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Il governo Conte non corre alcun rischio, e il premier andrà sereno sotto l'ombrellone. Tanto che Salvini, che aveva minacciosamente annunciato un proprio intervento in Senato «dai banchi della Lega» subito dopo la relazione del premier, ieri ha fatto capire che scherzava e che probabilmente neppure perderà tempo a metter piede in aula: «Ho degli impegni, sono pagato per occuparmi di altro», eccetera. Evidentemente, il ministro dell'Interno ha avuto rassicurazioni da Palazzo Chigi sul tenore della famosa «informativa» di Conte, e non teme più sorprese sgradite, che pure erano state fatte trapelare da chi ha la delega ai servizi segreti (ossia il premier). Specularmente, il premier non teme più un annuncio di guerra dai banchi della Lega.  

Se la Lega sacrificherà questo suo stendardo,come riporta il Giornale  i Cinque Stelle si acconceranno a rimangiarsi tutti i loro tonanti no alla Tav: il via libera alla grande opera internazionale ci sarà, il ministro Toninelli che è diventato troppo imbarazzante persino per i Cinque Stelle verrà lasciato al suo malinconico destino, e Di Maio e compagni faranno finta di soffrire ma di essere costretti a piegarsi dal perfido Macron e dalla sorte matrigna. E, in contemporanea alla sceneggiata russa del Senato, alla Camera i grillini voteranno come soldatini la fiducia che blinda il testo del decreto Sicurezza, l'unico provvedimento che sta a cuore al vicepremier leghista, in quanto strumento di propaganda, e contro il quale i Cinque Stelle avevano alzato le barricate. Parallelamente, per completare il quadro del gran mercato delle vacche in corso nella maggioranza, i leghisti accettano l'archiviazione del contestatissimo ddl Pillon sull'affido condiviso: ci sarà un nuovo testo, forse, un giorno, chissà. Il Pd, che aveva convocato proteste di piazza contro il provvedimento, canta vittoria: «Grazie alla mobilitazione di tante donne in Italia, oggi abbiamo fermato l'avanzamento del ddl Pillon», esulta il capogruppo Marcucci. Ma di rinuncia in rinuncia, di rinvio in rinvio, di litigio in litigio, la maggioranza gialloverde sembra intenzionata a seguire l'immortale insegnamento del defunto Borrelli: resistere, resistere, resistere. Fino a quando? Se lo chiedono i dirigenti della Lega, che confidano di non capire perché il loro capo non voglia rompere con i grillini. E non hanno risposte.

E, a riprova del clima di appeasement,come sottolinea il Giornale sarebbe il dossier spinoso delle Autonomie viene buttato nel cassetto, in attesa di tempi migliori: niente Consiglio dei ministri in settimana, si vedrà se mai dopo le vacanze. Con il beneplacito di Salvini, che non ha mai avuto a cuore quella riforma (teme gli rovini la piazza elettorale al Sud) e con tanti saluti ai governatori nordisti Zaia e Fontana, scaricati dal leader su Conte: «Parlaci tu». Di Maio flauta: «Per me l'autonomia si farà, l'ho sempre detto. Ma si deve fare senza danneggiare le regioni del centro sud», e archivia così la pratica.  

Intanto la base pentastellata è sul piede di guerra e di fatto ha messo nel mirino anche i leader pentastellati. Ma dopo la "botta" arriva la reazione (inquietante) del popolo No Tav che promette una durissima battaglia come ha riportato l'Adnkronos: "Avanti con la nostra lotta popolare per fermare quest'opera inutile ed imposta. Lo faremo come abbiamo sempre fatto mettendoci di traverso quando serve e portando le nostre ragioni in ogni luogo di questo Paese che siamo convinti stia con noi". E ancora: "Dimostreremo fin da subito la nostra vitalità con il festival Alta Felicità che prenderà il via giovedì - si legge in un comunicato diffuso sul web - portando migliaia di notav nella nostra Valle, e che porteremo tutti insieme a vedere il cantiere sabato pomeriggio". "Fermarlo è possibile, fermarlo tocca a noi!". Parole durissime che lasciano spazio probabilmente ad una azione di guerriglia che potrebbe seguire quanto accaduto già nella notte tra sabato e domenica scorsi. Un centinaio di attivisti hanno preso d'assalto il cantiere di Chiomonte lanciando razzi sugli agenti. Almeno 20 persone sono state denunciate. L'annuncio di una grande manifestazione prevista per sabato prossimo sottolinea la determinazione del fronte No Tav.


E gli attivisti minacciano come scrive il giornale  la rivolta mettendo nel mirino proprio il premier Conte che proprio ieri ha dato il via libera alla grande opera della Torino-Lione: "Dimostra di non conoscere la determinazione dei No Tav". Non sa quanto costerebbe, non lo sa nessuno", si legge tra l'altro nel messaggio "ma sa perfettamente che il debito pubblico aumenterebbe". E ancora "sa che creerà un problema di ordine pubblico" e "sa che la Torino-Lyon non serve a nulla". "Conosce perfettamente il rapporto costi/benefici" prosegue il messaggio, "ha ben chiaro che perdera' tanti voti e rispetto politico ma dimostra di non conoscere la determinazione dei No Tav", conclude il post. Insomma il fronte dello scontro ormai è acceso e i toni si fanno sempre più duri. A questo quadro va aggiunta anche la protesta dei parlamentari M5s che da tempo rappresentano le istanze dei No Tav. Tra questi c'è Marco Scibona che dopo l'annuncio del premier si è lasciato andare ad un attacco pesante contro lo stesso Conte su Facebook: "Siete delle mxxxx...Ed io un coxxxxx". Poi ha aggiunto "Conte dixit". Parole di fuoco che segnalano come la temperatura all'interno del Movimento sia salita alle stelle e come i grillini rischino l'implosione. I No Tav infine danno una lettura politica alla mossa di Conte: "Ha detto sì per mantenere in piedi il governo". Di certo in questo caso è passata la linea della Lega che da tempo chiedeva il semaforo verde per la ripresa dei lavori nel cantiere.

