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Si allarga la macchia nera nelle acque greche dopo il naufragio domenica notte della petroliera Agia Zoni II vicino all'isola di Salamina, che ora minaccia la riviera di Atene. Le spiagge della capitale sono deserte e le autorità cercano freneticamente di far fronte al disastro ecologico provocato dalla fuoriuscita, il cui simbolo e' diventato un video di un uccello che tenta invano di alzarsi in volo su un mare coperto di petrolio.

E successo che una petroliera greca che trasportava oltre 2.000 tonnellate di petrolio e combustibile è affondata stamani per cause ancora in via di accertamento in un tratto di mare a Ovest di Atene e uno degli uomini dell'equipaggio, probabilmente il capitano, è ancora dato per disperso. Lo hanno riferito radio greche citando fonti ufficiali secondo cui sinora non si sarebbero registrate fuoriuscite inquinanti dall'imbarcazione.

La petroliera, che trasportava 1.800 tonnellate di petrolio e 235 di gasolio è affondata intorno alle 10:30 locali nel tratto di mare antistante le raffinerie che sorgono ad Efefsina forse dopo aver urtato contro il relitto sommerso di un'altra nave affondata anni fa. Dieci membri dell'equipaggio sono stati portati in salvo, ha riferito un portavoce della guardia costiera, mentre continuano le ricerche dell'undicesimo. 

Il relitto della nave e' stato 'sigillato' martedì, ha reso noto la Guardia Costiera greca, ma non e' chiaro quante delle 2.500 tonnellate di greggio che si trovavo a bordo della nave siano fuoriuscite. Costruita nel 1972, la Agia Zoni II e' lunga 91 metri e veniva usata per il trasporto di prodotti chimici oltre che di petrolio.
   

Si torna a parlare di fascismo e della sua apologia nell'aula di Montecitorio. Riprende infatti oggi alla Camera dei deputati la discussione sulla proposta di legge che ha come primo firmatario il piddino Emanuele Fiano. In buona sostanza con questa proposta di legge si chiede un'integrazione dell'articolo 293 del Codice penale. La formula proposta da Fiano e che l'aula di Montecitorio è chiamata a votare oggi recita così: «Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista... pur solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici».

Un giro di vite contro la propaganda fascista e nazista è quanto prevede la proposta di legge che in aula alla Camera nel primo giorno di attività dopo la pausa estiva per il voto finale prima del passaggio al Senato. La legge prevede l'introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale che punisce "chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco". Una norma che estende la legge Scelba del 1952 e poi la Mancino del 1993, portando la legislazione a contemplare anche gesti individuali da punire come il saluto romano, la diffusione di gadget "produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli" del fascismo e del nazismo. La nuova norma prevede "la reclusione da sei mesi a due anni" per questa fattispecie di reato. La pena sarà, poi, "aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici

Il diritto alla libera manifestazione del pensiero è sancito dall'articolo 21 della nostra Costituzione. Ma per l'onorevole Emanuele Fiano, primo firmatario della legge che porta il suo nome e ora in discussione alla Camera, c'è un pensiero, quello fascista, che non è lecito pensare e quindi va punito. Da sei mesi a due anni. Fascisti in galera suonerà più rassicurante dei Fascisti su Marte. Le democrazie degne di questo nome non hanno paura delle idee: le combattono, non le vietano. E va da sé che se passa questa bislacca concezione, propria di ogni regime totalitario, che chi la pensa diversamente vada rieducato, oggi sarà il fascismo, domani il professarsi carnivori, dopodomani i teorici del tantrismo...

Sono contrario all'abbattimento di monumenti, ma l'abrasione della scritta è una cosa che è stata fatta in Italia in tanti posti. L'abrasione della sola scritta è giusta". Ai microfoni di 24Mattino su Radio 24 Emanuele Fiano, il deputato Pd che in queste ore sta portando avanti la legge sul apologia del fasismo, torna a cavalcare la proposta di cancellare la scritta "Mussolini dux" sull'obelisco del Foro Italico a Roma.

Le critiche piovute su questa proposta legislativa non sono mancate. Forza Italia parla di legge liberticida e soprattutto sottolinea come l'«agenda Italia» avrebbe «altre priorità». Le opposizioni d'altronde concordano nel sottolineare il fatto che il nostro ordinamento già dispone di ben due leggi che regolano il fenomeno: la Legge Scelba del 1952 e la Legge Mannino (1993), che integra la prima sul tema della discriminazione razziale. Inoltre alcuni parlamentari delle opposizioni hanno fatto notare che il testo comporterebbe un difetto di costituzionalità. La proposta di Fiano cozzerebbe con uno dei principi alla base della nostra Carta. 

L'articolo 21, infatti, difende la libertà di pensiero e il testo di Fiano - almeno questo è il senso della critica di Vittorio Ferraresi, deputato del Movimento 5 Stelle e relatore di minoranza del testo in questione - cozzerebbe proprio con questo principio imprescindibile. Ferraresi parla di «misure arbitrarie e liberticide» e indica come unica strada percorribile l'integrazione della normativa già vigente in materia invece di «affiancarvi, nel Codice penale, ulteriori fattispecie di reato che ne duplicano maldestramente i contenuti». D'altronde già nel 1957 la Corte costituzionale aveva promosso la legge Scelba proprio perché l'apologia del fascismo era direttamente correlata alla ricostituzione del partito fascista. Non quindi un semplice reato di opinione.

