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La storia di un amore tra due persone che appartengono a mondi lontanissimi e per certi versi antitetici è l’occasione per tracciare un ritratto della Cina moderna, un paese in continua evoluzione, che in pochi anni ha avuto un’enorme crescita economica tanto da imporsi come potenza mon- diale. Tuttavia l’Autrice, ambientando la storia nella regione più occidentale del paese dove vive una popolazione fortemente discriminata, riesce a mostrare il lato oscuro di questo sviluppo impetuoso, fino a mettere in dubbio l’idea stessa di progresso: troppo alto è il prezzo da pagare se si calpestano i diritti dei più deboli e si distrugge l’identità di intere popolazioni ed etnie che pure possono vantare una storia millenaria.

Un libro appassionante in cui l’amore ed il sentimento si confondono con la lotta e la rivoluzione. Alla continua ricerca di libertà. Voci inascoltate di una Cina moderna.

Il romanzo di Iris si configura come il viaggio al femminile di un moderno Marco Polo, di una donna con la passione per la civiltà orientale che decide di fuggire dal mondo occidentale consumistico e bigotto per raggiungere un mondo fatto di antiche tradizioni e spiritualità. Ma quella che nella sua mente si configurava come una società ancestrale e pura in cui ricercare la propria identità, ai suoi occhi si mostra come una società basata sull’ambizione e l’apparenza in cui “paradossalmente si può anche perdere la propria identità”. La Cina, il suo sogno e al tempo stesso il suo incubo. L’unione e la separazione.

Parte per la Cina dopo la laurea e lì incontra la sua metà di mondo: un lui e una lei, dei senza nome, che si completano come due metà della stessa mela, come lo yin e lo yang, la notte ed il giorno, il sole e la luna. Trascorre dieci lunghi anni in Cina, il tempo di trasformare le sue speranze in disillusioni. Entra a contatto con una realtà diversa da quella descritta nei manuali di scuola, una realtà difficile, spesso taciuta… perché il controllo dell’informazione è ormai una verità del nostro secolo.

Tra il bianco e il nero di questo romanzo-denuncia ho potuto conoscere una realtà a me prima sconosciuta: quella degli uiguri, musulmani che abitano la regione autonoma cinese dello Xinjiang, sotto le continue repressioni da parte del governo centrale di Pechino. La diversità di lingua, religione, cultura di questa popolazione dal cuore della Cina, che spinge invece sempre più a un dominio tecnologico della terra, l’ha condotta all’isolamento e all’occultamento della sua causa. Per gli uiguri è pressoché impossibile fuoriuscire dal loro paese: “lei non riusciva a capire perché la sua domanda per ottenere il passaporto e il visto per l’Italia fosse sempre rifiutata”. Un paese che ha tutte le sembianze di una gabbia di uccellini cinguettanti, ai quali non è concesso il diritto alla libertà. Vengono discriminati in quanto “musulmani”, ma la parola “musulmano” non coincide con “terrorismo”. La società uigura, spiritualmente e culturalmente, è molto diversa da quella occidentale. Ma la diversità non implica l’esclusione.

Lui e lei, i due protagonisti del romanzo, fanno fatica ad integrarsi nella società dell’altro, ne riconoscono pregi e difetti, ma “l’altro, se guadato con rispetto e tolleranza, può solo completarci e integrare le nostre mancanze”. Una società perfetta non esiste ma a questa perfezione ci si può avvicinare con l’inclusione e l’integrazione, sempre e comunque nel rispetto reciproco. A combattere per la causa uigura è Rebiya Kadeer, rifugiata negli Stati Uniti con l’intento di sfuggire al governo cinese che voleva per lei la reclusione a vita. E’ una donna che non ha paura di raccontare al mondo la sua versione dei fatti, completamente diversa da quella cinese. E’ una donna che lotta quotidianamente per il suo diritto alla parola, per il diritto alla libertà. Ma non dobbiamo scordare che è madre di undici figli e ad ogni sua parola fuori posto vede costantemente entrare e uscire dalle prigioni la sua numerosa famiglia.