In una sua esclusiva del quotidiano il Giornale riferisce che Il ricorso in Cassazione della procura di Agrigento demolisce l'ordinanza del 2 luglio, che ha rimesso in libertà la capitana permettendole di tornare in Germania. E chiede alla Suprema corte di annullarla perché risulta «viziata per violazione di legge». Oltre a non avere «provveduto correttamente a valutare gli elementi di fatto e di diritto». E ancora: «L'impostazione offerta dal Gip sembra banalizzare gli interessi giuridici coinvolti nella vicenda e non appare condivisibile la valutazione semplicistica».

Una pietra tombale di 16 pagine,come scrive il quotidiano che non servirà a nulla. Il ricorso è apparso ieri su un sito giuridico, una settimana dopo l'invio in Cassazione. Scelta di basso profilo opposta all'exploit mediatico dell'ordinanza considerata totalmente infondata.

A pagina 3 scrive in esclusiva il quotidiano il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio e il sostituto Gloria Andreoli, partono all'attacco: «Si ritiene che (...) il Gip nel pronunciarsi sulla legittimità dell'arresto di Carola abbia travalicato i limiti di approfondimento attenenti a tale fase procedendo a un'autonoma valutazione dei dati in suo possesso e pervenendo a un giudizio sostanziale della gravità indiziaria». Un giudizio che travalica le competenze del giudice ed è comunque sballato. A cominciare dal non avere considerato «nave da guerra», la motovedetta della Guardia di finanza schiacciata dalla capitana contro la banchina per sbarcare i migranti. «È di tutta evidenza - scrive la procura di Agrigento - che l'affermazione del Gip sia stato frutto di autonoma interpretazione che non trova alcun appiglio nella sentenza della Corte costituzionale» citata da Vella. «Al contrario si precisa che la giurisprudenza in più casi ha qualificato le motovedette della Guardia di finanza come navi da guerra» si legge nel ricorso.

Dalla pagina 8 in poi viene smontata, pezzo per pezzo, la tesi del Gip sul «dovere di soccorso e assistenza ai naufraghi», che permetteva a Carola di fare quello che voleva forzando il blocco del Viminale. Innanzitutto scrive il giornale «il Gip ha affrontato tutta una serie di valutazioni in ordine alla condotta di Rackete fondando per buona parte le proprie argomentazioni sulle dichiarazioni dell'indagata». Il ricorso sottolinea che il governo stava per risolvere il caso a livello europeo, ma la capitana ha compiuto l'atto di forza senza tenerne conto. I procuratori si chiedono, inoltre, come sia possibile che la Gip si aggrappi alla giustificazione di un «soccorso in mare avvenuto 15 giorni prima dell'arresto». E ribadiscono che davanti a Lampedusa «i migranti non erano più esposti a un pericolo imminente per la loro vita e incolumità». Una serie di «mazzate», che spiegano come «non poteva ragionevolmente ritenersi giustificata l'azione di forza della Rackete, che per attuare nella maniera ottimale un dovere, esponeva con la propria manovra di schiacciamento della motovedetta V.808 verso la banchina, a concreto pericolo sia i migranti, che l'equipaggio della motovedetta».

In definitiva come riferisce il quotidiano «la conclusione a cui è pervenuto il Gip si ritiene contraddittoria, errata e non adeguatamente motivata», ma ha comunque trasformato Carola in eroina con un'aureola innocentista in nome di un superiore diritto umanitario deciso dai talebani dell'accoglienza. «Diritto» sancito di fatto dall'ordinanza, che ha avuto un enorme clamore mediatico. A differenza dal ricorso che la fa a pezzi passato sotto silenzio

Intanto tra Ventimiglia e Mentone, scrive il Giornale sulla linea che separa il territorio italiano da quello francese, i migranti in cerca di fortuna in altri paesi dell’Unione vengono respinti dalla polizia d’Oltralpe senza che Roma possa opporre resistenza. A punire il Belpaese, spiega il deputato della Lega Flavio di Muro, ci sono "trattati internazionali inefficaci, a favore della Francia e talvolta punitivi nei confronti dell'Italia". Si tratta di tre accordi in particolare: quelli di Schengen, Chambery e Dublino III. Tutti abilmente sfruttati da Parigi per rimandarci indietro gli stranieri.

Partiamo da Chambery. come riferisce il quotidiano Il trattato bilaterale tra Italia e Francia risale al 1997, quando al governo c'era Prodi e al ministero dell'Interno un certo Giorgio Napolitano. L'accordo definisce la collaborazione tra polizie di frontiera nella gestione dei confini, in particolare nella lotta all'immigrazione clandestina. Tutto in regola, per carità: gli immigrati irregolari provenienti dal Belpaese e fermati in Francia devono essere rimandati oltre confine. Lo dice il testo. Anche noi, ovviamente, potremmo fare lo stesso. Solo che il flusso oggi va da Roma a Parigi e non il contrario. E così l'Italia si ritrova in una posizione decisamente scomoda: da una parte è obiettivo di sbarco di tutti barconi che partono da Sud; dall'altra, si ritrova un vero e proprio tampone a Nord a causa delle frontiere barricate dai francesi. Bisognerebbe ridiscutere l'accordo, ma per ora non se ne è mai parlato.

L'altra spina nel fianco del Belpaese è il trattato di Dublino. Se Chambery riguarda gli immigrati irregolari, Dublino regola i movimenti in Europa di chi ha fatto richiesta d'asilo in uno Stato Ue. "Quando è accertato (...) che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro - si legge nelle carte - questo è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale". Tradotto: i migranti sbarcati in Sicilia e registrati dall'Italia, se provano ad arrivare a Parigi, possono essere rispediti dai francesi nel Belpaese in ottemperanza alle norme di Dublino III. Un'altra fregatura.

Ecco perché Matteo Salvini, durante il vertice a Helsinki, ha sostenuto il no dell’Italia al principio del porto più vicino per l’approdo dei migranti. Francia e Germania insistono per ribadire che le persone salvate nel Mediterraneo vanno fatte scendere a Malta o Lampedusa, col rischio è che - alla fine - a farsi carico di tutti gli immigrati sia sempre lo Stato di primo approdo. Ovvero Roma o La Valletta. Il timore del Viminale, che ha disertato il vertice di Parigi, è che nuovi accordi mal fatti finiscano col confermare l'Italia come "campo profughi dell'Europa". Il pericolo esiste e Ventimiglia ne è la dimostrazione.