Dell'utilità, anzi della necessità, della nuova «legge Fiano» si dicono convinti, però, tutti a sinistra. Da Mdp (movimento democratico e progressista) allo stesso partito di Renzi e Franceschini. All'inizio della discussione del testo in aula, lo scorso 10 luglio, Walter Verini aveva portato come «caso di cronaca» la storia dello stabilimento balneare di Chioggia finito sulle prime pagine di tutti i giornali per le «simpatie» piuttosto scomode del suo gestore. Di fronte ai colleghi parlamentari Verini ha parlato di vera emergenza sociale. Che «dilaga non solo da noi ma in tutta Europa». E ovviamente ha sottolineato la novità della proposta laddove segnatamente fa riferimento alla diffusione di idee razziste, violente e discriminatore in Rete. 

A Rimini, dice il Gip che ha disposto l'arresto dei quattro indagati, si è svolto un film "brutale", degno di un vero e proprio branco di bestie. I racconti messi a verbale dalle vittime lo dimostrano e sono dettagliati. Riportano anche le parole dette dai quattro immigrati, tre minorenni e il 20enne congolese Gurlaim Butungu

Sono venti minuti di orrore. "I tre mi hanno tenuta anche per la gola - mette a verbale la ragazza, come riportato dal Corriere - quasi da strozzarmi, due mi hanno bloccato le gambe, il terzo ha fatto il resto, per poi dare il cambio agli altri due… Sentivo il mio amico che era stato picchiato e mi chiamava: 'Dove sei?' mentre io lo imploravo di aiutarmi…. Ero stremata ma cosciente. Mi hanno portato a riva per gettarmi dell’acqua addosso, dopo essermi ripresa sono stata trascinata sulla spiaggia, immobilizzata di schiena sulla sabbia e abusata ancora una volta". Le urlavano "I kill you". 

Versioni e contraddizioni. Gli avvocati scrive il  Giornale che cominciano a fare il loro lavoro e introducono la parola «pentimento», come nel caso del nigeriano. I giudici che convalidano i fermi: i quattro restano in carcere. Un fatto è certo: la banda degli stupratori di Rimini non c'è più: ci sono solo quattro ragazzi che, in un formicaio impazzito, si accusano a vicenda e cercano di limitare i danni. Ma soprattutto dagli atti giudiziari emergono dettagli raccapriccianti, fin qui inediti: la trans non solo venne violentata a turno da tutti e quattro gli aggressori, ma due di loro, non contenti, la stuprarono una seconda volta. Un fatto è certo: le vittime, tutte, descrivono violenze efferate e senza fine.

Una violenza inaudita. Una "brutalità" condita da "inutile cattiveria", scrive il fatto quotidiano e come scrive il gip del tribunale dei minorenni di Bologna nell'ordinanza di arresto dei fratelli marocchini e del nigeriano di 16 anni, accusati degli stupri sulla coppia polacca e sulla trans peruviana a Rimini. Una scena "agghiacciante" emersa dal racconto delle vittime, che nei verbali degli interrogatori descrivono quei lunghi momenti di orrore.

Dopo aver pestato e stuprato la coppia polacca, continua il Giornale il branco di Rimini si sposta lungo la statale dove incontra la peruviana. Non soddisfatti delle violenze, decidono di abbattere la loro ira sul transessuale. Come riporta il fatto quotidiano gli investigatori sono sicuri che gli autori dello stupro sulla trans siano gli stessi che poco prima si erano accaniti sui polacchi. Sul luogo, infatti, sono stati trovati l'orologio e la macchina fotografica sottratti al ragazzo polacco brutalmente pestato in spiaggia. Inoltre c'è il particolare della sabbia che collega le due violenze.

Anche lo stupro della transessuale peruviana scrive il Giornale viene riletto e riproposto in un'altra chiave, subdola rispetto al personaggio: «Abbiamo avuto un rapporto e abbiamo contrattato, avrei voluto darle dei soldi. Non era una violenza sessuale». Poi, non si capisce bene, la storia avrebbe preso un'altra piega, forse per l'intervento dei minorenni. 

Naturalmente nelle carte, che il Giornale, ha consultato, c'è tutta un'altra storia. Drammatica. La peruviana, si legge nella richiesta di convalida del fermo di Butungu, «ha riferito che dopo essere stata minacciata con un coccio di bottiglia alla gola, ha detto al suo aggressore, poi riconosciuto come l'uomo con la canottiera bianca e ora identificato per Guerlain Butungu, che non si sarebbe più opposta all'atto sessuale, purché mettesse via la bottiglia». Dunque, la peruviana inchioda Butungu alle sue responsabilità. Ma questo è ancora niente rispetto a quello che segue. In due righe, sconvolgenti, viene detto l'indicibile: la trans «riferisce che dopo che i quattro a turno avevano abusato di lei, i primi due (Butungu e il marocchino più grande) hanno commesso un nuovo stupro». Agghiacciante.

Ma quello che lascia senza parole è il racconto del peruviano. "Nelle parti intime – ha fatto scrivere a verbale – vi era sabbia, come se fossero stati reduci da una giornata in spiaggia". E ancora: riporta di essere stata "avvicinata da quattro ragazzi sicuramente non italiani, due dei quali neri e due bianchi", che le strappano "la borsetta" e "uno dei ragazzi neri mi ha preso per i capelli trascinandomi con forza oltre via Flaminia, dove vi erano dei cespugli rigogliosi". Lì avviene la violenza sessuale. Il trans avrebbe acconsentito a non reagire a patto che gli aggressori smettessero di minacciarla col collo di bottiglia e mettessero il preservativo. Niente da fare. "Uno dei giovani mi colpiva alla testa con una bottigliata mentre un secondo mi sferrava un violento pugno allo zigomo sinistro", racconta la trans. Lo stupro avviene oltre il cespuglio e a turno. Come successo per la donna polacca, infatti, i tre minorenni e Guerlain Butungu si alternano uno dopo l'altro per soddisfare i loro più bassi istinti sessuali.

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