimismo sull’esito della guerra, complici diversi fattori: dallo stallo della controffensiva di Kiev alla linea politica degli Stati Uniti, fino al possibile secondo mandato presidenziale per Donald Trump. Come anticipato, nessuna novità sulla necessità di sostenere il Paese di Zelensky: in Svezia (50%), Portogallo (48%) e Polonia (47%), gli intervistati sono più propensi a sostenere che l’Europa deve aiutare l’Ucraina a reagire, mentre in Ungheria (64%), Grecia (59%), Italia (52% ) e Austria (49%) l’accento è posto sulla necessità di raggiungere un accordo. Perfetto equilibrio in Francia, Germania, Paesi Bassi e Spagna.

Si tratta di un cambiamento piuttosto netto rispetto ai sondaggi di un anno fa, quando gli europei ritenevano possibile per l’Ucraina la riconquista di tutti i territori perduti. Per gli autori del sondaggio, gli intervistati desiderano un approccio più realistico da parte della politica, con i riflettori accesi su una “pace accettabile”

Mark Leonard, coautore del sondaggio dell’ECFR, citato dal Guardian, ha affermato: «Per sostenere la causa del continuo sostegno europeo all’Ucraina, i leader dell’UE dovranno cambiare il modo in cui parlano della guerra». La maggior parte degli europei «cerca disperatamente di impedire una vittoria russa», ma non crede che Kiev possa vincere militarmente. Dunque, l’argomentazione più efficace per un'opinione pubblica sempre più scettica sarebbe quella di riuscire a far capire che con ulteriori aiuti si potrebbe «arrivare a una pace sostenibile e negoziata che favorisca Kiev, piuttosto che Putin».

A due anni dall’invasione russa dell’Ucraina, gli italiani hanno sempre meno certezze sull’andamento della guerra (forse la Russia sta vincendo?) e sulle sue possibili soluzioni (Kiev dovrebbe negoziare con Mosca a qualsiasi condizione?). Non solo: se l’anno scorso la percezione prevalente era che la NATO, gli Stati Uniti e l’UE stessero tutti guadagnando influenza e coesione interna, oggi le opinioni sono cambiate, e la Russia di Putin è vista in forte ripresa.
Ho amici ebrei che mi dicono che Zelensky non è un ebreo, ma un disonore per gli ebrei". Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin intervistato al Forum economico internazionale di San Pietroburgo.

A Putin è stato chiesto come può dire che tra gli obiettivi della Russia c'è la "denazificazione" dell'Ucraina, quando il presidente Volodymyr Zelensky è un ebreo ed è stato eletto democraticamente. "Ho molti amici ebrei che mi dicono che Zelensky non è un ebreo ma un disonore per il popolo ebraico", ha risposto Putin, affermando che in Ucraina "oggi i neonazisti sono stati elevati al rango di eroi". Il presidente russo ha ricordato lo sterminio degli ebrei nella Seconda guerra mondiale. 

"L'Olocausto - ha detto - è stato lo sterminio di 6 milioni di ebrei, e un milione e mezzo sono stati sterminati in Ucraina, prima di tutto per mano dei Banderiti". Vale a dire dei seguaci del nazionalista Stepan Bandera, alleatisi con Hitler contro l'Unione Sovietica. Dopo aver fatto vedere una serie di video agghiaccianti sui massacri in Ucraina, Putin ha affermato che proprio Bandera e i suoi seguaci oggi sono "gli eroi dell'Ucraina" e coloro che "le autorità ucraine oggi proteggono". "Abbiamo l'obbligo di combattere contro questo - ha proseguito Putin -. La Russia è stata la parte che ha sofferto di più nella lotta contro il nazismo. Non dimenticheremo mai questo. "Abbiamo tutto il diritto - ha concluso il presidente russo - di ritenere che uno dei nostri obiettivi chiave in Ucraina è la denazificazione".
 
Fonte :  (ISPI) (Corriere del Ticino) ( ansa ) ( N.Porro atlantico Q. )

Dopo la mobilitazione di Mortara promossa dal presidente di SEED-Italia Carlo Besostri, il gruppo raccoglierà ulteriori firme alla Fiera in Campo di Vercelli che aprirà i battenti nei prossimi giorni. 
Dalla riprogrammazione del “green deal”, con la revisione della Politica Agricola Europea, al divieto di importazione di prodotti agricoli provenienti da paesi extra Ue, dove non sono in vigore regolamenti produttivi e sanitari diversi da quello italiano. Fino alla necessità di semplificare la burocrazia in capo alle aziende agricole. 

