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Venti anni fa moriva il professor Marco Tangheroni (1946-2004) storico medievista che ha insegnato alle università di Barcellona, Cagliari e Pisa, sua città natale. Il suo ricordo è ancora vivo in quanti lo hanno conosciuto e hanno apprezzato le sue qualità umane e di insegnante. Fra i molti che lo hanno ricordato in un incontro organizzato a Pisa dal Lions Club Pisa Host il 24 febbraio 2024 (giorno del suo compleanno), il prof. Franco Cardini, storico e anche lui medievista. Quando Marco Tangheroni parlava di Franco Cardini lo definiva “un amico” e quando Franco Cardini ricorda Tangheroni parla di “Fratello Maggiore” intellettualmente, moralmente, umanamente e, Maestro, sul piano degli studi. Tra i due corrono sei anni di differenza, Cardini è più grande, ma ugualmente lo definisce “maggiore” tanta è la stima che lo lega allo storico pisano. “Appena ventenne – dice Cardini, professore emerito di Storia medievale, ricordandolo- e non ancor laureato dette alle stampe il suo primo saggio, riguardante la Sardegna e si laureò due anni dopo. Dalla sua tesi uscì un breve ma importante volume dedicato a un’indagine genealogico-prosopografica il taglio del quale risultò, per i tempi, originale e innovativo. Da subito dimostrò i suoi vasti interessi e di non essere uno studioso dai confini limitati, lo animava una insaziabile curiosità che alimentava i suoi studi”.

Lo ricordiamo affrontare con rigorosa attenzione scientifica molti temi che andavano al di là delle sue specializzazioni.

«Era tra i pochi medievisti che, pur occupandosi della storia di Pisa, della Toscana e del Mediterraneo, al tempo stesso, poteva trattare autorevolmente di questioni connesse con la storia delle idee e con quella delle forme letterarie, artistiche e culturali, scendendo anche nel campo della pubblicistica e della divulgazione mantenendo sempre alte le esigenze della scientificità senza nulla concedere a quelle semplificazioni che oggi sembrano avere tanta fortuna sui media».

La vita di Marco Tangheroni è stata caratterizzata da una lunga malattia che sembra quasi non aver influenzato la sua produzione scientifica fino all’ultimo giorno.

«Dal 1968 al 2004, trentasei anni durante i quali non c’è anno in cui non abbia pubblicato un volume, o saggi, o rassegne, o non abbia curato un’opera a più mani o gli Atti di un convegno o un catalogo di un’esposizione, avendo sempre ben chiara una sua visione della storia. avverso a qualunque dimensione ideologica, dalla quale si sentiva estraneo come cattolico, ma anche pericolosa per il suo lavoro di storico. Tale lontananza dalle ideologie lo teneva al sicuro rispetto a tesi deterministiche e teleologiche, convinto come era, che la storia avesse uno scopo e una logica di tipo metafisico e trascendente e le negava qualunque “fine” e “ragione” di tipo immanente».

Ad un certo momento Marco Tangheroni entra in contatto con Gioacchino Volpe.

«Intorno alla metà degli Anni Settanta inizia una lunga e feconda collaborazione con la Fondazione Giocchino Volpe. Del grande storico abruzzese egli fece proprie soprattutto la lezione di concretezza, di adesione spregiudicata ai documenti, di sensibilità per la complessità e la mutevolezza delle strutture sottostanti alle istituzioni storiche, di attenzione alle dinamiche, ai rallentamenti, alle accelerazioni. Il ‘volpismo’ tangheroniano recuperava con molta libertà la grande lezione della scuola economico-giuridica, ma l’arricchiva grazie al costante impegno esegetico e storiografico in una direzione molto responsabilmente ed esplicitamente impegnata in senso cattolico, su una linea che molto doveva ad autori come Molnar e Marrou. Anche l’ambiente pisano proponeva molti stimoli grazie a colleghi di indubbio valore e ad un vivacissimo ambiente di allievi che poi entreranno nell’insegnamento universitario. Tra questi vanno ricordati i “fedelissimi” collaboratori, nonché amici prediletti: Gabriella Garzella, Olimpia Vaccari, Laura Galoppini, Cecilia Iannella, per limitarci a Pisa».

E arriviamo ad un anno cruciale, il 1980.

