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Vince il Sì al referendum, Lombardi e Veneti scelgono l'autonomia

'La politica è uscita da questa partita, adesso tocca al popolo'. E' un Luca Zaia raggiante quello che si presenta in conferenza dopo il  successo del veneto nel referendum per l'autonomia che ha visto una partecipazione del 57,2% degli elettori, che per oltre il 98% hanno votato sì all'autonomia della regione

Il risultato uscito dalle urne di Lombardia e Veneto conferma ciò che già si sapeva: e cioè che in tali regioni c'è una decisa aspirazione a gestirsi da sé e farsi carico in autonomia dei propri problemi. 

Le nuvole maggiori si addensano sul capo di Matteo Salvini, che per questa consultazione popolare si è speso poco, con discorsi di maniera, anche se ieri andando a votare si è augurato che tanta gente affollasse i seggi «per un referendum giusto che chiede cose giuste», una «novità che ci porterebbe all'avanguardia a livello mondiale». E in serata su Fb si è limitato a rimarcare con un «Sì» il risultato di Zaia, non quello di Maroni. Per il numero uno della Lega quello uscito dalle urne del «Lombardo-Veneto» rappresenta un successo del partito, «una grande partecipazione popolare, una prova di democrazia», come dicono i suoi. 

Lo rafforza sia come immagine nazionale che nelle trattative all'interno del centrodestra per le elezioni politiche, ma può anche essere un freno al progetto di costruire una nuova forza nazionale, oltre il Nord e alla conquista del Meridione, dov'è già nata senza troppo successo la sigla «Noi con Salvini». Perché tanta voglia di autonomia nelle più ricche regioni settentrionali, che può contagiare anche altre, può spingere il Carroccio verso un ritorno alla missione originaria, federalista se non secessionista, che Salvini vuole archiviare. Certo il voto di ieri è una vittoria dell'ala autonomista, che contrasta quella salviniana ed è più vicina a Berlusconi e a Forza Italia. Torna un po' in auge anche Umberto Bossi, per cui l'indipendenza della Padania resta «un sogno», come ha detto ieri al seggio vicino alla sede storica della Lega in via Bellerio

Per Zaia, c'è piena "collaborazione con la Lombardia sul piano delle metodologie da seguire nella trattativa con il governo, ma sarà inevitabile che la Lombardia avrà delle sue istanze e peculiariatà differenti a quelle del Veneto quando andremo al 'vedo'". Lo dice in conferenza stampa commentando l'esito del referendum. "Ogni Regione - sottolinea - ha la sua storia ma si va avanti nella trattativa assieme". Intanto mancano ancora i risultati definitivi del referendum in Lombardia. 

Il governatore della Lombardia Maroni non trionfa come Zaia, ma riesce nello scopo di superare l'asticella fissata al 34% dei votanti: «Con lo spoglio ancora in corso la proiezione è superiore al 40%», annunciava il governatore allo scoccare delle 23. Alle 12 qualche preoccupazione c'era stata per quell'11% di affluenza, metà che in Veneto, ma alla fine il risultato dovrebbe rafforzare Bobo nella corsa alla riconferma come presidente della Regione, anche se la sua candidatura non sarebbe blindata. E gli ruba un po' la scena autonomista Giorgio Gori, candidato in pectore del Pd per Palazzo Lombardia e sindaco schierato per il Sì di quella Bergamo che ha registrato il top di affluenza.

In una intervista a Reppublica  il ministro Maurizio Martina si affretta a far presente ai governatori leghisti Roberto Maroni e Luca Zaia che le materie fiscali, e anche altre (come la sicurezza), "non sono e non possono essere materia di trattativa né con il Veneto, né con la Lombardia e neanche con l'Emilia Romagna, che ha avviato un'interlocuzione con il governo senza passare da un referendum". Inizia così, in salita,la trattativa del Nord per avere piu soldi e piu poteri. Ma su un punto Zaia resta fermo: "Martina si occupa di agricoltura. Il nostro interlocutore sia il presidente del Consiglio". Quindi, la palla ora passa a Paolo Gentiloni.

"Non lo dico io. Lo dice la Costituzione...". Il renziano Martina passa subito all'attacco. I numeri dei referendum sulle autonomie di ieri parlano chiaro.In Lombardia l' affluenza ha superato il 40%  mentre in Veneto ha sfiorato il 60% . Ora il governo Gentiloni è obbligato ad aprire il confronto: non può rimanere sordo dinnanzi a questo voto. "Oggi approviamo la piattaforma negoziale - spiega Zaia a Rtl 102.5 - tratteremo su questa base direttamente con questo governo". Ma da Roma il ministro Martina già sventola gli articoli 116 e 117 della Costituzione per frenare gli entusiasmi dei lombardi e dei veneti. "Questi articoli - spiega a Repubblica - indicano chiaramente gli ambiti su cui ci può essere una diversa distribuzione delle competenze

