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Dialogo e libertà di religione: a Roma una tavola rotonda su Cristianesimo, Islam e Medio Oriente

Il tavolo dei relatori

Dopo il fallimento delle cosiddette 'rivoluzioni arabe', la diffusione del radicalismo islamista in Medio Oriente e la conseguente persecuzione a macchia d'olio sulle minoranze cristiane della regione, le cui immagini più cruente hanno fatto il giro del mondo, davvero forse mai come oggi la difesa della libertà religiosa rappresenta il principale criterio interpretativo a garanzia dei diritti della persona e delle comunità perseguitate su scala internazionale. Per fare il punto della situazione attuale - a cinquant'anni dal Concilio, che pure sul tema qualcosa di importante ha detto - il Centro Estudio Medio Oriente (CEMO), della spagnola Fundación Promoción Social de la Cultura (http://www.fundacionfpsc.org/esp/index.php) ha organizzato a Roma una tavola rotonda cui sono intervenuti monsignor Agostino Marchetto – segretario emerito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti – e Mustafa Cenap Haydin – direttore dell'Istituto Tevere e intellettuale musulmano turco impegnato da anni in Italia sul versante del dialogo interculturale e interreligioso. A prendere la parola per primo è stato il Vescovo che si è soffermato in particolare su due storici documenti dell'assise ecclesiale, ovvero la dichiarazione Nostra Aetate sui rapporti tra la Chiesa e le religioni non cristiane e la dichiarazione Dignitatis Humanae tutta dedicata proprio al tema della libertà religiosa. Ad avviso di Marchetto sono infatti i due documenti che spiegano più e meglio di altri la risposta organica della Chiesa al mondo moderno, ben più a fondo – ad esempio – della costituzione pastorale Gaudium et Spes, che come lo stesso Marchetto ha ricordato è stata giudicata invece in alcuni punti già superata da Benedetto XVI nell'arco del suo pontificato. Sulla Dignitatis Humanae, che in materia di libertà religiosa resta l'ultima vera elaborazione dottrinale del Magistero docente della Chiesa, Marchetto ha spiegato che il testo è stato lavorato a lungo (arrivando a sei diverse stesure) ma che alla fine ha prevalso la linea di taglio più giuridico interpretata, tra gli altri, dalle proposte del cardinale italiano Pietro Pavan (1903-1994) e del teologo gesuita statunitense John Courtney Murray (1904-1967) che sottolineavano primariamente la necessità di evitare costrizioni e coercizioni di sorta in materia di questioni religiose privilegiando l'aspetto fondamentale della tutela della dignità della persona in quanto creata a immagine e somiglianza di Dio e dell'esercizio della sua libertà. Tuttavia va pure ribadito che gli aspetti parzialmente, o apparentemente, inediti presenti nel documento conciliare, che come noto è stato successivamente molto ripreso e dibattuto a livello ecclesiale, vanno contestualizzati e interpretati sempre all'interno della Tradizione della Chiesa e del Magistero pontificio che – citando qui ancora Benedetto XVI – ha parlato più volte di “riforma nella continuità e nel rinnovamento dell'unico soggetto Chiesa”. Inoltre, ha aggiunto Marchetto, che nell'occasione ha ripreso ampi passi del documento, il testo in certi punti va riletto tenendo presente anche la peculiare situazione geopolitica di allora e il contributo decisivo offerto – non a caso – proprio da quegli episcopati che soffrivano maggiormente sulla propria pelle le pesanti limitazioni all'esercizio della libertà religiosa, a cominciare da quello polacco guidato dall'allora arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla.

Sensibilmente diverso l'intervento di Haydin che si è invece soffermato sulla situazione interna al mondo islamico di cui tanto si parla sui mass-media in questi giorni specificando subito dei dati che nel succedersi delle reazioni più emotive rischiano di passare inosservati come il fatto ad esempio che numericamente la maggioranza dei fedeli mussulmani vive tuttora in Asia, non in Africa o in Medio Oriente, e che – con riferimento agli attacchi di terroristici di Isis o Boko Haram – buona parte delle vittime spesso sono ugualmente islamiche, appartenenti semmai a quella società civile che dall'interno cerca in qualche modo di resistere all'avanzata dell'ultrafondamentalismo armato predicato principalmente dal salafismo di matrice sunnita. Haydin ha poi messo in guardia dalle letture, sia religiose che geopolitiche, che favoriscono il cosiddetto 'scontro di civiltà' ricorrendo ad esempi storici di provata coesistenza tra il mondo occidentale in senso lato e quello arabo-islamico. Da questo punto di vista per il futuro che più ci riguarda ad avviso dello studioso turco occorrerà tenere particolarmente d'occhio il 'caso dell'Albania': una Nazione indubbiamente europea eppure a maggioranza islamica, situata in una posizione geograficamente strategica, che oggi viene anch'essa sfiorata dalla penetrazione di nuove ideologie guerrafondaie di stampo radical-islamista che mirano a spostare l'orientamento di Tirana più a Est che non sul bacino del Mediterraneo. Da ultimo, per comprendere la crisi del mondo islamico tradizionale per Haydin bisogna pure guardare attentamente agli squilibri sociali causati dai processi socio-economici portati dalla globalizzazione a livello mondiale negli ultimi tempi e la parallela rinascita di un modello tipicamente revanscista di società islamica rispetto all'Occidente - esploso visibilmente guadagnando consensi prima insospettabili almeno dalla rivoluzione iraniana del 1979 - nonché alla lotta intestina per la leadership a livello statuale tra varie Nazioni simbolicamente importanti per quel mondo che attualmente vede Arabia Saudita, Iran e Turchia sfidarsi l'una contro l'altra. Questo tipo di lettura, tuttavia, ancorché piuttosto ragionata su più fronti e fattualmente fondata, è stata a sua volta messa in discussione dallo stesso Marchetto che riprendendo la parola in conclusione e citando i suoi passati trascorsi di Pastore in missione in Africa ha osservato che restano aldilà di tutto comunque almeno due nodi irrisolti all'interno del mondo islamico che attendono risposta: il primo è la frequentissima “commistione tra politica e religione” diffusa pressochè ovunque senza soluzione di continuità che non solo rende problematiche stabilire ordinariamente delle minime separazioni tra la sfera civile e quella spirituale ma viene persino sorretta dottrinalmente e quindi giustificata da fior di autorità religiose, mentre il secondo è il fatto che la codificazione mondiale dei diritti umani vergata a Parigi in sede ONU nel 1948, riconosciuta da tutti, è contestata e rifiutata quasi esclusivamente proprio dalla maggioranza dei Paesi islamici che non accettano che la Sharia venga messa in discussione nemmeno negli aspetti più problematici e controversi per la dignità dell'uomo come oggi viene universalmente intesa. Tuttavia, per citare il Pontefice, al dialogo interculturale anche su questi temi al momento non c'è reale alternativa e l'unica possibilità davanti a noi è quella di continuare nonostante tutto il confronto, anche grazie ad occasioni come questa: visto il precipitare degli eventi c'è da sperare solo che non sia l'ultima e che, magari, altre nel frattempo ne sorgano proprio dall'interno delle realtà mediorientali più coinvolte.

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