«Anche bisestile, e Marco non era insensibile a qualche suggestione scaramantica. Oltre i problemi di salute e nonostante questi, vinse la cattedra di Storia medievale, ma la Facoltà fiorentina, depositaria di quella cattedra, dopo una decisione difficile – alla quale non furono forse estranei motivi extrascientifici- gli preferì Paolo Delogu. A Tangheroni non restava che ripiegare su una sede piuttosto disagiata: Sassari, ma non gli dispiacque, in Sardegna vi aveva riseduto e studiato. Vi si trovò bene riprendendo quegli studi sardi che, peraltro, non aveva mai del tutto abbandonato e che si concretizzeranno in uno dei suoi libri più felici e più celebri: la ricerca sulla città di Iglesias e le sue miniere argentifere (La città dell’argento. Iglesias dalle origini alla fine del medioevo, Napoli, 1985). Appena arrivato si vide affidare – a trentaquattro anni- la presidenza della Facoltà per il biennio 1982-1983».

Nel 1983 il ritorno a Pisa dove lo studioso, che ormai si era affermato a livello non solo italiano, ma anche europeo, iniziava ad estendere l’oggetto dei suoi studi al Mediterraneo.

«Di quegli anni sono i contatti con personalità quali Elihyau Ashtor, Roberto S. Lopez, David Herliny, David Abulafia che lo stimeranno altamente. Dalla sua meditazione ormai di ampio raggio e di lungo periodo uscirono due nuovi libri: uno intitolato Medioevo tirrenico: Sardegna, Toscana e Pisa (Pisa, 1992) e l’ariosa, robusta sintesi del 1996  sul commercio e la navigazione nel medioevo (Commercio e navigazione nel Medioevo, Roma-Bari, 1996), un libro di straordinaria lucidità e chiarezza nel quale il severo e rigoroso studioso riesce a dimostrare anche eccellenti qualità di scrittura e a far passare nella severa pagina scientifica anche un po’ di quello humor che chi aveva assistito alle sue lezioni e alle sue relazioni congressuali ben conosceva. Intanto si dedicava anche – sia pure à sa manière- alla vita politica candidandosi a sindaco nelle elezioni amministrative del 1994».

Il suo impegno scientifico e culturale non è mai calato tanto che la notizia della sua morte giunse come un fulmine a ciel sereno tanto eravamo abituati a vederlo “risorgere” continuamente.

«Nessuno pensava sul serio alla possibilità effettiva d’una sua prossima dipartita. Gli ultimi mesi del 2003, dopo un’estate trascorsa in una lunga degenza ospedaliera, furono pesantissimi, ma pieni d’interesse e di passione. Gli era stato affidato il coordinamento della grande mostra storica su Pisa e il Mediterraneo, “un lavorone, in un momentaccio”, com’egli soleva dire. Ma fu un grande successo testimoniato sia dall’imponente catalogo, sia da una quantità di studi preparatori e accessori alla mostra. Il Mediterraneo, nei nostri colloqui della fine del 2003, era diventato centrale essendo convinto, specialmente dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, che tale centralità sarebbe tornata ad imporsi anche in politica. Per questo dedicava grande attenzione al lavoro della Conférence Permanente des Villes Historiques de la Méditerranée, un sodalizio all’interno del quale si erano situati i rapporti tar Pisa e Bejaia, l’antica città algerina di “Bugia” nella quale Leonardo Fibonacci aveva soggiornato e imparato i segreti del calcolo custoditi dagli arabi. Aveva seguito con affetto il mio lavoro sui rapporti tra Europa e mondo musulmano e la nostra collaborazione aveva avuto momenti di grande intensità: insieme avevamo dato vita alla collezione di fonti diaristiche di pellegrinaggio denominata “Corpus Italicarum Peregrinationum”, pubblicata dall’Editore Pacini. Avevamo ancora molti progetti, ma il suo tempo si stava accorciando. L’ultima volta che ci vedemmo mi disse una cosa che mi colpì: “Sono stanco”. Non l’avevo mai sentito dire da lui, non rientrava nel suo vocabolario, ma quella volta era diverso e me ne resi conto accompagnandolo, quel pomeriggio del 13 gennaio 2004, al luogo nel quale adesso riposa. Caro Marco “io non ti ricordo perché sei morto, ma perché sei vivo e resterai vivo”».