Sono alcune delle richieste degli agricoltori del pavese, di Novara e Vercelli , che lo scorso 15 febbraio si sono uniti con i loro trattori nella grande mobilitazione di Mortara promossa dall’imprenditore agricolo e presidente di SEED-Italia Carlo Besostri. Documento che, annunciano, “verrà presentato alla Regione Lombardia e sarà lo stesso Besostri a consegnarlo al vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio, già ministro dell’Agricoltura”. Nei prossimi giorni, dopo la manifestazione della settimana scorsa, gli agricoltori lomellini e piemontesi saranno presenti all’evento vercellese Fiera in Campo - nei giorni 23, 24 e 25 febbraio - per “proseguire nella raccolta firme in modo massiccio”.

Il gruppo di agricoltori, rappresentato da Lisa Magni per le aree di Novara e Vercelli e da Carlo Besostri per la zona della Lomellina, fanno sapere: “Siamo uniti per la stessa causa, senza alcuna bandiera politica né sindacale”. E dopo le “varie mobilitazioni nelle nostre zone abbiamo deciso di proseguire la nostra protesta per vie più incisive. Abbiamo dunque redatto un documento con dei punti che vogliamo sottoporre alla politica: un elenco di richieste corredate da numerose firme di colleghi agricoltori, ma anche di cittadini residenti nelle province e regioni vicine. Se le nostre richieste non verranno ascoltate il prossimo passo sarà senz'altro quello di presentarsi direttamente in Regione Lombardia e a Roma”. 

Tra i punti contenuti nel documento, la revisione della Pac, che “si prefigge obiettivi eccessivamente green, come la sostanziosa riduzione di prodotti per la coltivazione e l’obbligo di lasciare incolte alcune parti di azienda”. Ma anche di rivedere le “regole di etichettatura affinché siano uniformi in tutta Europa, per garantire al consumatore la giusta conoscenza del luogo di coltivazione o allevamento del prodotto e del luogo di trasformazione e confezionamento dello stesso; diamo al consumatore le informazioni vere su quello che acquista, garantendo trasparenza di tracciabilità e permettendogli quindi, sulla base di tali informazioni, di scegliere come alimentare la sua famiglia”.

E ancora si chiede una “riqualificazione del ruolo” degli uomini e delle donne del mondo agricolo: nel documento si dice “basta” con gli attacchi mediatici che “additano gli agricoltori come responsabili dell’inquinamento ambientale”. Infine un punto è dedicato al florovivaismo: “Data l’importanza del verde a livello ambientale e climatico, soprattutto nelle nostre città, ci aspettiamo nuove risorse anche da parte del Ministero della transizione ecologica per la copertura dell’innalzamento della percentuale detraibile”. 

“Con gli effetti dei cambiamenti climatici da arginare - concludono Besostri e Magni - ci sarà sempre più bisogno del verde e di chi se ne occupa. Ma per affrontare questa sfida, bisogna prima risolvere le criticità del settore, legate al taglio netto dei fitofarmaci richiesto dall’Ue, che lascerebbe le piante senza difesa in assenza di valide alternative già sul mercato; ai ritardi sul via libera alla legge nazionale in materia; all’impiego di substrati idonei per la coltivazione, su cui la ricerca non avanza e senza i quali il rischio che moltissime specie non possano più essere riprodotte è reale”.

Nuovi guai per Nicolas Sarkozy. La corte d’appello di Parigi ha condannato l’ex presidente francese a un anno di reclusione, compresa una sospensione di sei mesi per avere sostenuto spese eccessive durante la campagna presidenziale del 2012, poi perse al secondo turno contro il socialista François Hollande. A proposito dell’affaire “Bigmalyon”, i giudici hanno ritenuto che Sarkozy fosse stato informato del fatto che le fatture relative in particolare all'organizzazione dei suoi incontri stavano lievitando oltremisura. 

 Nel 2021 il 68enne era stato condannato in primo grado a un anno senza condizionale. I sei mesi saranno scontati con misure alternative - compreso il braccialetto elettronico – decise tra i giudici e l’imputato nei prossimi trenta giorni.

 Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica francese dal 2007 al 2012, è stato condannato ad un anno di carcere per finanziamento illegale della sua campagna presidenziale del 2012. L'indagine, nota col nome "Bygmalion", è partita dopo che gli inquirenti hanno scoperto che le spese elettorali hanno superato quasi del doppio il limite legale.
Oggi, per la lettura della sentenza, l'ex presidente non si è presentato nell'aula del tribunale penale di Parigi. Per le elezioni del 2012, perse contro Francois Hollande, Sarkozy spese 42 milioni di euro, a fronte del tetto legale di 22,5 milioni. Spese giustificate, secondo l'imputato, dal fatto che gli impegni presidenziali non gli avrebbero permesso di prestare attenzione ai dettagli finanziari. 

