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La perfetta armonia degli indugi, incontro con Rodolfo Vettorello

Il poeta, scrittore e critico letterario Rodolfo Vettorello non finirà mai di sorprendermi… Nei giorni scorsi, proprio in occasione dell’intervista che andrò a proporvi, ho scoperto che nel suo nutrito bagaglio di artista eclettico e di rara sensibilità, c’è anche il “doctor smile”, ovvero la simpatica figura vestita da medico, che insieme ad altri bravissimi volontari, si aggira periodicamente all’interno dei reparti pediatrici, per divertire i piccoli pazienti ricoverati, a volte per motivi banali, oppure, quando la sorte è ancor più ingrata, per gravi patologie. Riuscire a far sorridere un bambino sofferente è un gesto nobile ed apprezzabile, poiché nessun adulto di buon senso dovrebbe essere in grado di sopportare il dolore dei più piccoli, reagendo  con indifferenza.

Così, per anni e fino al 2005, Rodolfo Vettorello, nell’attività di volontario presso l’ABIO (Associazione per i Bambini in Ospedale), si è improvvisato giocoliere, equilibrista e monociclista, dimostrando grandi capacità, che si aggiungono alle sue incontrovertibili qualità umane. Egli, laureato in Architettura, per anni ha svolto con successo la sua attività di progettazione di edifici privati e pubblici e di imbarcazioni da diporto, dimostrando in parallelo un forte interesse verso le arti letterarie ed in particolare la poesia.

Questo multisfaccettato percorso potrebbe apparentemente destare meraviglia; tuttavia, già attraverso il significato etimologico della parola greca poiesis, che significa creazione, è individuabile la lapalissiana dimostrazione di come sia coniugabile la passione verso le discipline umanistiche ad una forma mentis pragmatica, risultato di un percorso accademico di indirizzo in buona parte scientifico, quale la facoltà di Architettura. Va tuttavia sottolineato che quest’ultima pone al centro dei suoi studi il senso estetico, conservando in un certo qual modo una connotazione artistica e sociale.

Quindi, la poesia, intesa appunto come creazione,  trova una felice correlazione con quanto egli ha saputo creare, attraverso opere di tipo strutturale, nel corso di una lunga carriera professionale.

Rodolfo Vettorello inizia a scrivere poesie in giovanissima età e dal 1955 colleziona tanto di quel  materiale destinato ad essere rivisitato e rielaborato in un’altra stagione della sua vita, quella della maturità.

All’inizio del terzo millennio, dopo la conclusione dell’attività lavorativa, egli riprende un argomento tanto caro al suo cuore: la poesia, il componimento, al cui significato semantico si lega il suono dei fonemi; da essi deriva la similitudine con la musica, un’altra nobile espressione dell’arte in grado di trasmettere sensazioni, suggestioni e stati d’animo con particolare dolcezza evocativa; prova tangibile che esiste sempre una correlazione nelle azioni, come negli interessi.

Egli vince il suo primo concorso letterario al “Milano Duomo Lions Club” con la splendida lirica “Eutanasia” e questo sarà l’inizio di una serie interminabile di successi, premi e riconoscimenti, con i quali di pari passo crescerà il suo spessore artistico.

Rodolfo Vettorello è un poeta  estremamente sensibile, delicato, sempre pronto ad indagare in profondità nel suo animo, in un percorso introspettivo di ricerca e confronto, che lo accomuna universalmente agli altri, con i quali dialoga e nei quali si riconosce. Il suo latente pessimismo, un sottile male di vivere, ben celato da una carattere propositivo, travolgente e solare, rende la sua soave espressione poetica ancor più elegiaca, ma sempre accessibile, diretta, priva di inutili orpelli.

La visibilità ottenuta nel corso degli anni gli è valsa l’ammissione a diverse giurie di prestigiosi premi letterari e la partecipazione ad eventi culturali di una certa rilevanza. Scrive prefazioni e recensioni  e negli anni 2013/14 ha ricoperto l’incarico di Docente di Scrittura poetica presso l’UTE, Università della terza Età del “Lions Club di Milano”.

 

 Lei è laureato in Architettura, ma da una vita si dedica con sincera passione alle arti letterarie. Il   punto d’incontro fra le due discipline sta nel fatto che entrambe danno vita ad un qualcosa, seppur sostanzialmente diverso, mediante la creazione. Progettare imbarcazioni , per esempio, significa favorire la comunicazione e, per dilatazione semantica, la condivisione. La poesia è il più raffinato  strumento di condivisione di emozioni. Quindi, esiste davvero un filo conduttore tra le policrome  attività che caratterizzano il suo percorso?