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha partecipato alla cena annuale organizzata dall’Associazione della Stampa Estera presso l’hotel Cavalieri a Roma. Questo evento è stato organizzato dai corrispondenti esteri per il secondo anno consecutivo, e nel 2022 vi partecipò anche l’allora premier Mario Draghi. Durante l’incontro con la stampa estera, Giorgia Meloni ha confessato di avere dei sogni nel cassetto mai realizzati, tra cui voler fare la cantante , giocare con la nazionale di pallavolo  e conoscere Michael Jackson . Durante la cena, la Presidente ha sorpreso tutti ballando sulle note di “Billie Jean”, l’immortale capolavoro del Re del Pop. Un momento sicuramente inaspettato e divertente!

Durante i saluti Il presidente Giorgia Meloni ha detto tra l'altro ai colleghi della stampa estera :

"Buonasera sono Giorgia, qualcuno direbbe sono una donna, sono una mamma, sono cristiana", ha detto la premier in apertura riprendendo un vecchio tormentone. Di sé ha detto di considerarsi “una persona perbene e buona”, consapevole che “non bisogna mai sottovalutare la potenziale cattiveria di un buono costretto a essere cattivo". Le cose che la fanno arrabbiare? "La slealtà, l'umiliazione e perdere a burraco, cosa che mi sta capitando spesso: diciamo che quest'anno non è partito benissimo".

Ai reporter ha ricordato di essere anche lei giornalista, ma di aver speso "due terzi della propria esistenza nell'impegno politico", cosa che ancora oggi considera "la più straordinaria forma di impegno civile che esista". Poi ancora: "Non amo stare dove sono e, proprio per questa ragione, potrei rimanerci più degli altri". In questo suo discorso ai giornalisti della Stampa Estera .. ha svelato di avere "molti dei sette vizi capitali, quasi tutti", eccetto "quello più devastante per i politici che è quello della vanità". Anzi, "a dispetto della mia faccia non sono sempre arrabbiata, una volta per dimostrarlo a Ignazio La Russa ho mostrato una foto di terza elementare dove avevo questa faccia. In realtà sono una persona che ama ridere, soprattutto di se stessa".

E ancora, Meloni ha detto alla stampa estera che nessuno dei suoi sogni nel cassetto si è realizzato: "Volevo fare la cantante ma sono stonata, giocare con la nazionale di pallavolo ma sono nana, conoscere Michael Jackson ma è morto troppo presto". Quello che non c'era tra i suoi sogni era "fare il presidente del Consiglio". Continuando con gli aneddoti personali è poi tornata su Michael Jackson: "Mi ha insegnato l'inglese, perché volevo capire cosa dicevano le sue canzoni". E ha rivelato di non essere esattamente un'inguaribile ottimista. Anzi, uno dei suoi "collaboratori storici" ripete che il suo motto è 'moriremo tutti'. Tutto vero, conferma Meloni: "Guardo sempre il bicchiere mezzo vuoto, ma siccome so immaginare lo scenario peggiore possibile poi sono in grado di affrontare tutti gli altri".

«In questa occasione ci si aspetta dal presidente del Consiglio un intervento leggero e divertente. Io non ero leggera manco a 15 anni, figuratevi dopo 16 mesi che faccio il presidente del Consiglio. Voi mi invitate nel giorno in cui perdo le elezioni in Sardegna e sto pure facendo la Quaresima e non posso neanche affogare i miei dispiaceri nell'alcol", le parole di Giorgia Meloni all'incontro con la stampa estera.

Tra una battuta e l'altra spazio, come detto, ai temi seri. A partire dalla riforma del premierato. "Voglio dare stabilità e maggiore peso ai cittadini. Il tempo è quello che è mancato ai governi italiani: a questa nazione serve stabilità, per dare priorità agli investimenti, avere una strategia, governare i poteri economici. Sulla riforma costituzionale ci sono accuse, un famoso commentatore Usa citava Mussolini perché dice che per pochi voti sarà possibile avere la maggioranza: accade in varie democrazia come la Francia", ha spiegato Meloni.

Ma qualche battuta non è comunque mancata nell’intervento della premier. “Non so che cosa Silvio Berlusconi da lassù pensi che questa "banda di comunisti", come lui l’avrebbe definita, si trasferisce” a Palazzo Grazioli, “ma sono i casi della vita”, ha detto Meloni con riferimento al trasferimento della sede dell’Associazione in quella che è stata la residenza del Cavaliere nella Capitale.