Per questo motivo è meno influente del Dalai Lama, che pur si spende quotidianamente per l’indipendenza tibetana. E’ questa una storia che nutre la curiosità del lettore e lo accompagna alla scoperta di un nuovo popolo e allo svelamento delle verità. Ma è innanzitutto una storia che commuove per quell’amore che abbatte le barriere dell’emarginazione e che vede nell’opposizione una ricchezza e un dovere per l’esistenza. Avete mai pensato al fuoco senza l’acqua? Alla luce senza il buio? Alla passione senza la razionalità? Lui e lei, “seppur distanti, continuano a essere un’unità che contribuisce a mantenere l’universo intatto”. Dedicato a: - chi ha sete di curiosità - chi non ha paura della verità - chi ama il suo opposto - chi è un tutt’uno col mondo 

L’autrice: Dopo aver trascorso molti anni della sua vita in Cina, Iris ad oggi è costretta a mantenere l’anonimato per salvaguardare la sua persona e la sua famiglia. Sceglie di lottare con l’arma più potente, la penna, e questo basta per conoscerla a fondo.  

Al via la VII edi­zione del Premio Nazi­onale di Poesia “Cip­ressino d’oro”, promosso ed orga­nizzato dal Kiwanis Club di Follonica.
La rassegna lettera­ria, la cui organizzazione è come di consueto affidata al kiwaniano Loriano Lotti, nelle scorse edizioni ha raggiunto risultati inaspetta­ti: sono pervenute alla giuria centinaia di poesie, con poeti premiati di tutta Italia. 
Un successo che di fatto ha portato il nome di Follonica in tutto il nostro Pae­se e non solo. 
Quindi, anche per l’edizione 2019 l’att­esa è alta e  la giu­ria di qualità, comp­osta da: Patrice Ave­lla scrittore e poet­a, Daniela Cecchini giornalista, scrittr­ice ed operatrice cu­lturale e Gordiano Lupi editore, scritto­re e poeta, è pronta a mettersi al lavor­o per le attente valutazioni degli elaborati. 
Il Premio vede il supporto dell’Artista Gian Paolo Bonesini, che ogni anno dona al Club alcune sue opere, che poi vengo­no consegnate ai vin­citori. 
Il tema scelto dagli organizzatori è qu­anto mai attuale: “L­'integrazione: eleme­nto di coesione all'­interno della nostra società”, questo il titolo della settima edizione del “Cipr­essino d’oro”. 
«L’integrazione – spiega Loriano Lotti – si manifesta attra­verso la partecipazi­one alle dinamiche sociali e culturali, senza alcun preconce­tto. 
È compito degli edu­catori, in primis la famiglia e la scuol­a, contrastare lo sv­antaggio, derivante non solo da disturbi evolutivi e di appr­endimento, ma anche dall'appartenenza a culture diverse. 
Si tratta di un pro­cesso sociale, che avviene attraverso la trasmissione di cos­truttivi modelli eti­ci e socioculturali, che inizia dall'inf­anzia, affinché ogni individuo possa sen­tirsi a pieno titolo membro di una comun­ità, senza limitazio­ni di sorta». 
Il premio è istitui­to allo scopo di pro­muovere e incoraggia­re la diffusione deg­li ideali kiwaniani, rivolti a tutti i bambini del mondo; la partecipazione è gra­tuita. 
Il testo dovrà esse­re inedito, fino al giorno della consegna e non premiato in altri concorsi lette­rari. Oltre al compo­nimento poetico, i partecipanti dovranno inviare alla segret­eria del “Cipressino d’oro” la scheda d’­adesione, debitamente compilata con i da­ti richiesti, e sott­oscritta. 
Gli elaborati dovra­nno arrivare entro domenica 31 marzo 201­9, salvo proroghe de­cise dagli organizza­tori. 
La premiazione si terrà a metà maggio. L’iscrizione potrà avvenire sia tramite email (follonica@kiw­anis.it) che a mezzo posta (Premio Cipre­ssino d’oro – Kiwanis Club Follonica, via Lamarmora 62, c/o Loriano Lotti, 58022 Follonica, Grosseto­). 
Gli autori, se dara­nno il loro consenso, potranno vedere la propria opera pubbl­icata in un’antologia edita dalla casa editrice "Il Foglio Letterario" di Piombi­no. 
Per tutte le inform­azioni è possibile scrivere all’indirizzo mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. oppure  chiamare il numero 347.6754324. 

E' il sottotitolo di un pamphlet, scritto da Andrea Brugnoli. ex sacerdote, il titolo invece è ancora più truce e terrificante, sicuramente, provocatorio: «Parrocchie da incubo», pubblicato da Fede & Cultura (2015). Per abitudine leggo i libri sottolineando le loro pagine. Ho notato che in questo testo, rispetto ad altri, forse, ho esagerato nelle  sottolineature. Questo significa che l'ho trovato interessantissimo. 