L'Eliseo, come detto, si trova nella comoda posizione di poter respingere legalmente verso l'Italia sia clandestini che richiedenti asilo. Per farlo, però, deve però beccarli al confine. Un problema che ha risolto da quando, nel 2015, ha sospeso il trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone in Europa.

La sospensione è (più o meno) scrive il quotidiano della famiglia Berlusconi, regolare, se si esclude che ormai la Francia ha superato il limite massimo dei due anni: come spiega l’articolo 25 del codice, è nelle facoltà di un Paese "in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna" annullare temporaneamente Schengen. Il fatto è che, superata la minaccia terroristica, la mossa francese ha finito col regolare soprattutto i flussi migratori. Gli ultimi dati disponibili, infatti, dicono che nel 2017 su 86.320 "rèfus d’entrèe" notificati ai migranti al confine, solo in 20 sono stati espulsi perché ritenuti una "minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza". Tutti gli altri erano normali migranti. "L'obiettivo originale era la sicurezza della Patria - denuncia l'associazione Anafé nel suo ultimo rapporto - ma la volontà dello Stato sembra, invece, una 'lotta contro l’immigrazione'".

Mettendo insieme Chambery, Dublino e la sospensione di Schengen, Parigi ha eretto così una sorta di muro invisibile al confine (sorretto dalla legalità dei trattati). Nel silenzio assordante dell'Europa, attenta solo a criticare l'Italia.

Quando gli immigrati arrivano in Italia, nessuno può impedirgli di entrare. Le porte sono aperte. Quando, invece, cercano di fuggire dal nostro Paese per andare altrove, nessuno li fa passare.

 

 

 

Escludo che possa esserci una crisi mi hanno sempre insegnato male non fare paura non avere: abbiamo da realizzare riforme importanti". Così il vicepremier e ministro Luigi Di Maio ad Agorà Estate precisando: " l'unica cosa che dico è che è meglio vedersi, anzichè parlarsi, è giusto che ci incontriamo, chi chiariamo e andiamo avanti, oggi, perchè oggi c'e' il consiglio dei ministri ed il tavolo autonomia". "Se avessi sospetti su Salvini non sarei al governo". Così il vicepremier e ministro Luigi Di Maio, a proposito sulla questione dei presunti fondi russi e la Lega, intervistato ad Agorà Estate ricordando che Matteo Salvini ha affermato che "prima del 24 andrà in Parlamento", e annunciando una Commissione di inchiesta sui fondi avuti da tutti i partiti: "incluso il nostro", ha precisato.

Ieri, al culmine dell'irritazione, il ministro dell'Interno aveva detto che avrebbe disertato la riunione del governo, ma pure il vertice di maggioranza sull'autonomia. In serata fonti della Lega avevano ribadito che il vicepremier aveva in programma di passare la giornata con i figli.

"È auspicabile che oggi ci parliamo e ci vediamo", chiede però Di Maio dai microfoni di Agorà su RaiTre, "È giusto che ci incontriamo, ci chiariamo e andiamo avanti, oggi, perché c'è il Consiglio dei ministri ed il tavolo autonomia. Portiamo soluzioni ai cittadini e non problemi. Ogni volta cerco sempre di trovare un'intesa e una mediazione per gli italiani". E assicura di non avere il minimo sospetto su Salvini per quanto riguarda la questione dei presunti fondi russi alla Lega. "Non sarei al governo", spiega, "Prima del 24 andrà in Parlamento, è una buona notizia. Ci mette anche nelle condizioni di difenderlo, è come tra amici: se invece di mettermi in condizioni di difenderti mi attacchi è pure un po' ingiusto".

"Abbiamo messo i punti sulle 'i', se vogliamo continuare a lavorare c'è bisogno di Sì che sono importanti per poter passare all'attuazione. Vediamo cosa succede nei prossimi giorni, siamo due forze politiche diverse, ci siamo unite con un contratto ma non basta più un contratto: serve anche una visione di intenti più forte". Così il sottosegretariato leghista al Lavoro, Claudio Durigon, a margine di un'iniziativa presso la Cgil, parlando dei rapporti tra le due forze di governo

L'ultima spallata al governo giallo-verde si materializza in un'afosa giornata di luglio, sull'onda dello scontro M5S-Lega sul voto a Ursula von der Leyen e di un'inchiesta sui fondi russi, che al di là dell'ostentata tranquillità di Matteo Salvini rischia di porre più di un ostacolo all'ascesa leghista. E' uno scontro tutto a mezzo stampa quello che va in scena tra il ministro dell'Interno e Luigi Di Maio, con il premier Giuseppe Conte che ribadisce di aver agito, nelle trattative Ue e non solo, "in trasparenza e nella fedeltà assoluta agli interessi del Paese". E Palazzo Chigi osserva in queste ore silente il degenerare dello scontro tra M5S e Lega, constatando un dato: i due vicepremier, da giorni, non si parlano più. Anzi, per tutta la giornata di ieri Di Maio e Salvini se le danno di santa ragione. E la volontà del leader leghista di tenere in piedi l'alleanza è appesa a un filo. In serata si rincorrono le voci parlamentari sul fatto che il leader della Lega nel corso della giornata aveva di fatto deciso di rompere ma avrebbe frenato dopo una moral suasion del Quirinale, non confermata tuttavia da fonti del Colle. Secondo ambienti sia della maggioranza che dell'opposizione il Quirinale non avrebbe posto alcun veto sul ritorno alle urne ponendo tuttavia un tema: a settembre i tempi per la formazione del governo saranno strettissimi con la manovra in arrivo e, al Colle, non si ha alcuna intenzione di avallare un esercizio provvisorio.

Il leader dei 5 Stelle esclude che si tratti dell'inizio di una crisi di governo, definendo le tensioni solo "dinamiche di un governo con due forze politiche" diverse. "Comunque male non fare paura non avere", aggiunge, "Abbiamo da realizzare riforme importanti".