Un passaggio sull'intelligenza artificiale nel suo rapporto con i media. "Si può parlare quanto si vuole di libertà di stampa ma il problema è che si rischia di cancellare la stampa", ha detto la premier. "L'intelligenza artificiale - ha aggiunto - è una grande opportunità se governata, altrimenti può essere un detonatore. Rischiamo un impatto sul mercato del lavoro che riguarda formazioni altamente qualificate, come il giornalismo, che può essere devastante".

Inoltre, dalla premier un monito scherzoso dopo il successo della prima giornata di collocamento del Btp Valore. “Abbiamo lanciato il Btp valore, è dedicato ai piccoli risparmiatori, nella prima giornata ha raccolto 6 miliardi di euro. È un record assoluto“, ha detto Meloni. “Per cui se vi avanza qualche soldo che volete investire bene in una nazione seria con un governo longevo, ci sarebbe questo Btp Valore al quale mi permetto di fare pubblicità”, ha aggiunto con il sorriso sulle labbra.

 

 

 

Le conseguenze dopo anni di immigrazione incontrollata iniziano a mostrarsi anche in Italia, soprattutto per quanto riguarda la crescente difficoltà di convivenza in una società multietnica. Nel comune di Monfalcone in Friuli-Venezia Giulia, nella provincia di Gorizia, il 33% della popolazione è di fede musulmana. 

Questa alta percentuale, all’interno di una comunità con meno di 30mila abitanti, non può che portare a tensioni sociali per colpa della mancata integrazione degli appartenenti all’islam. Queste problematiche emergono già all’interno delle scuole della città, dove la percentuale di stranieri è circa del 64%, mentre in alcune classi addirittura del 90%.

Il sindaco Anna Maria Cisint mette in luce una crescente tensione sociale, alimentata da atteggiamenti di non-integrazione da parte della comunità islamica.

Come segnala Il Giornale, nelle scuole di Monfalcone, un crescente numero di bambine indossano il velo nero che copre tutto il viso, tranne gli occhi. Una situazione che pone interrogativi sul trattamento delle donne nella cultura islamica e le priorità educative delle famiglie coinvolte.

Un altro dato preoccupante è la percentuale di stranieri nelle scuole della città: 64% degli studenti dall’infanzia alle medie non sono italofoni. In alcune classi, la percentuale sale addirittura al 90%, creando situazioni educative complesse e minando la convivenza pacifica.

Di fronte a tale quadro, il sindaco Cisint sta lavorando a un provvedimento che vieti l’utilizzo del velo integrale nei beni di proprietà comunale. Un passo motivato principalmente da esigenze di sicurezza e che richiede una rapida azione normativa a livello nazionale.

Nel contesto di radicalizzazione, le autorità di Monfalcone hanno dovuto intervenire in casi di violenza e vessazione su minori islamici. L’attuale clima di tensione mondiale aggrava ulteriormente i rischi di estrema radicalizzazione.

I casi di classi delle scuole elementari e medie a maggioranza straniera mostrano come gli italiani, oltre ad essere sempre meno, facciano anche meno figli. Lo scenario di una società multietnica dove gli italiani saranno considerati addirittura una minoranza è letteralmente dietro l’angolo, è questo non può che portare a scontri e tensioni.

Francesco Lollobrigida intervenendo al congresso della Cisal qualche mese fa ,ha affermato: “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro. Non è quella la strada”. Per contestualizzare tale dichiarazione, sono stati analizzati i dati dell’Istat sugli stranieri residenti in Italia e sulle acquisizioni di cittadinanza, nonché le stime della Fondazione Ismu sugli immigrati irregolari.

 

Fonte P.N / il giornale / e varie agenzie 

Solidarietà e massima fiducia nelle forze dell’ordine e conferma di nessun cambio di strategia nella gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni di piazza. La linea del Viminale e del Governo, dopo gli incidenti durante i cortei pro Palestina a Pisa e Firenze, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi l’aveva annunciata già ieri ma l’ha ribadita anche oggi durante l’incontro con i sindacati confederati.