Come ho ripetuto più volte in analoghe occasioni, ho sempre scritto e di narrativa e di poesia, ma questa passione ha sempre avuto un ruolo defilato e laterale per molteplici ragioni. La prima ragione è che mi è capitato un tempo di leggere una frase di Benedetto Croce, ripresa poi da Fabrizio De Andrè:  “ Fino ai diciotto anni tutti scriviamo poesie. Successivamente scrivono poesie solo i poeti e gli imbecilli.”  Non avrei mai voluto venire catalogato nella seconda categoria, per cui scrivevo e tenevo nel cassetto. Successivamente, la mia attività di progettista e di Direttore di Lavori di Grandi Opere mi ha fatto vivere nella realtà concreta, in cui le evasioni nella fantasia non sembravano tollerabili. Come per chi si occupa di cose così concrete come gli edifici, ho creduto che scrivere sarebbe stata considerata quasi una debolezza. Questo ho creduto sbagliando, poiché quando ho capito che la parola è l’arma più forte e potente di cui disponiamo, mi sono sentito finalmente libero di muovermi in questo contesto, cercando una mia collocazione plausibile. Subito dopo mi sono reso conto che l’immaginata antitesi tra il mestiere di architetto e quello di autore non ha senso alcuno. Tanto l’idea  di un edificio che quella di una pagina poetica derivano entrambe da una progettazione. A detta di qualche critico, le mie poesie, per rigore e correttezza formale, rivelano la loro origine da un progetto, esattamente come qualsiasi opera di architettura.

In quale momento della sua vita ha acquisito consapevolezza della sua naturale propensione alla poesia?

Non voglio affermare di avere avuto da sempre una propensione per la poesia, mi parrebbe inutile e vanaglorioso, anche perché porto da sempre con me l’incertezza di potermi definire poeta. Il mio residuo pudore mi obbliga a definirmi più semplicemente: autore. Ho avuto, viceversa, sin da ragazzo la certezza di possedere un orecchio poetico e posso dire di aver avuto una spontanea attitudine della metrica, prima ancora di averla studiata. Questo talento, comunque di poco conto, non poteva  bastare a farmi sentire poeta e forse nemmeno versificatore o paroliere. La passione per la poesia, letta e studiata, è venuta dopo e successivamente il desiderio di scrivere poesia, o qualcosa che potesse somigliarle.

 Arthur Schopenhauer affermava che la vita è come un pendolo, che oscilla tra il dolore e la noia. Egli considerava l’arte come una via attraverso la quale liberare e, forse, elaborare il dolore, attribuendo alla poesia il compito di rendere eterne le idee. Condivide la posizione del grande filosofo tedesco?

Sono per natura un pessimista assoluto, anche se questo non mi impedisce di godere dei piaceri della vita e di avere una mia allegria esistenziale a volte esagerata. A differenza di Schopenhauer, penso  che il pendolo della vita oscilli tra un dolore e un altro dolore. Solo la gioia insensata vince a tratti e per sprazzi il male. Da Leopardi ho  ereditato  l’idea che tutto è male, che l’universo è male, la vita è male ma di Leopardi non condivido la ribellione e mi adagio in una rassegnata accettazione, che aggancia in fondo il pensiero poetico di Eugenio Montale, uno dei miei poeti di riferimento.

Vorrebbe parlarmi della sua lirica Eutanasia, con la quale tanti anni fa ha vinto il suo primo concorso letterario?

Incomincia con la poesia Eutanasia la mia uscita allo scoperto come autore di poesia. Ho custodito per decine di anni quaderni e vecchie agende, in cui ho annotato fin dall’adolescenza i miei pensieri, poetici o meno; tante cose note solo a me stesso e spesso dimenticate. Una poesia in particolare, per essere stata scritta in bella calligrafia con una stilografica ad inchiostro verde mi capitava tra le mani a scadenze annuali, in occasione della pulizia di qualche cassetto d’ufficio. Una poesia di trent’anni addietro o quasi. L’ultima volta ho speso pochi minuti per rileggerla e apportare qualche limatura, prima di riporla nuovamente. Un giorno di circa dieci anni addietro mi è capitato di leggere, appesa al mancorrente di un tram, una locandina che pubblicizzava un Concorso Letterario bandito dal “Lions Club Milano Duomo”. Il Concorso ammetteva fino a cinque poesie per autore. Non ho tempo e voglia per cercare altre cose valide,  così spedisco la prima poesia che ho sottomano.  Eutanasia si classifica al primo posto tra almeno duemila partecipanti e un numero esagerato di poesie. Felicità per il Premio e ancora di più per aver potuto verificare una mia insperata attitudine alla comunicazione. Il Lions Club mi coopta, ne divento socio ed entro a far parte della giuria del Premio presieduta  da Carla Mursia.

