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Gli italiani lasciano il bel paese

gotti-benedetto

Da qualche tempo i nostri media, forse imbeccati dai ministri del governo Renzi, quasi tutti ci raccontano di una presunta ripresa economica del Paese. Ancora oggi a Rai 3 si sottolinea il cambiamento nonostante le percentuali di ripresa sono ancora abbastanza risicate. Ma allora i dati, i numeri, offerti nell’articolo, pubblicato dal quotidiano La Stampa del 7 ottobre scorso che significato attribuiamo? Mi riferisco a Le migrazioni cambiano verso: all’estero 4,6 milioni di italiani. Partenze in crescita costante: per ogni ingresso, in tre lasciano il Paese”, di Francesca Paci. Potremmo sostenere subito,con i numeri non si discute, c’è poco da fare.Del resto, la matematica è logica quanto spietata: se gli arrivi non compensano le partenze vuol dire brutalmente che, Belpaese o meno, attraiamo assai meno di quanto altri lidi attraggano noi.

Infatti, ecco i numeri: nel 2014, l’anno scorso, su uno straniero entrato in Italia, ci sono ben tre italiani che escono, cioè che evadono, che fuggono,hanno fatto fagotto in cerca di un futuro migliore altrove”, scrive la giornalista.L’articolo de La Stampa, riprende l’ultimo rapporto della Fondazione Migrantes sugli italiani nel mondo, in pratica “ai 33 mila ingressi dello scorso anno corrispondono 101 mila fughe all’estero, significa che non cresciamo più e che la crisi economica si sta trasformando in crisi demografica”,è il ragionamento di monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes.

Sostanzialmente la situazione praticamente in Italia si è capovolta, “I dati analizzano gli ultimi 10 anni, giro di boa oltre il quale il numero degli emigranti è tornato a crescere come mezzo secolo fa. Al primo gennaio 2015 risultano iscritte all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, 4.636.647 persone, più 3,3% rispetto al 2014 ma più 49,3% rispetto al 2005. Un incremento che, al netto delle mille differenze tra calciatori, suonatori d’arpa d’origine lucana, barbieri, designer o professori, indica una tendenza inequivocabile al gettare il cuore oltre confine”.

L’articolo è correlato con una interessante mappa dei flussi verso quali Paesi sono destinati e da dove provengono questi italiani che sono andati via.

E’ un “identikit multiplo degli esuli, dice, suggerisce quanto profondamente abbia scavato la sfiducia nel paese”. La maggioranza che scappa proviene dal Meridione il 51,4%, al primo posto c’è la Sicilia. Ma anche il Nord non scherza, considerando gli ultimi anni al primo posto c’è la Lombardia e al terzo il Veneto. Monsignor Perego spiega il neo protagonismo del nord con il perdurare della recessione: “Una parte di questa migrazione deriva da una precedente migrazione interna Sud-Nord, gente che spostandosi si era sistemata ma non abbastanza da reggere alla crisi”.Alla domanda se sia una tendenza irreversibile, ha risposto in una notaAlessandro Rosina dell’Università Cattolica citando un recente rapporto secondo cui il 60% dei laureati vorrebbe partire alla volta di opportunità migliori. Già oggi, calcola Migrantes, appena il 20% degli studenti italiani spende il proprio titolo di studio in patria, il 60% lo investe all’estero. “Molti dei nostri ragazzi vorrebbero tornare a casa ma diversamente dalla Spagna la nostra legislazione non agevola il rientro” chiosa monsignor Perego. “Ma sarebbe sbagliato parlare solo di cervelli in fuga perché le cifre comprendono anche gli over 40 rimasti disoccupati troppo tardi per avere chances in Italia: almeno la metà di quelli che partono trova lavoro nei bar di Barcellona, nelle fabbriche tedesche, nell’attività artigianale in Gran Bretagna”.

Ora se questi datili accostiamo a quelli che da qualche anno cerca di diffondere l’economista Ettore Gotti Tedeschi, cioè l’idea che dagli anni ’70 in Italia nascano sempre meno bambini,col risultato di un totale inverno demografico, la situazione si fa abbastanza preoccupante, per non dire catastrofica.

Per Gotti Tedeschi, la questione demografica non è una delle tante problematiche che affliggono il Bel Paese, “ma sia la questione che ha originato la crisi economica che stiamo vivendo e dalla quale non si riesce a uscire”. Il professore Gotti Tedeschi spiega le sue tesi in una intervista al nuovo giornale cattolico “La Roccia”, diretto da Marco Invernizzi. L’economista ha studiato il crollo della natalità in Occidente, voluto da un certo modello culturale neomalthusiano, che avrebbe provocato dei cambiamenti radicali nella vita pubblica ed economica delle nazioni. “Chi si opponeva a questa visione del mondo emergente veniva escluso dagli ambienti importanti e trattato come un retrogrado”. Come lo studioso anglo-australiano Colin Clark (1905-1989), che attraverso i suoi studi di statistica, smascherò scientificamente il mito della sovrappopolazione del mondo. Nel 1974 le Edizioni Ares, pubblicarono un saggio,“Il mito dell’esplosione demografica”, scritto proprio da Clark, che possiedo e tengo gelosamente nella mia biblioteca.

Il risultato della rivoluzione antropologica malthusiana è che la popolazione occidentale è invecchiata. Diminuiscono proporzionatamente “il numero dei giovani che producono, diminuisce il numero di famiglie che si formano, crescono invece esponenzialmente i vecchi che vanno in pensione e rappresentano un onere sociale sempre più alto per un contributo sempre più basso”. Tutto questo, in particolare lo Stato italiano, ha dovuto aumentare l’imposizione fiscale, che ha gravato soprattutto sulle famiglie, ma anche sulle imprese, che hanno da una parte hanno delocalizzato e dall’altra hanno ridotto gli investimenti produttivi, con il risultato che abbiamo il 35% di disoccupazione giovanile.

A fronte di tutto ciò che cosa dovrebbe fare uno Stato per uscire dalla crisi demografica? Anzitutto per Gotti Tedeschi, dovrebbe “prendere atto che la crisi è antropologica, prima che economica e finanziaria” e quindi trovare modelli culturali come quelli che da tempo consiglia la Chiesa con il suo Magistero sociale, dalla Rerum novarum(1891), fino alla Lumen fidei (2013) di papa Francesco. Qui si possono trovare molti spunti importanti, chiarisce Gotti Tedeschi, anche se la Chiesa non fornisce soluzioni tecniche.

Purtroppo la Chiesa non è stata ascoltata, neppure da molti preti. “L’uomo contemporaneo- secondo l’economista - ha perso il senso della vita e quindi il senso delle proprie azioni, in quel Magistero potrebbe trovare quel punto di riferimento che cerca disperatamente, anche se magari in modo inconscio”.

 

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