Un incontro convocato proprio per il fare il punto su quanto avvenuto ai cortei di Pisa e Firenze, dove i manifestanti – in gran parte studenti – sono stati caricati dalle forze dell’ordine e colpiti con diverse manganellate.La relazione della Digos, con tutte le indicazioni relative a chi era in servizio e alle disposizioni sulla gestione dell'ordine pubblico, e le conclusioni dei carabinieri, che hanno acquisito e analizzato tutti i video circolati sui social o ripresi dalle telecamere di videosorveglianza urbana: sono due le informativa arrivate in procura a Pisa relative alle cariche della polizia al corteo studentesco pro Palestina di venerdì scorso. Ora sarà il procuratore facente funzioni, Giovanni Porpora a decidere quali reati ravvisare e a chi assegnare il definitivamente il fascicolo d'indagine.

Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi dovrebbe tenere un'informativa in Consiglio dei ministri su quanto in alcune manifestazioni nei giorni scorsi, dopo le polemiche sulla gestione dell'ordine pubblico.

Durante la riunione di oggi al Viminale con i vertici delle organizzazioni sindacali confederali, a quanto si apprende da fonti del ministero, il ministro Matteo Piantedosi, ha espresso la "massima fiducia di tutto il governo nei confronti delle forze di polizia".

Gli uomini e le donne in divisa, ha aggiunto, sono "servitori dello Stato e lavoratori che svolgono un ruolo fondamentale a presidio della sicurezza e della legalità".  

"Siamo di fronte solo a casi isolati in corso di valutazione e non è mai intervenuto alcun cambio di strategia in senso più restrittivo della gestione dell'ordine pubblico", ha detto il ministro Matteo Piantedosi durante la riunione di oggi con i vertici dei sindacati confederali. Peraltro, ha ricordato, "negli scorsi anni sono avvenuti accadimenti analoghi con incidenti ancor più gravi".

Lo ha sottolineato il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi nel corso dell'incontro al Viminale con i sindacati confederali incentrato sugli incidenti nei cortei pro Palestina avvenuti nei giorni scorsi. Il ministro ha ricordato anche che "negli scorsi anni sono avvenuti accadimenti analoghi con incidenti ancor più gravi". Piantedosi ha ribadito nuovamente alcuni punti fondamentali: "Il governo non ha cambiato le regole di gestione dell'ordine pubblico; i responsabili della sicurezza agiscono sul territorio sulla base di valutazioni fatte sul posto e non seguendo fantomatiche indicazioni da parte del livello politico; nessuno ha interesse ad alzare il livello di tensione durante le manifestazioni e men che mai il Viminale che, insieme a tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine, ha come prioritario obiettivo che ogni evento si svolga in maniera pacifica indipendentemente dal loro contenuto".

In questo senso e per un regolare svolgimento di tutte le iniziative, il ministro ha evidenziato quanto sia "imprescindibile la collaborazione degli stessi manifestanti sia nella fase del necessario preavviso delle iniziative sia durante lo svolgimento delle manifestazioni rispettando le prescrizioni ed evitando comportamenti provocatori o violenti".

Nell'evidenziare "l'importanza e la necessità di mantenere un confronto costante con le organizzazioni sindacali, certo del loro consueto contributo", il ministro ha espresso "massima fiducia di tutto il governo nei confronti delle forze di polizia". Piantedosi - secondo fonti del Viminale - ha ribadito nell'occasione che gli uomini e le donne in divisa sono "servitori dello Stato e lavoratori che svolgono un ruolo fondamentale a presidio della sicurezza e della legalita'".

Gli accertamenti fatti sugli scontri di Pisa si sono concentrati sulla condotta della catena di comando in servizio venerdì scorso, in base all'analisi dei video già esaminati dai carabinieri. Secondo quanto appreso, infatti, al centro delle valutazioni dell'autorità giudiziaria c'è soprattutto questo aspetto, ossia di chi ha preso le decisioni e in particolare per capire chi abbia dato l'ordine di caricare con veemenza. Pur mantenendo il massimo riserbo sulla vicenda, da ambienti giudiziari trapela la volontà di procedere speditamente anche per ripristinare quanto prima un clima di serenità in città dopo le polemiche.