Lei è di frequente membro di giuria nell’ambito di importanti premi letterari; quindi, sotto i suoi occhi passano centinaia di contributi letterari da valutare,(non uso la parola “opere”, troppo spesso inadeguata). Attraverso la sua esperienza, quale  idea ha maturato  in merito al livello culturale medio nel nostro Paese?

All’interno di tante giurie il mio compito prevalente è quello di leggere e votare poesie inedite singole, raccolte inedite e opere poetiche edite. Contrariamente a quello che si dice, e cioè che i più moderni mezzi di comunicazione di massa, come internet, sms e simili abbiano soppiantato la scrittura convenzionale, la facilità di pubblicazione offerta dalla rete ha fatto uscire allo scoperto tanti autori, o meglio, tanti scrittori occasionali. La grande mole dei prodotti letterari circolanti deve venire accuratamente vagliata per selezionare i migliori e per escludere i meno dotati. Sorprendentemente, è però abbastanza facile individuare nella grande massa i talenti veri da premiare, da incoraggiare, da accompagnare nel processo di affermazione. Importante è osservare che è proprio da una larga base partecipativa che, come accade negli sport, possono prendere evidenza le punte emergenti. Altra osservazione è che la partecipazione di tante persone che si confrontano tra loro attraverso i concorsi, consente la crescita personale, il miglioramento delle possibilità individuali  e l’accesso a gradini sempre più alti nel percorso creativo.

 

 Il suo impegno nella divulgazione della letteratura è indubbiamente lodevole, in un’epoca come la nostra, caratterizzata da un dilagante materialismo. Ma l’impegno del singolo dovrebbe essere anche sostenuto dai nostri amministratori. Ritiene che si potrebbe fare di più a livello centrale, nel promuovere iniziative a sostegno della cultura?

 Trovo che le possibilità offerte dalla rete, se hanno ampliato le possibilità di ognuno di emergere e affermarsi, abbiano operato anche  favorendo il miglioramento dei mezzi espressivi e quindi  ciò abbia giovato alle persone, singolarmente e alla società,  in generale. Certamente la cultura deve essere un tema prevalente nell’impegno politico, questo a partire dalla scuola e da tutte le iniziative che hanno bisogno di adeguati sostegni economici per non degradarsi e morire.

 Ho letto con notevole coinvolgimento alcuni suoi libri di poesie, dove ho notato un registro stilistico sobrio, puntuale e scorrevole,  che mi ha suggerito riflessioni circa alcune tematiche di forte impatto sociale. L’uomo del Terzo Millennio è sempre più solo?

Senza voler dare definizioni, che sarebbero sempre troppo parziali, di poesia posso solo introdurre qualche semplice considerazione che verrà di fatto a definire la mia nozione della stessa. La poesia è l’arte di scrivere in versi.  La frase può sembrare banale e scontata e invece il concetto è discriminante. Discriminante perché viene a escludere dal panorama della poesia chi scrive, ad esempio, con frasi ipermetri che, che non possono a nessun titolo essere definite versi. Verso non è una frase poetica qualunque, senza altra aggettivazione, che non sia una generica gradevolezza. Verso è la frase poetica che sia  per tradizione, che per esempi illuminati, rispetti peculiarità sperimentate  relativamente a quantità sillabiche e relative accentuazioni. Tale rispetto formale, del tutto estraneo all’ispirazione poetica, conferisce di fatto musicalità a ogni testo , la giusta armonia, il corretto ritmo e alla fine la memorabilità, cioè la possibilità di essere ricordata. Naturalmente, il rigore della forma non è di per sé la poesia, ma la perfezione formale aggiunge al miracolo dell’ispirazione poetica un surplus di modo, tanto che la forma diventa essa stessa valore e contenuto. Tutto quanto espresso non è, forse fortunatamente, universalmente condiviso e tanta poesia moderna e contemporanea è lontana da questa visione,  prediligendo immediatezze espressive differenti e finendo col determinare scuole di pensiero alternative del tutto rispettabili.