Da Matteo Salvini ancora nessun commento. È il sottosegretario al Lavoro della Lega, Claudio Durigon, ad avvisare gli alleati: "Vediamo cosa succede nei prossimi giorni", dice, "Siamo due forze politiche diverse, ci siamo unite con un contratto ma non basta più: serve anche una visione di intenti più forte. Abbiamo messo i punti sulle 'ì, se vogliamo continuare a lavorare c'è bisogno di sì che sono importanti per poter passare all'attuazione".

"A colpi di no l'Italia non può andare avanti", sottolinea il vicepremier leghista, "Il problema non è Di Maio, ma la politica dei no e dei blocchi da parte di molti dei 5Stelle".

Già nelle scorse ore Salvini aveva confermato la sua fiducia nel vicepremier, accusando però gli altri componenti 5S del governo di reamre contro. "C'è un evidente e totale blocco sulle proposte, iniziative, opere, infrastrutture da parte alcuni ministri 5Stelle che fa male all'Italia", ribadisce oggi, "Niente di personale, Luigi Di Maio è persona corretta e perbene, ma sono inaccettabili i no e i blocchi quotidiani di opere e riforme da parte dei 5 stelle".

Stavolta il ministro dell'Interno fa anche i nomi dei colleghi che hanno un atteggiamento poco costruttivo. E sono quelli con cui da tempo ci sono frizioni palesi: "Ieri Toninelli (con centinaia di cantieri fermi) che blocca la Gronda di Genova, che toglierebbe migliaia di auto e di tir dalle strade genovesi; oggi il ministro Trenta che propone di mettere in mare altre navi della Marina, rischiando di attrarre nuove partenze e affari per gli scafisti".

Intanto ...Il normale controllo si è però trasformato in tragedia. Lo straniero avrebbe dato in escandescenza, costringendo anche alcuni militari dell'Arma ad intervenire. I video diffusi sui social mostrano i drammatici momenti in cui un carabiniere cerca di fermare l'uomo, inutilmente. La colluttazione dura per alcuni istanti. La ricostruzione è ancora frammentaria. Di certo ci sono però i video: a un certo punto si nota lo straniero rubare la pistola d'ordinanza a un carabiniere per poi iniziare a sparare. I quattro colpi si sentono chiaramente. Uno dei proiettili è finito a bersaglio, ferendo uno dei militari trasportato d'urgenza all'ospedale Santa Maria.

"Con la pistola ad altezza d'uomo ha sparato cinque colpi muovendosi a semicerchio. Non so come non ci abbia ucciso tutti", ha detto al Messaggero una vigilessa che era poco distante. A salvare la vita ai colleghi sarebbe stata la prontezza di uno degli operatori, che ha afferrato il polso all'uomo armato impedendogli di ammazzare qualcuno.

"Solidarietà al carabiniere ferito a Terni da uno straniero, molto probabilmente sotto l’effetto di droghe - dice Matteo Salvini - L’uomo ha prima attaccato le Forze dell’Ordine a calci e pugni e poi ha addirittura sparato. Nessuna tolleranza per i delinquenti! Un grazie e un grande abbraccio alle donne e agli uomini in divisa che, in tutta Italia e tutti i giorni, rischiano la vita per difendere la sicurezza dei cittadini perbene. Anche per questo il Decreto Sicurezza Bis punisce più severamente chi aggredisce le Forze dell’Ordine: non vedo l’ora sia convertito in legge. E non mollo sulla guerra totale allo spaccio e al consumo di droga: altro che liberalizzazione come vorrebbe qualcuno".

Il parlamento europeo vota a favore di Ursula Von der Leyen come presidente della Commissione europea. Ma è un voto che non si può certo definire privo di conseguenze. La sua vittoria risicatissima (solo nove voti l’hanno separata dalla debacle) rappresenta una delle immagini più limpide di cosa sia quest’Europa: spaccata, priva di una maggioranza netta ma soprattutto divisa per interessi nazionali e non con partiti in grado di fare effettivamente da collante alle diverse esigenze.  

Spaccata l’Europa, spaccato il governo italiano, spaccata la Germania e spaccati i partiti che hanno sostenuto a malincuore la candidata tedesca, di fatto questo voto ha confermato non solo la divisione dell’Unione europea, ma anche lanciato un’allarme nei confronti di tutto il continente. È stata la conta finale per capire chi c’è e chi no. E quei nove voti hanno salvato il Parlamento europeo dal fallimento totale

Ovviamente, alla Lega non è andata giù la mossa grillina. E se durante tutta la giornata di oggi il leader leghista Marco Zanni ha defiinito il programma della Von der Leyen "troppo sbilanciato a sinistra" e per questo non l'avrebbero votato, dopo la sua elezione rincarano la dose: "Gravissimo il voto europeo: Vonder Leyen passa grazie all'asse Merkel, Macron, Renzi, 5stelle. Avrebbe potuto essere una svolta storica: la Lega è stata coerente con le posizioni espresse finora, ha tenuto fede al patto con gli elettori e difende l'interesse nazionale".  

Non solo l'inchiesta di BuzzFeed crea tensione, ora si mette di mezzo anche l'elezione di Ursula Von der Leyen. La nuova presidente della Commissione europea, infatti, ha vinto con 383 voti. Contrari 327 eurodeputati, 22 astenuti e una scheda bianca. Non proprio, quindi, una vittoria schiacciante. Anzi. Appena nove voti di scarto le hanno consentito di superare la maggioranza assoluta e diventare la prima donna eletta presidente della Commissione europea. E in questa vittoria, a fare la propria parte sono stati i grillini.

L'emiciclo di Strasburgo è molto diviso: i risultati di questa sera parlano chiarissimo. Non tiene la coalizione di popolari, socialisti e liberali, ci sono state almeno 75 defezioni. In più, i deputati del Movimento Cinque stelle, che non appartengono a nessun gruppo politico a livello europeo, sono stati decisivi e hanno votato a favore a differenza della Lega che ha votato contro l'elezione della Von der Leyen. "Siamo stati ago della bilancia, senza di noi ci sarebbe stata una crisi istituzionale senza precedenti in Europa", ammette la delegazione grillina.