Negli ultimi giorni, viene evidenziato, ci sono state ripetute manifestazioni di solidarietà nei confronti degli studenti, che hanno portato in piazza migliaia di cittadini che hanno criticato aspramente l'operato delle forze dell'ordine. Inoltre, secondo quanto si apprende, potrebbe essere convocato a breve un vertice tra gli inquirenti per valutare a chi assegnare le indagini. Da più parti si suggerisce che potrebbe essere la stessa polizia ad andare a fondo per chiarire se vi siano stati errori tecnici e operativi, o addirittura abusi nella gestione dell'ordine pubblico. Del resto sono stati proprio i sindacati Cgil, Cisl e Uil ieri a riferire che nell'incontro avuto sabato scorso in prefettura con prefetto, questore e sindaco, oltre ai comandanti di carabinieri e guardia di finanza, è stato lo stesso questore ad ammettere "un problema di gestione della piazza, dal punto di vista organizzativo e operativo, a suo avviso causato dal fatto che non erano chiari gli obiettivi del corteo".

Stando a quanto trapela dal Viminale, per Piantedosi sono "del tutto inaccettabili, perchè false e strumentali, le polemiche sollevate contro il governo con l'obiettivo di accreditare nell'opinione pubblica la narrazione di una presunta strategia tesa a impedire la libera manifestazione del pensiero". Per il ministro è "ancor più inaccettabile che per queste finalità di natura politico-elettorale ci si spinga persino ad attaccare il ruolo e la professionalità delle forze di polizia".

Poi alcuni numeri: "Il governo fin dall'inizio israeliano-palestinese - ha spiegato il responsabile del Viminale - ha assicurato la piena libertà di manifestare a tutte le parti, sostenendo un rilevantissimo sforzo in termini di gestione dell'ordine pubblico. Basti pensare che dal 7 ottobre scorso su tutto il territorio nazionale si sono svolte 1.076 iniziative e che soltanto in 33 occasioni si sono registrate criticita'". Più in generale, nel corso del 2023 sono state 11.219 le manifestazioni, con 969.970 operatori di polizia impegnati. Dal primo gennaio sono state 2.538 le manifestazioni, solo l'1,5% con criticità o turbative di ordine pubblico, con 150.388 operatori impegnati. Questi dati smentiscono in maniera inequivocabile una presunta contrazione della libertà di manifestazione in Italia. Peraltro, per il personale in divisa, tutto questo rappresenta un impegno quotidiano rischioso tanto che, nel 2023, nel corso delle manifestazioni pubbliche, si sono registrati 120 feriti, 31 già quest'anno". Rispetto a chi ha inteso collegare a questo tema quello dell'aumento delle identificazioni, Piantedosi ha osservato che l'incremento è avvenuto anche in virtùu' delle 'operazioni ad alto impatto' (548.564 identificazioni) e nel generale rafforzamento del territorio, attivita' invocate dai cittadini e dagli amministratori locali perche' hanno subito prodotto risultati tangibili".

Nel "convidere pienamente le parole del presidente Mattarella", Piantedosi si è detto convinto che "l'autorevolezza delle forze di polizia non si nutre dell'uso della forza ma affonda nel sacrificio di centinaia di caduti nella lotta al terrorismo e alla criminalità, nella leale difesa delle istituzioni democratiche anche negli anni più bui della Repubblica, nella capacità di accompagnare con equilibrio e professionalità lo sviluppo della società italiana". Il ministro ha detto di condividere anche l'altro richiamo precedente da parte dello stesso capo dello Stato contro la "intollerabile serie di manifestazioni di violenza: insulti, volgarità di linguaggio, interventi privi di contenuto ma colmi di aggressività verbale, perfino effigi bruciate o vilipese".

 

Fonte Ansa /Agi/ varie agenzie

 

 

L’Europa continua a sostenere convintamente l’Ucraina, ma la fiducia sulla possibile vittoria nel conflitto con la Russia è letteralmente crollata

La maggioranza degli europei è disposta a tutto pur di impedire una vittoria della Russia, ma allo stesso tempo non crede in una vittoria dell’Ucraina: da qui la speranza in un compromesso accettabile. 

L’Europa continua a sostenere convintamente l’Ucraina, ma la fiducia sulla possibile vittoria nel conflitto con la Russia è letteralmente crollata. A quasi due anni dall’invasione ordinata da Vladimir Putin, appena il 10 per cento dei cittadini europei crede nel successo di Kiev: questo quanto confermato dal sondaggio commissionato dal Consiglio europeo per le relazioni estere (ECFR) e riportato dal Guardian. E c’è di più: per la maggioranza degli intervistati, il compromesso tra Kiev e Mosca rappresenta l’esito più probabile di questa guerra.

