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Lunedì, 13 Maggio 2024

Diciotti: 41 migranti chiedono un risarcimento all'Italia

Alcuni migranti che erano a bordo della nave 'Diciotti' hanno presentato un ricorso al tribunale civile di Roma per chiedere al governo italiano un risarcimento per essere stati costretti a rimanere a bordo diversi giorni. Secondo quanto si apprende da fonti del Viminale, il ricorso è stato presentato da uno studio legale a nome di 41 migranti, tra cui un minore, che erano a bordo della nave e che ora chiedono al premier Giuseppe Conte e al ministro dell'Interno Matteo Salvini un risarcimento tra i 42mila e i 71mila euro. Dei 41 migranti che si sono rivolti allo studio legale, dicono ancora le fonti del Viminale, 16 risultano essere nati l'1 gennaio. Dopo esser scesi dalla Diciotti, gli stranieri si erano poi rifugiati presso le strutture di Baobab Experience.

Una causa legale che ha il sapore prettamente politico per tornare ad attaccare Salvini. Non a caso arriva pochi giorni dopo la decisione della Giunta per l'immunità del Senato di non concedere l'autorizzazione a procedere al tribunale dei ministri che avrebbe voluto processare il numero uno del Viminale nonostante la procura di Catania avesse deciso di archiviare il caso. Adesso spunta uno studio legale che pretende dal leader leghista il risarcimento dei danni per la "privazione della libertà personale".   

«Permettetemi di rispondere con una grassa risata, non prendessero in giro gli italiani, la pacchia è finita, i barconi non arrivano più, al massimo gli mandiamo un Bacio Perugina». La battuta di Salvini fa capire «come sia più competente in enogastronomia più che in giurisprudenza: deve ricordarsi che sta al Viminale e non a Masterchef», ha risposto Giovanna Cavallo, dell'area legale di Baobab Experience. «In questa vicenda si parla di diritti umani violati e di persone che non possono diventare oggetto di campagna elettorale», ha chiarito. 

Mentre sul fronte del Movimento 5 Stelle. Sabrina De Carlo, capogruppo del M5S in Commissione Esteri della Camera, ha chiarito come l'Italia «ha rispettato ogni convenzione internazionale. Spiace che i 41 migranti che hanno chiesto un risarcimento si sono fatti strumentalizzare dai "soliti noti" della politica che ha favorito il business dell'immigrazione», ha chiarito.  

Fonti del Viminale fanno, infatti, sapere che uno studio legale ha presentato al tribunale civile di Roma un ricorso d'urgenza  per "difendere" 41 degli immigrati che si trovavano a bordo della nave della Guardia Costiera bloccata da Matteo Salvini nel porto di Catania per costringere l'Unione europea a fare la propria parte nella distribuzione dei richiedenti asilo. Dal leader leghista ora pretendono il pagamento di una cifra che oscilla tra i 42mila e i 71mila euro.

Di questi, sedici risultano nati il primo gennaio. Una coincidenza piuttosto stramba che fa supporre, come spesso accade, che le generalità fornite dai richiedenti asilo siano del tutto inventate. Dichiarano, sempre più spesso, di essere nati il primo gennaio del 2002, guarda caso in modo da risultare di diciassette anni e ottenere così accoglienza in Italia. I dati anagrafici degli immigrati sbarcati al porto di Catania l'estate scorsa non sono certo le uniche note stonate di una vicenda che ha svelato tutte le falle del sistema di accoglienza imposto per anni dall'Unione europea e che Salvini sta cercando di smontare.

Una volta sbarcati in Italia, alcuni degli immigrati, che ora vogliono far causa a Salvini, si erano poi rifugiati nella tendopoli (abusiva) gestita dai volontari della "Baobab Experience", un'associazione legata al mondo della sinistra radicale che fa del buonismo e dell'accoglienza la propria bandiera. Erano stati proprio gli stessi volontari a noleggiare un pullman e portarli al confine con la Francia per aiutarli ad attraversare (illegalmente) il confine. Adesso, a distanza di dieci mesi, eccoli rispuntare, rappresentati da un ufficio legale italiano, per cercare di spillare al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e a Salvini una cifra "a titolo di risarcimento" che oscilla tra i 42mila e i 71mila euro.  

A pochi giorni dal voto in Giunta sul caso della Diciotti, la nave della Guardia Costiera fermata davanti al porto di Catania per non far scendere i migranti che erano stati imbarcati, Giulia Bongiorno parla dei consigli dati a Matteo Salvini su come affrontare la richiesta del tribunale dei ministri che lo avrebbe voluto processare. Consigli dati non in quanto ministro della Pubblica amministrazione, ma da esperto legale. Perché, pur sapendo che "se Salvini si fosse fatto processare per le accuse dei giudici di Catania sarebbe stato sicuramente assolto", la Bongiorno ha voluto evitargli di finire invischiato negli artigli della giustizia "per sei, sette, dieci anni".

"Conosco la giustizia italiana...". In una intervista rilasciata al Corriere della Sera, la Bongiorno mette a nudo le falle della giustizia italiana. Da avvocato quale è li conosce in troppo bene. "So che Salvini sarebbe rimasto sotto processo per sei, sette, dieci anni - spiega - e nel frattempo sarebbe stato sempre additato". Da qui il consiglio di non rifiutare l'immunità che la Giunta di Palazzo Madama gli avrebbe dato. Per arrivarci, però, il vicepremier leghista è dovuto prima passare attraverso il tribunale del popolo messo in piedi dal Movimento 5 Stelle. Sulla votazione sulla piattaforma Rousseau, la Bongiorno però non intende prendere prosizione, preferisce lasciare certe polemiche all'elettorato pentastellato: "È nel dna dei grillini, questo continuo contatto con i loto militanti, può piacere o non piacere. Personalmente - continua - non ho questa ansia di ricercare sempre il confronto con l'elettorato".



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