Proprio per questo motivo, il voto che ha consegnato la Commissione europea all’ex ministro della Difesa tedesco, delfina di Angela Merkel, ci dice molto. È un voto che ha spaccato l’Europa, l’ha disunita, e ha mostrato spaccature anche all’interno di molti eurogruppi, con le diverse anime dell’Ue che si sono manifestate in tutta la loro forza.

Una prima vittima di questo voto è certamente l’ottimismo della cosiddetta Grande coalizione che vorrebbe governare l’Unione europea con l’appoggio di Francia e Germania. Altro che candidato unitario: all’appello mancano decine e decine di voti. Il voto segreto ha palesato almeno una quarantina di franchi tiratori, segno che quell’asse tra Angela Merkel e Emmanuel Macron non ha dimostrato così tanta forza come sembrava avere prima del voto di Strasburgo. Quindi una prima divisione è proprio fra i suoi sostenitori (a parole). Qualcuno ha tradito. Un fuoco amico che sicuramente è arrivato da alcuni socialisti francesi e tedeschi, feriti dalla decisione dei governi europei di non sostenere Frans Timmermans.

E infatti ieri è stata proprio la parte del Partito Socialista francese a confermare di non essere per nulla soddisfatta di quanto stesse avvenendo nelle segrete stanze di Parigi e Berlino. E se il centrosinistra ha voluto mostrare compattezza, in realtà lo scrutinio segreto ha manifestato tutta la spaccatura interna, palesando le diverse correnti di un contenitore che sta vivendo un grande cambiamento interno e con molti intenzionati ad abbandonare l’alleanza con i popolari, al pari dei tedeschi con la Cdu. E sono soprattutto quelli che guardano più ai Verdi e alla Sinistra radicale.

Ursula von der Leyen e convinta di risolvere i problemi dell'Europa imponendo non la scelta di Commissari adeguati ma, «realizzando una perfetta parità di genere all'interno della Commissione» non ci porterà molto lontano. Anzi probabilmente ci farà rimpiangere il tanto denigrato spitzkandidaten Manfred Weber boicottato da Emmanuel Macron e deplorato da socialisti e liberali perché privo di esperienze di governo. Alla neo-eletta presidente Ursula von der Leyden le esperienze non mancano. Dal 2003 ad oggi è l'unica ad essersi sempre garantita un incarico all'interno di tutti gli esecutivi della Cancelliera Merkel. Il problema è semmai come li abbia gestiti. I successi nel campo delle politiche sociali e della famiglia sono stati infatti oscurati dal disastrosi risultati conseguiti alla Difesa. Accusata dai generali di aver distrutto le forze armate tedesche la von der Leyen è oggi nel mirino dei giudici pronti a verificare le parcelle per milioni di euro garantite a esosissimi consulenti esterni spesso risultati inadeguati o ingiustificati.

Come se non bastasse anche quando parla di flessibilità questa ricca ed elegante 60 enne, figlia di uno dei primi euro-burocrati di Bruxelles, la immagina soltanto per favorire le battaglie ambientaliste o l'utopia di un salario minimo certamente auspicabile, ma difficilmente quantificabile fino quando permarranno gli squilibri economici che separano, per dirne una, l'economia di Atene da quella di Berlino. Ma quel che più stupisce è l'assenza di un progetto capace di garantire la ripartenza delle aziende europee strangolate dalla concorrenza cinese e dalla rinascita americana. E non devono illudere le promesse di maggiore solidarietà a paesi, come l'Italia, in prima linea sul fronte dell'immigrazione. Sono anch'esse parte della retorica buonista sfoderata ieri per incassar voti. Quindi se il buongiorno si vede dal mattino c'è poco da farsi illusioni.

Secondo l'ultimo sondaggio di YouTrend, infatti, il partito di Matteo Salvini mantiene saldamente il pacchetto di voti già incassato alle elezioni europee del 26 maggio e, per di più, lo incrementa pure.

La rilevazione realizzata per l'Agi racconta di un Carroccio capace di salire fino al 36,9% delle intenzioni di voto degli italiani. Alla tornata elettorale continentale la compagine leghista fu scelta dal 34,26% dei votanti. Insomma, almeno per il momento, niente effetto Russia sullo stato di salute di Matteo Salvini.

Seconda forza politica del Paese è il Partito Democratico, che segue però a distanza siderale: il Pd di Nicola Zingaretti si ferma al 22,6% dei fanta-consensi, mentre il Movimento 5 Stelle continua ad annaspare sotto la soglia del 20%, fermandosi a un risicato 17,6%.

Un risultato, quello dei dem, che pare essersi cristallizzato e incapace di aumentare in modo significativo per intaccare realmente la leadership salviniana; e un risultato, quello pentastellato, che è l'ennesima conferma di una crisi irreversibile di un partito destinato a cambiare radicalmente per non perire.

Intanto Salvini parlando da Helsinki si è detto stufo di questo atteggiamento dell'alleato di governo: "Noi vogliamo lavorare. Certo che l'insulto quotidiano e il no quotidiano, un giorno è Fico, un giorno è Di Maio, un giorno è la Trenta, un giorno è Conte, un giorno è Di Battista, un giorno è Grillo. Governare con quelli che ti insultano tutti i giorni è strano. Noi come Lega comunque andiamo avanti a lavorare. Lascio a Di Maio i suoi sfoghi. Se dovessimo andare avanti ancora così, non sto al governo per occupare una poltrona".

Ovviamente, le parole di Salvini hanno fatto scattare in piedi Luigi Di Maio. "Siamo stati colpiti alle spalle, le offese e le falsità dette nelle ultime 48 ore contro il M5S non hanno precedenti - avrebbe detto il grillino in una riunione con i suoi fedelissimi -. Anche contro di me. Un mare di fake news solo per screditarci, quel che è accaduto è gravissimo. Se la Lega vuole far cadere il governo lo dica chiaramente e se ne prenda la responsabilità. Io non dico che abbiamo fatto male per l’Italia in questi mesi, ogni giorno cerco di portare a casa i risultati ma con questo clima si fa male al Paese e quando si minaccia di far cadere il governo il risultato è che gli investitori non investono, perché si ritrovano un clima di incertezza e attendono il governo successivo. Salvini scelga tra l’interesse del suo partito e quello del Paese, ma così non si può andare avanti".