 Il giudice, nel pronunciare la condanna, ha spiegato che l'ex presidente "ha proseguito l'organizzazione di meeting" dopo essere stato "avvertito per iscritto del rischio di superamento dei limiti", cosa di cui non poteva non essere a conoscenza visto che si trattava della sua seconda campagna presidenziale. Sarkozy, che ricorrerà in appello, non sconterà la condanna in carcere, ma sarà sottoposto a un regime di sorveglianza elettronica. In tutto sono tredici i condannati: il direttore della campagna elettorale è stato condannato a 3 anni e mezzo.

Prima fugge dal carcere in Tunisia per sbarcare come innocuo migrante con il barcone in Italia. Poi viene aperto un procedimento a Bologna per radicalismo islamico, che finisce in nulla. Alla fine doveva essere espulso, ma un magistrato di Bologna annulla il provvedimento di rigetto della richiesta d'asilo. La polizia italiana, però, segnala a tutta Europa che è un sospetto jihadista pronto a partire per i campi dei battaglia dell'Isis in Medio Oriente. Si sposta fra Svezia e Belgio fino a quando non decide di uccidere due svedesi a colpi di kalashnikov nel centro di Bruxelles. Il Giornale ha ricostruito il percorso, attraverso l'Italia, di Abdesalem Lassoued, il terrorista dell'Isis neutralizzato ( ieri ottobre 23 ) in uno scontro a fuoco a Schaerbeek, distretto della capitale belga fucina di jihadisti fin dagli attentati del 2016.

Lassoued era un tunisino nato a Sfax nel 1978. A casa sua finisce dietro le sbarre «per reati comuni e di natura politico-religiosa», ma riesce a evadere. Subito dopo si mescola ai migranti imbarcandosi verso Lampedusa. Nel gennaio 2011 viene fotosegnalato a Porto Empedocle per ingresso illegale. A Torino, dove lo trasferiscono, gli rilasciano un permesso di soggiorno per «motivi umanitari». Abbandona l'Italia per andare prima in Norvegia e venire rimandato indietro e poi in Svezia. Nel Paese scandinavo rimane dal 2012 al 2014 finendo in carcere. Forse non è un caso che a Bruxelles abbia dato la caccia ai tifosi della nazionale svedese, impegnata in una partita, uccidendone due. Dopo avere scontato la pena in Svezia viene espulso verso l'Italia come prevede il regolamento di Dublino.

Le perquisizioni a tappeto sono scattate per sgominare la rete dei contatti che Abdessalem Lassoued, autore dell'attentato del 16 ottobre scorso a Bruxelles, aveva in Italia. Il tunisino, che uccise brutalmente due tifosi svedesi gridando "Allah akbar", era infatti transitato dal nostro Paese, dove aveva vissuto dal 2012 e il 2016. E qui, secondo gli investigatori, aveva delle conoscenze riconducibili alla sua cerchia virtuale del terrore. Così, i poliziotti della Digos di Bologna, coordinati dalla Direzione centrale della Polizia di prevenzione, in collaborazione con i carabinieri del Ros di Roma, hanno proceduto all’esecuzione di un decreto di perquisizione nei confronti di diciotto persone considerate vicine a Lassoued e al mondo dell'integralismo islamico.

Gli indagati sono individui di origine nordafricana che dimorano nelle province di Bologna, Como, Fermo, Ferrara, Lecco, Macerata, Teramo, Palermo, Perugia, Roma, Torino, Trento e Udine. Gli investigatori hanno accertato che le persone perquisite usavano profili social con contenuti tipici degli ambienti dell'estremismo religioso. Gli sviluppi degli accertamenti - fanno sapere le forze dell'ordine impegnate nell'operazione - hanno già permesso di individuare altri cittadini stranieri nei cui confronti si è definito l'iter per l’allontanamento dal territorio nazionale con provvedimenti amministrativi di espulsione.

Il 16 ottobre scorso, le sue generalità erano tragicamente tornate alla ribalta dopo il brutale attentato da lui commesso a Bruxelles. Nella capitale belga, l'uomo freddò due cittadini svedesi per poi darsi alla fuga, ancora armato, a bordo di una moto. Colpito in un conflitto a fuoco con la polizia, l'uomo è poi deceduto poco dopo. In un video, il tunisino aveva rivendicato il folle gesto. "Sono uno jihadista dello Stato islamico. Viviamo per la nostra religione e moriamo per la nostra religione. Ho vendicato i musulmani...", disse. L'attentato aveva riacceso l'allarme per il terrorismo islamico nel cuore dell'Europa, facendo partire nuove indagini per individuare eventuali e nuovi potenziali rischi alla sicurezza.