È risaputo che il processo autonomista deve fare i conti con due difficoltà maggiori. In primo luogo, a Roma non c'è una maggioranza disposta a riconoscere a lombardi e veneti alcuna facoltà di autogestirsi, e d'altra parte non si capisce per quale motivo i parlamentari del resto d'Italia dovrebbero favorire l'autonomia altrui. In secondo luogo, se si vuole essere concreti e andare al sodo, è evidente che un'autonomia non solo di facciata implica che i soldi prodotti nelle due regioni e che ora spariscono dalla disponibilità dei lombardo-veneti restino (in tutto o in parte) sul territorio. E a questo punto l'ostilità dell'insieme di deputati e senatori è prevedibile, anche in considerazione dello stato pietoso dei conti pubblici.

L'unica strada, forse, è quella d'immaginare un processo di crescente autogoverno che riguardi l'Italia intera, e che localizzi competenze, prelievo e spesa. C'è insomma l'esigenza che quanti nel Mezzogiorno dovessero perdere quote di assistenzialismo possano poter ridefinire le proprie regole, facendosi maggiormente attrattivi. La Calabria difficilmente guarderà con favore una richiesta lombarda di non destinare più al Sud una parte del proprio Pil, ma le cose possono cambiare se essa è in grado di definire tassazione e regole tali da favorire la crescita locale e stimolare l'arrivo di investimenti. Ad ogni modo, non ci si faccia illusioni: la strada che lombardi e veneti devono percorrere per poter autogovernarsi è davvero tutta in salita.

Ieri in Lombardia e Veneto "è stata una lezione di democrazia per tutta Europa, abbiamo scelto la via legale, pacifica e costituzionale. La stessa opportunità la offriremo da nord a sud a chi ce lo chiederà". Lo ha detto il segretario della Lega, Matteo Salvini, in conferenza stampa in via Bellerio. "Quelli che dicevano che la linea nazionale della Lega avrebbe trovato problemi al Nord - ha proseguito Salvini - non ha capito un accidente. Richieste di autonomia hanno convinto 5,5 milioni persone a votare, e Maroni e Zaia avranno mandato pieno mandato a trattare. Rido quando leggo certe ricostruzioni di divisioni", ha aggiunto il segretario della Lega. 

"Adesso li pubblicheremo - ha detto il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni - abbiamo avuto problemi con 300 chiavette, problemi tecnici, che stiamo risolvendo, di collimazione di dati". Secondo la Regione Lombardia, la stima del dato finale sull'affluenza nel referendum sull'autonomia "oscilla tra il 38 e il 39% per un numero di votanti di circa 3 milioni" quando sono state esaminate il 95% delle 24mila Voting machine. Allo stato - spiega la Regione in una nota - l'affluenza è pari 37,07. Si sono registrate alcune criticità tecniche nella fase di riversamento dei dati della rimanenti Voting machine e pertanto i risultati completi potranno essere resi noti a operazioni concluse. .

Veneti e lombardi hanno forte la consapevolezza di dare allo Stato molto più di quanto non ricevano, dato che queste due regioni perdono complessivamente oltre 70 miliardi ogni anno, destinati ad altre aree del Paese. Che succederà, ora? Roberto Maroni e Luca Zaia ricevono dalle urne una decisa spinta ad avviare una vera trattativa con Roma: su soldi e poteri. Anche se fino a oggi ogni richiesta di applicare il titolo V della Costituzione è stata ignorata, a seguito del voto ci troviamo in una situazione inedita, poiché le uniche due regioni che nel 2006 avevano votato a maggioranza per la riforma costituzionale della «devolution» sono ancora in prima fila per chiedere che si rafforzino le autonomie e s'indebolisca il potere centrale.

La battaglia non sarà facile e c'è il rischio, naturalmente, che la montagna partorisca un topolino. Tutti sanno che alla fine ci si potrebbe limitare a chiedere e ottenere solo qualche limitata competenza regionale in più, ad esempio, sulla scuola. Va però ricordato che proprio al fine d'indebolire la posizione delle due regioni impegnate nel referendum, nei giorni scorsi il governo di Roma e l'Emilia Romagna hanno firmato una dichiarazione che formalizza un percorso volto a dare più competenze alla regione amministrata dal centrosinistra. L'obiettivo dell'esecutivo guidato da Gentiloni era chiaro: mostrare come i referendum fossero inutili e come si sia trattato di uno spreco che poteva essere evitato.

Il documento firmato lo scorso 18 ottobre, però, potrebbe essere un boomerang, poiché ormai ogni richiesta lombarda e veneta di avviare un percorso analogo deve essere presa in esame. E questo crea problemi a tutti: al governo, che dovrà mettere qualche contenuto nelle sue generiche intenzioni in favore delle autonomie; ai presidenti di Lombardia e Veneto, che dopo il voto devono mostrarsi molto determinati nei loro rapporti con l'esecutivo.

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