Di Maio, quindi, parla di governo che va avanti e che a voler mollare sarebbe Salvini. Insomma, l'ennesimo rimpallo di colpe che ora sta assumendo toni esasperati

Ma Matteo Salvini ha iniziato a parlare di mancanza di fiducia perché sembra essere nato un nuovo asse Pd-M5S dopo il volto della Von der Leyen. Il vicepremier leghista, infatti, rispondendo a una domanda sullo stato dei rapporti al governo non usa mezzi termini: "Mancanza di fiducia, anche personale, io mi sono fidato per mesi e mesi. Ricucire? Tutto è possibile, io speravo che dopo il 26 maggio si frenassero le polemiche. Noi siamo gli ultimi ad essere attaccati alla poltrona, se ci dovessimo rendere conto che non si riesce a lavorare perché l'autonomia è ferma, le infrasatrutture sono ferme, la riforma della giustizia, la flat tax... o le cose si fanno o non mi costringe il medico a fare il ministro".  

Salvini è un fiume in piena e replica anche alla lettera di Giuseppe Conte di questa mattina. Il leader del Carroccio dice di non aver apprezzato: "Se la sfida è su incontrare le persone, le parti sociali, va bene. Se la sfida è all'insulto, allora no. Anche oggi l'intervista su un quotidiano italiano in cui parlava di tradimenti non l'ho apprezzata".

Se dovessero prevalere i no e questo governo non potrà andare avanti, l'unica strada è il voto". Il leader del Carroccio ha quindi deciso di non presentarsi al Cdm né al vertice di governo: "Il mio telefono è sempre acceso: se qualcuno ha qualcosa da dirmi, rispondo. Non vado al Consiglio dei ministri, non mi sembra ci sia nulla di eclatante".

Intanto poche le parole davanti ai cronisti: "Sono stata molto contenta di avere avuto l'opportunità di spiegare tutti i dettagli del salvataggio del 12 giugno. Spero che la Commissione europea dopo l'elezione del nuovo Parlamento faccia il meglio possibile per evitare queste situazioni e che tutti i Paesi accettino le persone salvate dalle flotte di navi civili".

La capitana della Sea Watch 3 ribadisce invece in inglese ed in tedesco quanto detto dal suo legale Alessandro Gamberini ai giornalisti, ossia che si è agito “per necessità”, che “l’unico porto era quello di Lampedusa” e che “rifarebbe tutto quanto”.  

sul suo futuro si conosce poco: su di lei pende ancora un ricorso depositato ieri dalla procura in cassazione contro la scarcerazione, c'è chi parla comunque del fatto che Carola Rackete già nelle prossime orea potrebbe tornare in Germania. "Lei è libera - specifica l'avvocato - Non fa più parte dell'equipaggio della Sea Watch 3, farà altro sicuramente"

Poi risponde a una domanda sul ministro dell’interno Matteo Salvini: “Cosa pensa del leader della Lega?” chiede un cronista posizionato poco oltre l’improvvisata sala stampa sotto il colonnato dell’edificio del tribunale. La risposta comprende una sola parola: “Niente”. Di fatto, questa è l’unica espressione in italiano rilasciata da Carola Rackete.

L’avvocato della ragazza tedesca inoltre, afferma che Carola Rackete al momento non fa più parte dell’equipaggio della Sea Watch 3 e che non sono previste altre sue missioni nel Mediterraneo. È proprio il legale a chiarire ogni aspetto della mattinata vissuta all'interno del tribunale: "La mia assistita - afferma l'avvocato ai giornalisti - Ha risposto punto su punto a tutte le domande. Ha spiegato che ha agito per necessità, che è stata costretta a compiere le azioni per le quali è stata aperta l'indagine, abbiamo collaborato senza problemi con i magistrati".

"L'unico porto era quello di Lampedusa - continua poi ancora il legale di Carola Rackete - Sono stati allertati i libici perché si trattava di salvare le vite umane, ma non erano presenti. Inoltre Malta non ha accettato l'ingresso del mezzo della Sea Watch, la nave poteva andare solo a Lampedusa".

Secondo il giornale un passaggio l'avvocato Gamberini lo dedica anche al ministro Matteo Salvini: "La sua è istigazione all'odio - dichiara il legale - Che il clima di odio ci sia e che venga alimentato da dichiarazioni irresponsabili, aggressive e false come ha fatto il ministro Salvini sui social è pacifico". Questo perché, sempre secondo il legale, "Se uno le fa al bar, si dice che è un irresponsabile, ma se le fa un uomo che ha una responsabilità istituzionale, capite bene che il peso specifico che ha questa dichiarazione è ben altro". Tuttavia lo stesso avvocato non parla di denuncia o comunque non a breve: "Vedremo", si limita a dire Alessandro Gamberini.

Infine, il passaggio di natura più politica dove sia il legale che la stessa Carola Rackete si rivolgono all'Europa: "Il salvataggio di vite umane - afferma Gamberini - Non può essere demandato a dei volontari, questa è una vergogna. Criminalizzare poi il lavoro dei volontari è ancora più una vergogna". Deve esserci, secondo il legale e l'oramai ex capitana della Sea Watch 3 una solidarietà di natura europea: "Occorre assumersi queste responsabilità - conclude l'avvocato Gamberini - è importante un'assunzione europea di responsabilità".

 

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Ha scelto la linea del silenzio di fronte all'accusa di corruzione internazionale Gianluca Savoini, il leghista presidente dell'associazione Lombardia Russia con sede nel quartier generale del Carroccio di via Bellerio, indagato nell'inchiesta con al centro una registrazione di poco più di un'ora su una presunta trattativa all'hotel Metropol di Mosca per far arrivare nelle casse della Lega 65 milioni di dollari, attraverso una compravendita di petrolio a prezzo scontato. Sconto, stando all'audio, che doveva servire anche a girare una parte del denaro a funzionari russi. Un'indagine, entrata nella fase calda di interrogatori e audizioni, che sta mettendo in difficoltà la Lega di Matteo Salvini e di conseguenza il Governo, e su cui la Procura di Milano vuole mantenere un riserbo assoluto.