Le misure, che si inquadrano nell’ambito degli approfondimenti investigativi scaturiti dall'attentato perpetrato a Bruxelles, hanno avuto origine anche da "acquisizioni provenienti dai canali di cooperazione internazionale, avviate fin da subito con la polizia belga e gli organismi di Europol, che hanno consentito di fare piena luce sui contatti mantenuti in Italia dell’autore dell’attacco terroristico, come noto rimasto nel nostro Paese dal 2012 al 2016", hanno fatto sapere gli investigatori. Il tunisino Abdessalem Lassoued aveva vissuto per alcuni anni in Italia e nel 2016 - aveva ricostruito l'Ansa - fu fermato e identificato dalla polizia a Bologna. Ma la città delle Due torri fu solo una delle tappe dell'attentatore nel Belpaese, del quale si hanno tracce dalla Sicilia alla Liguria.

 

Fonte il Giornale / ansa / e varie agenzie 

 

 

È morto Ugo Intini, lunedì sera a Milano, dopo una lunga malattia. L'ex parlamentare, che aveva 82 anni, lascia la moglie Carla e il figlio Carlo.
Addio a Ugo Intini, addio a un amico che grazie a lui, all'epoca era capo ufficio stampa del partito socialista in via del Corso, ho realizzato l'intervista a Bettino Craxi che ho messo sul mio libro "l'Italia dei Giganti".

 "La scomparsa di Ugo Intini è per me un dolore profondo", scrive su Facebook la senatrice Stefania Craxi. "Un altro pezzo della mia vita, della mia comunità, che ci lascia. Un amico e un compagno che da Roma a Milano, da giornalista, saggista e politico, ha servito laicamente con amore e dedizione la causa del socialismo libertario. È stata una penna straordinaria, acuta, pungente e intelligente, il direttore de L’Avanti che meglio di chiunque altro seppe interpretare lo spirito innovatore, riformista e garibaldino del “nuovo corso” socialista, un parlamentare infaticabile, un amico sincero di mio padre. Sapevo del male con cui da mesi stava combattendo con forza e con tanta speranza, dei suoi viaggi della salute al San Raffaele di Milano di cui egli stesso volle informarmi e di cui mi teneva al corrente. Ma anche in tutti questi mesi, ogni chiacchiera finiva sempre con lo sguardo proiettato al futuro, alle iniziative da fare per tenere viva quella lui chiamava la 'nostra storia', e non mi ha mai fatto mancare le sue riflessioni sulla politica, in particolare sul fronte internazionali, a cui guardava con apprensione per i tanti conflitti in atto. Il dolore dei suoi cari, a cui non posso che unirmi in un abbraccio fraterno, è il dolore di un'intera comunità per una perdita grande. Ciao Ugo, mi mancherai!".

 Intini fu esponente storico del Partito Socialista Italiano, poi dirigente nazionale dei Socialisti Democratici Italiani, confluiti nel rinato Partito Socialista Italiano del 2007: si è spento nella sua Milano ieri sera dopo una lunga malattia, all’ospedale San Raffaele dove era ricoverato.
A lungo direttore del giornale socialista Avanti!, de Il Lavoro di Genova e deputato per quattro legislature, Intini ha ricoperto incarichi di governo nel secondo governo Amato (2000-2001) e nel secondo governo Prodi (2006-2008), in entrambi nel ruolo di sottosegretario agli Esteri.
"Da socialista - ricorda una nota - Ugo Intini ha raccontato pagine importanti della storia del nostro Paese dall'osservatorio privilegiato qual era la segreteria del Psi negli anni '80", dove ha ricoperto l'incarico di responsabile dell'Informazione, di portavoce del Psi, rappresentante del partito all'Internazionale Socialista, a fianco a Bettino Craxi.
"Negli anni difficili del dopo tangentopoli, Ugo Intini non lascia mai il Psi, ma continua a dare con generosità il suo contributo di idee, accompagnando negli anni seguenti il partito e i suoi militanti in un difficile percorso di riaffermazione riformista, sino ai giorni attuali, dove non è mai mancata la sua presenza", si sottolinea sempre nella nota Psi.
"Di Intini si ricorda la nutrita produzione letteraria, attraverso la quale ha approfondito i contorni di un Paese in continua trasformazione, mettendo in luce tratti di storia anche sconosciuti, che hanno riguardato molti degli attori politici del nostro recente passato. L'ultimo libro, 'Testimoni di un secolo' è del 2022", si legge ancora.

 

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