Brugnoli, nel testo appare deciso e tagliente nelle sue valutazioni e coraggioso e originale nelle proposte. Già nelle prime pagine, tiene a precisare che il libro non è stato scritto per imporre delle regole, delle idee ad altri, in particolare ai preti. Il testo vuole avere la pretesa di dare dei consigli per costruire una parrocchia diversa. Per trasformare la Chiesa, per ottenere un cambio di mentalità. «Sogno una Chiesa – scrive Brugnoli – tutta protesa a formare degli evangelizzatori. Dove tu vai a Messa una domenica e senti un'aria di famiglia; dove tutti si conoscono perché tutti condividono la passione per portare le persone all'incontro con Gesù e quelli che sono nuovi, lì per la prima volta, vengono accolti con un bel sorriso e comprendono subito che quella può essere la loro casa».

Certamente il libro scritto dall'ex sacerdote, è un testo che apre un serio dibattito all'interno della Chiesa. Peraltro Brugnoli, ha fondato le Sentinelle del Mattino e il Café teologico, associazioni presenti in altre diocesi e anche all’estero. A partire dall'introduzione, fa riferimento alle bacchettate di Papa Francesco nei confronti del clero, soprattutto quello arroccato sulle sue posizioni stantie, di quei preti che non sanno nulla delle pecore. «L'idea che vuole veicolare [papa Francesco]è quella di una Chiesa aperta, accogliente, che va in cerca della gente e che esce dalla sacrestia. Il giudizio del Vescovo di Roma, sembra talvolta implacabile: le parrocchie non sembrano all'altezza dei tempi».

Certamente anche papa Francesco intende attuare una pastorale di nuova evangelizzazione promossa dal Concilio Vaticano II e poi ripresa dal Magistero della Chiesa, in primis da San Giovanni Paolo II. E' un appello che non si può più rinviare. Certo ci sono ancora preti che leggono il Concilio in chiave sessantottina, tra l'altro, per Brugnoli, sono proprio loro i più strenui difensori dello status quo. E' la «generazione che voleva una Chiesa aperta al mondo abbattendo balaustre e tagliando manipoli, oggi ha conquistato il potere e come ne La fattoria degli animali di Orwell, ora è diventata peggio dei propri padri, cioè incapace di comprendere il cambiamento in atto». Sono proprio questi parroci, ex sessantottini che «credono ancora al piccolo mondo antico di un contesto dove loro dovrebbero essere riveriti e dove la gente dovrebbe ascoltarli».

Anche se i giovani preti sembra che hanno superato i dibattiti degli anni 60, lo sostiene il cardinale Raymond Leo Burke: «ho constatato che non comprendono il tipo di rivoluzione nella Chiesa che si identifica nel maggio del '68, e di certo non vi aderiscono. Hanno un profondo desiderio di conoscere la tradizione e di farne esperienza. Sono cresciuti in un'epoca in cui i bambini e i giovani non venivano più iniziati alle molteplici ricchezze della fede […] hanno sofferto della bancarotta morale di una cultura completamente secolarizzata». (R. L. Burke, Un cardinale nel cuore della Chiesa, intervista con Guillaume d'Alacan, Cantagalli, 2016)

Don Brugnoli è categorico nel giudizio sulla conduzione di certe realtà parrocchiali, dove la fede è stata ridotta a semplice moralismo, pertanto, «il cristiano modello non è più l'apostolo che evangelizza, ma il filantropo che si mette i sandali e fa del volontariato in Africa come un turista». Inoltre ci sono, «diocesi dove si organizzano costosi festival, convegni su ogni argomento, assemblee dove il microfono viene dato a pagani e nemici della Chiesa, presentati come profeti e come maestri di quello che dobbiamo fare noi. Sarebbe come se un medico organizzasse un convegno pagando profumatamente un becchino chiedendo a lui come si deve fare per curare la gente e farla durare a lungo».

Leggere il Concilio secondo le ideologie ha portato a risultati disastrosi, occorre cambiare se no si muore. Del resto è stato chiaro, Benedetto XVI, nel suo ultimo discorso, il 14 febbraio 2013, ha detto chiaramente che «C'era il Concilio dei Padri – il vero Concilio -, ma c'era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo, è stato quello dei media, non quello dei Padri [...]».