Così, persino l'interrogatorio di Savoini, da giorni personaggio centrale delle cronache e convocato con un invito a comparire con l'accusa di essere stato un presunto 'mediatore-garante' del patto tra italiani e russi nella hall dell'albergo moscovita, è stato tenuto nascosto alla stampa e si è tenuto in una caserma della Gdf lontano dal Tribunale. Per poi concludersi, senza sorpresa, alla svelta, giusto il tempo di verbalizzare col legale Lara Pellegrini la scelta di avvalersi della facoltà di non rispondere dell'ex fedelissimo di Bossi, di Maroni e infine del vicepremier Salvini. Nel frattempo, anche sulla base di rivelazioni sui media, sembra destinata ad allungarsi la lista delle persone da ascoltare nell'inchiesta del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dei pm Gaetano Ruta e Sergio Spadaro (riuniti in lungo vertice), condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf.

Secondo il quotidiano il giornale per capire la stangata a Matteo Salvini basta leggerne la trama e seguirne i tempi. Ma soprattutto chiedersi se un'intercettazione ambientale acquisita da inquirenti inviati in missione a Mosca senza mandato della magistratura possa acquisire dignità di prova giudiziaria

O se per farlo non dovesse prima trasformarsi in «elemento notorio» grazie alla provvidenziale pubblicazione su BuzzFeed. Per capire l'importanza del quesito, avanzato da una fonte del Giornale, bisogna seguire tre date. La prima è quella del 18 ottobre 2018 quando Gianluca Savoini incontra i suoi interlocutori russi e italiani nella hall dell'Hotel Metropol di Mosca. La seconda è quella del 24 febbraio quando il settimanale L'Espresso pubblica in anteprima il capitolo de Il Libro Nero della Lega in cui gli autori Giovanni Tizian e Stefano Vergine presentano lo scoop realizzato a Mosca. La terza è quella di giovedì 11 luglio quando BuzzFeed, sito famoso negli Usa per rivelazioni a cavallo tra scandalo e pettegolezzo, pubblica la registrazione e la trascrizione dei colloqui del Metropol. Partiamo dal 18 ottobre 2018.

Nella sua ricostruzione il quotidiano Italiano il Giornale, escludendo l'ipotesi che abbiano potuto avvicinarsi così tanto al tavolo da origliare l'unica spiegazione plausibile è che abbiano potuto ascoltare il nastro senza però poterlo trattenere o utilizzare. Come mai? Perché evidentemente la presenza dell'intercettazione ambientale avrebbe reso evidente la presenza di un regista con finalità ben diverse da quelle giornalistiche. Probabilmente nei piani dell'invisibile demiurgo le rivelazioni di febbraio dovevano bastare già da sole a sollevare il polverone. O forse chi «indagava» sperava di trovare le prove di una compravendita di kerosene in realtà mai realizzatasi. E allora per trasformare intercettazioni ambientali «pirata» in vere e proprie prove capaci di sorreggere un'indagine per corruzione internazionale era indispensabile trasformarle in «atto notorio». Ma per quello grazie al cielo c'era Buzzfeed. E così grazie al sito americano un'acquisizione ottenuta sottobanco potrà forse arrivare in tribunale.  

Scrive i Giornale : per capire come la stangata non sia frutto dell'improvvisazione, ma sia stata programmata da tempo basta la presenza a Mosca del giornalista Giovanni Tizian. Figlio di una vittima della ndrangheta, Tizian è un cronista di razza che si è fatto le ossa raccontando le infiltrazioni mafiose nel Nord e vive sotto scorta. Lui stesso ammette di non essere arrivato a Mosca per caso.

Assieme a Vergini indaga sui soldi della Lega da tempo, sottolinea il Giornale ma in quella precisa occasione ha ottenuto indicazioni da una fonte riservata. Una fonte capace di guidarlo con notevole precisione nei meandri di quella inchiesta. Non a caso il 18 ottobre 2018 Tizian si presenta nella hall del Metropol almeno un'ora prima dell'inizio dell'incontro e fotografa Savoini ancora solo ad un tavolo in attesa dei suoi interlocutori. Non a caso nell'anteprima dall'Espresso del 24 febbraio ricostruisce esattamente le mosse di un Matteo Salvini arrivato a Mosca, alla vigilia dei colloqui del Metropol, per partecipare ad un convegno organizzato da Confidustria al Lotte Hotel. Subito dopo il convegno, secondo il resoconto di Tizian e Vergine, Salvini incontra «in gran segreto un personaggio di spicco del Cremlino: il vicepremier Dmitry Kozak, delegato agli affari energetici, uomo della stretta cerchia di Putin. L'incontro è avvenuto nell'ufficio di Vladimir Pligin, un noto avvocato moscovita legato a Kozak, il cui studio si trova al numero 43 di Sivtsev Vrazhek». Tizian non dice di aver seguito il capo della Lega. Quindi le sue mosse gli sono state riferite da qualcuno incaricato di tenere sotto controllo le mosse del gruppetto leghista.

L'altra stranezza secondo il Giornale è la precisione con cui Tizian e Vergine, pur non disponendo di una registrazione che altrimenti avrebbero pubblicato sul sito dell'Espresso già a febbraio, ricostruiscono passo dopo passo le fasi della discussione. Anzi il riepilogo dell'introduzione politica ai colloqui del Metropol svolta da Savoini e offertaci già a febbraio dai due giornalisti sembra la trascrizione esatta di quella ascoltata cinque mesi dopo su Buzzfeed.

La storia ormai nota petrolio da rivendere a prezzo pieno in Italia (gli interlocutori citano l'Eni, che ha smentito), in modo da ottenere che una parte dello sconto, il 4%, si trasformasse in una "retrocessione" per la Lega per la campagna per le Europee e il resto, almeno il 2%, andasse sotto forma di 'stecche' a funzionari russi.

