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Mercoledì, 23 Ottobre 2024

Luigi Einaudi: libertà economiche

Il 6 ottobre 1919 Luigi Einaudi viene nominato senatore, scelto nella categoria 18 dello Statuto Albertino: “I membri della Regia Accademia delle Scienze, dopo sette anni di nomina”. Il 9 dicembre presta giuramento, iniziando così un’attività parlamentare che si presenta densa negli ultimi anni dell’età liberale. Dopo il consolidamento del regime, evita di solito la presenza stessa in palazzo Madama: in ogni caso, non prende più la parola. L’impegno parlamentare prosegue poi, molto attivo, nella Consulta nazionale e nell’Assemblea costituente. Chiuso il periodo quirinalizio, torna a fare parte del Senato: si registra ancora qualche suo intervento.

Le edizioni di Libro Aperto (Via Ricci 29, 48121 Ravenna; www.libroaperto.it) avviano, con un primo tomo, la pubblicazione di discorsi einaudiani. Il titolo di Libertà economiche raggruppa gli interventi più strettamente qualificabili come incentrati sull’economia, pur essendo sempre arduo il dividere politica ed economia nella riflessione einaudiana, e ancor più nel caso di discorsi tenuti in dibattiti di un organo legislativo. Il primo tomo (pp. 264, con ill.) è dedicato a discorsi pronunciati nel Senato del Regno. La cura è di Aldo G. Ricci e Marco Bertoncini, mentre Roberto Einaudi e Corrado Sforza Fogliani stendono due postfazioni. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo alcuni estratti dello scritto di Sforza Fogliani.

 

La lettura dei discorsi parlamentari di Luigi Einaudi presenta una costante: l’impronta schiettamente didattica. Non intendo asserire che l’oratore svolga lezioni universitarie, posto che – specie nei discorsi più schiettamente di natura politica o politico-istituzionale – si avvertono i riferimenti politici, l’interpretazione politica, la stessa vis polemica politicamente connotata. Intendo invece riferirmi alla peculiare natura del suo eloquio, che possiede il rigore logico e argomentativo che dovrebbe sempre connotare una proficua lezione accademica.

Einaudi vuol persuadere l’assemblea o, almeno, cercare di convincere una parte dei suoi colleghi. I suoi discorsi non sono mai concepiti come testi da lasciare agli atti, quali oggi siamo avvezzi nel Parlamento, sovente ridotto a un mero “leggimento”, in cui gli oratori si susseguono leggendo discorsi non sempre stesi da chi li pronuncia, senza curarsi né di rifarsi a chi li ha preceduti né di rimanere a sentire chi si alzerà dopo. Einaudi ragiona, argomenta, chiarisce, polemizza. Non parla tanto per rispettare un obbligo di presenza politica: fra l’altro, al Senato del Regno non esistevano gruppi parlamentari e quindi non vigeva alcuna disciplina di partito. Parla perché avverte l’urgenza del problema trattato e propone soluzioni, critiche, riflessioni.

La sua natura di professore di alta scuola si avverte in alcuni elementi che sempre qualificano l’intera sua esistenza. È uno storico: di qui, la citazione di episodi, eventi, questioni, personaggi, anche dei secoli andati. Nei suoi discorsi, come nei suoi articoli e, ovviamente ancor più, nei suoi saggi, ricerche, libri, egli trae ammaestramento dalla lezione della storia, nel bene e nel male, cosciente che certamente i fatti non si ripropongono giammai identici, ma che difficilmente essi sono totalmente nuovi, senza alcuna analogia con il passato.

Einaudi è altrettanto attento al presente. Quindi, si documenta su libri italiani e stranieri, giornali nostri ed esteri, studi che appaiono di qua e di là delle Alpi. Tiene rapporti con specialisti, italiani e no. Ricchissimi appaiono i riferimenti concreti al presente, non soltanto limitandosi alla Penisola. Da buon docente, esemplifica.

Altra dote dell’Einaudi insegnante (esemplare nelle sue apprezzatissime lezioni di scienza delle finanze) è la chiarezza espositiva. Si consideri come sono esemplarmente cristallini questi discorsi, privi di sbavature, di oscurità, d’incertezze. Einaudi è l’esatto opposto dei macroeconomisti oggi in voga, avvezzi alla teoria pura, priva di fondamenti nel reale e ricca di termini astrusi (che al paragone rendono quasi libri per l’infanzia la Fenomenologia dello Spirito di Hegel o Essere e tempo di Heidegger). Il suo linguaggio è semplice, lontano da bizantinismi, alessandrinismi, tecnicismi. Ha il grande merito di partire dalla realtà, dal fatto anche minore (il piccolo mercato di una città di provincia), per assurgere a considerazioni più vaste: egli sa davvero inverare ogni minor aspetto, traguardandolo in un’aura superiore.

Anche per questo possiamo rileggere tanti brani dei suoi discorsi astraendo dalle contingenze storiche. Molte riflessioni serbano attualità, specie quando si tratti di pensieri che potremmo dire di filosofia economica. Basta guardare ai brani in cui si occupa, tanto per citare qua e là, di speculazione o di aliquote, di controlli pubblici o di libertà economica, di svalutazione o di patrimoni, di beni rurali o d’immobili urbani, d’imposte o di circolazione della moneta. Sempre – ecco un altro merito del professor Einaudi – egli svolge le sue considerazioni sulla base non di fumose teoresi, bensì di un sano realismo, che i suoi conterranei hanno l’orgoglio di definire tutto piemontese.

Corrado Sforza Fogliani

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