Ritornando alla parrocchia, l'auspicio di don Brugnoli è di veder campeggiare su ogni Chiesa cattolica del mondo lo slogan: «Benvenuto a casa!», è una frase che indica un modello di Chiesa, un marchio di qualità, un programma, una meta, un cambio di mentalità. Occorre proporre, «una parrocchia dove ci si sente a casa, perché l'accoglienza è curata nei minimi particolari e perchè si respira uno spirito di famiglia dei figli di Dio [...]».

Allora che fare? Come migliorare, la qualità delle nostre parrocchie? Come far sì che i fedeli non siano annoiati dall'omelia, le cassette delle offerte vuote, come migliorare la proposta?

Il testo di Brugnoli si divide in tre parti: la location, le persone, le attività. La location è il biglietto da visita delle nostre parrocchie e visto che viviamo nel mondo in cui l'immagine e la grafica sono cose decisive, un certo restyling esterno è necessario. Occorre tenere conto che nella parrocchia vivono persone, non siamo in un'azienda, ma una famiglia. Poi ci sono le attività: l'agire concreto della Chiesa nel mondo. Anche qui bisogna ricentrare queste attività.

«Questo manuale l'ho scritto, - scrive Brugnoli - pensando soprattutto ai tanti buoni laici che frequentano le nostre parrocchie e con grande fede si ostinano a partecipare alle nostre Messe domenicali». Nonostante tutto questi laici hanno ancora fede. Ebbene rivolto al laico, il sacerdote, categoricamente sentenzia: «la parrocchia che tu hai vissuto da bambino è morta. Quella dei campi scuola, dei campeggi, dei grest, del calcio balilla e dei lecca lecca al bar dell'oratorio, è irrimediabilmente morta. Potrà anche dispiacere, ma è morta [...]la parrocchia del XXI secolo oggigiorno non sa più cosa fare: ha perso lo scopo, l'obiettivo. Non ha più idee. Una volta tutti sapevano che si andava in chiesa per salvarsi l'anima e per imparare a portare la croce (che poi si viveva in famiglia, al lavoro, nella malattia). Oggi non si sa più a che cosa serva la religione e si va in chiesa perchè un Dio ci deve pur essere e forse mi servirà dopo morto. Ma della salvezza delle anime, anche in questa vita, non parla più nessuno».

Don Brugnoli è ricco di consigli, mette in guardia il fedele da tante cose, tra queste, quello di non lasciarsi clericalizzare dai parroci. Ai preti consiglia di formare gli evangelizzatori, non solo di evangelizzare lui stesso il mondo, come farebbe ogni battezzato. Il luogo Chiesa, secondo Brugnoli, non è quello «dove la gente va a farsi evangelizzare, ma il luogo dove i battezzati, ossia gli evangelizzatori, si ritrovano per adorare il Signore, per attingere forza, per imparare a evangelizzare il mondo esterno». Pertanto, «una Chiesa che ha cento membri,- secondo Brugnoli - dovrebbe avere cento evangelizzatori e non cento quasi-preti! L'adempimento del grande mandato non è un compito solo dei preti, né di pochi individui, ma è la funzione di tutto il corpo di Cristo».

E' questa la vera promozione del laicato che i preti devono fare nella Chiesa, non un camuffato clericalismo, che farebbe dei laici dei quasi-preti.

Il libro è da leggere tutto, magari si possono avere delle riserve sui consigli finali che fanno riferimento a certo cristianesimo anglosassone, al worship, della chiesa anglicana, a quel stile evangelico di pregare. Non è tanto chiara questa visione di Chiesa che don Brugnoli cerca di importare nelle nostre parrocchie. Tuttavia trovo molto interessante i tanti spunti critici che propone come quello della location della parrocchia. «Anche l'occhio vuole la sua parte».

Il Cristianesimo è la religione dell'incarnazione e non della Ragion Pura. Serve il contatto, la bellezza, l'immagine, l'odore. I cinque sensi sono tutti sollecitati nel cristianesimo. Ecco perché la Chiesa ha costruito le cattedrali, ha eretto croci, ha raffigurato immagini bellissime della maternità di Maria e tanto altro.

