"Make Europe great again": è il motto che il governo ungherese ha scelto per il suo semestre di presidenza dell'Ue. Un messaggio in cui però Budapest non vuole associarsi ufficialmente. "Trump non credo abbia mai voluto rendere grande l'Europa", ha detto ai giornalisti l'ambasciatore ungherese presso l'Ue, Odor Balint, presentando il semestre di turno che prende il via oggi. "Già tredici anni fa, alla nostra prima presidenza dell'Ue, il motto era 'For a strong Europe'", ha cercato di spiegare ai corrispondenti che hanno continuato a incalzare sul tema.
Un approccio pragmatico ed equilibrato nei confronti della Cina è un obiettivo chiave della Presidenza ungherese. La Cina è un importante partner commerciale ed economico. Nelle relazioni Ue-Cina, riteniamo particolarmente importante il dialogo costruttivo sull'economia e sulla sicurezza strategica", si legge nel programma di Budapest. Il Green deal non viene citato tra le sette priorità. Nel programma emerge la volontà di puntare su "obiettivi realizzabili".
"La priorità della Presidenza ungherese è contribuire al processo di definizione di un ambizioso, ma realizzabile, obiettivo climatico intermedio 2040 che garantisca che nessun cittadino o Stato membro sia lasciato indietro, garantendo al contempo la competitività e la sicurezza dell'approvvigionamento energetico dell'Ue durante tutta la transizione verde e giusta", è la linea tracciata.
"Il make Europe great again è riferito al passato in cui l'Europa, la sua industria, il suo Pil, avevano ben altri numeri rispetto a quelli attuali", ha evidenziato. Gli ungheresi assicurano che avranno ruolo di "mediatore onesto" nella gestione della presidenza. Polemiche - tante - a parte, sono sette le priorità tracciate: un New deal per la competitività; il rafforzamento della politica di difesa europea; una politica di allargamento coerente e basata sul merito; arginare la migrazione illegale; plasmare il futuro della politica di coesione; una politica agricola orientata verso l'agricoltore; e la sfida demografica.
La scelta dei termini è un indicatore sufficiente per comprendere la direzione politica della prossima presidenza europea. Un esempio: l'Ucraina non è citata nell'allargamento, l'attenzione è riservata ai Balcani occidentali. Il riferimento all'Ucraina nel capitolo dell'allargamento (sempre senza menzionarla) emerge solo quando si parla della tutela delle minoranze. Elemento di costante frizione tra Budapest e Kiev. Nel capitolo delle migrazioni, l'attenzione si focalizza sui confini esterni e sugli accordi con i Paesi terzi. Non viene menzionato il Patto per le migrazioni e l'asilo (sempre bocciato dall'Ungheria) né tantomeno un meccanismo di redistribuzione degli arrivi. E ancora: la Cina, ad esempio. Non si parla di de-risking o di tariffe.
Matteo Salvini si avvicina sempre di più ai 'Patrioti' fondati da Viktor Orban. Il segretario della Lega ha definito "corretta" la direzione presa dal primo ministro ungherese, insieme al partito austriaco Fpo e al movimento ceco Ano. Salvini persegue da tempo l'obiettivo di creare un vasto gruppo alternativo alle sinistre in Europa. Il primo passo è formare un'alleanza aperta a coloro che sono stati esclusi dall'accordo sui ruoli chiave tra Ppe, Socialisti e Liberali, che il vicepremier italiano ha etichettato come un "colpo di Stato". L'ambizione è quindi quella di fondare un eurogruppo più esteso di Identità e Democrazia, dove attualmente la Lega partecipa insieme al Rassemblement National francese.
Ai 'Patrioti per l'Europa già aderiscono Fpo, storico alleato della Lega, tra i fondatori di Id, e, da oggi, i portoghesi di Chega, di recente molto vicini al gruppo nato dall'intuizione di Salvini e Le Pen. In attesa di vedere cosa farà il Rn - che potrebbe non scegliere prima dell'esito del secondo turno delle legislative di domenica -, quindi, il leghista mette una fiche sul progetto di Orban, che pare invece non interessare ai Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, quantomeno allo stato.
Chi non ha alcun dubbio di ricollocamento è Forza Italia, parte integrante dei Popolari europei. Per tutta la campagna elettorale, il segretario nazionale di FI Antonio Tajani si è speso a favore dell'apertura di un dialogo tra il Ppe e i Conservatori di Meloni, a discapito dei Verdi. Tajani lo ha ribadito anche in giornata, sostenendo che la maggioranza che sosterrà la nuova commissione di Ursula von der Leyen in Europarlamento dovrà essere solida e avrà quindi bisogno dei voti di FdI.
FdI è in trattativa con gli alleati del PiS, insieme al quale co-presiede i Conservatori europei. I polacchi però potrebbero aderire ai nuovi 'Patrioti', superando le distanze storiche con Orban, considerato un tempo troppo filo-russo. "Siamo in trattativa con Ecr e questo è l'elemento principale che deciderà del nostro futuro", ha detto, nei giorni scorsi, l'ex primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, specificando che il PiS è tentato di andare "in entrambe le direzioni".
Meloni, pur avendo lasciato aperta la possibilità astenendosi sul nome di von der Leyen al Consiglio Europeo, mantiene aperte tutte le opzioni in attesa di definire quale posizione potrà essere assegnata all'Italia nel nuovo governo. L'intento espresso dalla premier è quello di "superare" i risultati ottenuti dal Pd nel 2019, mirando quindi a un incarico economico di rilievo e alla vicepresidenza della Commissione per il candidato italiano, che sembra essere il Ministro per gli Affari Europei, Raffaele Fitto. Il voto di Fratelli d'Italia al Parlamento Europeo sarà determinato dall'esito delle negoziazioni.
"Direi che la probabilità è del 50-50", ha spiegato, aggiungendo che "non è garantito" che il PiS rimanga in Ecr. Entro mercoledì dovrebbe esserci una decisione. In FdI non si crede che alla fine il PiS possa realmente lasciare Ecr ma niente è escluso allo stato. Si tratterebbe di una delle ipotesi meno vantaggiose per il primo partito di governo italiano, perché ridimensionerebbe considerevolmente la consistenza del gruppo che Meloni presiede, che, perdendo i 20 del PiS, passerebbe cosi' da 83 a 63 eurodeputati.
Il Rassemblement National di Marine Le Pen, sotto la guida del giovane Jordan Bardella, emerge come forza dominante in Francia nel primo turno delle elezioni legislative, con la possibilità di accedere al potere per la prima volta nella Quinta Repubblica. I risultati ufficiali rilasciati dal ministero dell'Interno in tarda serata mostrano che, con il 33,1% dei voti, il Rassemblement National e i suoi alleati hanno preso il sopravvento sulla coalizione di sinistra del Nouveau Front Populaire, che ha raccolto il 28% dei voti. In terza posizione si colloca la coalizione del presidente Emmanuel Macron, ferma al 20%. I Repubblicani, che non hanno formato un'alleanza con il RN per queste elezioni, si sono fermati al 10%. Seguendo i risultati del primo turno, il RN ha già assicurato 37 seggi, l'NFP 32, mentre il blocco presidenziale ne ha ottenuti 2.