Un'operazione scrive il quotidiano, in totale da 1,5 miliardi di dollari che non sarebbe andata a buon fine. Dopo Savoini, dunque, è atteso davanti ai pm anche Gianluca Meranda, avvocato con simpatie per il Carroccio che dice di aver incontrato in occasioni pubbliche Salvini e che nei giorni scorsi con una lettera ai media ha rivelato di essere il "banchiere Luca", ossia uno dei due italiani che erano con Savoini di fronte ai russi. Russi che nell'audio sostenevano di dover attendere il via libera all'operazione da Vladimir Pigin, avvocato e soprattutto legato al vicepremier russo con delega al settore del petrolio e del gas Dmitry Kozak.  

Intanto Giuseppe Conte e Matteo Salvini ai ferri corti su tutti i fronti: dalle modalità con cui il vicepremier sta discutendo la manovra, alla vicenda dei fondi russi. A far scoppiare le polveri tra premier e ministro dell'Interno la decisione del leader leghista di convocare le parti sociali al Viminale per un primo scambio di vedute sulla futura manovra. Riunione accolta malissimo dal Presidente del Consiglio: "Se oggi qualcuno pensa che non solo si raccolgono istanze da parte delle parti sociali ma si anticipano pure i dettagli di quella che ritiene che debba essere la manovra economica, si entra sul terreno della scorrettezza istituzionale", tuona davanti alle telecamere fuori da Palazzo Chigi. Ma Conte va oltre, togliendosi più di un sassolino dalle scarpe: "La manovra economica viene fatta qui, dal ministro dell'Economia e tutti i ministri interessati, non si fa altrove, non si fa oggi. I tempi, e tengo a precisarlo, li decide il Presidente del Consiglio, sentiti gli altri ministri, a partire da quello dell'Economia. I tempi non li decidono altri".

Nel pomeriggio, in una conferenza stampa al Viminale, Salvini smussa i toni, evita di replicare a muso duro con Conte, ma nella sostanza tira dritto annunciando una nuova riunione con le parti sociali per i primi di agosto: "È chiaro che i tempi della manovra li detta il presidente del consiglio, verso il quale abbiamo piena fiducia, ma prima si fa e meglio è", chiosa il segretario federale. Quanto alla riunione di oggi, oggetto della disputa, Salvini osserva che è servita per presentare alle parti sociali le proposte della Lega: "Questi incontri - sottolinea - non vanno ad offendere nessuno ma vanno ad aiutare l'azione di governo.

Non mi interessa portare via il lavoro ad altri - assicura - non voglio togliere lavoro a Tria, Conte o Di Maio ma voglio dare il nostro contributo all'azione di governo". Insomma, tensione fortissima, batti e ribatti su tutto, a pochi giorni dalla "chiusura", temporale della cosiddetta "finestra" di un'eventuale crisi, e conseguente voto entro la fine di settembre. Tuttavia, malgrado i toni accesissimi all'interno della maggioranza, l'impressione è che alla fine nessuno intenda sul serio staccare la spina. Ma le acque restano comunque agitate. Anche l'altro vicepremier, il ministro per lo Sviluppo Luigi Di Maio, interviene sulla riunione, ma attacca i sindacati per aver accettato il confronto alla presenza di Siri: "Se vogliono trattare con un indagato per corruzione messo fuori dal governo, invece che con il governo stesso, lo prendiamo come una scelta di campo". Secca la replica dei sindacati: "parole del tutto inaccettabili ed offensive".

Anche Matteo Salvini rintuzza alle critiche di Di Maio: "Penso di vivere in un paese dove si è innocenti fino a prova contraria e dunque chi non è condannato al terzo grado di giudizio - sintetizza - per me è innocente". Severe le opposizioni: secondo il segretario dem, Nicola Zingaretti, "Salvini ha convocato i sindacati con Siri solo per far dimenticare l'affare Russia. Ma noi non ci caschiamo. Continuiamo a chiedere verità e chiarezza in Parlamento". La capogruppo azzurra Mariastella Gelmini è netta: "Loro litigano e il Paese è fermo".

Secondo il giornale "Il M5S ha pronta la proposta di legge per istituire la commissione di inchiesta sui finanziamenti a tutti i partiti che, secondo quanto previsto dal contratto, sarà sottoposta dal nostro capogruppo alla Camera alla firma del capogruppo della Lega", fanno sapere fonti grilline all'Adnkronos. Parole queste che spalancano le porte ad uno scontro durissimo nel governo e nella maggioranza gialloverde.

La commissione d'inchiesta è stata infatti chiesta anche dal Pd e dunque i pentastellati sono pronti a pugnalare Salvini. Che il vento sia cambiato è possibile riscontrarlo anche nelle parole al vetriolo di Di Battista che parlando dell'incheista sul presunto Russiagate italiano, ha attaccato senza se e senza ma il vicepremier Salvini e principale alleato di Di Maio: "Da qualche giorno non si sta parlando di ong. Lo 'show' dell'immigrazione dove tutti - da destra a sinistra - recitano la loro parte costringendo gli africani al ruolo di comparsa, per qualche ora si è fermato. Oltretutto Salvini il bugiardo è impegnato a mentire (la sua difesa sul caso Russia-Savoini è ridicola)". Si tratta dell'attacco più duro al leader del Carroccio dalla sponda grillina degli ultimi mesi. I 5 Stelle riscoprono l'anima forcaiola e tentano l'accerchiamento su Salvini.

Ma il ministro degli Interni lancia un avvertimento chiaro agli alleati grillini: "Sto portando tutta la pazienza del mondo, ma essere attaccato da chi Governa con te è strano. Mio padre mi ha insegnato a portare pazienza. Ma la pazienza non è infinita e tutti devono tenere fede alla parola data". Insomma la tenuta dell'esecutivo passa da due binari. Uno è quello della manovra che sarà il vero banco di prova del prossimo autunno, l'altro è quello dell'inchiesta su Savoini e sui fondi della Lega. Un altro attacco da parte dei grillini potrebbe far saltare il banco. Salvini comunque resiste e anche oggi ha ribadito il suo "no" ad un intervento in Aula sul Russiagate. Ma i continui dissidi tra le due anime del governo hanno ormai spezzato l'incantesimo del patto tra Lega e M5s. E gli scenari d'ora in poi sono davvero imprevedibili

 

 

 

 

 

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