Ogni chiesa come edificio ha bisogno di una presentazione, quale immagine di Chiesa trasmettiamo. La gente deve vedere che in chiesa si entra per dare gloria a Dio e a Dio solo. Allora bisogna curare i cartelli, la bacheca degli avvisi, poi occorre possibilmente guardare anche ai parcheggi. L'interno della chiesa dev'essere ordinato e pulito. Ad esempio le candele devono essere quelle di cera e non elettriche. Proporre anche una buona musica di sottofondo, che si oda appena. Possibilmente il gregoriano. Continuando con la struttura interna della chiesa, don Andrea polemizza con quelle chiese dove hanno estromesso il tabernacolo (a proposito ho notato che i bambini della scuola primaria non sanno cosa sia) dal centro della chiesa, «si è deciso che il centro a cui inchinarsi sia un blocco di marmo[...]». Praticamente l'altare con il tabernacolo è stato isolato in una cappella a parte. Una vera e propria eresia architettonica. Ora al centro troviamo i preti con la loro sedia, Lui, il Protagonista per eccellenza l'abbiamo messo da parte. Ma questo non è stato il Concilio a volerlo, secondo Brugnoli, ma come al solito sono stati i cosiddetti «novatori postconciliari che ci hanno fatto credere che le loro idee fossero quelle decise da tutta la Chiesa». A volte per trovare il tabernacolo bisogna fare una caccia al tesoro.

Naturalmente Brugnoli polemizza anche sull'orientamento dell'altare. Prima era verso Oriente, luogo della nascita del vero sole, che è Cristo Risorto. Oggi di altari se ne vedono di tutti i tipi. Penso alla polemica scoppiata sui social che ho intravisto qualche giorno fa di una chiesa di una cittadina a nord di Milano.

Poi Brugnoli si sofferma sulla distruzione delle balaustre, dove i fedeli potevano inginocchiarsi per ricevere la Santa comunione.

Su questi temi, alcuni anni fa, Camillo Langone, giornalista de Il Foglio, ha scritto un ottimo libro. «Guida alle Messe», pubblicato da Mondadori.

Tuttavia Brugnoli è attento anche agli ambienti della Parrocchia: le stanze, le aule, dove si svolge il catechismo, il salone, la segreteria del parroco, l'oratorio in generale. Tutto dev'essere ben curato ed accogliente, capire l'uso di ogni stanza: quella per i bambini, per i giovani, gli adulti etc. E poi la sala mensa, si può evangelizzare anche mangiando. Il cattolicesimo ha sempre dato spazio all'aspetto conviviale. Anche qui nel libro si sottolinea il decoro della tavola, si entra nei dettagli: i piatti, i bicchieri, che non siano da osteria, anche le sedie, le lampade accoglienti al led, é importante curare il look dell'ambiente parrocchiale. Stupisci gli ospiti che vengono in parrocchia con la musica, le luci, il dolce speciale e il buon vino.

Per quanto riguarda le persone, è importante che la parrocchia abbia una visione. Tutte le attività devono mirare a uno scopo, per esempio «Risvegliamo la Chiesa». Risvegliare i cristiani rendendo ciascuno un discepolo-missionario.

Occorre avere un piano, una mappa che guida lo sviluppo di una comunità. Perché lo scopo deve essere di formare persone in grado di evangelizzare e di servire la Chiesa per costruire una comunità capace di portare tutti a Gesù. La vision deve essere conosciuta da tutti, capita che in parrocchie le cose si bloccano perchè ognuno persegue una visione diversa. Tutti in parrocchia devono sapere dove stiamo andando.

Diceva un vescovo, «le nostre parrocchie assomigliano a uno stadio di calcio. Ci sono solo ventidue persone che corrono all'impazzata e altre migliaia che stanno a guardarle».

Il Vaticano II ha auspicato un maggiore coinvolgimento del laicato cattolico nell'opera evangelizzatrice della Chiesa, ma in questi decenni, gli “impegnati” sono diventati sempre di meno. Qui Brugnoli dà qualche consiglio come “reclutare” persone giuste per “lavorare” in parrocchia. Peraltro ci tiene a sottolineare che lui incarica le persone, sempre con una scadenza, per un anno, tre anni. Così non si creano false aspettative. I volontari sono necessari alla vita parrocchiale.

Bisogna tenere insieme i collaboratori e soprattutto avere chiaro chi comanda, chi decide, a chi bisogna rendere conto. Bisogna definire bene i ruoli da svolgere, il grado di “potere” che una persona riceve dall'autorità.

Le riunioni non devono finire in “riunionite”, se servono per discussioni e tensioni, è meglio non farle, devono servire per crescere, non per distruggere. Importante illustrare a tutti il lavoro degli altri, per comprendere meglio la vision, la mission parrocchiale.