Il sondaggio è stato realizzato in dodici paesi europei – Italia compresa – ed è emersa la crescita esponenziale del pessimismo sull’esito della guerra, complici diversi fattori: dallo stallo della controffensiva di Kiev alla linea politica degli Stati Uniti, fino al possibile secondo mandato presidenziale per Donald Trump. Come anticipato, nessuna novità sulla necessità di sostenere il Paese di Zelensky: in Svezia (50%), Portogallo (48%) e Polonia (47%), gli intervistati sono più propensi a sostenere che l’Europa deve aiutare l’Ucraina a reagire, mentre in Ungheria (64%), Grecia (59%), Italia (52% ) e Austria (49%) l’accento è posto sulla necessità di raggiungere un accordo. Perfetto equilibrio in Francia, Germania, Paesi Bassi e Spagna.

Si tratta di un cambiamento piuttosto netto rispetto ai sondaggi di un anno fa, quando gli europei ritenevano possibile per l’Ucraina la riconquista di tutti i territori perduti. Per gli autori del sondaggio, gli intervistati desiderano un approccio più realistico da parte della politica, con i riflettori accesi su una “pace accettabile”

Mark Leonard, coautore del sondaggio dell’ECFR, citato dal Guardian, ha affermato: «Per sostenere la causa del continuo sostegno europeo all’Ucraina, i leader dell’UE dovranno cambiare il modo in cui parlano della guerra». La maggior parte degli europei «cerca disperatamente di impedire una vittoria russa», ma non crede che Kiev possa vincere militarmente. Dunque, l’argomentazione più efficace per un'opinione pubblica sempre più scettica sarebbe quella di riuscire a far capire che con ulteriori aiuti si potrebbe «arrivare a una pace sostenibile e negoziata che favorisca Kiev, piuttosto che Putin».

A due anni dall’invasione russa dell’Ucraina, gli italiani hanno sempre meno certezze sull’andamento della guerra (forse la Russia sta vincendo?) e sulle sue possibili soluzioni (Kiev dovrebbe negoziare con Mosca a qualsiasi condizione?). Non solo: se l’anno scorso la percezione prevalente era che la NATO, gli Stati Uniti e l’UE stessero tutti guadagnando influenza e coesione interna, oggi le opinioni sono cambiate, e la Russia di Putin è vista in forte ripresa.
Ho amici ebrei che mi dicono che Zelensky non è un ebreo, ma un disonore per gli ebrei". Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin intervistato al Forum economico internazionale di San Pietroburgo.

A Putin è stato chiesto come può dire che tra gli obiettivi della Russia c'è la "denazificazione" dell'Ucraina, quando il presidente Volodymyr Zelensky è un ebreo ed è stato eletto democraticamente. "Ho molti amici ebrei che mi dicono che Zelensky non è un ebreo ma un disonore per il popolo ebraico", ha risposto Putin, affermando che in Ucraina "oggi i neonazisti sono stati elevati al rango di eroi". Il presidente russo ha ricordato lo sterminio degli ebrei nella Seconda guerra mondiale. 

"L'Olocausto - ha detto - è stato lo sterminio di 6 milioni di ebrei, e un milione e mezzo sono stati sterminati in Ucraina, prima di tutto per mano dei Banderiti". Vale a dire dei seguaci del nazionalista Stepan Bandera, alleatisi con Hitler contro l'Unione Sovietica. Dopo aver fatto vedere una serie di video agghiaccianti sui massacri in Ucraina, Putin ha affermato che proprio Bandera e i suoi seguaci oggi sono "gli eroi dell'Ucraina" e coloro che "le autorità ucraine oggi proteggono". "Abbiamo l'obbligo di combattere contro questo - ha proseguito Putin -. La Russia è stata la parte che ha sofferto di più nella lotta contro il nazismo. Non dimenticheremo mai questo. "Abbiamo tutto il diritto - ha concluso il presidente russo - di ritenere che uno dei nostri obiettivi chiave in Ucraina è la denazificazione".
 
Fonte :  (ISPI) (Corriere del Ticino) ( ansa ) ( N.Porro atlantico Q. )

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