 Soltanto il lettore, il fruitore, è il giudice del prodotto poetico. La giustizia vera spesso non è quella di tanti Concorsi Letterari, anche di primo piano, che portano alla notorietà nomi che diventano importanti solo all’interno di confraternite omologate e autoreferenziali. La giustizia si fa sullo scaffale delle librerie dove il fruitore, dopo aver sfogliato qualche pagina, sceglie il libro da acquistare perché più leggibile e comunicativo.  L’autoreferenzialità citata non  paga. Paga solo, alla lunga, l’onestà intellettuale.  Ho perso il filo della domanda ma lo riprendo subito.  L’uomo del Terzo Millennio è sempre solo. Solo come è sempre stato in tutte le epoche passate e quelle che verranno. E’ la condizione umana che determina questa solitudine, ma è anche da questa solitudine e dalla ribellione  conseguente che deriva la creatività umana,  che non accetta di venire annientata. Da qui qualunque sogno, qualunque utopia, arte e poesia comprese.

Struggente il suo Adagio di Albinoni, una lirica del disincanto che leviga i sensi, citando il contenuto di un verso. Ognuno di noi ha un proprio cammino, ma secondo lei, le storie in fondo sono contrassegnate da un comune denominatore?

La poesia dei poeti maggiori, quella cui facciamo riferimento, quella che ricordiamo e che ci accompagna e ci consola, ha come valore vero la capacità di coinvolgerci e di farci sentire partecipi di emozioni, che appartengono anche alla nostra personale sensibilità. La grande poesia comunica valori universali,  poiché le vicende umane sono davvero contrassegnate da un comune denominatore, al di là dalla peculiarità di ogni singola esperienza.

Attraverso la poesia, opera sublime dell’uomo, il poeta e il fruitore entrano magicamente in comunicazione, a prescindere dalle rispettive culture d’appartenenza. Cosa fa scattare tale commistione di emozioni?

 Per far scattare il meccanismo della condivisione delle emozioni, al di là delle differenti culture di appartenenza e in parte anche al di là delle difficoltà derivanti dai diversi linguaggi, è la capacità comunicativa del poeta. Questa capacità deriva dalla sincerità dell’ispirazione e dal livello di talento dell’autore e dalla sua conoscenza dei modi e della misura della comunicazione. Il lettore diventa parte attiva nel processo della comunicazione per le scelte che opererà sui poeti, quanto a limpidezza di linguaggio ed emozione trasmessa, senza  cedimenti retorici  ed enfatici. La forma giocherà una parte importante, ma non determinante. Parte che sarà quella che andrà a subire il danno maggiore nel passaggio da una lingua ad un’altra.

Recentemente, nell’ambito del Premio letterario La Ginestra di Firenze, le è stato riconosciuto un Premio alla Carriera per meriti letterari. Una bella soddisfazione?

 Oltre la soddisfazione per  un riconoscimento che mi gratifica e lusinga la mia  vanità c’è il piacere  per l’omaggio reso all’interno di un Premio Letterario che si preannuncia di grande spessore, alla Poesia. La casa editrice Helicon, attraverso il Concorso e la selezione che ne è risultata, offre ad autori meritevoli di pubblicare senza oneri personali le loro opere, all’interno di collane dedicate. La Poesia riceverà da questa iniziativa una sicura promozione. La grande editoria, vedi Mondadori, ha chiuso la prestigiosa collana dello “Specchio” che aveva portato alla gloria del Premio Nobel autori come Quasimodo e Montale. Con questo la grande editoria ha abbandonato al suo destino la Poesia. Ultimo baluardo contro l’insignificanza della scrittura poetica, sono rimasti i piccoli e medi editori, come Helicon, che continueranno ad alimentare la vena per nulla sotterranea della Poesia.

I versi immortalati dai poeti antichi, da Omero in poi, hanno conservato intatta la loro forza attraverso i secoli. La nostra epoca cosa lascerà ai posteri, a parte l’ardua sentenza, parafrasando la famosa  lirica?

Periodicamente e con una certa insistenza si parla di morte della poesia, adducendo a spiegazione la facilità comunicativa enorme di altri mezzi di comunicazione come la rete , gli sms e tutte le possibili varianti. La Poesia, invece, nonostante le tante campane a morto, ha sempre trovato il modo di riprendere vita;anzi, come ho detto prima, proprio in questo periodo e proprio in queste condizioni la Poesia ha assunto un vigore che raramente ha conosciuto.

La rete, lungi dal danneggiare la comunicazione poetica, l’ha  incoraggiata e facilitata enormemente. Qualche schizzinoso dice, addirittura troppo; invece, la larga base determina un vertice più affollato e produttivo. Problemi quanto a seguito da parte degli autori non ce ne sono, semmai,  andrebbe  incoraggiata la lettura reciproca e l’editoria del settore. Grande veicolo questo sempre efficace, anzi, determinante, affinchè la Poesia possa mantenere  il suo ruolo, sempre.

 

 

 

 

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