Anche qui Brugnoli ci invita a curare i dettagli, per esempio, ringraziare sempre le persone anche per cose minime

Nell'ultima parte, il testo affronta il tema delle attività. L'autore del testo ci tiene a fare precisazioni. La Chiesa esiste per edificare i credenti, cioè per fare dei discepoli di Gesù, capaci di formare altri discepoli. La parrocchia deve realizzare queste tre finalità. Pertanto le sue attività sono di tre tipi: culto, servizi, formazione dei discepoli. Interessante quest'ultimo aspetto, la formazione avviene nelle cellule, potrei aggiungere nei cuib, nelle croci, conoscendo altri metodi formativi.

Sicuramente il tutto deve essere orientato al grande mandato: fare discepoli. Possibilmente «imitando quel che Gesù fece con i suoi Apostoli e poi quello che gli Apostoli fecero con le diverse comunità [...]». Dunque continua Brugnoli, «gli ambienti parrocchiali dovrebbero essere quello spazio dove il grande mandato di fare discepoli si vede in azione». Non contano le strutture, ma quello che si fa dentro.

Infine nel suo libro-manuale don Andrea si sofferma molto sul catechismo, sulla preparazione ai sacramenti, sulla liturgia. Il catechismo – dice – è fatto per chi ha già incontrato il Signore. La catechesi non è l’annuncio, viene dopo di esso. Prima di tutto bisogna suscitare l’atto iniziale di fede nei confronti di Gesù Salvatore. Bisogna pensare a fare il primo annuncio ai bambini e ai ragazzi, tenendo conto che il test per sapere se l’annuncio è arrivato a destinazione è vedere se il bambino (o adulto) adora Gesù, se si inginocchia davanti al Tabernacolo e Gli parla. Se questo c’è, allora la catechesi diventa un cammino di discepolato.

E' fondamentale il primo annuncio, far conoscere Cristo vivo, oggi. «Gesù, non è un cadavere importante di cui raccontare la storia, come quella di un personaggio storico, ma è un uomo che, incredibilmente, è possibile incontrare oggi. Quell'uomo vive ancora oggi. Egli è capace di cambiarti oggi la vita, di parlarti nel cuore, di guidare le tue azioni e di darti la forza del Suo Spirito ogni volta che ne hai bisogno[...]».

Soltanto quando una persona, un bambino, ha fatto previamente questo incontro, allora ha senso parlare di catechesi, «altrimenti – scrive Brugnoli – è come costruire una casa sul nulla, sulla sabbia, senza fondamenta. Lo vediamo tutti che al primo venticello ormonale della preadolescenza quest'edificio crolla miseramente».

Purtroppo oggi non si tiene conto di questo. Oggi un progetto catechetico, non può partire dai contenuti della fede, prima bisogna incontrare Gesù. «Sarebbe come spiegare come far funzionare un aeroplano a chi non ha alcuna intenzione di salirvi sopra».

Il catechismo oggi come viene svolto nelle parrocchie è un disastro, talvolta può essere anche dannoso, secondo don Andrea. L'ex parroco è anche contro la “pastorale del ricatto”, che è l’esatto opposto del primo annuncio: approfittare del fatto che i genitori vogliono battezzare il figlio per obbligarli a un certo numero di incontri. Anche qui: prima ci vuole la fede e la conversione, poi la Chiesa forma i suoi figli.

Nel testo Brugnoli considera tanti tipi di parrocchie. C’è la Parrocchia Addams, dove tutto è in disordine e piuttosto lugubre; c’è la Parrocchia Social, brulicante di volontari, tutti con la barba, i sandali ai piedi e dove si fa un sacco di cose: lavoretti per il Terzo mondo, raccolte equosolidali, vendita di prodotti missionari; c’è la Parrocchia Milàn, dove i preti recitano la messa con l’i-Pad e si fanno progetti pastorali con organigrammi e votazioni in Consiglio pastorale; ma c’è anche la Parrocchia Asilo, dove si ospitano i bambini quando i genitori lavorano, si organizzano campi scuola e grest quando le scuole sono chiuse, si fanno feste di compleanno e si ospitano riunioni condominiali e comitati di quartiere.

Chi legge il libro si accorge che l'ex sacerdote vuole costruire una parrocchia diversa.

Concludo con qualche provocazione finale del parroco: «in tutto questo libro ho cercato di mostrare come esiste un modo diverso di vivere la vita cristiana. Il mondo di Dio non è la parrocchia e la salvezza non è solo dentro alla Chiesa, e ancor meno solo dentro ai limiti territoriali parrocchiali! Molti cristiani buoni sono bloccati dai confini delle loro parrocchie, spesso identificate con i soliti maggiorenti capitanati da un parroco non sempre all'altezza della situazione».

 

 

 

 

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